Miti e leggende La leggenda di Gammazita I fratelli pii Aci e Galatea

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Miti e leggende La leggenda di Gammazita I fratelli pii Aci e Galatea Colapesce Il cavallo senza testa Cerere e Proserpina A cura di Daniela e Mariangela Spina.

La leggenda di Gammazita Si racconta che al tempo della dominazione angioina visse a Catania, nei pressi del castello Ursino, la giovane Gammazita, bella e virtuosa. Di lei si innamorò un soldato francese che la corteggiava insistente- mente, nonostante la ragazza fosse fidanzata e promessa sposa. Un giorno Gammazita si recò in un pozzo e, insediata dal soldato, preferì gettarsi nel pozzo e annegare anziché perdere l’onore. Ancora oggi è visibile la macchia rossa nel pozzo.

I fratelli Pii Due fratelli, Anapia e Anfino- mo, furono sorpresi nei campi durante un’eruzione vulcanica. L’unica speranza era una fuga veloce. I fratelli, però, erano insieme aglianziani genitori, che non avrebbero potuto corre- re. I due giovani se li caricarono sulle spalle, rallentando, così, la loro fuga. Quando furono rag- giunti dalla lava, questa si divise per miracolo in due, lasciando i fratelli e i genitori incolumi.

Aci e Galatea I greci spiegarono la ricchezza d’acqua dolce della zona etnea con la leggenda di Aci e Galatea. Aci era un pastorello che viveva lungo i pendii dell’Etna. Di lui era innamorata la ninfa Galatea, figlia del dio marino Nereo. Il rozzo ciclope Polifemo, invaghitosi della ragazza, uccise il rivale lanciandogli un macigno (uno dei faraglioni). Gli dei, impietositi dallo strazio di Galatea, trasformarono il sangue di Aci in un fiume che trova pace nel mare dove l’attende l’abbraccio della sua innamorata. Ancora oggi il fiume Aci scaturisce da sotto una rupe di lava (simbolo di Polifemo) e spinge il suo corso fino a mescolarsi nel mar Ionio, con la spuma di Galatea

Il cavallo senza testa Nel 700 a Catania i nobili si riunivano per discutere di fatti politici o amorosi nella suggestiva via Crociferi. Per non essere notati, sparsero la voce che di notte un cavallo senza testa percorresse la via. Nessuno osava avventurarsi nella zona di notte. Un giovane coraggioso scommise con i suoi amici che si sarebbe recato lì di notte e che avrebbe piantato un chiodo sotto l’Arco delle Benedettine. Il giovane si recò a mezzanotte sul luogo e vi piantò il chiodo. Ma non si accorse di avere attaccato anche un lembo del suo mantello, così, quando volle scendere dalla scala, si sentì afferrato. Credette di essere stato preso dal cavallo senza testa e morì di paura. Nessuno passò più di notte per via Crociferi.

Colapesce Un tempo a Messina visse un giovane pescatore, chiamato Cola. Il mare era la sua casa: vi passava i giorni e le notti. Era capace di stare settimane e mesi sott’acqua, come un pesce. Per questo lo chiamarono Colapesce. Intorno alla figura di Cola si sono sviluppate diverse leggende. Di seguito si propongono alcune versioni: Colapesce e Federico; Colapesce e l’Etna.

Colapesce e Federico Il re Federico, incuriosito dalla fama di Colapesce, decise di metterlo alla prova. Nelle acque di Messina gettò una coppa d'oro chiedendo a Colapesce di andare a prenderla. Quando egli risalì, descrisse al re il paesaggio marino, i pesci e le piante che aveva visto. Il re, ancora più incuriosito, gettò la sua corona in mare in un punto più lontano: Cola si tuffò e cercò per due giorni e due notti; per due volte passò sotto la Sicilia fino a quando ritrovò la corona ed emerse dal mare. Il re gli chiese cosa avesse visto e lui rispose che aveva visto la Sicilia poggiare su tre colonne: una era rotta ma resistente, la seconda era solida come granito, la terza era corrosa e scricchiolante; gli disse anche che aveva visto un fuoco magico che non si spegneva. Il re desiderava avere maggiori informazioni: buttò nell'acqua un anello e invitò Colapesce ad andarlo a ripescare e riferirgli cosa avesse visto. Il giovane era stanco e titubava ma il re insisteva e Colapesce non se la sentiva di rifiutare. Decise di obbedire e disse che se si fossero visti risalire a galla un pugno di lenticchie e l'anello di certo non sarebbe più risalito. Così si tuffò lasciando tutti in ansiosa attesa; dopo diversi giorni, si videro galleggiare le lenticchie insieme all'anello che bruciava. Il re capì che il fuoco esisteva veramente nel mare e si rese conto che Colapesce non sarebbe risalito mai più: era rimasto a sostenere la colonna corrosa.

Colapesce e l’Etna Colapesce, durante una sua immersione subacquea, vide che sotto il mare c’era del fuoco, proveniente dall’Etna. Il re Federico, incredulo della relazione fattagli da Cola, pretese una prova di quanto affermato. Così Colapesce prese una ferulla (il leggerissimo legno che galleggia con facilità) e disse al re che la ferulla sarebbe tornata bruciata alla superficie del mare. Questa sarebbe stata la prova della presenza del fuoco sotto il mare, ma il pescatore non sarebbe più tornato. E fu così.

Cerere e Proserpina La dea dell’agricoltura, Cerere, aveva una bellissima figlia, Proserpina. Un giorno Plutone, il dio degli Inferi, la vide e se ne innamorò. La rapì e la condusse nel regno degli Inferi. Cerere, non vedendola tornare, la cercò disperatamente, finchè il Sole non decise di rivelarle l’accaduto. La dea corse da Giove per supplicarlo insieme agli altri dei, di liberare la figlia. Ma nessuno era disposto a darle aiuto. Le lacrime di Cerere non cessavano e, appena toccavano il terreno, seccavano tutta la vegetazione. Gli uomini, privati dei frutti della terra, cominciarono a soffrire la fame. Gli animali morivano, perché non c’era più vegetazione. Giove ebbe pietà degli uomini e inviò Mercurio all’inferno con l’ordine di liberare Proserpina. Plutone accettò, ma fece mangiare alla fanciulla alcuni chicchi di una melograna magica: chi la assaggiava era preso da una nostalgia di tornare. Proserpina lasciò gli Inferi e improvvisamente la terra ridivenne verde, fiori e gemme spuntarono dappertutto, sfamando uomini e animali. Ma dopo sei mesi la ragazza fu colta dalla nostalgia e tornò da Plutone. Vi rimase per alcuni mesi, durante i quali gli alberi persero le foglie e i frutti, la neve ricoprì la terra e i venti del nord presero a soffiare. Ma quando dopo sei mesi, Proserpina tornò dalla madre, la terra rinverdì.. Giove stabilì che questo alternarsi non avrebbe mai avuto fine. Ecco perché ci sono le stagioni.