La scultura Ellenistica Le Muse e la scultura di Rodi Prof.ssa Zaira Chiaese
Chiasmo e ponderazione Canone Diudomeno 430 -425 Efebo 480 Giovane di Mozia 470-450 Altare di Pergamo 156 ac. Doriforo 450 Apoxyòmenos 330 Discobolo 450 500 400 300 200 100 Classico Ellenismo Secondo classicismo Stile severo (Atene) Nike di Samotracia 200 Afrodite Sossandra 460 Bronzi di Riace 460-450 Atena e Marsia 440 Venere di Milo 130 Laocoonte 150 ac. circa
Nike di Samotracia Alla sobrietà, all’equilibrio e alla perfezione classica subentrarono una maggiore drammatizzazione, spettacolarità e esasperazione nella resa delle superfici. La Nike è un esempio di fusione tra il panneggio di Fidia, il gusto per il chiaroscuro di Prassitele e la spazialità di Lisippo. L’alata figlia di Zeus che nella mitologia reca notizie delle vittorie militari è obliquamente slanciata che le fa aderire il vestito al corpo per l’azione del vento e degli spruzzi d’acqua (“effetto bagnato”). Era originariamente raffigurata in atto di posarsi con il piede destro sulla prua della nave vincitrice; il vascello faceva a sua volta parte degli elementi decorativi di una fontana posta sulla collina sovrastante il Santuario dei Grandi Dei di Samotracia. La statua è in pregiato marmo Paro, è priva degli elementi essenziali, ma i frammenti delle mani lasciano pensare che la destra era abbassata lungo il fianco mentre la sinistra si alza va in gesto solenne a dara il trionfale annuncio. 220 a.C. Parigi, Museo del louvre
Venere di Milo Venne ritrovata spezzata in due parti nel 1820 sull'isola greca di Milos da un contadino. Non si conosce precisamente quale episodio mitologico della vita di Venere venga rappresentato: si ritiene possa essere una raffigurazione della Venus Victrix che reca il pomo dorato a Paride: tale interpretazione ben si accorderebbe con il nome dell'isola dove è stata ritrovata (milos, in lingua greca, significa infatti "mela"). Del resto, alcuni frammenti di un avambraccio e di una mano recante una mela sono stati ritrovati vicino alla statua stessa. In generale comunque colpisce l'atteggiamento naturale della dea, ormai lontana dalla compostezza "eroica" delle Veneri classiche dei secoli precedenti. Venere (o Afrodite) si leva stante col busto nudo fino all'addome e le gambe velate da un fitto panneggio. Il corpo compone una misurata tensione che richiama un tipico chiasmo di derivazione policletea, dato dall’accentuato piegarsi della gamba sinistra sotto il morbido panneggio. Dopo il ritrovamento dell'opera, sono stati numerosi i tentativi di ricostruirne la posa originaria. 130 a.C. Parigi, Museo del louvre
Venere di Milo (130 a.C. ca) Parigi, Museo del Louvre
Scultura a Rodi Nel III sec. a.C. l’isola di Rodi godette di una notevole rilevanza commerciale, militare e culturale. L’arte rodia in particolare è connotata da un gusto spiccato per il phatos e per l’enfasi drammatica oltre che per un naturalismo estremo evidente nella notevole attenzione al dettaglio anatomico e nella definizione spesso esasperata di muscoli, tendini, capigliature. Gli autori sono un gruppo di tre scultori, Agesandro, Atanodoro e Polidoro da Rodi. E mettono in scena la morte del sacerdote e dei suoi figli che cercarono di impedire l’entrata del cavalo di legno a Troia, avvolti dalla spire di due serpenti inviati da Apollo. Questo gruppo scultoreo venne alla luce nel 1506 a Roma tra i resti delle così dette Terme di Tito sull’Esquilino I sec. a.C. Roma, Musei Vaticani
Il pathos ellenico
Laocoonte Il gruppo è costiuto da una rigorosa simmetria: - verticale: alla figura del padre e dei figli corrispondono i tre mantelli che cadono al centro e ai lato della composizione - orizzontale: le spire dei serpenti che si snodano in direzioni opposte Le statue sono disposte lungo una diagonale che dal braccio alzato di Laocoonte scende attraverso il torso e la gamba.
Alcuni dettagli, sopraciglia inarcate, narici dilatate, fronte corrugata e bocca socchiusa, esprimono l’estremo dolore umano. Anche se la scultura è carica di drammaticità mantiene comunque una sua struttura compositiva simmetrica. Lo sbilanciamento diagonale esprime il crescendo di drammaticità che trova la sua massima espressione nella metà di sinistra dove uno dei figli sembra ormai morente.
Dalla parte opposta l’altro ragazzo sta per liberarsi dalle spire del serpente marino inviato da Poseidone. Sono messi in relazione la simmetria geometrica e l’asimmetria emotiva. Malgrado la forte drammaticità il processo di idealizzazione non riesce ancora a cancellare la bellezza dei corpi.
L’altare di Pergamo 156 a.C.
L’altare di Pergamo 168-166 a.C. L’altare , originariamente collocato nell’acropoli di Pergamo (oggi ricostruito a Berlino) ha un aspetto monumentale che ha la funzione di celebrare la potenza raggiunta dalla capitale ellenistica ed è annoverato tra le 7 meraviglie del mondo. Presenta una pianta quadrangolare e al centro della facciata occidentale l’altare vero e proprio al quale si accedeva salendo una gradinata di 28 scalini. L’edificio era percorso lungo tutto il perimetro da un porticato a colonne ioniche. Nella parte superiore del muro interno correva un fregio con la descrizione delle imprese di Telefo, figlio di Eracle e leggendario fondatore di Pergamo. La sensazione della drammaticità è accentuata dal forte contrasto tra i diversi piani del rilievo che consente di ottenere una forte contrapposizione tra luce e ombra
Sull’alto basamento esterno, entro cornici aggettanti, stava invece un fregio di 2 m di altezza e 190 m di lunghezza con scene di Gigantomachia, ossia lotta fra dei e giganti (110 figure).
Atene in lotta con i giganti, fregio del lato orientale
Le figure sono disposti su vari piani con elementi paesaggistici per scandire la successione narrativa. Nella parte alta l’autore ha realizzato immagini di dimensioni ridote rispetto quelle delle sezioni inferiori. Mentre il fregio esterno presenta forti contrasti chiaroscurali quello all’interno presenta rilievi meno esasperati e la narrazione si distende in toni meno drammatici. Abbandono di Telefo e Auge in una barca, fregio interno