Franco Fortunati – Nuovi paradigmi. Dal 2009 mi occupo di social design, ovvero progettazione di iniziative innovative per amministrazioni pubbliche e.

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Franco Fortunati – Nuovi paradigmi

Dal 2009 mi occupo di social design, ovvero progettazione di iniziative innovative per amministrazioni pubbliche e private, Istituzioni, imprese, territori

Sono Fondatore di FormArea – social innovation platform FormArea é un network di professionisti, ricercatori universitari, esperti, creativi e designer che fa ricerca e innovazione sociale.

Ho ideato e progettato diversi modelli per l’innovazione e lo sviluppo organizzativo, collaborando per numerose imprese nazionali ed internazionali. Vedi sito /sezione portfoliowww.formarea.it Sono stato Direttore di organizzazioni formative regionali,consulente di società di servizi e risorse umane.

??? # crisi # education (LLL) # nuoviparadigmi #innovazionesociale #imprenditività Parole chiave

1. UNA CRISI CHE HA PIU’ DIMENSIONI

Κρίσις CRISI Il termine “crisi”, di derivazione greca (κρίσις), originariamente indicava la separazione, provenendo infatti dal verbo greco κρίνω: “separare”, appunto. Il verbo era utilizzato in riferimento alla trebbiatura, cioè all’attività conclusiva nella raccolta del grano, consistente nella separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula. Da qui derivò tanto il primo significato di “separare”, quanto quello traslato di “scegliere”. In origine, dunque, il termine era di derivazione agricola. Da qui “crisi” acquistò poi una serie di significati secondari, già presenti nella lingua greca. Nel Vocabolario della lingua greca di Franco Montanari, oltre al primo significato di “separare”, troviamo così in successione: “scelta”, “giudizio”, inteso anche come “capacità di giudizio”, “discernimento”, “interpretazione ” di sogni, prodigi ecc. In ambito giuridico – come quarto significato – “giudizio”, “processo”, ma pure “accusa”, “condanna”. Inoltre – come quinto e sesto significato – “esito”, “soluzione” e “disputa”, “contesa”, “gara”. Infine – come ultima accezione di ambito medico – “crisi”, “fase critica”

Crisi economica: alcuni indicatori Dal 2008 al 31/12/2014 il PIL è calato di circa il 10 % La disoccupazione salita dal 7 al 13 % Calo della spesa per consumi Aumento del debito pubblico a oltre 2000 MLD di Euro

1.2 Crisi ambientale

1.3 Crisi nella politica

1.4 Crisi nei rapporti affettivi e di coppia

1.5 Crisi nelle identità religiose

Crisi nella formazione permanente Aumentano quelli che "non" lavorano e "non" studiano e non sono neppure impegnati attività di "formazione" e "apprendistato". Una sorta di generazione "non". Priva, per questo, di identità. Perché se "non" sei studente e neppure lavoratore, semplicemente, "non" esisti. Resti sospeso nell'ombra. Senza presente né futuro. I giovani (tra 15 e 29 anni) che si trovano in questa posizione - ambigua e periferica - sono oltre 2 milioni e 200 mila. Il 22%. Pesano particolarmente fra le donne e nel Sud.

E-ducĕre (cioè «trarre fuori, "tirar fuori" o "tirar fuori ciò che sta dentro"), derivante dall'unione di ē- (“da, fuori da”) e dūcĕre ("condurre"

Education ed economia MoNU&hd=1 Franco Fortunati

1. LE ALTERNATIVE DI POLITICA ECONOMICA

Le alternative economica 1. Il modello solidaristico keynesiano 2. Il modello violento neoliberista 3. ………….

1.1 Il modello keynesiano

La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936) l reddito nazionale è dato dalla somma di consumi e investimenti; in uno stato di sotto-occupazione e capacità produttiva inutilizzata, è possibile incrementare l'occupazione e il reddito passando tramite un aumento della spesa per consumi o con investimenti. L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito nazionale. La domanda in periodi di disoccupazione può essere incrementata dalla spesa pubblica. Keynes non ha fiducia nella capacità del mercato lasciato a se stesso di esprimere una domanda di piena occupazione. Ritiene necessario che in talune circostanze sia lo Stato a stimolare la domanda. Queste argomentazioni trovano conferma nei risultati della politica del New Deal, varata negli stessi anni dal presidente Roosevelt negli Stati Uniti.

La politica keynesiana e Roosevelt Durante la grande crisi Keynes disse a Roosevelt: “Prendetevi cura della disoccupazione e il bilancio pubblico prenderà cura di se stesso” La ricetta di Keynes fu: ristabilire la piena occupazione e favorire l’accesso dei lavoratori e lavoratrici e delle loro famiglie ai consumi attraverso strategie di sviluppo regionale e investimenti pubblici in economia. Come ha sottolineato James K. Galbraith la ricetta di Keynes fu “la solidarietà” verso il sud del paese e dei cittadini sprovvisti di ogni forma di solidarietà sociale.

Possibilità economiche per i nostri nipoti (1930) Quale futuro? Keynes in un saggio profetico vede quattro risposte alle crisi del futuro: Un accordo tra le nazioni per evitare guerre e conflitti Una politica di welfare world al posto delle politiche nazionali di welfare state. Prendere le distanze dall’amore del denaro in sé definito “un’attitudine morbosa e repellente, una di quelle inclinazioni a metà criminali e a metà patologiche”. Ridurre il potere degli economisti: “sarebbe davvero magnifico se gli economisti riuscissero a pensarsi come una categoria di persone utili e competenti come i dentisti appunto”

1.2 Il modello neoliberista

Capitalism and freedom (1962) Milton Friedman espone la sua teoria neoliberista: l’impresa non deve avere nessuna responsabilità sociale al di fuori del profitto; lo Stato non deve intervenire nel sociale: non deve sovvenzionare le università, la sanità pubblica e le persone povere: “la vera minaccia alla sicurezza nazionale non è l’Unione Sovietica. La vera minaccia è lo stato assistenziale”

Il modello neoliberista di Milton Friedman Per Friedman non vi devono essere imposte progressive perché “ogni imposta progressiva è un’imposta sul diventare ricchi” Bisogna privatizzare ogni attività (dagli ospedali e università alla produzione e vendita di marijuana) Occorre eliminare non solo lo stato assistenziale ma anche i sindacati perché “ostacolano la libera competitività tra le parti sociali”.

Il modello neoliberista di Milton Friedman Unico attore a cui deve orientarsi aiutare sia lo Stato che la ricerca universitaria è la grande impresa multinazionale. Se la grande impresa sarà lasciata libera da ogni vincolo si avrà un effetto di ricaduta (il trickle down effect) che produrrà benessere a tutta la popolazione. Il modello neoliberista verrà sperimentato con successo da Friedman nel Cile di Pinochet e poi trasferito da Reagan negli Stati Uniti e dalla Thatcher in Europa.

Il neoliberismo negli anni 2000 Il governo di Bush non sottoscrive il protocollo di Kyoto e sperimenta dopo il 2001 la “guerra preventiva” in Iraq sottolineando l’importanza dell’industria delle armi. Bill Gates sottolinea che l’unica materia da insegnare deve essere la tecnologia informatica; discipline come storia, sociologia, psicologia, letteratura ecc.. Sono inutili perché non servono alla grande impresa Gli economisti Schwartz e Leyden ribadiscono (1997) su Wired che la formula per il benessere mondiale è “distruggere i sindacati, privatizzare tutte le imprese pubbliche e smantellare il welfare state”

Axial age, cambio di paradigma Stiamo assistendo negli ultimi anni di fenomeni di forte trasformazione, un cambiamento strutturale che possiamo definire (axial age, cambio di paradigma) dal punto di vista economico e produttivo, quanto sociale e culturale.

Paradigma ETIMOLOGIA: dal lat. tardo paradigma, greco parádeigma, da paradeiknynai ‘mostrare (deiknynai) accanto (pará)’.

Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d’interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi e, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi. G. Anders

RIFKIN - Commons collaborativo L’economia digitale rivoluzionerà l’economia globale in ogni suo aspetto, stravolgerà il modus operandi in pressoché tutti i settori produttivi e recherà con sé opportunità economiche e modelli d’impresa assolutamente inediti. Un nuovo sistema economico sta facendo il suo ingresso sulla scena mondiale. È la prima affermazione di un nuovo paradigma economico da quando vennero alla ribalta il capitalismo e il socialismo. Il Commons collaborativo sta già trasformando il nostro modo di organizzare la vita economica, e nella prima metà del XXI secolo arriverà a creare milioni di nuovi posti di lavoro, a ridurre le disparità di reddito, a democratizzare l’economia globale e a dare vita a una società ecologicamente più sostenibile.

L’azzeramento dei costi Ad accelerare questa grande trasformazione è, paradossalmente, lo straordinario successo dell’economia di mercato. Le imprese private sono alla continua ricerca di nuove tecnologie per aumentare la produttività e ridurre il costo marginale della produzione e della distribuzione di beni e servizi, così da abbassare i prezzi, attirare i consumatori e assicurare ai propri investitori un profitto sufficiente. Il costo marginale è il costo di produzione delle unità aggiuntive di un bene o di un servizio, al netto dei costi fissi. Ma nessun economista, però, aveva mai preconizzato una rivoluzione tecnologica che, sfociando nella “produttività estrema”, avrebbe spinto i costi marginali verso lo zero e sottratto all’economia di mercato l’informazione, l’energia e un gran numero di servizi e di beni materiali, resi abbondanti e virtualmente gratuiti. Ebbene, tutto questo ha già cominciato a realizzarsi.

Nell’ultimo decennio il fenomeno del costo marginale zero ha seminato lo scompiglio nell’industria dei “prodotti d’informazione”: milioni di consumatori si sono trasformati in “prosumers” (produttori e consumatori) e hanno iniziato a produrre e condividere musica attraverso i servizi di file sharing, video attraverso YouTube, sapere attraverso Wikipedia, notizie personali attraverso i social media, e persino e-book gratuiti attraverso il Web. Il fenomeno del costo marginale zero ha messo in ginocchio l’industria discografica, estromesso dal mercato giornali e riviste, indebolito l’editoria libraria. Pur riconoscendo le notevoli conseguenze legate al progressivo azzeramento del costo marginale, fino a non molto tempo fa gli analisti sostenevano che il fenomeno non avrebbe mai superato il confine che separa il MONDO VIRTUALE dalla realtà economica concreta dell’energia, dei servizi e dei beni materiali. Oggi quel confine è stato varcato.MONDO VIRTUALE

L’internet delle cose È in atto una nuova, dirompente rivoluzione tecnologica, che metterà milioni (e presto centinaia di milioni) di prosumers in condizione di produrre e condividere energia, così come una sempre più nutrita serie di oggetti realizzati mediante stampa 3D, a costi marginali quasi zero. Sono già 14 miliardi i sensori collegati a flussi di risorse, magazzini, sistemi stradali, linee di produzione industriali, reti elettriche, uffici, case, negozi e veicoli, per monitorarne ininterrottamente le condizioni e il rendimento e trasmettere la massa di dati così ricavata, i big data, alle Internet delle comunicazioni, dell’energia e della logistica e dei trasporti. Si ritiene che nel 2030 l’ambiente umano e quello naturale saranno collegati, in una rete intelligente a diffusione globale, da oltre centomila miliardi di sensori. Imprese e prosumers potranno connettersi all’Internet delle cose e sfruttarne i big data e le analisi per elaborare algoritmi predittivi al fine di migliorare la propria efficienza,

L’era del commons collaborativo Milioni di persone stanno già trasferendo parti o segmenti della loro vita economica dai mercati capitalistici al Commons collaborativo globale. Questa economia della compartecipazione collaborativa vede attivamente impegnato il 40 per cento della popolazione statunitense. E ogni veicolo noleggiato in car sharing toglie dalla strada 15 automezzi di proprietà milioni di persone che possiedono una casa o risiedono in un appartamento mettono oggi in condivisione le loro abitazioni con milioni di viaggiatori, sempre a costi marginali prossimi allo zero, tramite servizi online come Airbnb e Couchsurfing. Fra il 2012 e il 2013, nella sola New York le persone ospitate in case e appartamenti grazie ad Airbnb sono state , facendo perdere all’industria alberghiera newyorkese un milione di pernottamenti. Al “valore di scambio” sul mercato si va sempre più sostituendo il “valore della condivisione” nel Commons collaborativo.

L’internet delle cose È in atto una nuova, dirompente rivoluzione tecnologica, che metterà milioni (e presto centinaia di milioni) di prosumers in condizione di produrre e condividere energia, così come una sempre più nutrita serie di oggetti realizzati mediante stampa 3D, a costi marginali quasi zero. Sono già 14 miliardi i sensori collegati a flussi di risorse, magazzini, sistemi stradali, linee di produzione industriali, reti elettriche, uffici, case, negozi e veicoli, per monitorarne ininterrottamente le condizioni e il rendimento e trasmettere la massa di dati così ricavata, i big data, alle Internet delle comunicazioni, dell’energia e della logistica e dei trasporti. Si ritiene che nel 2030 l’ambiente umano e quello naturale saranno collegati, in una rete intelligente a diffusione globale, da oltre centomila miliardi di sensori. Imprese e prosumers potranno connettersi all’Internet delle cose e sfruttarne i big data e le analisi per elaborare algoritmi predittivi al fine di migliorare la propria efficienza,

Predisporre un’infrastruttura Idc per un’economia da Terza rivoluzione industriale richiederà un consistente volume di INVESTIMENTI pubblici e privati, come già accaduto per le due rivoluzioni industriali precedenti. Nel 2012 l’Unione europea ha investito in progetti infrastrutturali 740 miliardi di euro, gran parte dei quali sono andati a puntellare l’obsoleta piattaforma tecnologica pensata per la Seconda rivoluzione industriale e giunta ormai da tempo alla sua massima capacità produttiva. Se solo il 10 per cento di quei fondi fosse indirizzato diversamente, se cioè in tutte le regioni dell’Unione europea venisse destinato alla costruzione di un’infrastruttura Idc e integrato da altrettanti fondi istituzionali e da altre forme di finanziamento, l’Unione digitale potrebbe diventare una realtà entro il 2040 (a fine 2011 gli investitori istituzionali dei Paesi Ocse contavano risorse per oltre miliardi di dollari, di cui appena il 2 per cento risulta investito in programmi infrastrutturali).INVESTIMENTI

L’Internet delle comunicazioni dell’Ue dovrà essere potenziata, a partire dalla diffusione universale della banda larga e dalla copertura wi-fi gratuita. L’infrastruttura per l’energia dovrà essere trasformata, passando dai combustibili fossili e dal nucleare alle energie rinnovabili. Milioni di edifici dovranno essere riadattati, dotati di impianti per sfruttare le fonti rinnovabili e convertiti in microcentrali elettriche. La rete elettrica dell’Unione europea dovrà essere trasformata in un’Internet dell’energia, una struttura digitale intelligente in grado di regolare il flusso dell’energia prodotto da milioni di microcentrali verdi. Il settore logistica e trasporti dovrà essere digitalizzato e diventare un network di veicoli senza conducente, spostati in automatico via gps su reti stradali e ferroviarie intelligenti. L’affermarsi della propulsione elettrica e a celle a combustibile richiederà milioni di apposite stazioni di rifornimento, tutte connesse all’Internet dell’energia

L’alternativa, arroccarsi in una Seconda rivoluzione industriale ormai al tramonto, con opportunità economiche sempre più modeste, un Pil sempre più contratto, una produttività sempre più in calo, un tasso di disoccupazione sempre più alto e un ambiente sempre più inquinato, è improponibile: significherebbe avviare l’Europa su una lunga china di contrazione economica e i suoi abitanti verso il declino della loro qualità della vita.

La nuova geografia del lavoro Enrico Moretti ipotizza che: i luoghi in cui si fabbricano fisicamente le cose seguiteranno a perdere importanza, mentre le città (e i luoghi) popolati di lavoratori interconnessi e creativi diventeranno le nuove fabbriche del futuro. Innovatori isolati possono così trasformarsi in una comunità, trovare le condizioni per creare un ecosistema creativo a supporto del territorio per ripensare a modelli nuovi di sviluppo locale.

Modelli di innovazione bottom-up Franco Fortunati

4 Testi per capire il presente ed indicare direzioni future J. Attali, Breve storia sul futuro Fazi Editore Steven Johnson, Un Futuro perfetto, Codice Edizioni Enrico Moretti, La Nuova geografia del lavoro, Mondadori Franco Fortunati, Campus FormArea, Verso modelli partecipativi, Franco Angeli