Esito/Prognosi
Trovare una strada dalla ricerca alla pratica clinica Siamo in cima a una ‘montagna’ di informazioni e di evidenze che ci derivano dalla ricerca compiuta in tutti questi anni e che ha portato a ottenere risultati sempre più rilevanti negli studi clinici grazie ai trattamenti farmacologici e di supporto. Permane, tuttavia, un gap consistente tra i risultati degli studi clinici controllati e quanto si osserva nella pratica clinica. Analizzare le ragioni di ciò può fornire utili informazioni e indicarci la strada per colmare tali differenze.
Schizofrenia: dalla ricerca alla clinica I più comuni criteri di esclusione dagli studi clinici sulla schizofrenia comprendono: diagnosi di dipendenza da sostanze anormalità rilevanti all’EEG comportamenti violenti idee suicide Al termine del processo di selezione i pazienti devono firmare un consenso informato per partecipare allo studio La slide riporta i più comuni criteri di esclusione, secondo quanto riconosciuto nelle linee guida pubblicate da Kane et al. nel 2003, che vengono adottati negli studi sulla schizofrenia e, in particolare, negli studi di intervento in cui si procede al confronto tra terapie antipsicotiche. Si tratta di fattori che possono potenzialmente influire sui risultati di efficacia e tollerabilità di un trattamento o rappresentare comunque un fattore di confondimento rispetto ai risultati osservati. Kane JM, Eerdekens M, Lindenmayer JP, Keith SJ, Lesem M, Karcher K. Long-acting injectable risperidone: efficacy and safety of the first long-acting atypical antipsychotic. Am J Psychiatry. 2003 Jun; 160(6):1125-32. Kane et al., Am J Psychiatry. 2003; 160(6):1125-32
Abuso di sostanze e schizofrenia Il rischio di abuso di sostanze è da 3 a 6 volte maggiore nei soggetti con schizofrenia rispetto alla popolazione generale e sembra correlato ad alterazioni frontali e ippocampali Nel valutare l’efficacia di un antipsicotico vengono, dunque, esclusi numerosi soggetti che manifestano uno dei sintomi tipici del disturbo Viene spesso sostenuto che la coesistenza di un abuso di sostanze in un paziente schizofrenico rappresenti una sorta di automedicazione, un tentativo del paziente di alleviare sintomi positivi e negativi, il deficit cognitivo o gli effetti collaterali dei trattamenti antipsicotici. Ricerche recenti hanno, tuttavia, evidenziato che questa maggiore vulnerabilità nei confronti della dipendenza da sostanze potrebbe essere una conseguenza della neuropatologia propria della schizofrenia, questa modificherebbe i circuiti neuronali che mediano e rafforzano l’assunzione di sostanze. In tal senso, è stato ipotizzato che alterazioni a livello dell’ippocampo e della corteccia frontale facilitino gli effetti rinforzanti positivi della gratificazione da sostanze d’abuso e riducano il controllo inibitorio sui comportamenti di ricerca di tali sostanze. In questo modello l’abuso viene facilitato in parte da un’integrazione sregolata tra segnali dopaminergici e glutamatergici a livello del nucleo accumbens, causata dalla disfunzione frontale e ippocampale. Un’alterata integrazione di questi segnali produrrebbe delle modificazioni neuronali e motivazionali simili a quelle che si verificano in presenza di abuso di sostanze di lunga data, ma senza necessità di precedente esposizione. Dunque, nei pazienti schizofrenici la predisposizione all’abuso di sostanze sarebbe da considerarsi come un sintomo primario della malattia, in parallelo e in molti casi indipendentemente dalla presenza di altre manifestazioni patologiche. Regier DA, Farmer ME, Rae DS, Locke BZ, Keith SJ, Judd LL, Goodwin FK. Comorbidity of mental disorders with alcohol and other drug abuse. Results from the Epidemiologic Catchment Area (ECA) Study. JAMA. 1990 Nov 21 ;264(19):2511-8. Chambers RA, Krystal JH, Self DW. A neurobiological basis for substance abuse comorbidity in schizophrenia. Biol Psychiatry. 2001 Jul 15; 50(2):71-83. Review. Regier et al., JAMA. 1990; 264(19):2511-8 Chambers et al., Biol Psychiatry. 2001; 50(2):71-83
Comportamenti violenti e schizofrenia Il rischio di comportamenti violenti in soggetti maschi con schizofrenia è circa di 4 volte superiore rispetto alla popolazione generale L’abuso di sostanze, il sesso maschile e una scarsa compliance sono i fattori più fortemente associati a rischio di comportamenti violenti Vengono esclusi, quindi, dai trials clinici i soggetti di più difficile gestione, che spesso necessitano di interventi più complessi e diversificati, e che maggiormente impegnano il personale del Dipartimento di Salute Mentale Diversi studi epidemiologici e una valutazione della letteratura pubblicata in proposito indicano che la schizofrenia (e l’abuso di sostanze) si associano a tassi significativamente più elevati di comportamento violento rispetto alla popolazione generale. Violenza e aggressività non possono essere interpretati solo come conseguenza di una scadente integrazione sociale, mentre fattori da analizzare per inquadrare il rischio di questo tipo di manifestazioni nel paziente schizofrenico sono rappresentati da sesso maschile, gravità della malattia psichica e personalità primaria antisociale, oltre che dall’abuso di sostanze e dalla non adesione ai trattamenti. Escludendo dai trials clinici pazienti con comportamenti violenti/aggressivi, non si affronta la gestione terapeutica di una popolazione difficile e particolarmente impegnativa nella pratica clinica. Lindqvist P, Allebeck P. Schizophrenia and assaultive behaviour: the role of alcohol and drug abuse. Acta Psychiatr Scand. 1990 Sep; 82(3):191-5. Soyka M. Substance misuse, psychiatric disorder and violent and disturbed behaviour. Br J Psychiatry. 2000 Apr; 176:345-50. Review. Lindquist et al., Acta Psychiatr Scand. 1989; 82:191-195 Soyka, Br J Psychiatry. 2000; 176:345-50
Anormalità all’EEG e schizofrenia Anche in questo caso, soggetti con sintomi che potrebbero essere ricondotti alla patologia schizofrenica non possono entrare nei comuni trials clinici di valutazione dell’efficacia degli interventi farmacologici A seguito dell’evoluzione nell’interpretazione della schizofrenia, per lo più interpretata oggi come un’alterazione dello sviluppo neuronale, sono state condotte diverse ricerche che hanno esaminato anche il quadro elettroencefalografico dei pazienti rispetto alla norma. Da tali analisi è emerso il dato che la schizofrenia associandosi a rilevanti deficit dei circuiti neuronali, si caratterizzerebbe, in generale, per un deficit all’EEG nella sincronizzazione nella banda gamma, in particolare nel range di 40 Hz. Altre modificazioni possono riguardare lesioni o deficit specifici presenti nel singolo paziente, ma l’esclusione dei soggetti con alterazioni dell’EEG dagli studi porta a non valutare, anche in questo caso, soggetti con alterazioni correlate alla schizofrenia stessa. Spencer KM, Nestor PG, Niznikiewicz MA, Salisbury DF, Shenton ME, McCarley RW. Abnormal neural synchrony in schizophrenia. J Neurosci. 2003 Aug 13; 23(19):7407-11. Spencer et al., J Neurosci. 2003; 23(19):7407-11
Suicidio e schizofrenia Il rischio di suicidio è circa di 8,5 volte maggiore nei soggetti con schizofrenia rispetto alla popolazione generale Sono a maggiore rischio soggetti giovani, maschi, depressi, non sposati, senza lavoro, socialmente isolati Tali soggetti vengono sistematicamente esclusi dai trials di valutazione dell’efficacia degli antipsicotici È nota una forte associazione tra disturbi mentali e rischio di suicidio, pur con una notevole variabilità a seconda delle condizioni cliniche. Il rischio di suicidio risulta essere massimo in presenza di disordini funzionali e minimo in caso di disordini organici. Si stima che il rischio di suicidio sia del 9-13% nell’arco della vita di un paziente affetto da schizofrenia, vale a dire aumentato di 20-50 volte rispetto a quello della popolazione generale. Come indicato nella slide, nei pazienti con schizofrenia possono essere individuati alcuni fattori che aumentano il rischio di suicidio. Questo aspetto dovrebbe essere tenuto in adeguata considerazione negli interventi terapeutici, assistenziali e di supporto per i pazienti maggiormente vulnerabili. L’esclusione di questa consistente e problematica tipologia di pazienti dagli studi clinici può rappresentare, evidentemente, uno dei motivi di discrepanza tra i risultati dei trattamenti quando utilizzati negli studi clinici o nella pratica reale. Harris EC, Barraclough B. Suicide as an outcome for mental disorders. A meta-analysis. Br J Psychiatry. 1997 Mar; 170:205-28. Pinikahana J, Happell B, Keks NA. Suicide and schizophrenia: a review of literature for the decade (1990-1999) and implications for mental health nursing. Issues Ment Health Nurs. 2003 Jan-Feb; 24(1):27-43. Review. Harris e Barraclough, Br J Psychiatry. 1997; 170:205-28 Pinikahana et al., Issues Ment Health Nurs. 2003; 24(1):27-43
Clinica e ricerca A volte sembra difficile applicare i risultati prodotti con il necessario rigore scientifico a una realtà clinica molto eterogenea Il passaggio delle acquisizioni ottenute dagli studi alla pratica clinica può apparire particolarmente arduo in un contesto difficile e sfaccettato come quello della schizofrenia. I metodi tipici della ricerca evidence-based restano, tuttavia, un insostituibile strumento di progresso, anche se i risultati ottenuti devono poi essere adeguatamente plasmati dal clinico per adattarsi al paziente.
Terapie farmacologiche Già nel 1976 Gardos e Cole, a seguito di una revisione critica sull’utilizzo dei neurolettici nella schizofrenia, giunsero alle seguenti conclusioni: per almeno il 40% dei pazienti schizofrenici l’utilizzo di neurolettici è essenziale per evitare ricadute la maggior parte dei soggetti che recidivano dopo sospensione della terapia si ricompensa rapidamente in seguito al ripristino del trattamento i soggetti che assumono placebo mostrano una funzionalità paragonabile a quella dei soggetti in terapia, ma i benefici dell’intervento farmacologico si osservano nella prevenzione delle ricadute Questa slide si riferisce a un importante articolo di revisione critica, pubblicato nel 1976, che già allora stabiliva l’utilità dell’intervento farmacologico nel prevenire e nel trattare le ricadute di schizofrenia. Tale dato, che sembra oggi scontato, è stato il frutto di numerose ricerche che hanno confrontato l’efficacia del trattamento con antipsicotici versus placebo nel lungo periodo. Va sottolineato come non sia comunque semplice, utilizzando procedure rigorose, dimostrare la superiorità degli antipsicotici rispetto al placebo. Costruire studi di lungo periodo in doppio cieco, senza percentuali di drop-out eccessive, necessita di notevoli sforzi. In pratica, ogni studio clinico controllato parte dall’ipotesi che i due trattamenti (in questo caso antipsicotico e placebo) siano uguali. Se lo studio è disegnato male, condotto in modo non rigoroso o con un numero di soggetti limitato, l’ipotesi di partenza non potrà essere confutata e si concluderà, dunque, che i due trattamenti non dimostrano un’efficacia significativamente diversa. Questo tipo di valutazione è stata effettuata per confrontare gli antipsicotici atipici con i neurolettici convenzionali. La differenza di efficacia tra questi due gruppi di farmaci risulta evidentemente più difficile da indagare rispetto a quella che si osservava tra tipici e placebo. Ciò ha reso ancora più complicato far emergere, in modo significativo, differenze facilmente osservabili nella pratica clinica. Gardos G, Cole JO. Maintenance antipsychotic therapy: is the cure worse than the disease? Am J Psychiatry. 1976 Jan; 133(1):32-6. Review. Gardos e Cole, Am J Psychiatry. 1976; 133(1):32-6
Evidence Based Medicine: gli antipsicotici atipici (1) Non vi sono ancora chiare evidenze che gli antipsicotici atipici siano più efficaci e meglio tollerati dei neurolettici convenzionali Tra i farmaci di nuova generazione, solo clozapina si caratterizza per maggiore efficacia e migliore tollerabilità rispetto ai neurolettici convenzionali a bassa potenza In questo senso non stupiscono alcuni dati di letteratura da cui risulta che non esistono chiare differenze di efficacia o tollerabilità tra antipsicotici atipici e tipici (Geddes et al., 2000) o, come emerge dalla review di Leucht et al. (2003), che da un confronto di efficacia e tollerabilità tra antipsicotici atipici e tipici a bassa potenza solo clozapina risulta significativamente superiore ai neurolettici convenzionali. Questi dati rappresentano un elemento di riflessione importante sulle difficoltà che il clinico incontra nel comprendere i risultati prodotti negli studi della letteratura. Per ottenere delle differenze significative (p<0,05) è necessario effettuare studi su campioni a elevata numerosità, in particolare quando le differenze nella dimensione dell’effetto tra i due trattamenti sono ridotte. In effetti, in questi studi, si valuta spesso la differenza di efficacia o di tollerabilità con scale cliniche che forniscono misurazioni più ‘grossolane’ rispetto alla valutazione clinica che può essere effettuata da uno psichiatra o alla soggettiva valutazione del paziente. In sintesi, per ottenere risultati significativi con questi strumenti su differenze di trattamento più limitate (atipici vs tipici) occorrono grandi numeri. In questo senso, le metanalisi che verranno presentate nelle slides successive riescono a fornire indicazioni più interessanti. Altro aspetto che deve essere considerato è l’importanza di valutare non solo l’efficacia in acuto, ma anche l’effetto nel tempo, la capacità di prevenire recidive sintomatologiche. Da questo punto di vista, le differenze risultano ancora più complesse da studiare e interpretare. Sicuramente si può sostenere che un antipsicotico atipico, se più efficace e più tollerabile, favorisce una migliore compliance e una più efficace riabilitazione socio-lavorativa, rendendo in tal modo il paziente più stabile nel tempo, evitando nuovi ricoveri e riacutizzazioni sintomatologiche. Geddes J, Freemantle N, Harrison P, Bebbington P. Atypical antipsychotics in the treatment of schizophrenia: systematic overview and meta-regression analysis. BMJ. 2000 Dec 2; 321(7273):1371-6. Review. Leucht S, Wahlbeck K, Hamann J, Kissling W. New generation antipsychotics versus low-potency conventional antipsychotics: a systematic review and meta-analysis. Lancet. 2003 May 10; 361(9369):1581-9. Review. Geddes et al., BMJ. 2000; 321(7273):1371-6 Leucht et al., Lancet. 2003; 361(9369):1581-9
Evidence Based Medicine: gli antipsicotici atipici (2) In una metanalisi degli studi di confronto tra antipsicotici atipici (653 pazienti) e neurolettici convenzionali (330 pazienti) in rapporto al rischio di recidiva: Number Needed to Treat =13 È stata segnalata una riduzione del rischio di recidiva pari a circa l’8% Ogni 1.000 pazienti trattati per un anno con antipsicotici atipici si osservano circa 80 ricadute in meno Sempre nel 2003 lo stesso Autore citato nella precedente slide pubblica una nuova metanalisi su The American Journal of Psychiatry, in cui riferiva i risultati sul rischio di ricaduta a 1 anno in pazienti schizofrenici in trattamento con antipsicotici atipici vs tipici. Il risultato è interessante: emerge il dato che il numero di pazienti che è necessario trattare ogni anno (Number Needed to Treat, NNT) con antipsicotici atipici, per evitare una ricaduta rispetto alle ricadute attese in caso di trattamento con neurolettici convenzionali, è pari a 13. La riduzione media del rischio di ricaduta in questo studio risulta essere di 1/13, cioè circa pari a circa l’8% in 1 anno. In altre parole, se si trattano 1.000 pazienti per 1 anno con antipsicotici atipici ci si possono aspettare 80 ricadute in meno rispetto a quanto accadrebbe in caso di un trattamento con neurolettici tipici. Leucht S, Barnes TR, Kissling W, Engel RR, Correll C, Kane JM. Relapse prevention in schizophrenia with new-generation antipsychotics: a systematic review and exploratory meta-analysis of randomized, controlled trials. Am J Psychiatry. 2003 Jul; 160(7):1209-22. Review. Leucht et al., Am J Psychiatry. 2003; 160(7):1209-22
Evidence Based Medicine: gli antipsicotici atipici (3) Interruzioni del trattamento durante lo studio nel 49% dei pazienti in terapia con antipsicotici atipici vs il 66% con neurolettici tipici Number Needed to Treat =10 Su 1.000 pazienti trattati per un anno con atipici, il trattamento viene sospeso da circa 100 pazienti in meno Compliance diversa per le due generazioni di antipsicotici? “Gli antipsicotici atipici sono superiori ai neurolettici convenzionali nel migliorare la qualità di vita e nel ridurre lo stigma della schizofrenia, dunque, in particolare nella prospettiva del paziente” Un altro dato interessante che testimonia la differenza tra i due gruppi di farmaci risulta essere l’adesione al trattamento che in qualche modo indica, per lo meno in parte, la soddisfazione del paziente rispetto al trattamento. Naber e Karow osservano percentuali di drop-out negli studi esaminati sensibilmente e significativamente diverse. Anche in questo caso, la differenza appare più comprensibile utilizzando il Number Needed to Treat (NNT) che è risultato pari a 10. Dovranno essere trattati almeno 10 pazienti con antipsicotici atipici per osservare un abbandono in meno nello studio e, quindi, un mantenimento in più di terapia nel tempo. Tutto ciò risulta estremamente rilevante per i problemi relativi all’aderenza ai trattamenti nella terapia cronica della schizofrenia, un argomento di complessa gestione nella pratica clinica e che, tramite questo studio, vede confermare la sensazione, sempre presente nel clinico, che l’utilizzo di antipsicotici atipici renda più semplice l’accettazione delle terapie da parte del paziente (e forse la sua soddisfazione rispetto al trattamento). Naber D, Karow A. Good tolerability equals good results: the patient's perspective. Eur Neuropsychopharmacol. 2001 Oct; 11 Suppl 4:S391-6. Review. Naber e Karow, Eur Neuropsychopharmacol. 2001; 11 Suppl 4:S391-6
Il resto della medicina Ogni 1.000 pazienti trattati per un anno con antipsicotici atipici si osservano circa 80 ricadute in meno L’NNT è simile alla diminuzione del rischio di recidiva per eventi cardiovascolari in soggetti cardiopatici trattati con aspirina In questa slide viene effettuato un confronto rispetto una indicazione (aspirina) nel trattamento cronico di una patologia medica (rischio CV nel cardiopatico). Partendo da dati analoghi a quelli prodotti da Leucht sulla frequenza di ricaduta, è stato osservato che i pazienti cardiopatici trattati con acido acetilsalicilico hanno un rischio di ricaduta ridotto dell’8% con un NNT=13 e l’utilizzo di aspirina è lo standard raccomandato nel trattamento di questi pazienti! Collaborative overview of randomised trials of antiplatelet therapy--I: Prevention of death, myocardial infarction, and stroke by prolonged antiplatelet therapy in various categories of patients. Antiplatelet Trialists' Collaboration. BMJ. 1994 Jan 8; 308(6921):81-106. Antiplatelet Trialists’ Collaboration, BMJ. 1994; 308(6921):81-106
Efficacia degli antipsicotici atipici Metanalisi del 2003 che ha incluso 124 studi randomizzati e controllati su efficacia clinica Con l’algoritmo di Hedges-Olkin, le dimensioni dell’effetto di clozapina, amisulpiride, risperidone, olanzapina sono risultate rispettivamente di 0,49, 0,29, 0,25 e 0,21 più elevate rispetto a quelle degli antipsicotici tradizionali Per gli altri antipsicotici atipici non sono emerse differenze significative Conclusioni: alcuni antipsicotici atipici risultano significativamente più efficaci degli antipsicotici tradizionali gli antipsicotici atipici non rappresentano in termini di efficacia un gruppo omogeneo In questa metanalisi sono stati inclusi un confronto tra gli studi di efficacia sugli antipsicotici atipici rispetto ai neurolettici di prima generazione, un confronto tra diversi antipsicotici atipici, un’analisi di dose risposta sui neurolettici convenzionali e sui farmaci atipici, nonché un’analisi dell’effetto sull’efficacia di una dose elevata di un neurolettico convenzionale (la reale superiorità degli atipici sui tipici è stata spesso messa in discussione rilevando che negli studi clinici era stata utilizzata per confronto una dose non adeguatamente alta di aloperidolo). In tal modo sono stati individuati 12 studi controllati e randomizzati (nel periodo 1953-2002) di confronto tra 10 antipsitocici atipici vs neurolettici convenzionali e 18 studi di confronto tra neurolettici convenzionali. Solo gli antipsicotici atipici citati nella slide si sono dimostrati significativamente superiori per efficacia ai neurolettici convenzionali. Non è stata osservata una differenza in efficacia tra risperidone, olanzapina o amisulpride. Conclusione di questa metanalisi è stata che solo alcuni antipsicotici atipici sono superiori ai farmaci di prima generazione e che gli atipici sono una classe disomogenea. Davis JM, Chen N, Glick ID. A meta-analysis of the efficacy of second-generation antipsychotics. Arch Gen Psychiatry. 2003 Jun; 60(6):553-64. Davis et al., Arch Gen Psychiatry. 2003; 60(6):553-64
Efficacia antipsicotica degli atipici Clozapina -1,0 0,0 2,0 Dimensione dell’effetto 1,0 Amisulpride Risperidone Remoxipride Quetiapina Aripiprazolo Olanzapina Zotepina Sertindolo Ziprasidone La figura mostra l’efficacia degli antipsicotici atipici rispetto ai neurolettici convenzionali, espressa in termini di variazione della dimensione dell’effetto. Ogni punto rappresenta uno studio clinico di confronto. La linea orizzontale rappresenta l’effetto medio. La metanalisi degli studi considerati ha evidenziato una differenza statisticamente significativa rispetto agli antipsicotici convenzionali soltanto a favore di clozapina, amisulpride, risperidone e olanzapina. Davis et al., Arch Gen Psychiatry. 2003; 60(6):553-64
Antipsicotici atipici Per “antipsicotici atipici” si intendono gli antipsicotici che a dosaggi terapeutici non inducono effetti extrapiramidali (EPS) Clozapina Olanzapina Risperidone Quetiapina Accomunati dalla definizione riportata nella slide, nel loro insieme gli antipsicotici di nuova generazione clozapina, olanzapina, risperidone, quetiapina, aripiprazolo, amisulpride, differiscono, tuttavia, sotto molteplici punti di vista, per struttura chimica, effetti farmacologici e profilo di tollerabilità, e non possono essere, dunque, considerati come una classe farmacologica omogenea. Aripiprazolo Amisulpride
Clozapina L’uso della clozapina è limitato ai pazienti schizofrenici resistenti o intolleranti ad altre terapie antipsicotiche Ha dimostrato di ridurre i suicidi in corso di schizofrenia Riduce l’aggressività e la violenza nei casi difficili Può migliorare la discinesia tardiva È efficace a lungo termine La slide riassume le indicazioni e le evidenze riguardanti l’attuale impiego di clozapina nella pratica clinica.
Clozapina: tollerabilità L’affinità per i recettori istaminergici e adrenergici determina sedazione e ipotensione che richiedono una lenta titolazione iniziale L’attività anticolinergica determina stipsi, tachicardia e scialorrea Si associa ad aumento di peso (iperglicemia?) Diminuisce la soglia convulsivante (non associare a litio) Agranulocitosi (emocromo tutte le settimane per 6 mesi poi tutti i mesi) La slide riporta le più rilevanti problematiche di tollerabilità relative all’uso del farmaco.
Risperidone Più efficace rispetto a placebo sui sintomi positivi Chouinard e Arnott, 1993; Marder e Meibach, 1994; Peuskens, 1995 Efficacia nei confronti dei sintomi negativi scarsamente dimostrata Insorgenza d'azione più rapida rispetto ad aloperidolo Borison et al., 1992; Chouinard e Arnott, 1993 Tempo medio d'intervallo fra le ricadute maggiore rispetto ad aloperidolo Csernansky et al., 2002 La slide riassume le principali evidenze riguardanti l’impiego di risperidone nel paziente schizofrenico. Chouinard G, Arnott W. Clinical review of risperidone. Can J Psychiatry. 1993 Sep; 38 Suppl 3:S89-95. Review. Marder SR, Meibach RC. Risperidone in the treatment of schizophrenia. Am J Psychiatry. 1994 Jun; 151(6):825-35. Peuskens J. Risperidone in the treatment of patients with chronic schizophrenia: a multi-national, multi-centre, double-blind, parallel-group study versus haloperidol. Risperidone Study Group. Br J Psychiatry. 1995 Jun; 166(6):712-26; discussion 727-33. Borison RL, Pathiraja AP, Diamond BI, Meibach RC. Risperidone: clinical safety and efficacy in schizophrenia. Psychopharmacol Bull. 1992; 28(2):213-8. Csernansky JG, Mahmoud R, Brenner R; Risperidone-USA-79 Study Group. A comparison of risperidone and haloperidol for the prevention of relapse in patients with schizophrenia. N Engl J Med. 2002 Jan 3; 346(1):16-22. Erratum in: N Engl J Med. 2002 May 2;346(18):1424.
Risperidone: tollerabilità Aumento di peso EPS a dosaggi superiori o uguali a 6-8 mg/die Sebbene sia un antipsicotico atipico con attività anti-5HT1, anche a basse dosi può provocare un aumento della prolattina e disturbi endocrino-sessuali La slide riporta le più rilevanti problematiche di tollerabilità relative all’uso del farmaco.
Olanzapina Migliore efficacia rispetto a placebo sui sintomi positivi e negativi Beasley et al., 1996, 1997 Maggiore efficacia rispetto ad aloperidolo sui sintomi positivi, negativi e depressivi Beasley et al., 1996; Tollefson et al., 1997 Minore frequenza di ricaduta rispetto a placebo o ad aloperidolo Dellva et al., 1997; Beasley et al., 1997, 2003 Miglioramento della qualità di vita superiore a placebo o ad aloperidolo Hamilton et al., 1998, 2000; Revicki et al., 1999 e sovrapponibile a risperidone Tran et al., 1997; Ho et al., 1999 La slide riassume le principali evidenze riguardanti l’impiego di olanzapina nel paziente schizofrenico. Beasley CM Jr, Tollefson G, Tran P, Satterlee W, Sanger T, Hamilton S. Olanzapine versus placebo and haloperidol: acute phase results of the North American double-blind olanzapine trial. Neuropsychopharmacology. 1996 Feb; 14(2):111-23. Beasley CM Jr, Hamilton SH, Crawford AM, Dellva MA, Tollefson GD, Tran PV, Blin O, Beuzen JN. Olanzapine versus haloperidol: acute phase results of the international double-blind olanzapine trial. Eur Neuropsychopharmacol. 1997 May; 7(2):125-37. Tollefson GD, Beasley CM Jr, Tamura RN, Tran PV, Potvin JH. Blind, controlled, long-term study of the comparative incidence of treatment-emergent tardive dyskinesia with olanzapine or haloperidol. Am J Psychiatry. 1997 Sep; 154(9):1248-54. Dellva MA, Tran P, Tollefson GD, Wentley AL, Beasley CM Jr. Standard olanzapine versus placebo and ineffective-dose olanzapine in the maintenance treatment of schizophrenia. Psychiatr Serv. 1997 Dec; 48(12):1571-7. Beasley CM Jr, Sutton VK, Hamilton SH, Walker DJ, Dossenbach M, Taylor CC, Alaka KJ, Bykowski D, Tollefson GD; Olanzapine Relapse Prevention Study Group. A double-blind, randomized, placebo-controlled trial of olanzapine in the prevention of psychotic relapse. J Clin Psychopharmacol. 2003 Dec; 23(6):582-94. Hamilton SH, Revicki DA, Genduso LA, Beasley CM Jr. Olanzapine versus placebo and haloperidol: quality of life and efficacy results of the North American double-blind trial. Neuropsychopharmacology. 1998 Jan; 18(1):41-9. Hamilton SH, Edgell ET, Revicki DA, Breier A. Functional outcomes in schizophrenia: a comparison of olanzapine and haloperidol in a European sample. Int Clin Psychopharmacol. 2000 Sep; 15(5):245-55. Revicki DA, Genduso LA, Hamilton SH, Ganoczy D, Beasley CM Jr. Olanzapine versus haloperidol in the treatment of schizophrenia and other psychotic disorders: quality of life and clinical outcomes of a randomized clinical trial. Qual Life Res. 1999 Aug; 8(5):417-26. Tran PV, Dellva MA, Tollefson GD, Beasley CM Jr, Potvin JH, Kiesler GM. Extrapyramidal symptoms and tolerability of olanzapine versus haloperidol in the acute treatment of schizophrenia. J Clin Psychiatry. 1997 May; 58(5):205-11. Ho BC, Miller D, Nopoulos P, Andreasen NC. A comparative effectiveness study of risperidone and olanzapine in the treatment of schizophrenia. J Clin Psychiatry. 1999 Oct; 60(10):658-63.
Olanzapina: tollerabilità Minore incidenza di EPS rispetto ad aloperidolo Tran et al., 1997; Kane, 2001 e risperidone Tran et al., 1997 Minore incidenza di discinesia tardiva rispetto ad aloperidolo Tollefson et al., 1997 Minore iperprolattinemia rispetto ad aloperidolo Beasley et al., 1997; Crawford et al., 1997 Maggiore aumento di peso rispetto a placebo, aloperidolo Beasley et al.,1997 La slide riporta i dati più rilevanti riguardanti il profilo di tollerabilità del farmaco. Tran PV, Dellva MA, Tollefson GD, Beasley CM Jr, Potvin JH, Kiesler GM. Extrapyramidal symptoms and tolerability of olanzapine versus haloperidol in the acute treatment of schizophrenia. J Clin Psychiatry. 1997 May; 58(5):205-11. Kane JM. Extrapyramidal side effects are unacceptable. Eur Neuropsychopharmacol. 2001 Oct; 11 Suppl 4:S397-403. Review. Tollefson GD, Beasley CM Jr, Tamura RN, Tran PV, Potvin JH. Blind, controlled, long-term study of the comparative incidence of treatment-emergent tardive dyskinesia with olanzapine or haloperidol. Am J Psychiatry. 1997 Sep; 154(9):1248-54. Crawford AM, Beasley CM Jr, Tollefson GD. The acute and long-term effect of olanzapine compared with placebo and haloperidol on serum prolactin concentrations. Schizophr Res. 1997 Jul 25; 26(1):41-54.
Olanzapina: tollerabilità Aumento di peso (> 4 kg in 10 settimane) Riscontri di iperglicemia la glicemia deve essere attentamente monitorata in caso di diabete mellito Alterazioni lipidiche EPS simili a placebo La slide riporta le più rilevanti problematiche di tollerabilità relative all’uso del farmaco.
Quetiapina Più efficace rispetto al placebo sul miglioramento clinico complessivo e sui sintomi positivi Arvanitis e Miller, 1997 Efficacia equiparabile a quella di aloperidolo nel miglioramento clinico globale Copolov et al., 2000 Efficacia scarsamente dimostrata sui sintomi negativi La slide riassume le principali evidenze riguardanti l’impiego di quetiapina nel paziente schizofrenico. Arvanitis LA, Miller BG. Multiple fixed doses of "Seroquel" (quetiapine) in patients with acute exacerbation of schizophrenia: a comparison with haloperidol and placebo. The Seroquel Trial 13 Study Group. Biol Psychiatry. 1997; 42(4):233-46 Copolov DL, Link CG, Kowalcyk B. A multicentre, double-blind, randomized comparison of quetiapine (ICI 204,636, 'Seroquel') and haloperidol in schizophrenia. Psychol Med. 2000 Jan; 30(1):95-105.
Quetiapina: tollerabilità Bassa incidenza di EPS, sovrapponibile a placebo Kasper e Muller-Spahn, 2000 Non iperprolattinemia Elevata incidenza di aumenti del peso, con un incremento ponderale medio elevato Arvanitis e Miller, 1997; Borison et al., 1996 Sedazione Ipotensione ortostatica che necessita di titolazione iniziale della dose La slide riporta le più rilevanti problematiche di tollerabilità relative all’uso del farmaco. Kasper S, Muller-Spahn F. Review of quetiapine and its clinical applications in schizophrenia. Expert Opin Pharmacother. 2000 May; 1(4):783-801. Review. Borison RL, Arvanitis LA, Miller BG. ICI 204,636, an atypical antipsychotic: efficacy and safety in a multicenter, placebo-controlled trial in patients with schizophrenia. U.S. SEROQUEL Study Group. J Clin Psychopharmacol. 1996 Apr; 16(2):158-69.
Aripiprazolo Alla dose di 15 mg al giorno risulta superiore al placebo nella prevenzione delle recidive in pazienti affetti da schizofrenia Pigott et al., 2003 Uguale ad aloperidolo in uno studio controllato e randomizzato in doppio cieco condotto per 52 settimane su 1.294 soggetti affetti da schizofrenia. Significativamente superiore alla sottoscala per la sintomatologia negativa della PANSS Kasper et al., 2003 Paragonabile a risperidone l’efficacia a breve termine sulla sintomatologia positiva Potkin et al., 2003 La slide riassume le evidenze attualmente disponibili sull’efficacia di aripiprazolo ottenute in pazienti schizofrenici stabilizzati in uno studio vs placebo, in un confronto rispetto ad aloperidolo e in un confronto a breve termine (4 settimane) rispetto a risperidone orale in pazienti con riacutizzazione delle manifestazioni di schizofrenia. Pigott TA, Carson WH, Saha AR, Torbeyns AF, Stock EG, Ingenito GG; Aripiprazole Study Group. Aripiprazole for the prevention of relapse in stabilized patients with chronic schizophrenia: a placebo-controlled 26-week study. J Clin Psychiatry. 2003 Sep; 64(9):1048-56. Kasper S, Lerman MN, McQuade RD, Saha A, Carson WH, Ali M, Archibald D, Ingenito G, Marcus R, Pigott T. Efficacy and safety of aripiprazole vs. haloperidol for long-term maintenance treatment following acute relapse of schizophrenia. Int J Neuropsychopharmacol. 2003 Dec; 6(4):325-37. Potkin SG, Saha AR, Kujawa MJ, Carson WH, Ali M, Stock E, Stringfellow J, Ingenito G, Marder SR. Aripiprazole, an antipsychotic with a novel mechanism of action, and risperidone vs placebo in patients with schizophrenia and schizoaffective disorder. Arch Gen Psychiatry. 2003 Jul; 60(7):681-90.
Aripiprazolo: tollerabilità Scarsi/assenti EPS – acatisia 12% Non iperprolattinemia Non cardiotossicità o prolungamento del QT Non produce un aumento di peso significativo rispetto a placebo a dosi di 15 o 30 mg/die La slide riporta le evidenze disponibili riguardanti il profilo di tollerabilità del farmaco. Pigott TA, Carson WH, Saha AR, Torbeyns AF, Stock EG, Ingenito GG; Aripiprazole Study Group. Aripiprazole for the prevention of relapse in stabilized patients with chronic schizophrenia: a placebo-controlled 26-week study. J Clin Psychiatry. 2003 Sep; 64(9):1048-56. Kane JM, Barrett EJ, Casey DE, Correll CU, Gelenberg AJ, Klein S, Newcomer JW. Metabolic effects of treatment with atypical antipsychotics. J Clin Psychiatry. 2004 Nov; 65(11):1447-55. Kane et al., J Clin Psychiatry. 2004; 65(11):1447-55 Pigott et al., J Clin Psychiatry. 2003; 64(9):1048-56
Aripiprazolo Scarsa documentazione clinica sia per quanto riguarda i dati di efficacia, sia sul profilo di tollerabilità I dati su aripiprazolo e soprattutto sul suo utilizzo nella pratica clinica reale sono ancora limitati.
Amisulpride Sintomi positivi 400-800 mg/die Puech et al., 1998 Carriere et al., 2000 Colonna et al., 2000 Efficace tanto quanto aloperidolo (a breve, medio e lungo termine) Wetzel et al., 1998 Efficace tanto quanto flupentixolo Peuskens et al., 1999 Lecrubier, 2000 Sechter et al., 2002 Efficace tanto quanto risperidone Martin, 2002 Mortimer, 2004 Efficace tanto quanto olanzapina Turjanski, 1998 Burns, 2001 Maggiore rapidità d'azione di aloperidolo La slide riassume le evidenze disponibili su amisulpride confrontato sia con farmaci di prima che di seconda generazione in diversi studi clinici. Il profilo "atipico" di clozapina, risperidone, olanzapina e quetiapina è stato attribuito all’antagonismo combinato sui recettori 5-HT2 e sui recettori dopaminergici D2. Malgrado amisulpride sia un antagonista altamente selettivo per i recettori D3/D2, è stato assunto che esso possieda le caratteristiche di un farmaco atipico. Oltre ai dati riportati riguardanti i sintomi positivi, in una metanalisi di 18 studi di confronto rispetto a neurolettici convenzionali amisulpride è risultato più efficace sia sulle manifestazioni globali di schizofrenia che sui sintomi negativi. Leucht S, Pitschel-Walz G, Engel RR, Kissling W. Amisulpride, an unusual "atypical" antipsychotic: a meta-analysis of randomized controlled trials. Am J Psychiatry. 2002 Feb; 159(2):180-90.
Antipsicotici e sintomatologia positiva (BPRS) -0,6 -0,4 0,0 0,2 0,6 Colonne et al. Carrière et al. Olanzapina unificati Puech et al. Dimensione dell’effetto (r) e IC al 95% della variazione del punteggio BPRS Amisulpride unificati Quetiapina unificati Risperidone unificati 0,4 Sertindolo unificati Ziegler Pichot and Boyer Costa e Silva Ruther and Blanke Klein et al. Delcker et al. Möller et al. Wetzel et al. -0,2 Dai risultati di questa metanalisi si rileva come solo le barre degli intervalli di confidenza al 95% di amisulpride, clozapina e risperidone siano interamente spostate nella metà corrispondente a variazioni positive della dimensione dell’effetto del farmaco sul punteggio della Brief Psychiatric Rating Scale per i sintomi positivi di schizofrenia, sia in confronto a placebo che a diversi neurolettici convenzionali; non è così nel caso di quetiapina e sertrindolo. In una metanalisi di 11 studi clinici controllati che hanno valutato la riduzione nel punteggio della BPRS, amisulpride, clozapina e risperidone sono risultati più efficaci dei neurolettici convenzionali. Leucht et al., Am J Psychiatry. 2002; 159(2):180-90
Antipsicotici atipici e sintomatologia negativa Boyer et al. Danion et al. Loo et al. Paillère-Martinot et al. Amisulpride unificati Olanzapina unificati Quetiapina unificati Risperidone unificati Sertindolo unificati Per quanto riguarda i sintomi negativi, i risultati della metanalisi mostrano come le barre degli intervalli di confidenza al 95% di amisulpride, olanzapina, quetiapina, risperidone e sertindolo siano interamente spostate nella metà corrispondente a variazioni positive della dimensione dell’effetto del farmaco sul punteggio della Brief Psychiatric Rating Scale per i sintomi negativi di schizofrenia, sia in confronto a placebo che a diversi neurolettici convenzionali. Nel caso di risperidone questa evidenza era già stata segnalata in una metanalisi del 1995 che aveva unificato i dati provenienti da 6 studi in doppio cieco di confronto rispetto ad aloperidolo, perfenazina e zuclopentixolo evidenziando un vantaggio significativo (p<0,004) nella risposta dei sintomi negativi, definita come una riduzione pari o superiore al 20% della sottoscala della PANSS Sintomi Negativi. Carman J, Peuskens J, Vangeneugden A. Risperidone in the treatment of negative symptoms of schizophrenia: a meta-analysis. Int Clin Psychopharmacol. 1995 Nov; 10(4):207-13 -0,6 0,2 0,4 0,6 0,8 Dimensione dell’effetto (r) e IC al 95% della variazione del punteggio Sintomi Negativi Un’efficacia sulla sintomatologia negativa superiore al placebo è stata dimostrata per amisulpride, olanzapina, quetiapina, risperidone e sertindolo. Leucht et al., Am J Psychiatry. 2002; 159(2):180-90
Evidenze in medicina Codici per i livelli di evidenza (EBM) del National Health and Medical Research Council (NHMRC, 1999) E1 (Livello I): evidenza ottenuta da review sistematiche o da studi controllati e randomizzati rilevanti E2 (Livello II): evidenza ottenuta da almeno uno studio randomizzato e controllato E31 (Livello III-1): evidenza ottenuta da studi pseudo-randomizzati e controllati condotti correttamente E32 (Livello III-2): evidenza ottenuta da studi comparativi con controllo e allocazione non randomizzata (studi di coorte) e da studi caso-controllo E33 (Livello III-3): evidenza ottenuta da studi comparativi con controllo anamnestico o senza gruppo di controllo E4 (Livello IV): evidenza ottenuta da serie di casi La slide ricorda la classificazione della qualità delle evidenze secondo il National Health and Medical Research Council che viene inquadrata in dettaglio in funzione della provenienza dei dati disponibili, da review e RCT rilevanti, da altri studi pubblicati, fino a una serie di casi clinici/all’opinione degli esperti.
Antipsicotici Atipici: Evidenze (1) Antipsicotico Attività Livello Clozapina Non rischi di EPS, discinesia tardiva, benefici su sintomi negativi secondari e su alcune funzioni cognitive. Efficace nel rischio suicidario E2 Risperidone A dosi inferiori a 6 mg/die il rischio di EPS è trascurabile E1 Olanzapina A dosaggi terapeutici non induce significativamente EPS Alcuni soggetti beneficiano di dosaggi superiori a 20 mg/die E4 Efficace sui sintomi affettivi inclusa depressione E31 Per ciascun antipsicotico atipico esistono evidenze fondate su studi di differente qualità in rapporto all’efficacia e al profilo di tollerabilità ed esse sono state analizzate sistematicamente nello studio da cui sono tratti i risultati riportati in questa e nella successiva slide. Sulla base di questo tipo di dati si può oggi costruire un trattamento farmacologico più appropriato alle caratteristiche del singolo paziente. Lambert TJ, Castle DJ. Pharmacological approaches to the management of schizophrenia. Med J Aust. 2003 May 5; 178 Suppl:S57-61 Lambert e Castle, Med J Aust. 2003; 178 Suppl:S57-61
Antipsicotici Atipici: Evidenze (2) Antipsicotico Attività Livello Olanzapina Efficace nel trattamento della mania E2 Risulta associato a un aumento di rischio per iperglicemia e diabete E4 Quetiapina Rischio di indurre EPS scarso a qualsiasi dose Amisulpride Particolarmente efficace sulla sintomatologia negativa a dosaggi bassi 50-300 mg/die A dosi 400-1200 mg/die efficace su sintomi positivi E1 Lambert e Castle, a seguito dei risultati riportati in questa e nella precedente slide, concludevano che il trattamento farmacologico rimane il cardine della gestione del paziente schizofrenico. I neurolettici convenzionali sono gravati dal peso di effetti collaterali rilevanti, in particolare EPS ed effetti avversi neurocognitivi. I più recenti antipsicotici atipici si associano a un rischio minore di effetti collaterali extrapiramidali. Inoltre, essi evidenziano un’efficacia maggiore nel trattamento dei sintomi negativi e cognitivi di schizofrenia, dunque, con una maggiore probabilità di migliorare la qualità di vita di alcuni pazienti. La scelta di un trattamento nel singolo paziente richiede di valutarne il bilancio tra efficacia ed effetti collaterali. Il trattamento farmacologico deve essere considerato solo come uno degli elementi che dovrebbero formare un piano terapeutico globale individualizzato e indirizzato al singolo paziente schizofrenico. Lambert e Castle, Med J Aust. 2003; 178 Suppl:S57-61
Gli esiti del trattamento Nonostante la disponibilità di numerosi studi in letteratura su efficacia e tollerabilità degli antipsicotici atipici, si sa ancora pochissimo sugli esiti del disturbo schizofrenico a seguito dell’introduzione di questo nuovo gruppo di molecole. Quali differenze emergono nel lungo periodo rispetto ai regimi farmacologici basati sui neurolettici tradizionali? A che punto siamo giunti nella cura della schizofrenia a partire dalla sua identificazione come demenza precoce ad opera di Emil Kraepelin (1856-1926), il padre delle moderne classificazioni delle patologie psichiche? Quali vantaggi permettono di ottenere gli antipsicotici atipici rispetto ai neurolettici convenzionali in termini di risposta clinica nel breve termine e di outcome clinico nel lungo termine? E. Kraepelin
Studi d’esito nella schizofrenia: i dati internazionali a disposizione Negli studi di McGlashan (1988), Angst (1988), Ram et al. (1992), Warner (1994), Davidson e McGlashan (1997): 20-25% di guarigione completa 40-45% di guarigione “sociale” indipendenza, economica e lavorativa Hegarty et al. (1994) hanno condotto una metanalisi che ha considerato circa 300 studi d’esito pubblicati tra il 1895 e il 1992: circa il 40% dei pazienti a 6 anni ha mostrato un esito favorevole L’analisi degli studi precedenti l’introduzione, nei primi anni ’90, della clozapina e poi degli altri antipsicotici atipici, permette una stima dell’esito della schizofrenia a seguito delle terapie precedenti fino ai trattamenti con neurolettici convenzionali secondo quanto riassunto nella slide. McGlashan TH. A selective review of recent North American long-term follow up studies of schizophrenia. Schizophrenia Bull. 1988; 14(4):515-42 Angst J. European long-term studies of schizophrenia. Schizophrenia Bulletin. 1988; 14:501-513. Ram R, Bromet EJ, Eaton WW, Pato C, Schwartz JE. The natural course of schizophrenia: a review of first-admission studies. Schizophr Bull. 1992; 18:185-207 Warner R. Recovery from schizophrenia: Psychiatry and political economy (2nd ed.). 1994. New York: Routledge and Kegan Paul Davidson L, McGlashan TH, The varied outcomes of schizophrenia. Can J Psychiatry. 1997; 42(1):34-43 Hegarty JD, Baldessarini RJ, Tohen M, Waternauz C, Oepen G. One hundred years of schizophrenia: a meta-analysis of the outcome literature. American Journal of Psychiatry. 1994; 151:1409-1416
Gli studi d’esito in Italia (1) Studio condotto in diversi contesti socioeconomici italiani su 141 soggetti con schizofrenia seguiti ambulatorialmente per 3 anni Il numero di interventi domiciliari e ambulatoriali nell’ultimo anno è risultato un fattore direttamente correlato alla riduzione della sintomatologia presentata Abbiamo a disposizione alcuni studi italiani che hanno valutato l’esito della schizofrenia in funzione degli interventi assistenziali introdotti. Quello citato nella slide costituisce uno degli esempi più rappresentativi. Dati come questi hanno orientato fortemente l’approccio terapeutico, giustificando la necessità di una presa in carico del malato da parte dei servizi. Starace, 1988
Gli studi d’esito in Italia (2) Parte dei soggetti dello studio precedente sono stati rivalutati a 14 anni di distanza. Nei due anni precedenti il follow up: il 23% del campione non aveva presentato sintomi psicotici il 18% aveva evidenziato sintomi episodici (della durata non superiore a sei mesi) il 35% sintomi continui il 23% un quadro non precisabile (tra episodico e continuo) Questo dato, pur limitato numericamente, fornisce una fotografia dell’outcome a lungo termine dei pazienti italiani negli anni in cui si assisteva alla progressiva introduzione dei farmaci atipici in clinica, prima ancora tuttavia che essi assumessero il ruolo di prima scelta terapeutica nel trattamento di mantenimento del paziente schizofrenico. Si rileva la notevole variabilità dell’esito clinico. Dell’Acqua A, Starace F. Follow-up a 14 anni di un campione di pazienti schizofrenici del D.S.M. di Trieste. Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali. 1999; 1:10-7. Dell’Acqua e Starace, 1999
Gli studi d’esito in Italia (3) Studio retrospettivo su una corte di 61 pazienti schizofrenici seguita per 7 anni dalle strutture territoriali nell’area di Verona Risultati a 7 anni: 1 paziente libero da sintomi il 32% manifestava sintomi non psicotici la restante parte presentava sintomi psicotici residui una percentuale compresa tra il 40% e il 70% della coorte presentava al follow up sintomi negativi di schizofrenia Dai risultati di questa analisi retrospettiva emerge l’elevata diffusione dei sintomi negativi di schizofrenia oltre che di manifestazioni psicotiche residue (in due terzi del gruppo). Mignolli G, Faccincani C, Platt S. 2. Psychopathology and social performance in a cohort of patients with schizophrenic psychoses. A seven-year follow-up study. Psychological Medicine Supplement. 1991; 19:17-26 Mignolli et al., 1991
Gli studi d’esito in Italia (4) Coorte di 68 pazienti schizofrenici al primo contatto con i servizi psichiatrici (ambulatoriali o ospedalieri) della Regione Liguria Risultati del follow up a 5 anni: il 60% dei pazienti mostra una riduzione della psicopatologia basale il 47% evidenzia un miglioramento del funzionamento sociale il 45% ha avuto almeno una ricaduta e il 18% ha avuto una ricaduta entro il primo anno di follow up I risultati ottenuti a seguito della presa in carico dei pazienti sono rilevanti, anche se persiste un rischio elevato di ricaduta già nel primo anno di follow up (un paziente su 5). Carolei et al., 1998
Sintesi sugli studi d’esito Il processo di deterioramento, ove si verifica, tende a manifestarsi già nelle fasi precoci di malattia (primissimi mesi) e raggiunge entro i primi 5 anni una condizione di plateau In alcuni casi si osserva una graduale remissione anche in fase tardiva La dimensione clinica e la dimensione sociale tendono a seguire nel tempo percorsi semi-indipendenti, manifestando dunque, in modo inaspettato, una relativa autonomia tra loro Gli studi con un follow up prolungato su gruppi di pazienti schizofrenici hanno confermato la tendenza a un’evoluzione rapida della malattia nei primi anni dall’esordio, sottolineando dunque la necessità di un trattamento precoce. La remissione è un obiettivo più difficile da raggiungere. Al contrario di quanto si potrebbe ritenere, vi è una certa scissione tra le manifestazioni cliniche e l’evoluzione nel tempo e la dimensione sociale che il paziente riesce a preservare. Lasalvia A, Ruggeri M. (2003). L’Esito della Schizofrenia. Gli Studi Internazionali e i Dati Italiani. Centro Scientifico Editore: Torino (pp.1-243) Lasalvia e Ruggeri, 2003
Aspettiamo con fiducia i risultati L’esito della schizofrenia viene modificato dagli antipsicotici atipici? Aspettiamo con fiducia i risultati È ormai trascorso un numero sufficiente di anni per consentirci di valutare, anche nella pratica clinica e su una numerosità adeguata di pazienti, i risultati che possono essere raggiunti a seguito della terapia con antipsicotici atipici. Col presupposto che si tratti di una classe di farmaci dotata, rispetto ai neurolettici convenzionali di maggiore efficacia sulla sintomatologia positiva, ma anche su quella negativa, con una migliore tollerabilità e con effetti stabilizzanti sull'umore è legittimo attendersi da questi trattamenti una riduzione dei tempi e del numero dei ricoveri, un miglioramento della compliance ai trattamenti non solo farmacologici, ma anche psico-sociali e riabilitativi con più facile recupero dell'adattamento socio-ambientale e della qualità della vita.
Prospettive sugli studi d’esito Le linee di sviluppo della moderna ricerca sugli esiti della schizofrenia sono orientate nella direzione di un approccio multidimensionale che integri la tradizionale valutazione clinica e del funzionamento sociale con variabili che valorizzino le esperienze soggettive dei pazienti (qualità di vita e bisogno di cura) Una valutazione di esito metodologicamente corretta deve essere attuata con indicatori specifici e sensibili di soddisfazione dei pazienti e dei familiari, che tengano conto dell'adattamento o della disabilità sociale, della compliance al trattamento e della remissione della sintomatologia. Le esperienze soggettive del paziente, in termini di qualità di vita e bisogno di cura vanno assumendo in proposito un ruolo sempre più rilevante. Lasalvia e Ruggeri, 2003
Antipsicotici atipici Gli antipsicotici atipici non risultano un gruppo omogeneo per quanto riguarda: Efficacia Tollerabilità Le metanalisi degli studi clinici sugli antipsicotici atipici si accordano con l’esperienza nella pratica clinica, evidenziando una non omogeneità dei trattamenti antipsicotici. Nella scelta terapeutica, le singole molecole atipiche devono essere valutate in modo indipendente, considerandone il profilo di efficacia e tollerabilità distintivo in funzione delle caratteristiche del paziente.
Antipsicotici atipici: efficacia Per quanto non emergano differenze significative tra le varie molecole di antipsicotici atipici nelle metanalisi di Leucht et al. (2002) e di Santarlasci e Messori (2003), si osserva nella metanalisi di Davis e Chen (2003) un gradiente di efficacia che andrebbe ulteriormente definito. La metanalisi di Davis e Chen concludeva, in effetti, segnalando come in particolare risperidone e olanzapina evidenziassero un più favorevole profilo di efficacia e di eventi avversi rispetto ai neurolettici convenzionali, mentre i dati apparivano ancora troppo limitati per esprimere un giudizio definitivo su ziprasidone, aripiprazolo e quetiapina. Leucht S, Pitschel-Walz G, Engel RR, Kissling W. Amisulpride, an unusual "atypical" antipsychotic: a meta-analysis of randomized controlled trials. Am J Psychiatry. 2002 Feb; 159(2):180-90. Santarlasci B, Messori A. Clinical trial response and dropout rates with olanzapine versus risperidone. Ann Pharmacother. 2003 Apr; 37(4):556-63. Davis JM, Chen N. Choice of maintenance medication for schizophrenia. J Clin Psychiatry. 2003; 64 Suppl 16:24-33. Review.
Antipsicotici atipici: tollerabilità Le diverse molecole mostrano effetti indesiderati diversi che indirizzano la scelta nella pratica clinica, in particolare: alterazioni del QT aumento di peso alterazioni del profilo glicemico e lipidico iperprolattinemia Il riconoscimento e la gestione di tali disturbi rappresenta un punto di partenza ineludibile per la corretta gestione della schizofrenia È noto che i diversi antipsicotici atipici differiscono per il profilo degli eventi avversi cui si associano. Si rileva abitualmente un maggiore rischio di osservare un prolungamento del tratto QT con ziprasidone, un aumento di peso è particolarmente associato a olanzapina, al pari delle alterazioni del profilo lipidico e glicemico; l’iperprolattinemia viene segnalata con diversi antipsicotici atipici, ma risulta correlata, in particolare, all’assunzione di risperidone.
Trattamento dell’episodio acuto Prevenzione delle ricadute Gli interventi farmacologici nella gestione della schizofrenia secondo le linee guida Trattamento dell’episodio acuto Prevenzione delle ricadute Gli obiettivi del trattamento dell’episodio acuto e del trattamento di mantenimento finalizzato alla prevenzione delle ricadute sono differenti, ma non indipendenti poiché l’efficacia e la soddisfazione del paziente, rispetto alla terapia somministrata in acuto, influiscono notevolmente sull’esito della terapia cronica. Diversi approcci sono stati codificati nelle recenti linee guida.
Il trattamento dell’episodio acuto: le evidenze sperimentali Gli antipsicotici atipici risultano associati a una minore incidenza di abbandoni del trattamento nel breve e medio periodo (vs i neurolettici convenzionali) (NNT= 10; IC 95% 10-13) (Ia) Gli antipsicotici atipici risultano associati a un rischio minore di EPS rispetto ad aloperidolo (NNT=5; IC 95% 4-8) (Ia) Olanzapina risulta associata a un maggiore incremento ponderale nel medio termine (differenza media pesata=5,40; IC 95% 0,63-10,18) (Ia) (non esistono dati nel lungo periodo) Risperidone risulta associato a un incremento ponderale nel breve termine (rischio relativo= 1,37; IC 95% 1,10-1,71) (Ia) (non esistono dati nel lungo periodo) Le recenti linee guida hanno recepito le evidenze derivate dalle metanalisi degli studi clinici di confronto tra antipsicotici atipici e neurolettici convenzionali sia sul trattamento di mantenimento, che già in rapporto alla terapia dell’episodio acuto. Le caratteristiche del trattamento adottato in questa fase, in termini di efficacia, ma anche di profilo di eventi avversi e di accettazione da parte del paziente, rappresentano un fattore di notevole rilevanza per l’esito del successivo trattamento di mantenimento. Gli EPS e l’aumento di peso sono tra gli eventi avversi che influiscono maggiormente nel ridurre la compliance alle terapie. National Collaborating Centre for Mental Health. (2003) Schizophrenia: Full national clinical guideline on core interventions in primary and secondary care. London: Gaskell. Royal College of Psychiatrists, London, 2003
Il trattamento dell’episodio acuto: raccomandazioni nella pratica clinica Gli antipsicotici atipici (amisulpiride, olanzapina, quetiapina, risperidone) dovrebbero essere considerati quali opzioni terapeutiche per soggetti in trattamento con antipsicotici tradizionali che lamentino effetti indesiderati “inaccettabili” Gli antipsicotici atipici sono da considerarsi trattamenti di prima scelta per persone a cui è stata posta, per la prima volta, diagnosi di schizofrenia Nel caso la collaborazione al trattamento del soggetto sia parziale, l’utilizzo di antipsicotici atipici è considerata la prima scelta Le linee guida NICE 2002 hanno descritto sia i principali aspetti riguardanti il trattamento dei pazienti schizofrenici, sia i servizi prioritari che devono essere messi a loro disposizione. Ai fini della trattazione, la gestione della schizofrenia è stata suddivisa in tre fasi: inizio del trattamento al momento del primo episodio, fase acuta, promozione della remissione. Si raccomanda che i farmaci atipici amisulpride, olanzapina, quetiapina, risperidone (e zotepina) siano considerati di scelta come terapia di prima linea nella schizofrenia di nuova diagnosi. Gli antipsicotici atipici, utilizzati inizialmente a una dose bassa nel range terapeutico, sono i trattamenti preferibili per un paziente al primo episodio di schizofrenia. Gli antipsicotici atipici orali (amisulpride, olanzapina, quetiapina, risperidone [e zotepina]) devono essere considerati come scelta terapeutica per i pazienti in terapia con neurolettici convenzionali che, malgrado un adeguato controllo sintomatologico, manifestino effetti collaterali non accettabili, nonché per i soggetti con ricaduta e con storia di precedente risposta inadeguata ai neurolettici convenzionali. La decisione su cosa sia da intendersi con “non accettabile” deve essere presa a seguito di una discussione tra il paziente e il medico prescrittore. Allorché una discussione con il paziente non risulti essere una strada percorribile, in particolare per la gestione di un episodio acuto di schizofrenia, gli antipsicotici atipici orali dovrebbero essere considerati come l’opzione di trattamento di scelta per il loro rischio potenzialmente minore di effetti collaterali extrapiramidali. National Institute for Clinical Excellence Schizophrenia - Core interventions in the treatment and management of schizophrenia in primary and secondary care, dicembre 2002 NICE, National Institute of Clinical Excellence, 2002
La prevenzione delle ricadute: le evidenze sperimentali Gli antipsicotici atipici sono risultati superiori ad aloperidolo per: rischio complessivo di ricaduta (NNT= 8; IC 95% 5-20) (Ia) rischio di insuccesso terapeutico complessivo compresa la ricaduta (NNT=8; IC 95% 5-12) (Ia) abbandono precoce dello studio per eventi avversi (rischio relativo=0,81; IC 95% 0,58-1,13) (Ia) Queste evidenze sperimentali considerate dalle linee guida britanniche sono focalizzate sul rischio di ricaduta. La ricaduta è considerata come parametro fondamentale per stabilire l’esito di un trattamento. Ciò è in accordo con il fatto che l’esacerbazione delle manifestazioni condiziona anche l’outcome a lungo termine del paziente: evitare le ricadute viene sempre più identificato come strumento per controllare la progressione della malattia psichica. National Collaborating Centre for Mental Health. (2003) Schizophrenia: Full national clinical guideline on core interventions in primary and secondary care. London: Gaskell. Royal College of Psychiatrists, London, 2003
Prevenzione delle ricadute con gli antipsicotici atipici La schizofrenia è un disturbo cronico caratterizzato da un andamento recidivante Molti degli studi clinici randomizzati valutano l’efficacia per l’episodio acuto Un trattamento iniziale del disturbo con un antipsicotico più efficace (atipico) può prevenire la progressione del disturbo Per un trattamento di lungo periodo gli obiettivi sono la prevenzione delle ricadute e il miglioramento delle competenze sociali La slide richiama i due obiettivi primari del trattamento della schizofrenia, la gestione dell’episodio acuto e il trattamento di mantenimento finalizzato alla prevenzione delle ricadute. Può essere utile ricordare come i principali fattori che condizionano il rischio di ricaduta siano identificabili in: non compliance ai trattamenti farmacologici, psicopatologia resistente o mal controllata, scarsità di supporti sociali, abuso di alcool e sostanze come comorbidità, situazioni stressanti familiari e psicosociali, ecc. Si tratta di una molteplicità di fattori spesso coesistenti, correlati tra loro e che si influenzano vicendevolmente.
Prevenzione delle ricadute: i risultati Il tasso di ricaduta in pazienti in trattamento con placebo è circa del 10% al mese Sulla base dei dati di 50 studi clinici controllati in doppio cieco i neurolettici tipici riducono il tasso di ricaduta di circa un terzo Si può supporre che molte di queste ricadute siano causate da scarsa compliance La frequenza delle ricadute si riduce dai pazienti trattati con placebo, ai pazienti trattati con neurolettici convenzionali, ai pazienti in terapia con antipsicotici atipici. Ottenere la riduzione del tasso di ricaduta richiede, tuttavia, come presupposto fondamentale la continuità terapeutica. Numerose ricadute che si verificano in pazienti in terapia antipsicotica orale sono la conseguenza di non compliance o di compliance parziale. L’accettazione e la soddisfazione del paziente nei confronti del trattamento si dimostrano di importanza fondamentale, poiché possono influire in modo rilevante sull’outcome clinico. Gli Autori dell’articolo citato nella slide concludevano, non a caso, affermando che la scelta dell’antipsicotico, del farmaco e della dose, rappresenta probabilmente la decisione più importante che il clinico si trovi a prendere per il paziente psicotico, alla ricerca di un equilibrio tra efficacia ed effetti collaterali. Davis JM, Chen N. Old versus new: weighing the evidence between the first- and second-generation antipsychotics. Eur Psychiatry. 2005 Jan; 20(1):7-14. Davis e Chen, Eur Psychiatry. 2005; 20(1):7-14
Neurolettici convenzionali Risultati nella prevenzione delle ricadute: neurolettici di prima generazione Placebo Neurolettici convenzionali 10 20 30 50 70 Tasso di ricaduta (%) 20% 65% 60 40 Questo dato è stato ottenuto in una metanalisi degli studi rilevanti pubblicati tra il 1953 e il 2002. L’efficacia del trattamento neurolettico è, tuttavia, fortemente condizionata da un’assunzione continuativa e, dunque, da problemi di compliance. Davis JM, Chen N, Glick ID. A meta-analysis of the efficacy of second-generation antipsychotics. Arch Gen Psychiatry. 2003 Jun; 60(6):553-64. I neurolettici convenzionali riducono il tasso di ricaduta a circa un terzo rispetto al placebo Davis et al., Arch Gen Psychiatry. 2003; 60(6):553–564
Prevenzione delle ricadute: antipsicotici atipici Rischio di ricaduta con gli antipsicotici atipici o con i neurolettici convenzionali Atipici N Ricadute con aloperidolo (%) Ricadute con atipici (%) Rischio di ricaduta con atipici (%) IC 95% p Risperidone 246 50 32 0,63 (0,46 - 0,86) 0,015 Amisulpride 313 26 14 0,54 (0,33 – 0,88) 0,003 La tabella nella slide descrive la probabilità di ricaduta a un anno con risperidone o amisulpride rispetto ai neurolettici di prima generazione. Il rapporto tra rischio di ricaduta con l’antipsicotico atipico e aloperidolo è inferiore all’unità e la differenza tra i due trattamenti risulta essere statisticamente significativa. Sia risperidone (p=0,015) che amisulpiride (p=0,003) risultano superiori ad aloperidolo nel prevenire le ricadute di schizofrenia a un anno Appaiono necessari ulteriori studi Davis e Chen, Eur Psychiatry. 2005; 20(1):7-14
Risultati dello studio SOHO: risposta al trattamento e prevenzione di recidiva Studio in aperto Pazienti in monoterapia per 12 mesi 3.222 pazienti in trattamento con olanzapina 1.116 pazienti in trattamento con risperidone 256 pazienti in trattamento con aloperidolo Mediante la scala CGI è stata valutata la risposta clinica al trattamento e la comparsa di ricadute sintomatologiche nel follow up dal 3° al 12° mese Obiettivo di questo studio è stato di confrontare l’efficacia a 12 mesi del trattamento con olanzapina, risperidone, quetiapina o aloperidolo nella prevenzione delle ricadute di schizofrenia. Lo studio è stato condotto su pazienti schizofrenici che iniziavano o modificavano il trattamento antipsicotico, arruolati tra il novembre 2000 e il dicembre 2001. Al basale sono stati prescritti i seguenti farmaci in monoterapia: olanzapina (N=3222), risperidone (N=1116), quetiapina (N=189) o aloperidolo (N=256). I pazienti sono stati valutati mediante la scala Clinical Global Impression-Schizophrenia. Il tasso di ricaduta è stato misurato nel sottogruppo dei pazienti responder. Dossenbach M, Arango-Davila C, Silva Ibarra H, Landa E, Aguilar J, Caro O, Leadbetter J, Assuncao S. Response and relapse in patients with schizophrenia treated with olanzapine, risperidone, quetiapine, or haloperidol: 12-month follow-up of the Intercontinental Schizophrenia Outpatient Health Outcomes (IC-SOHO) study. J Clin Psychiatry. 2005 Aug; 66(8):1021-30. Dossenbach et al., J Clin Psychiatry. 2005; 66(8):1021-30
Risposta clinica e rischio di ricaduta Olanzapina Risperidone Aloperidolo 20 40 60 80 100 (%) Risposta Ricaduta 30% 59% 9% 74% 7,7% 81% A 12 mesi i pazienti trattati con olanzapina e risperidone hanno evidenziato una probabilità di risposta di 3-4 volte superiore rispetto ai pazienti del gruppo in trattamento con aloperidolo (p0,001), con una probabilità di ricaduta inferiore di circa 6 volte. Tra i pazienti trattati con atipici, i soggetti in terapia con olanzapina e risperidone hanno evidenziato una minore probabilità di ricaduta e una maggiore probabilità di risposta a 12 mesi rispetto ai pazienti in terapia con quetiapina. Il profilo di tollerabilità è risultato in generale a favore degli atipici rispetto ad aloperidolo. Dossenbach et al., J Clin Psychiatry. 2005; 66(8):1021-30
Studio Soho: conclusioni Olanzapina e risperidone hanno evidenziato un tasso di risposta clinica significativamente superiore rispetto ad aloperidolo Il rischio di ricaduta a un anno è risultato ridotto a un terzo Limiti dello studio: il disegno sperimentale (studio in aperto) la scarsa numerosità del gruppo in trattamento con aloperidolo la valutazione clinica limitata (CGI) Le conclusioni di questa analisi preliminare dello studio naturalistico Soho, che prevedeva un’osservazione complessiva di 3 anni, sono riportate nella slide. Complessivamente i risultati hanno confermato quanto riportato in altri studi di intervento. Dossenbach et al., J Clin Psychiatry. 2005; 66(8):1021-30
Stabilità clinica e remissione Studio clinico in aperto condotto su 578 pazienti clinicamente stabilizzati Trattamento per 12 mesi con risperidone rilascio prolungato Valutazione mediante PANSS e CGI Per quanto stabilizzati clinicamente al basale il 68,2% dei soggetti non soddisfaceva i criteri di remissione (sintomi lievi o assenti per almeno 6 mesi) La definizione di remissione di schizofrenia è un concetto in evoluzione. Sono stati proposti e modificati diversi criteri di remissione (identificati nella presenza di una serie di sintomi chiave da lievi ad assenti per almeno 6 mesi) che sono stati in questo caso applicati alla valutazione dei risultati di uno studio in aperto a 1 anno condotto con risperidone rilascio prolungato. I criteri erano i seguenti: Solo gravità Punteggio tre (lieve) o inferiore in tutti gli item seguenti della PANSS: P1 deliri P2 disorganizzazione concettuale P3 comportamento allucinatorio G5 manierismi e posture innaturali G9 contenuto insolito del pensiero N1 appiattimento affettivo N4 ritiro sociale passivo/apatico N6 mancanza di spontaneità e di flusso comunicativo Gravità nel tempo Come sopra per almeno 6 mesi. Lasser RA, Bossie CA, Gharabawi GM, Kane JM. Remission in schizophrenia: Results from a 1-year study of long-acting risperidone injection. Schizophr Res. 2005 Sep 15; 77(2-3):215-27. Lasser et al., Schizophr Res. 2005; 77(2-3):215-27
Risperidone Rilascio Prolungato: risultati Tra i 394 soggetti che non soddisfacevano i criteri di remissione clinica, il 20,8% è risultato rispondente a tali criteri per almeno 6 mesi, con una significativa riduzione del punteggio PANSS (p<0,0001) La percentuale di soggetti che alla CGI risultavano nelle categorie normale (assenza di malattia), marginalmente o lievemente ammalato è aumentata dal 39% all’88% Tra i 184 soggetti che al basale soddisfacevano i criteri di remissione clinica, l’85% ha mantenuto questa condizione nei 12 mesi del follow up I gruppi di valutazione sono stati identificati sulla base del soddisfacimento iniziale dei criteri di remissione (non tenendo conto della componente tempo). Nonostante i pazienti inclusi in questo studio fossero considerati clinicamente stabili all’inclusione, il 68,2% (394/578) non soddisfaceva al basale la componente gravità dei sintomi richiesta dalla definizione di remissione. A seguito della terapia con risperidone rilascio prolungato, il 20,8% (82) dei pazienti non precedentemente in remissione ha raggiunto e mantenuto per almeno 6 mesi tale condizione, con una riduzione significativa del punteggio medio della PANSS totale e delle sue sottoscale (p<0,0001) e con un significativo miglioramento alla scala CGI-Severity (i pazienti giudicati dai clinici non malati, marginalmente o lievemente ammalati sono aumentati dal 39% all’88%). Tra il 31,8% (184/578) dei pazienti che soddisfaceva il criterio per la gravità dei sintomi al basale, l’84,8% (156) ha mantenuto tali criteri all’endpoint dello studio. Lasser et al., Schizophr Res. 2005; 77(2-3):215-27
Il trattamento a lungo termine con antipsicotici La differenza tra antipsicotici di prima e seconda generazione risulta particolarmente rilevante nei trattamenti a lungo termine per: assenza di effetti indesiderati recupero delle competenze sociali maggiore efficacia sui sintomi negativi maggiore efficacia sulla sintomatologia affettiva Il quadro che va configurandosi quando si confrontano i risultati ottenuti con i neurolettici convenzionali rispetto agli antipsicotici atipici corrisponde a un vantaggio rilevante nella terapia con antipsicotici atipici nel mantenimento di schizofrenia, grazie ai benefici riportati nella slide. In proposito, è evidente che un trattamento con un antipsicotico atipico long-acting che superi le problematiche correlate alla non compliance occulta può dimostrare risultati particolarmente favorevoli.
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (1) La psicoterapia individuale psicodinamica non risulta efficace nei pazienti schizofrenici, ma risulta essere più gradita ai pazienti stessi rispetto ad altre psicoterapie (tipo CBT) Malmberg e Fenton, 2005 I vantaggi della gestione familiare basata sull’intervento sull’emotività espressa non sono evidenti Pharoah et al., 2005 La CBT appare efficace almeno nel breve periodo, ma sono necessari confronti tra terapeuti più e meno esperti Jones et al., 2005 La musicoterapia migliora la condizione globale e può migliorare anche lo stato mentale e il funzionamento sociale se viene fornito un numero sufficiente di sedute Gold et al., 2005 L’efficacia dell’arte-terapia non è documentata in modo chiaro Ruddy e Milnes, 2005 Il trattamento farmacologico rappresenta il cardine della gestione del paziente schizofrenico, gli interventi psicosociali, psicoeducazionali e psicoterapici possono, tuttavia, offrire un supporto rilevante nel rispondere ai bisogni di cura del paziente e per migliorarne la qualità di vita. Sono molteplici e variegati gli interventi adottati che si è cercato di ricondurre a una valutazione di efficacia standard. Come si evince dalla slide, vi è ancora molto da studiare con un approccio sistematico, per chiarire fondamentalmente quali tipi di intervento siano non solo graditi al paziente, ma anche efficaci e, soprattutto, più efficaci rispetto ad altri.
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (2) La psicoeducazione si mostra efficace nella prevenzione delle ricadute e nella prevenzione dei ricoveri successivi in aggiunta al trattamento farmacologico: in un anno si osserva una riduzione del rischio di ricaduta del 12,5% l’NNT è uguale a 8 Mancano, però, ancora dati che permettano di stabilire la minore o maggiore efficacia delle singole tecniche Il loro basso costo le rende particolarmente appetibili, ma proprio questo richiede studi ulteriori Gli approcci psicoeducativi sono finalizzati ad aumentare l’insight, la comprensione del paziente per la malattia e il trattamento. Una rassegna di 10 studi disponibili ha valutato i risultati ottenuti mediante diversi interventi psicoeducativi. In tutti gli studi è stato previsto il coinvolgimento dei famigliari. La compliance alle terapie è risultata significativamente migliorata in un singolo studio, mentre in altri casi i risultati sono stati in proposito non univoci. Qualunque tipo di intervento psicoeducativo ha ridotto in modo significativo i tassi di ricaduta o di ricovero nel corso dei periodi variabili di follow up da 9 a 18 mesi rispetto a un trattamento standard (RR 0,8; IC:0,7-0,9; NNT 9; IC 6-22). Va comunque rilevato che gli outcome secondari di questi studi (aumento della comprensione, stato mentale, livello globale di funzionalità, ecc.) sono risultati valutati con scale di difficile interpretazione. I risultati sono comunque, in generale, apparsi coerenti nel sostenere la possibilità che gli interventi psicoeducativi esercitino un effetto positivo sul benessere individuale. Non è stato, tuttavia, evidenziato un impatto sull’insight, l’attitudine nei confronti dei farmaci o la soddisfazione complessiva nei confronti dei servizi, anche se questi parametri sono stati valutati in un numero molto limitato di studi. Complessivamente, dunque, in attesa di ulteriori dati, la psicoeducazione appare come un insieme di interventi utili e poco costosi, appropriati a entrare nel programma di trattamento dei pazienti affetti da schizofrenia. Pekkala E, Merinder L. Psychoeducation for schizophrenia (Cochrane Review) The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Pekkala e Merinder, 2005
Caratteri essenziali degli interventi psicoeducativi La schizofrenia è considerata come una malattia, l’ambiente familiare non è implicato nell’eziologia È previsto supporto e i familiari sono considerati agenti terapeutici Gli interventi sono parte di un “pacchetto” terapeutico da usare insieme al trattamento farmacologico e a una gestione clinica ambulatoriale L'educazione e altri interventi psicosociali possono, sostanzialmente, aiutare i pazienti e le loro famiglie ad imparare come gestire la malattia in modo più efficace, a ridurre le disfunzioni sociali, a favorire la reintegrazione. Gli interventi psicosociali comprendono tecniche e strategie sociali e psicosociali per ridurre o eliminare le difficoltà sociali, psicologiche e cognitive, le disfunzioni e i deficit, allo scopo di facilitare il reinserimento sociale e la riabilitazione psicosociale e insegnare, inoltre, ai pazienti e alle loro famiglie come affrontare meglio gli stress. La slide riporta i messaggi cruciali che dovrebbero essere trasmessi nel corso di questo tipo di attività. Dixon LB, Lehman AF. Family interventions for schizophrenia. Schizophr Bull. 1995; 21(4):631-43. Dixon e Lehman. Schizophr Bull. 1995; 21(4):631-43
Gli interventi psicoeducativi più usati Informazione specifica sui disturbi Problem solving Supporto alla famiglia Gestione della crisi Gli studi clinici randomizzati hanno dimostrato ripetutamente che gli interventi sulla famiglia che apportano nel loro insieme educazione alla malattia e supporto, addestrano al problem solving e insegnano a gestire la crisi, in combinazione con una terapia farmacologica appropriata, concorrano a ridurre i tassi di ricaduta a 1 anno da un range del 50-40% a valori inferiori al 25%. Sembra, peraltro, che i programmi psicoeducativi apportino benefici sostanziali ai pazienti e alle famiglie indipendentemente dal livello di emozione espressa; quest’ultima non sarebbe cioè un buon indice dell’impatto complessivo degli interventi psicoeducativi. La slide richiama gli interventi psicoeducativi che sono stati maggiormente utilizzati con queste finalità. Dixon e Lehman. Schizophr Bull. 1995; 21(4):631-43
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (3) Gli interventi psicoeducativi familiari: sono efficaci nel prevenire o, perlomeno, nel ritardare una ricaduta in pazienti affetti da schizofrenia con un contatto familiare significativo trattandosi di studi su gruppi di pazienti non selezionati, sono interventi realmente efficaci non vi sono sufficienti evidenze per stabilire l’eventuale superiorità di un intervento su un altro (una breve informazione da sola è inferiore all’integrazione di altri interventi aggiuntivi all’informazione) gruppi multifamiliari possono avere qualche vantaggio rispetto agli unifamiliari, soprattutto in pazienti con più sintomi positivi e con famiglie ad elevata EE Complessivamente, le evidenze disponibili per quanto riguarda gli interventi psicoeducativi sulla famiglia mostrano di diminuire la frequenza delle ricadute e sembra che possano influire positivamente sul funzionamento del paziente e sul suo benessere. Gli interventi con gruppi di familiari che coinvolgono anche i pazienti possono dimostrare risultati superiori rispetto alla conduzione di gruppi mirati solo al paziente. Sono necessari ulteriori studi per individuare le componenti cruciali di questo tipo di interventi sulla famiglia. Dixon e Lehman. Schizophr Bull. 1995; 21(4):631-43
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (4) Gli studi sulla riabilitazione lavorativa mostrano che la maggioranza dei pazienti con gravi disturbi mentali vorrebbe lavorare e ci sono forti motivi etici, clinici e sociali per aiutarli a raggiungere questo obiettivo Il training preformativo e il supporto al lavoro sono due diversi approcci per aiutare le persone con gravi disturbi mentali a trovare lavoro il principio chiave del training preformativo è che risulta necessario un periodo di preparazione prima di accedere al lavoro competitivo al contrario, il principio chiave del supporto al lavoro è che l’inserimento nel lavoro competitivo dovrebbe avvenire il prima possibile, seguito da sostegno e formazione nell’ambito lavorativo I tassi di disoccupazione sono particolarmente elevati tra i pazienti con grave malattia mentale, anche se la maggior parte di essi desidererebbe lavorare. Tradizionalmente, i servizi per favorire l’occupazione lavorativa prevedevano un periodo di formazione (training pre-formativo) prima di avviare un individuo a un contesto lavorativo competitivo. Più recentemente, i servizi hanno adottato anche la strategia di far iniziare immediatamente il lavoro e, contemporaneamente, fornire sostegno e formazione. In una rassegna di 18 studi controllati e randomizzati, è stato valutato quale di questi due approcci sia più efficace nel mantenere l’occupazione lavorativa dei pazienti. Crowther R, Marshall M, Bond G, Huxley P. Vocational rehabilitation for people with severe mental illness (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Crowther et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (5) Una rassegna sistematica ha rilevato che i pazienti che avevano ricevuto supporto al lavoro erano significativamente più in grado di rimanere inseriti in un lavoro competitivo rispetto a coloro che avevano ricevuto un training preformativo (a 12 mesi il 34% di occupati nel gruppo di supporto al lavoro rispetto al 12% nel gruppo di training preformativo) Il supporto al lavoro è più efficace del training preformativo nell’aiutare le persone con disturbi mentali gravi a ottenere occupazioni competitive. Non esiste una prova evidente che il training preformativo sia efficace Una rassegna di 18 studi controllati e randomizzati ha evidenziato che il numero di pazienti che mantenevano un lavoro competitivo (outcome primario degli studi) era significativamente maggiore, grazie alla strategia del supporto al lavoro rispetto alla scelta di adottare il training pre-formativo. In un caso, per esempio, è stato rilevato che, a 18 mesi, il 34% dei pazienti seguiti col supporto al lavoro manteneva l’impiego, a fronte del 12% del gruppo di training pre-formativo. Grazie al supporto al lavoro, gli individui guadagnavano di più e lavoravano per un numero superiore di ore settimanali. Non vi sono al contrario evidenze che il training pre-formativo sia realmente efficace nell’aumentare la percentuale di occupazione rispetto all’assenza di interventi. Crowther et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (6) La validità dei life skills programmes deve essere accertata con studi randomizzati, in quanto non esistono prove soddisfacenti di efficacia Robertson et al., 2005 La riabilitazione cognitiva non mostra ancora dati sicuramente soddisfacenti Hayes e McGrath, 2005 La tecnica di token economy nella schizofrenia era indirizzata soprattutto a migliorare i sintomi negativi (scarsa motivazione e attenzione, ritiro sociale). È da verificare se i risultati siano riproducibili e persistano dopo la fine del programma McMonagle e Sultana, 2005 La disabilità sociale può richiedere una varietà di terapie psicologiche, nursing e interventi occupazionali. I programmi di life skills, che affrontano le necessità associate a un funzionamento indipendente, fanno spesso parte dei programmi riabilitativi. I due soli studi controllati e randomizzati (N=38) che hanno, tuttavia, valutato l’efficacia dei life skills rispetto a una gestione standard del paziente, non hanno fornito risultati chiari sulla reale validità di questa strategia che dovrà essere ulteriormente indagata. Le tecniche di riabilitazione, che si prefiggono di recuperare il deficit cognitivo che persiste anche nelle fasi di remissione della schizofrenia, sono state valutate solo in 4 piccoli studi che hanno arruolato complessivamente poco più di 100 pazienti. Al momento, i dati disponibili non sono conclusivi e non forniscono evidenze né a favore né contro gli interventi di riabilitazione cognitiva. La tecnica “token economy” (tecnica a punti o a gettoni) è un approccio comportamentale in cui la modificazione ricercata viene raggiunta mediante ‘premi’ che vengono forniti al paziente in cambio di comportamenti (rinforzi), secondo un programma predefinito. Questo approccio, diffuso fino agli anni ’70, era stato poi riservato soprattutto ai pazienti istituzionalizzati in preparazione di un reinserimento nella comunità, con l’obiettivo di modificare soprattutto la sintomatologia negativa della schizofrenia. Anche per quanto riguarda questa tecnica, vi sono al momento evidenze molto limitate ottenute in studi controllati e tali dati portano a dire che, per quanto questo approccio possa essere efficace sui sintomi negativi, non sembra mostrare risultati riproducibili o clinicamente rilevanti, richiedendo comunque di essere ulteriormente studiata al fine di valutarne le potenzialità. Robertson L, Connaughton J, Nicol M. Life skills programmes for chronic mental illnesses (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd Hayes RL, McGrath JJ. Cognitive rehabilitation for people with schizophrenia and related conditions (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd McMonagle T, Sultana A. Token economy for schizophrenia (Cochrane Review) The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd.
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (7) Il trattamento in équipe territoriali non è inferiore alla terapia standard non gestita in équipe in nessun aspetto importante è superiore nel promuovere una maggiore accettazione del trattamento può essere superiore anche nella riduzione dei ricoveri ospedalieri e nella prevenzione del suicidio Il trattamento in comunità, con équipe territoriali, che ha trovato anche all’estero uno spazio sempre maggiore a seguito della generale chiusura degli Istituti di Ricovero per Malattie Mentali e della riduzione del numero di letti ospedalieri disponibili per questi malati, è stato confrontato rispetto a strategie tradizionali di gestione terapeutica. La valutazione degli studi disponibili sull’argomento ha portato a far emergere un possibile vantaggio del trattamento con équipe territoriali, in rapporto alla diminuzione dei decessi per suicidio accertati o sospetti (OR 0,32; IC 0,09-1,12). Un numero minore di pazienti sembra essere, inoltre, insoddisfatto delle cure ricevute (OR 0,34; IC 0,2-0,59) con minori abbandoni prematuri (OR 0,61; IC 0,45-0,83). Non è stata evidenziata una differenza chiara riguardante i ricoveri, l’outcome clinico complessivo e la durata delle degenze. La gestione in comunità con équipe territoriali non è, dunque, inferiore alle cure standard non d’équipe, mentre sembra essere superiore nel favorire l’accettazione del trattamento e potrebbe contribuire a ridurre i ricoveri e il rischio di suicidio. Tyrer P, Coid J, Simmonds S, Joseph P, Marriott S. Community mental health teams (CMHTs) for people with severe mental illnesses and disordered personality (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Tyrer et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (8) Il trattamento obbligatorio in comunità non risulta essere appropriato in termini di costi-efficacia, ma sembra proteggere i pazienti dal rischio di essere vittime di reati Sarebbe, tuttavia, poco accettabile per un qualsiasi altro gruppo di popolazione restringere le libertà di 85 persone per evitare un ricovero, o di 238 persone per evitare un reato È stato discusso se un trattamento di comunità obbligatorio possa ridurre l’uso dei servizi, migliorare l’outcome clinico e il funzionamento sociale dei pazienti psicotici. Ciò può avere una rilevanza notevole anche dal punto di vista normativo. Una rassegna statunitense degli studi randomizzati rilevanti (in totale N=416) ha messo in luce scarse evidenze di una reale efficacia di questo tipo di approccio in rapporto a parametri quali il ricorso ai servizi (ad esempio, nuovi ricoveri ospedalieri entro l’anno), la funzionalità sociale (ad esempio, valutando il rischio di un arresto entro l’anno), lo stato mentale e la qualità di vita (ad esempio, il rischio di vivere senza fissa dimora) o la soddisfazione nei confronti dei trattamenti. È stato segnalato, peraltro, che per ogni 85 pazienti gestiti con questa strategia verrebbe evitato un ricovero, per ogni 27 pazienti verrebbe evitato un caso di homelessness e per ogni 238 pazienti verrebbe evitato un arresto. Il trattamento obbligatorio in comunità non appare, dunque, come una tecnica sostanzialmente vantaggiosa rispetto alla gestione standard dei pazienti, né dotata di un favorevole rapporto di costo-efficacia, tenendo in considerazione quanto riportato nella slide. Kisely S, Campbell LA, Preston N. Compulsory community and involuntary outpatient treatment for people with severe mental disorders (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 1, 2006. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Kisely et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (9) I D.H. potrebbero essere utilizzati in alternativa ai ricoveri ordinari in almeno il 20% dei disturbi psichiatrici acuti Grazie a questo strumento i pazienti migliorano più rapidamente I DH sono, inoltre, sono meno costosi Per ovviare ai costi elevati dei ricoveri ospedalieri, è stato proposto come alternativa un più ampio ricorso ai D.H. psichiatrici per il paziente acuto. La validità di tale approccio è stata esaminata in base ai risultati di 9 studi (N=1.568) e ad altri dati su singoli casi riportati in altre pubblicazioni. Queste evidenze combinate indicano che oltre il 20% dei pazienti attualmente ricoverati potrebbe essere gestito in DH, con un risparmio sulla durata delle degenze e senza modificare il rischio successivo di nuovi ricoveri ospedalieri. Grazie ai DH sembra, inoltre, emergere un più rapido recupero dello stato mentale ma non della funzionalità sociale. I DH sarebbero, inoltre, associati a un risparmio economico e rappresentano, dunque, una valida alternativa per la gestione della fase acuta. Marshall M, Crowther R, Almaraz-Serrano A, Creed F, Sledge W, Kluiter H, Roberts C, Hill E, Wiersma D Day hospital versus admission for acute psychiatric disorders (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Marshall et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (10) I DH possono essere utilizzati per fornire cure più intense e/o specialistiche ai pazienti ambulatoriali resistenti al trattamento (day-treatment programmes) o ai pazienti lungoassistiti (day care centres) I day-treatment programmes risultano superiori ai trattamenti ambulatoriali ordinari in termini di miglioramento sintomatico, ma non in termini di esiti sociali o di costi I day-centres non dimostrano di avere esiti clinici e/o sociali migliori dei trattamenti ambulatoriali e sembrano più costosi Marshall et al., 2005 Gli appartamenti assistiti non dimostrano di essere efficaci in maniera certa Chilvers et al., 2005 Le alternative descritte nella slide hanno assunto un ruolo maggiore nella gestione del paziente psicotico in considerazione della significativa riduzione del numero di pazienti gravi che vengono gestiti in strutture di lungodegenza per periodi di tempo prolungati. L’orientamento a una gestione di comunità del paziente nel suo ambiente richiede, tuttavia, un’organizzazione dei servizi impegnativa e dispendiosa in termini di risorse. Per questo appare di fondamentale importanza chiarire quale tipo di contesto e di organizzazione di cura sia effettivamente più vantaggioso per l’outcome del paziente. Nella slide si rileva che le strategie descritte non hanno dimostrato ad oggi vantaggi sostanziali rispetto alla gestione standard in studi controllati adeguati. Ad esempio, deve essere stabilito se il fatto di creare un ambiente sicuro e protetto con il supporto di personale professionale di assistenza sia vantaggioso rispetto al pericolo di un aumento della dipendenza dai sanitari con un prolungamento dell’esclusione dalla comunità. Al momento non sono disponibili dati sufficienti per effettuare delle valutazioni di rischi-benefici affidabili su problematiche come questa descritta. Chilvers R, Macdonald GM, Hayes AA. Supported housing for people with severe mental disorders (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd.
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (11) Il trattamento comunitario assertivo (ACT) fu sviluppato nei primi anni ‘70 a seguito della chiusura degli OP. L’ACT è un approccio basato sull’équipe finalizzato a mantenere i malati mentali in contatto con i servizi, riducendo i ricoveri ospedalieri e migliorando gli esiti tra cui, soprattutto, il funzionamento sociale e la qualità di vita L’ACT è un approccio terapeutico efficace per gestire il trattamento dei pazienti mentali gravi nella comunità. L’ACT, se rivolto correttamente agli utilizzatori delle cure ospedaliere, può ridurre sostanzialmente i costi ospedalieri, migliorando l’esito e la soddisfazione dei pazienti Politici, clinici e pazienti dovrebbero sostenere l’ACT L’Assertive community treatment (ACT - trattamento assertivo condotto sul territorio) è un tipo di presa in carico del paziente psichiatrico grave, attuata al domicilio del paziente. È stato sviluppato negli anni ’70, a seguito della chiusura degli ospedali psichiatrici. L’ACT riduce i ricoveri ospedalieri e il tempo trascorso in ospedale di circa il 50%. È stato rilevato che il case management, la gestione di uno specifico caso, può essere d’aiuto ai servizi sanitari e sociali nel mantenere i contatti con i vari soggetti e può essere particolarmente utile nelle funzioni amministrative, ma è l’ACT ad essere realmente efficace per mantenere fuori dagli ospedali i malati mentali gravi. Due metanalisi (metodo Cochrane) hanno dimostrato i vantaggi dell’ACT. Altri studi hanno confrontato le strategie sostanzialmente differenti di ACT adottate negli Stati Uniti e in Europa (Gran Bretagna). Una rassegna della letteratura ha portato a osservare che negli USA il trattamento domiciliare con servizi sperimentali determina, in effetti, una maggiore riduzione della necessità di ricovero rispetto a quanto accade in Europa, ma, al di là di tali differenze, il relatore sottolinea la sostanziale uniformità del modo di procedere. È di fondamentale importanza che l’équipe sia multidisciplinare, che lo psichiatra operi a tempo pieno nell’équipe, che la presa in carico sia non solo sanitaria, ma anche sociale, che la visita domiciliare sia regolare. Marshall M, Lockwood A Assertive community treatment for people with severe mental disorders (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Marshall e Lockwood, 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (12) Il case-management favorisce il mantenimento del contatto tra i pazienti mentali e i servizi (per ogni 15 persone che ricevono il case-management, una in più rimane in contatto con il servizio). Tuttavia, non è dimostrato che esso apporti un miglioramento negli esiti clinici, nel funzionamento sociale o nella qualità della vita, mentre aumenta probabilmente il numero e la durata dei ricoveri e i costi. Il case-management è stato introdotto diffusamente negli anni ’70 come strumento per la cura del malato psichiatrico grave nella comunità. Una recente Cochrane Review ha evidenziato che, complessivamente, il case-management aumenta il numero di pazienti che si mantengono in contatto con i servizi (una persona in più mantiene il contatto per ogni 15 pazienti in cui viene adottato questo approccio), anche se non risulta in grado di migliorare in modo significativo alcuna variabile psichiatrica o sociale, mentre determina probabilmente un aumento dei ricoveri ospedalieri e un aumento dei costi di cura. Per questo esso non sembra rappresentare una strategia cardine effettivamente vantaggiosa per la gestione del paziente schizofrenico. Marshall M, Gray A, Lockwood A, Green R. Case management for people with severe mental disorders (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Marshall et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (13) La gestione della crisi nella comunità può probabilmente evitare ricoveri ripetuti, riduce il numero di persone che abbandonano precocemente il trattamento e il carico per i familiari, e sembra un tipo di cura più soddisfacente sia per i pazienti che per i congiunti Molti dati menzionano specificamente che il carico per l’équipe può essere considerevole La gestione delle fasi psicotiche acute costituisce un problema particolarmente impegnativo per il trattamento nella comunità. Alla ricerca di una soluzione di cura appropriata per tali situazioni, si è cercato di elaborare dei modelli di intervanto per le fasi di crisi. E’ stata condotta una revisione dei risultati ottenuti a seguito dell’adozione di tali modelli rispetto alle ‘cure standard’, valutando sistematicamente la letteratura pubblicata fino al 2003. Sulla base degli studi disponibili è risultato che gli interventi domiciliari per la cura della crisi non sono riusciti ad evitare il ricovero nel 45% dei casi, con un NNT di 11 (un ricovero evitato ogni 11 pazienti seguiti), ma gli interventi adottati risultano al momento eterogenei e ciò rappresenta un limite dell’analisi. L’intervento domiciliare ha dimostrato di ridurre i drop out dagli studi, sembra alleviare il carico per i familiari e offre una maggiore soddisfazione sia ai pazienti che ai loro congiunti. L’analisi non è riuscita, tuttavia, a dimostrare una differenza di mortalità o nell’outcome clinico. L’assistenza domiciliare durante le crisi è risultata, peraltro, vantaggiosa in termini di costi/efficacia. Si tratta di un tipo di approccio che dovrà essere ulteriormente valutato ai fini di una sua maggiore diffusione, ma che richiede evidentemente un notevole impegno di risorse da parte dell’équipe sanitaria che dovrebbe essere conseguentemente ‘rafforzata’ in misura sostanziale. Joy CB, Adams CE, Rice K. Crisis intervention for people with severe mental illnesses (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd Joy et al., 2005
Valutazione degli interventi psicosociali e psicoterapici (14) Un promemoria per rispettare l’appuntamento immediatamente prima dello stesso (24 ore) sembra uno strumento efficace (più di una telefonata) ed economico per stabilire una buona compliance al primo appuntamento con il servizio Reda e Makhoul, 2005 Una politica sanitaria orientata a ricoveri brevi non incoraggia un pattern di ricovero del tipo ‘revolving door' Johnstone e Zolese , 2005 Il ricovero in reparti di medicina (valutato nei Caraibi), piuttosto che in reparti psichiatrici, appare legato a scelte economiche a non dà dimostrazioni di efficacia; è utile studiare il problema in maniera più approfondita Hickling et al., 2005 La slide riporta i risultati di tre valutazioni sistematiche condotte col metodo Cochrane. Dalla prima è emerso il beneficio di un semplice intervento di richiamo del paziente per favorire la compliance e la costanza nel presentarsi agli appuntamenti mantenendo il contatto con i servizi. La seconda riguarda la durata delle degenze ospedaliere per le fasi acute di psicosi, che si è ridotta in modo sostanziale negli ultimi 30 anni. Alcuni hanno sostenuto che questa strategia può essere causa del fenomeno di ‘revolving door’ e di un peggioramento dell’outcome clinico complessivo, malgrado l’apparente risparmio di costi, mentre altri Autori sostengono da tempo che degenze prolungate possono esporre i pazienti al rischio di istituzionalizzazione. La rassegna che ha incluso 5 studi randomizzati è risultata a favore di un accorciamento delle degenze secondo quanto riportato nella slide. Infine, sono stati esaminati gli effetti del ricovero in reparti di medicina valutando quanto accade in nazioni a basso reddito, come i Paesi caraibici, in cui non vi sono risorse sufficienti per organizzare un numero consistente di letti in reparti di psichiatria per i malati psichiatrici in fase acuta. Questa strategia non si dimostra essere vantaggiosa. Reda S, Makhoul S. Prompts to encourage appointment attendance for people with serious mental illness (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Johnstone P, Zolese G. Length of hospitalisation for people with severe mental illness (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd. Hickling FW, Abel W, Garner P. Open general medical wards versus specialist psychiatric units for acute psychoses (Cochrane Review). The Cochrane Library, Issue 2, 2005. Chichester, UK: John Wiley & Sons, Ltd.
Trattamenti psicosociali di provata efficacia nella terapia della schizofrenia Psicoeducazione Trattamento individuale a breve Compliance therapy Trattamento individuale a lungo termine PT CBT SST Riabilitazione occupazionale Strategie compensatorie (Cognitive adaptation treatment) Questa slide riassume, infine, l’insieme degli interventi psicosociali che hanno dimostrato di essere un efficace supporto alle terapie farmacologiche antipsicotiche per migliorare l’outcome clinico dei pazienti schizofrenici.
Gestione della schizofrenia durante le fasi stabili: è stato stabilito consensus tra le linee guida? Linee guida CPA, Expert consensus guidelines, Raccomandazioni PORT, Linee guida APA, Linee guida TMAP, Linee guida francesi ANDEM Si riconosce che le terapie farmacologiche sono fondamentali Si è verificato uno shift verso gli antipsicotici atipici come prima scelta Non è ancora definita in modo soddisfacente la definizione di fase di stabilità Non è ancora stabilito come vadano trattati i pazienti resistenti a clozapina È riconosciuta l’importanza degli interventi psicosociali La slide si riferisce ai risultati di uno studio che ha valutato in modo sistematico il consensus tra le attuali linee guida per la gestione delle fasi stabili di schizofrenia. A seguito dell’identificazione sei Linee Guida per la gestione pratica dei pazienti, è stato rilevato come esse sottolineino concordemente l’importanza del trattamento antipsicotico come cardine della gestione terapeutica dei malati, cui affiancare gli interventi psicosociali. Vi è una una certa variabilità nei trattamenti raccomandati, nella gestione degli effetti collaterali e nel tipo di interventi psicosociali indicati. Inoltre, si rileva una definizione non sempre chiara di “fase stabile di malattia” e di problematiche peculiari come la gestione dei pazienti non responder a farmaci atipici o a clozapina in particolare. Complessivamente, appare utile un’integrazione tra le diverse linee guida per avere a disposizione la totalità delle informazioni utili per mettere in atto una strategia di cura ottimale. Bahnji NH, Templer R. Managing schizophrenia during the stable phase: is there consensus among practice guidelines? Can J Psychiatry. 2002; 47(1):76-80. Bahnji e Templer, Can J Psychiatry. 2002; 47(1):76-80
Conclusioni Dall’introduzione degli antipsicotici atipici la quota di pazienti resistenti alle terapie si è ridotta di circa il 30% Il problema clinico e terapeutico della sintomatologia negativa non è ancora risolto I trattamenti non farmacologici, allo stato attuale delle conoscenze, sono aggiuntivi e non hanno dimostrato in maniera univoca una specificità di efficacia La terapia antipsicotica ha compiuto notevoli progressi grazie all’introduzione dei farmaci atipici, restano tuttavia notevoli bisogni irrisolti, sia nel controllo delle ricadute che della sintomatologia clinica, prefissandosi come obiettivo la remissione di malattia. Le terapie non farmacologiche sono da considerare come un complemento all’intervento farmacologico che può tuttavia apportare, perlomeno con alcune tecniche, vantaggi aggiuntivi rilevanti.
Caratterizzazioni dei singoli pazienti e personalizzazione di ogni cura
"Qualunque paziente, per quanto intrattabile possa apparire la sua condizione, mantiene la capacità di sorprendere un terapeuta che non si perda d'animo“ Wing Brown