CRISTOLOGIA Dio si rivela
La cristologia è quella parte della teologia che studia Cristo
Un profeta? Uno spirito di luce? Un grande uomo? Un mito? E’ esistito? La cristologia è quella parte della teologia che studia Cristo Un profeta? Uno spirito di luce? Un grande uomo? Un mito? E’ esistito? Figlio di Dio?
Catechismo della Chiesa Cattolica n.423 La cristologia è quella parte della teologia che studia Cristo Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è «venuto da Dio» (Gv 13,3), «disceso dal cielo» (Gv 3,13; Gv 6,33), «venuto nella carne» (1 Gv 4,2); infatti «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità... Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,14; Gv 1,16). Catechismo della Chiesa Cattolica n.423
Necessità della fede per conoscere Cristo
Necessità della fede per conoscere Cristo Una realtà nascosta Una realtà visibile
Necessità della fede per conoscere Cristo Solo grazie alla rivelazione divina e alla fede possiamo trascendere le apparenze e giungere a conoscere chi Egli è veramente, giacché… «nessuno conosce il Figlio se non il Padre» (Mt 11,27) «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44).
Necessità della fede per conoscere Cristo “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,15-17).
Il ruolo della ragione innanzi al mistero di Cristo
Il ruolo della ragione innanzi al mistero di Cristo anche se la ragione umana non può con le sue sole forze giungere a conoscere i misteri di Cristo, né può giungere a comprendere Cristo, tuttavia, ha una funzione importante nella conoscenza di molte cose della vita storica del Signore il Nuovo Testamento è stato propriamente scritto come una narrazione di quanto realmente avvenne e fu insegnato da Gesù (cfr Lc 1,1-4), certamente con il fine di suscitare la fede (cfr Gv 20,21), senza tuttavia che questo fine abbia tolto alcun che al carattere reale e storico dei fatti narrati. le conoscenze della vita di Cristo sostenute dalla ragione umana facilitano la fede, poiché le sue opere ne danno testimonianza (cfr Gv 10,25), sono il sigillo della sua missione divina e mostrano che la fede è ragionevole e non una posizione cieca dello spirito.
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede»
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» Dalla fine del secolo XVIII, nel segno dell’Illuminismo, nasce la ricerca per ricostruire la vita di Gesù utilizzando un metodo storico che ammette unicamente come verosimile ciò che ha una spiegazione razionale e prescinde dal resto in quanto non reale. Successivamente, lungo tutto il secolo XIX, anche il protestantesimo liberale avendo la pretesa di fondare la fede sulla storia, seguì lo stesso metodo
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» Nella prima metà del secolo XX, Rudolf Bultham sosterrà che la storia non ci può portare alla fede in Cristo, ma che occorre andare direttamente alla fede in Colui al quale i suoi primi discepoli credettero. Or bene, secondo questo autore, la fede degli inizi, basata su alcuni elementi storici, andò crescendo e sviluppandosi secondo un processo di mistificazione della figura di Gesù, esprimendosi secondo la cultura del suo tempo. Tali credenze si sarebbero riflesse in seguito nei Vangeli, che pertanto non possono costituire un fondamento solido atto a operare una ricostruzione storica di Gesù, poiché −afferma− esistono un salto e una discontinuità tra il Gesù storico e ciò che i primi cristiani pensavano di Lui. Studiando le successive forme di espressione che tali credenze avrebbero via via assunto fino alla redazione dei Vangeli, potremmo pervenire a conoscere soltanto quale fosse il nucleo storico originale della tradizione su Gesù: occorrerebbe quindi studiare la storia delle forme letterarie dei Vangeli, la storia dei diversi documenti che diedero luogo ai Vangeli, individuandone le principali caratteristiche che le contraddistinguono.
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» I risultati di questa «storia delle forme» sono stati desolanti: neppure così abbiamo potuto −con certezza critica− conoscere qualcosa della vita di Gesù. Dalla metà del secolo XX, diversi autori hanno corretto il metodo della «storia delle forme» impiegando nuovi apporti critici della linguistica, pur mantenendo le loro premesse fondamentali. I criteri linguistici impiegati sono stati vari, e i risultati in parte sono stati positivi, in quanto sono riusciti a comprovare che determinati fatti e parole trasmessi dai Vangeli sono con certezza attribuibili al Gesù della storia. I risultati sono stati, tuttavia, scarsi e non coerenti, tenuto conto che selezionano e accettano soltanto determinati discorsi e fatti di Gesù mentre ne tralasciano altri.
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» Le conclusioni di tutti questi tentativi critici sono state varie ricostruzioni della figura di Gesù, di cui hanno presentato differenti «immagini» secondo i diversi punti di osservazione assunta: alcuni immaginano un Gesù giudeo di grande religiosità (nel suo pensiero e nella sua cultura); altri, un Gesù taumaturgo (guaritore, mago o esorcista); altri, un Gesù maestro (rabbi o sapiente; umanista o maestro di morale); altri presentano un Gesù rivoluzionario (promotore di una rivoluzione sociale non violenta, o vittima romantica della conflittualità politica); altri, un Gesù profeta escatologico; ecc.
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» Il pregiudizio razionalista restringe per principio il carattere reale e storico ai soli avvenimenti-con-una-spiegazione-razionale ed esclude preliminarmente come impossibile il fatto che Gesù era Dio e la realtà miracolosa dei miracoli. Questo comportamento non è soltanto antidogmatico, ma è anche incompatibile con la sincera ricerca della verità che deve caratterizzare ogni uomo di scienza. Con lo stesso a priori razionalista neppure si ammette l’ispirazione divina della Scrittura, né la veracità dei Vangeli.
Distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» Parimenti, detti pregiudizi non solo negano la fede della Chiesa su tali punti, ma cozzano contro l’indole evidentemente storica e testimoniale propria degli scritti del Nuovo Testamento . I criteri di selezione utilizzati per accettare la storicità delle parole e dei fatti evangelici sono per lo più soggettivi, com’è dimostrato dalla molteplicità delle «immagini» di Cristo proposteci. Secondo tale impostazione, la fede e la storia sarebbero due vie diverse e parallele: la via predicata dagli apostoli e trasmessa nei Vangeli non corrisponderebbe alla realtà di Gesù; la nostra fede non avrebbe un fondamento reale e storico, ma sarebbe sostanzialmente soggettiva: ciò che Cristo è per me, in realtà non lo è. Pertanto, la distinzione tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» è una distinzione foriera di gravi conseguenze, e con tutta ragione il Magistero della Chiesa l’ha rigettata.
«la fede che cerca di capire»
«la fede che cerca di capire» E’ «la fede che cerca di capire», come diceva Sant'Anselmo: è la conoscenza che nasce dalla fede che cerca una maggiore comprensione dei misteri rivelati. Per questo motivo, il punto di partenza della cristologia è la fede e non può essere quello fornito da una ricerca storica su Gesù Cristo. Soltanto la fede può svelare il mistero dell’immagine di Cristo a svelarci la realtà del Salvatore. Le fonti della cristologia sono le stesse di quelle della fede e di ogni trattato teologico: la parola scritta di Dio e la sacra Tradizione. Queste stesse fonti sono garantite dal magistero della Chiesa: sappiamo che «l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio, scritta e o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo» . In sintesi, la Chiesa vivente è il luogo della fede in Cristo. La teologia deve quindi trarre il suo contenuto dalla rivelazione interpretata alla luce degli insegnamenti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, della liturgia, della fede e della pietà popolare; in una parola, alla luce della Tradizione viva della Chiesa sostenuta dallo Spirito Santo, che «ci guida alla verità tutta intera» (Gv 16,13).
metodi storico-critici o letterari
metodi storico-critici o letterari Le scienze umane −la storia, l’archeologia, la filologia, ecc.− sono utili per avvicinarci alla realtà storica di Gesù e della redazione dei Vangeli; per conoscere meglio le condizioni storiche della cultura del suo ambiente, i «generi letterari» impiegati nello scrivere, la maniera di parlare di quell’epoca, ecc. Tali scienze, applicate alla persona e all’opera di Gesù, sono legittime e hanno il loro valore, sempre che siano applicate in modo scientifico e retto e non viziate da particolari ideologie filosofiche. Perché queste ricerche scientifiche siano rette, anche se distinte dalla fede, non devono esserne mai separate; come l’umanità di Cristo, che è distinta dalla sua divinità ma inseparabile dalla stessa.
Perché il Figlio di Dio è venuto nel mondo?
Perché il Figlio di Dio è venuto nel mondo? Perché Dio ha voluto l’incarnazione del proprio Figlio? A cosa lo ha destinato? Quale fine ha? Lo afferma con chiarezza la Sacra Scrittura: il Figlio di Dio è venuto «perché il mondo si salvi per mezzo di Lui» (GV 3,17), «come salvatore del mondo» (1 Gv 4,14). Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,5), ha deciso che suo Figlio si incarnasse perché, fatto uomo, fosse causa della nostra salvezza (cfr Ebr 5,9).
Salvezza : liberazione e comunicazione
Salvezza : liberazione e comunicazione Il Figlio di Dio si è incarnato per liberarci dal peccato. Così afferma la Sacra Scrittura: «Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10); oppure, «Cristo Gesù è venuto al mondo per salvare i peccatori» (1 Tm 1,15); o ancora, «Il Figlio dell’uomo è venuto infatti a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Il Figlio di Dio si è incarnato per ottenerci la vita eterna. Così si esprime la Rivelazione: Dio ha inviato suo Figlio nel mondo perché questo «non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Ovvero, con altri modi equivalenti: «per renderci partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4), o ancora «perché ricevessimo l’adozione a figli di Dio» (Gal 4,5).
L’uomo, con le sue sole forze naturali, non può raggiungere la salvezza
L’uomo, con le sue sole forze naturali, non può raggiungere la salvezza Nell’Antico Testamento è costante, e crescente, la consapevolezza di Israele di non poter risorgere dal peccato con le proprie forze: soltanto Dio può ristabilire la giustizia distrutta dal peccato dell’uomo. Per questo… …la più profonda beatitudine non è più quella di poter dichiarare la propria giustizia ma quella di poter proclamare il perdono ricevuto… ”Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato, beato l’uomo a cui Dio non imputa il male e nel cui spirito non è inganno” (Sal 32, 1-2) Nel Nuovo Testamento questa verità viene espressa con tanta chiarezza che il potere di perdonare i peccati, che Gesù si attribuisce, diventa, il segno della sua divinità
L’uomo, con le sue sole forze naturali, non può raggiungere la salvezza Si può comprendere l’incapacità dell’uomo di autoredimersi, se si tiene conto della natura del peccato e della salvezza. Il peccato non è una semplice azione che, in quanto tale, passa e non permane; il peccato è anche il conseguente stato dell’uomo, è la carenza di grazia soprannaturale e i corrispondente allontanamento e l’opposizione della volontà umana della volontà umana alla Volontà di Dio. La salvezza è la remissione del peccato, il recupero della grazia e la corrispondente conversione del cuore umano all’amore di Dio. Non ci è data un’altra alternativa esistenziale: o si sta in grazia di Dio o nel peccato. Siccome l’uomo è stato destinato da Dio alla vita soprannaturale, la sua esistenza non si limita più al livello della realtà naturale. Di conseguenza, non esiste una salvezza naturale raggiungibile con le sole forze della natura umana: esiste solo la salvezza soprannaturale che, proprio per il fatto di essere soprannaturale, l’uomo non può ottenere da solo.
L’Incarnazione è opera dell’amore e della misericordia di Dio
L’Incarnazione è opera dell’amore e della misericordia di Dio Sappiamo già che l’unica causa o motivo del volere di Dio è la sua bontà. «Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute ma per sua misericordia [….] per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna» (Tt 3,4-7).
Libertà divina nell’Incarnazione
Libertà divina nell’Incarnazione Dio, mosso dal suo amore misericordioso per noi, ha voluto salvarci, scegliendo il modo di farlo: per mezzo dell’Incarnazione de suo Figlio. La decisione del beneplacito della volontà divina è assolutamente libera e gratuita, non è esigita da niente, poiché Dio è sempre Signore di tutto e non può soggetto nel suo agire a nessun tipo di necessità o di condizionamento.
Libertà divina nell’Incarnazione Una volta scelto di salvarci, la venuta del Figlio di Dio nel mondo non era necessaria per la salvezza dell’uomo posto che Dio avrebbe potuto salvarci in molti altri modi. Ad esempio, avrebbe potuto liberarci dai peccati infondendo direttamente la sua grazia negli uomini senza la mediazione della Incarnazione, poiché la giustizia divina non ha necessità di esigere una riparazione del peccato per potere perdonarci; in tal caso, il perdono non è ingiusto, poiché non facendo torto a nessuno è semplicemente misericordioso . Il modo che Dio ha scelto per salvarci, l’Incarnazione del Verbo, è in verità molto conveniente per l’uomo, come abbiamo visto nel presentare i beni che ci ottiene, ed è coerente con la sapienza e l’amore divini, e tuttavia non possiamo sostenere che fosse dovuto da parte di Dio Dio.
Il nome di «Gesù»
Il nome di «Gesù» In ebraico il nome di Gesù vuole dire «Dio salva» o «Salvatore». Dio stesso lo pose a suo Figlio fatto uomo come nome proprio: in tale modo lo annunciò a Maria (cfr Lc 1,31) e a Giuseppe dopo (cfr Mt 1,2021). Il nome ne esprime allo stesso tempo l’identità e la missione: Egli è Dio, e «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21).
Annuncio della venuta del Salvatore
Annuncio della venuta del Salvatore Il protovangelo. Dopo il peccato dei nostri progenitori, Dio non abbandonò gli uomini, ma immediatamente li portò alla speranza della salvezza. In realtà Dio si rivolse al serpente con queste parole: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gn 3,15). Questo versetto della Genesi è chiamato «protovangelo», proprio perché costituisce il primo annuncio e promessa della salvezza. La discendenza della donna che vincerà il demonio è il Redentore, Gesù Cristo. La donna di cui si parla è Eva nel suo significato immediato, e Maria nel suo pieno significato.
Annuncio della venuta del Salvatore La promessa ad Abramo. Dio strinse una alleanza con Abramo e gli promise di dargli non solo la terra, ma di farlo padre di un grande popolo, e che per mezzo della sua discendenza sarebbero state benedette tutte le nazioni della terra (Gn 12,3). Dio rinnovò varie volte le sue promesse ad Abramo , che rappresentano un annuncio della salvezza universale per mezzo di un suo discendente, che sarà Gesù Cristo. Conferma e rinnovamento della promessa. Dio rinnovò l’Alleanza e la promessa con diversi modi e andò realizzando la ascendenza del Messia: questi non solo sarà discendente di Abramo, ma più precisamente un discendente di Giacobbe (cfr Gn 28,12-14), più specificatamente della tribù di Giuda (cfr Gn 49,9-11), e ancor più concretamente della famiglia di Davide (cfr 2 Sam 7,8-16; Sal 89/88,20-38).
Annuncio della venuta del Salvatore Profezie sul Messia re Il Figlio di Davide. Il profeta Natan, in nome di Dio, promette a Davide che il Messia atteso dai tempi più remoti sarà un suo discendente. Speciale filiazione divina del Messia: Salmo 2. «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra». L’Emanuele nato da una vergine. Isaia ci trasmette una serie di profezie tra i capitoli 7 e 11 del suo libro, conosciuti come il libro dell’Emanuele. Vi si dice che il Messia-re nascerà da una vergine e sarà chiamato Emanuele (Is 7,14), che significa «Dio con noi». Sarà grande e avrà in modo eminente le virtù di tutti i grandi personaggi della sua stirpe. Si chiamerà anche Dio Forte e Principe della pace (cfr Is 9,5-6). Questo discendente di Davide sarà pieno dello Spirito di Dio e farà regnare tra gli uomini la giustizia (cfr Is 11, 1ss.). Nel Nuovo Testamento sarà manifesto che si tratta di Gesù che nascerà da Maria Vergine (cfr Mt 1,23).
Annuncio della venuta del Salvatore Profezie sul Messia re e profeta: Mosé e Davide Profezie sul Messia re e sacerdote: Questa unità di re e sacerdote ha come prototipo Melchisedek, re di Salem, misterioso contemporaneo di Abramo (cfr Gn 14,18-129). Profezie sul sacrificio di Cristo: Nel libro del profeta Isaia si trovano quattro canti sulla missione redentrice del Messia, chiamato «Servo di Yahwé» . Salmo 22/21 che comincia con: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» e termina con l’avvento del regno di Dio nel mondo La figura del Figlio dell’uomo nella profezia del profeta Daniele
Il nome di Cristo
Il nome di Cristo Il nome di «Messia» proviene dall’ebreo mashiah, che significa «unto». Questo appellativo fu tradotto nel greco christós, e latinizzato in christus. In origine si applicava al re di Israele, alludendo alla cerimonia di investitura in cui era unto con olio . In particolare il titolo di «unto» si pose a Davide e alla sua dinastia, e passò a significare il nome del Messia, del Cristo, che sarà il re discendente di Davide, l’unto per eccellenza e strumento di Dio per estendere il suo Regno su tutte le nazioni. Dopo, questo nome si applicò anche ad altri «unti» di Dio: ai sacerdoti, figli di Aarón (cfr Es 29,7; Lv 8,12), e più raramente ai profeti (cfr 1 Re 19,16). Gesù ha realizzato la speranza messianica di Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re» . Gesù riunisce in sé i diversi aspetti del Messia annunciato, che molte volte i giudei non riuscirono a compaginare; il Lui appare chiaro l’autentico significato di tutti loro. Unto non con unguento terreno ma con olio spirituale (cfr Sal 45/44.8), con la pienezza della grazia e dei doni dello Spirito divino: Egli è fin dall’inizio della sua esistenza umana il «Cristo», cioè l’unto dallo Spirito Santo (cfr Lc 1,35).
La genealogia di Cristo
La genealogia di Cristo Il Vangelo di san Matteo comincia, secondo la tradizione ebraica, con la genealogia di Giuseppe e ne fa l’elenco partendo da Abramo (cfr Mt 1,2-17). A Matteo interessa porre in risalto, per mezzo della paternità legale di Giuseppe, che Gesù discende da Abramo e da Davide; più esattamente, che era il Messia annunciato dai profeti San Luca, invece, scrive per i cristiani provenienti dai gentili, e vuole porre in evidenza l’universalità della redenzione operata da Cristo. Nel Vangelo di san Luca, la genealogia di Gesù è esposta in modo ascendente (cfr Lc 3,23-38): da Gesù, attraverso i suoi antenati, passando da Abramo, rimonta fino a Adamo, padre di tutti gli uomini, tanto dei giudei quanto dei gentili. L’evangelista ha voluto mostrare il legame di Gesù con tutto il genere umano: Cristo è il nuovo Adamo, il nuovo inizio della stirpe umana e il Salvatore di tutti gli uomin
Cristo è il centro della storia umana
Cristo è il centro della storia umana «Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4): l’Incarnazione avvenne nella pienezza del tempo, cioè al tempo opportuno secondo i piani di Dio. Il monaco Dionisio l’Esiguo (secolo VI) si propose di porre la nascita di Cristo come centro della storia dell’umanità, e con i dati storici di cui disponeva, la situò nell’anno 753 dalla fondazione di Roma: questa data è l’inizio dell’era cristiana. Oggi si ammette che Dionisio si sbagliò nei propri calcoli, e si pensa che Gesù dovette nascere approssimativamente nell’anno 748 dalla fondazione di Roma. Cristo è veramente il fondamento di tutta la storia precedente, la quale ha un valore salvifico soltanto per mezzo di Lui e in quanto ordinata a Lui. Così come Cristo è il fondamento di tutta la storia successiva, che vive della grazia della sua opera redentrice.