Il Capitale e la rivoluzione

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Il Capitale e la rivoluzione KARL MARX Il Capitale e la rivoluzione

Il Capitale (1867-1885 postumo-1895-postumo) Ne Il capitale, l’opera marxiana di maggior impegno, il filosofo di Treviri tenta di dare una fondazione complessiva alle sue riflessioni precedenti, analizzando a fondo e con dovizia di particolari economici lo sviluppo del sistema sociale e politico capitalista. Ciò avviene sulla base di uno sguardo “anatomico” che lo disseziona minuziosamente per indagarne i principi che, interagendo, regolano la sua esistenza.

La merce Il Capitale inizia con l’analisi della merce. Essa ha un duplice valore VALORE D’ USO: riguarda la qualità della merce e la sua capacità di soddisfare un bisogno. VALORE DI SCAMBIO: data la possibilità di scambiare merci differenti (ad esempio 20 chili di caffè con venti metri di tela), riguarda quel minimo comun denominatore che permette di raffrontarle e valutare l’equità di uno scambio (ciò che mi permette di dire che 20 chili di caffè sono scambiabili con 20 metri di tela). Tale minimo comun denominatore corrisponde alla “quantità di lavoro socialmente necessario per produrla”.

La merce-forza lavoro Anche la forza lavoro umana è una merce, cioè viene pagata e cambiata sul mercato: il proprietario della forza lavoro, l’operaio, la vende in cambio di un salario al proprietario del capitale, cioè dei mezzi di produzione. Quest’ultimo la paga in modo corrispondente alla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. Cioè: per produrre la forza lavoro dell’operaio è necessario fornirgli un valore corrispondente alle cose necessarie perché egli mantenga se stesso e la sua famiglia.

IL LAVORO PRODUCE VALORE A differenza delle altre merci, però, il lavoro produce valore. Il capitalista compra la forza lavoro dell’operaio e lo costringe a lavorare 12 ore. Ma in 6 ore il lavoratore paga il suo mantenimento (che corrisponde al salario percepito). Nelle 6 restanti egli lavora a vantaggio del capitalista che non lo paga. Questo lavoro non pagato produce un valore che Marx chiama PLUSVALORE.

Plusvalore Il capitalista, dopo aver pagato l’operaio (capitale variabile) e dopo aver pagato i mezzi di produzione (capitale costante), riserva per sé il resto. La differenza tra il valore prodotto dall’operaio nelle ore di lavoro non pagato e il capitale investito nei salari e nei mezzi di produzione è il profitto del capitalista secondo il seguente processo Denaro 1 (capit. var. + capit. cost.) – M (merce cioè forza lavoro) – Denaro 2 (plusvalore) dove Denaro 2 è maggiore di Denaro 1…da leggersi così: Il denaro investito nel pagamento degli operai e dei mezzi di produzione consente l’utilizzo di una merce, la forza lavoro degli operai, che produce una quantità di beni corrispondenti ad una quantità di denaro superiore a quella investita.

Plusvalore relativo e assoluto Come si aumenta il plusvalore? Prolungando la giornata di lavoro (plusvalore assoluto). Migliorando la produttività attraverso una migliore organizzazione del lavoro, grazie alla sua divisione e all’impiego di macchine al fine di consentire che ciò che prima il singolo operaio produceva in un ora, adesso lo possa produrre in mezz’ora (plusvalore relativo). Tra gli effetti del miglioramento dell’organizzazione del lavoro vi è anche l’economia delle spese.

Che cosa ci guadagna il capitalista? L’aumento del plusvalore relativo è dato dall’aumento della produttività, per cui un dato bene viene prodotto in meno tempo. Si produce un numero maggiore di beni nella stessa giornata di lavoro. Per esempio se la giornata è lunga 1O ore, e prima si producevano 100 pezzi di una data merce (ricavando 100 dalla sua vendita), ora nella stessa giornata se ne producono 200 (ricavando il doppio). Ma sappiamo che la giornata di lavoro è divisa in due: il tempo in cui l’operaio lavora per sostentarsi e sopravvivere e il tempo di pluslavoro che egli è costretto a dare al capitalista. Ora se prima l’operaio impiegava 5 ore per ripagare il suo sostentamento (che ha valore 50) ora ne impiega 2,5. Ciò vuol dire che, rimanendo la giornata invariata, il pluslavoro aumenta a 7.5 ore…e così aumenta il plusvalore (150 invece che 50).

Ma non accade così…perché? E il prezzo della merce? ​Ma avevamo detto che il valore di una merce corrisponde alla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. Quindi se l’operaio lavorasse meno tempo, la suddetta quantità dovrebbe diminuire e dunque dovrebbe diminuire anche il suo prezzo. Il capitalista che adesso produce 200 pezzi dovrebbe pertanto venderli alla metà del loro prezzo originario vanificando ogni guadagno (infatti tornerebbe a guadagnare 100 e per ripagare l’operaio dovrebbe tornare a farlo lavorare 5 ore)? Ma non accade così…perché?

Quantità SOCIALMENTE necessaria Il valore di scambio di una merce è data dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrla, ma questo socialmente non riguarda il singolo produttore, ma la media di tutti i produttori delle merci di uno stesso tipo. Di conseguenza, mentre il valore sociale della merce rimarrebbe pressoché invariato, il capitalista, unico tra i suoi concorrenti, ne produrrebbe il doppio. Ergo, più o meno il capitalista produrrebbe un valore 200 nello stesso tempo di prima, consentendo all’operaio di ripagare il valore 50 del suo sostentamento in 2,5 ore e aumentando il plusvalore da 50 a 150.

Schema 1 di una merce Il valore è dato da il lavoro socialmente necessario per produrla nel capitalismo è utilizzo di merce è forza lavoro cioè capacità di lavoro retribuita con Che produce più valore del suo costo cioè plusvalore che è la fonte del il salario profitto

Schema 2 Il plusvalore si aumenta migliorando l’organizzazione del lavoro, cosa che riduce il lavoro necessario a produrre un oggetto aumentando le ore di lavoro Ciò si può ottenere promuovendo la cooperazione Plusavalore assoluto consolidando la divisione del lavoro Che comporta l’economia delle spese per i mezzi di sussistenza investendo nei macchinari che parimenti potenziano la forza lavoro e l’aumento della forza lavoro Plusvalore relativo

Saggio di plusvalore Il plusvalore è il lavoro dell’operaio che il capitalista non paga. Il profitto è il guadagno del capitalista al netto degli investimenti che egli deve compiere per migliorare la produzione, investimenti che vanno ad aumentare il capitale costante. Dunque il saggio di plusvalore, cioè la percentuale di lavoro non pagato che permette al capitalista di ricavare più denaro di quello che ha investito nella merce-forza lavoro, sarà data dal rapporto tra il plusvalore stesso e il lavoro pagato (capitale variabile). Saggio di plusvalore = Plusvalore capitale variabile Se in un’unità produttiva si ha un saggio di plusvalore mensile 10 vuol dire che il lavoro pagato al mese è per esempio di 1.000 euro (questi soldi vanno in tasca all’operaio) mentre il lavoro non pagato che il capitalista incamera è 10.000 (ergo 10.000: 1000 = 10; 1000 + 10.000=11.000 è invece il valore complessivo dei beni prodotti dall’operaio in un mese di lavoro); invece se, più onestamente, il saggio di plusvalore fosse 0,5 significherebbe che 1000 euro è il valore del lavoro pagato, e 500 è il valore del lavoro incamerato (500:1000=0,5 che, moltiplicato per cento, è il 50% perché il plusvalore 500 è il 50% del capitale variabile 1000).

Il saggio di profitto Il saggio di profitto, cioè la percentuale del guadagno effettivo, rispetto alle spese complessive del capitalista, sarà dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale costante sommato al capitale variabile. saggio di profitto= plusvalore capit. costante + capitale variabile Ciò significa che, rimanendo nel primo esempio, nei 10.000 euro di plusvalore sono compresi anche i soldi che è necessario investire nelle macchine, nelle infrastrutture e nella loro nella manutenzione ordinaria e straordinaria. Quindi supponiamo altri 1000 euro mensili. Pertanto se il saggio di plusvalore era 10, quello di profitto è sempre inferiore [10.000: (1000 + 1000)] = 5 (x 100= 500%).

La concorrenza e i suoi effetti Siccome il capitalista deve affrontare la concorrenza, e non può far lavorare il lavoratore oltre un dato numero di ore (perché oltre un certo livello diviene improduttivo), dovrà aumentare il plusvalore relativo, investendo in macchinari per aumentare la produttività. Ma proprio a causa della concorrenza la media del valore di scambio della merce diminuirà e il prezzo degli investimenti supererà presto il livello di aumento della produttività rispetto al concorrente, facendo inevitabilmente calare il saggio di profitto. Ciò che io produco, se gli altri lo producono nello stesso tempo diminuirà complessivamente di prezzo, mentre a me rimarranno sul gobbo le spese per il miglioramento della produzione. Infatti se voglio guadagnarci devo essere io l’unico a produrre una data quantità di pezzi in un tempo convenientemente breve. Se tutti lo fanno viene meno il gap tra la quantità di lavoro che io immetto nella merce e quella che immette la media dei produttori e quindi il mio vantaggio. Profitto = plusvalore capitale cost. + capitale variabile Se aumenta il capitale costante, rimanendo tendenzialmente invariato, o aumentando in misura minore, il plusvalore diminuirà la percentuale complessiva di profitto.

Esempio Per esempio, ricordando la formula: Saggio di profitto = plusvalore capitale costante + capitale variabile, dato un plusvalore 1000, un capitale costante 100 e un capitale variabile 100, il saggio di profitto è 1000: (100+100) = 5, se si intende aumentare il plusvalore relativo, bisogna aumentare la produttività, migliorando i macchinari con un investimento di 100 e ottenendo all’inizio un aumento di plusvalore di 750 perché le macchine moltiplicano la forza lavoro dell’operaio rispetto alla media. Quindi all’inizio si avrà un aumento del saggio di profitto: (1000+750): (200+100)= 5,8. Ciò consentirebbe al capitalista la possibilità, guadagnare dalla vendita del prodotto lo 0,8%. guadagnare battendo la concorrenza. Ma, per effetto della concorrenza stessa, che adeguerà i mezzi di produzione, il prezzo della merce diminuirà e si renderanno necessari successivi investimenti che produrranno però un aumento sempre inferiore di plusvalore, perché le innovazioni e i miglioramenti organizzativi consentono di guadagnare sempre meno rispetto al costo della ricerca e degli investimenti per arrivare ad approntarli. Dunque il saggio di profitto è destinato a diminuire. Per esempio se il successivo investimento di 100 produce un aumento di plusvalore di 300, si avrà (1750+ 300): (300+100) = 5,1; poi ancora un investimento di 100 che produrrà 200 di plusvalore darà il seguente saggio di profitto (1750+300+200): (400+100) = 4,5 e così via.

Cannibalismo capitalista La diminuzione tendenziale del saggio di profitto, renderà più spietata la concorrenza e farà rimanere in gara solo i capitalisti più grandi e forti che tenderanno a costituire monopoli, cannibalizzando i più deboli. La morte di numerose imprese e la razionalizzazione della produzione per mezzo di sempre più diffusi e potenti macchinari porteranno ad un aumento della disoccupazione, che aumenterà la miseria dell’ “esercito di lavoro di riserva” (il proletariato disoccupato). Nel contempo il proletariato occupato, sottoposto a sfruttamento sempre più rigido, generale, universale, si compatterà sempre più, acquisendo coscienza di se stesso proprio grazie alle comuni condizioni di vita e sofferenza. Questo processo giungerà fino al punto in cui la forza d’urto di questo proletariato spezzerà il sempre più debole involucro capitalista. Gli espropriatori saranno a questo punto espropriati.

Il comunismo In base al processo prima descritto il capitalismo genera dentro se stesso la propria negazione e produrrà dal cuore delle sue contraddizioni la società comunista senza classi, senza divisione del lavoro, senza proprietà privata e senza Stato.

Senza classi Il proletariato dominante eliminerà le contrapposizioni di classe. Infatti esso, essendo l’unico gruppo sociale senza averi, è pure l’unico gruppo senza interessi. Per questo, una volta giunto al potere, sarà in grado di eliminare la conflittualità di classe stessa fondata sulla contrapposizione degli interessi: «All’interno della dinamica della lotta di classe il proletariato, se da un lato è inserito in modo subalterno nei rapporti classisti della società borghese, dall’altro, configurandosi come classe senza interessi classisti da difendere, diviene portatore di un universalismo di parte potenzialmente in grado di risolvere l’ambivalenza dei rapporti classisti stessi» (A. Ciniero, recensione a Luca Basso, Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, Carocci, Roma, 2008 in www.dialetticaefilosofia.it). [con «universalismo di parte» si intende la capacità di una «parte» cioè di un gruppo sociale – il proletariato - di pensare per il tutto, cioè di tener conto di una giustizia generale che coinvolga non solo la sua parte, ma tutta la società)

Senza divisione del lavoro La fine della contrapposizione di classe è il risultato del venir meno dell’ingiustizia legata alla divisione del lavoro e alla sua conseguente gerarchizzazione (soprattutto la divisione macroscopica tra lavoro manuale e intellettuale). Quindi, non essendovi più qualcuno che pretende di guidare il lavoro altrui, espropriandone i prodotti, è tolto nel contesto di una totale autogestione operaia della produzione, ogni fondamento all’emergere di un gruppo privilegiato che opprime gli altri lavoratori.

Senza proprietà privata La proprietà privata dei mezzi di produzione (non quella di beni individuali di consumo) coincide con la possibilità da parte del proprietario di sfruttare i lavoratori. Se invece essa viene socializzata, si consentirà ai lavoratori di riappropriarsi del loro lavoro, evitando che uno solo possa ricattarli e offrire loro la possibilità di lavorare al prezzo della sottrazione di una parte del frutto del lavoro stesso.

Senza Stato L’estinzione dello Stato coincide con l’estinzione di un’autorità che, esterna al processo di umanizzazione del mondo svolto attraverso il lavoro, ne decida le condizioni a vantaggio di un gruppo sociale e a svantaggio di un altro. Lo Stato ha sempre rappresentato il modo in cui la classe dominante organizza, esprimendo il suo potere coercitivo, la società e stabilisce leggi che non sono altro che la forma universale che ha assunto al difesa dei propri privilegi e interessi di classe. Laddove il proletariato riorganizza la società in modo universalistico, cioè eliminando l’espropriazione del lavoro affinché tutti i soggetti coinvolti possano pienamente godere dei suoi frutti, non è più necessaria una grande sovrastruttura che presieda autoritativamente al funzionamento della società e al mantenimento coattivo di una situazione che, invisa alla maggior parte delle persone, solo i dominanti possono accettare.

La fase intermedia: la dittatura del proletariato In un primo momento vi sarà però la semplice espropriazione dei capitalisti e l’occupazione dello Stato da parte di una nuova classe dominante il proletariato. Ma il proletariato ha come unico interesse l’eliminazione alla radice delle condizioni di sfruttamento, quindi non potrà dar vita ad uno Stato quale comitato d’affari della classe dominante. Lo Stato, man mano che il processo di eliminazione della proprietà privata andrà avanti, tenderà progressivamente a venir meno, realizzando quel salto nella libertà in cui “alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra classi subentra un’associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”.

Elementi critici 1 Tra i meriti di Marx va annoverata la scoperta e valorizzazione dell’elemento economico nello sviluppo storico delle civiltà. Tuttavia Marx lo ha assolutizzato dicendo che l’ordine dei fatti economici coincide con l’ordine dei fatti storici Questa è una dottrina metafisica che è stata smentita da tutte quelle ricerche che hanno individuato l’importanza della sovrastruttura culturale anche nella determinazione dei fatti economici (cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo).

Elementi critici 2 La dialettica come legge universale dello sviluppo storico appare più metafisica che scientifica, giacché non teme smentite dai fatti. Infatti tutto ciò che potrebbe smentirla viene concepito come una contraddizione che in realtà conferma la veridicità del processo dialettico.

Elementi critici 3 Non si può considerare la religione l’oppio dei popoli poiché è un assunto non dimostrato che essa distolga gli occhi degli uomini da questa terra. In realtà, alcuni marxisti hanno dimostrato che essa può avere ed ha avuto effettivamente un carattere liberante.

Elementi critici 4 L’estetica e l’arte nella sua dimensione storica, secondo Marx dovrebbero rappresentare la sovrastruttura di strutture ormai tramontate. Tuttavia le opere prodotte nei periodi antichi continuano a parlarci e ad interessarci, malgrado i rapporti di produzione siano profondamente mutati. Ciò non è spiegabile attraverso lo schema del materialismo storico.

Elementi critici 5 Le previsioni su come doveva svilupparsi sia il regime capitalistico, sia quello del socialismo, una volta realizzata la rivoluzione, non si sono avverate. Il capitalismo monopolistico non ha distrutto se stesso ma si è ulteriormente sviluppato cercando di affrontare sul piano legislativo i suoi problemi. Il mercato si è dimostrato lo strumento più efficiente per produrre ricchezza, cosa che è condizione necessaria alla sua redistribuzione. La classe operaia ha progressivamente goduto di tale redistribuzione non contro il sistema, ma dentro il sistema (Bernstein). Una filosofia che voleva essere prassi e dimostrare la sua verità nella prassi, è stata dalla prassi storica smentita quando si è mostrata l’impossibilità del passaggio dalla dittatura del proletariato alla società senza classi e il socialismo reale non è riuscito ad andare oltre all’organizzazione di un capitalismo di Stato, burocratico, accentratore ed oppressore, che ha fallito nella sua missione storica di emancipare il lavoro.

Elementi critici 6 La teoria economica marxista ha concepito il valore di una merce in base al suo costo (in termini di lavoro impiegato per produrla), mentre l’andamento dei prezzi, cioè il valore di scambio, si è dimostrato dipendente non dal costo ma dalla minore o maggiore rarità del prodotto rispetto alla sua domanda. E ciò nasce dalla capacità della merce di soddisfare bisogni culturalmente plasmati.