RIVOLUZIONE PARTENOPEA IN MOLISE

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RIVOLUZIONE PARTENOPEA IN MOLISE Breve riassunto della Rivoluzione Partenopea Il Molise e l’ondata rivoluzionaria TERMOLI CASACALENDA Cause e conseguenze della Rivoluzione Partenopea

BREVE RIASSUNTO DELLA RIVOLUZIONE PARTENOPEA Entrare nella storia molisana a cavallo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento significa viaggiare nel Regno di Napoli e Sicilia di cui il contado del Molise faceva parte, quindi seguire gli eventi spasmodici che si accavallarono in quegli anni in Italia, ricchi di contrasti e colpi di scena. Era il 1798 e Napoleone aveva ripreso la Campagna d’Italia. Sconfitti gli Austriaci, proseguiva la sua spedizione con la conquista di Roma e poi di Napoli, cacciando via i Borboni. I territori conquistati furono organizzati in “repubbliche sorelle” e le nuove bandiere tricolori, ispirate a quelle della rivoluzione francese, divennero il simbolo di un mondo più libero e più aperto. Protagonisti di questi eventi furono i giacobini, organizzatori del nuovo sistema politico, dietro cui sembrava marciare la rivoluzione con tutte le sue conseguenze. MENU

“Or che innalzato è l’albero si abbassi ognor la spada. Per le strade di ogni centro inneggiavano alla libertà e, convinti assertori delle nuove idee politiche, innalzarono imbolicamente “l’albero della libertà” cantando: “Or che innalzato è l’albero si abbassi ognor la spada. Nell’italica contrada Regni sovrana la libertà.” Si trattava di un albero di quercia o pioppo che si piantava con tutte le radici nella piazza principale, per denotare il potere popolare e talora era sormontato dalla bandiera. Sotto l’albero della libertà si celebravano i momenti più importanti della comunità. Con la restaurazione borbonica, gli Alberi della Libertà furono divelti e bruciati dal furore della reazione restauratrice. Oggi, In Italia, di quegli alberi non ne rimane traccia. MENU

La Repubblica Napoletana anche detta Repubblica Partenopea fu una repubblica creata a Napoli nel 1799 e sopravvissuta alcuni mesi sull'onda della prima campagna d'Italia delle truppe della Francia repubblicana a valle della Rivoluzione francese. Dopo la morte per ghigliottina dei reali di Francia, la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino e iniziano le prime repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di "simpatie" giacobine. Il 12 Gennaio il generale francese Championnet si impadronì di Napoli. Alla notizia il popolo napoletano e di parte delle province insorge violentemente in funzione antifrancese: è la rivolta dei cosiddetti "lazzari" che oppone una fortissima ed eroica resistenza all'avanzata francese. Nel frattempo nella città scendono però in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunge alla guerra civile. Jean Étienne Championnet MENU

Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana. Il cardinale Fabrizio Ruffo, al servizio di Ferdinando IV di Borbone, intravide la possibilità di saldare il popolo all’aristocrazia in una comune lotta contro la borghesia, la classe emergente, che era l’ispiratrice degli ideali rivoluzionari e l’instauratrice della Repubblica. Egli aveva organizzato l’armata della Santa Fede e i sanfedisti furono popolani, contadini, frati, disertori, ufficiali senza paga e perfino banditi. Essi credettero di condurre una grande crociata contro i miscredenti rivoluzionari che avevano sequestrato le terre alla Chiesa e, soprattutto, si lasciarono abbindolare dalle promesse di una distribuzione delle terre che in realtà non avvenne mai. Un gruppo di illuministi, sostenitori della Repubblica, tra i quali il duca e ammiraglio Francesco Caracciolo, Luisa San- felice, Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, Vincenzo Russo, tentarono una disperata resistenza, ma il popolo napoletano non li seguì e i rivoluzionari furono arrestati e mandati a morte. Fabrizio Ruffo MENU

IL MOLISE E L’ONDATA RIVOLUZIONARIA La rivoluzione napoletana del 1799, che Benedetto Croce ha considerato “una tra le più rilevanti della storia d’Italia”, e che fu preparata da quel movimento ricco di spinte evolutive che fu l’illuminismo napoletano, ebbe una maggiore risonanza nelle aree più vive del Sud. Il Monitore, giornale ufficiale della Repubblica Napoletana diretto da Eleonora Pimentel, nel n. 4 del 24 piovoso (12 febbraio) pubblica: “Tumulti anche più miserevoli sono nei confini del contado del Molise. Le cinque comunità albanesi che sono in detto contado, tutte in armi, scorrono le città e le campagne commettendo devastazioni e macelli”. Pur se è da sospettare che nel divulgare tali notizie sia calcata la mano, secondo il proprio schieramento politico, sta di fatto che non mancano notizie concrete. Tra i tanti episodi ricordiamo soprattutto due: Quello di Termoli, dove circa 300 albanesi, specie di Portocannone e Campomarino, cui si erano uniti gli slavi di San Giacomo degli Schiavoni,il 2 febbraio assediarono Termoli che,chiuse le porte,si difese dal castello e dalle mura usando anche i cannoni. Quello di Casacalenda, dove circa un migliaio, per la maggior parte di Larino, Campomarino, Portocannone, Ururi e altri saccheggiarono e fucilarono diverse persone. Per concludere le vicende del 1799, è d’obbligo ricordare che le bande armate degli albanesi, presentate come formate da “ladroni e malviventi”, erano invece bande fedeli alla monarchia e lo dimostrano alcune circostanze: Uno dei comandanti era il Duca Lucio Scipione Di Sangro di Casacalenda, il quale non era certamente un malvivente, ma uomo legato al regime monarchico e non a quello rivoluzionario; Un altro capo era il Tenente Campofreda, anch’egli fedele monarchico, e tale anche dopo la caduta di Napoleone. MENU

L’ECCIDIO DI TERMOLI Anche Termoli, preceduta soltanto da Lanciano e seguita da San Severo, Lucera, e Monte Sant’Angelo, aveva abbracciato l’ordine nuovo repubblicano, innalzando in piazza, alla moda francese, l’albero della libertà. Il 2 Febbraio, trecento albanesi di Campomarino, Portocannone, S.Giacomo degli Schiavoni, comandati da Giuseppe Pronio, da Giovanni Migliaccio e da Nicola Norante, al servizio del Cardinale Ruffo, arcivescovo di Napoli e Vicario generale del regno, spronati dal duca di Casacalenda arrivano a Termoli, ma trovano l’ accesso impedito dalle mura e dal castello difeso coi cannoni. Purtroppo l’ intervento di Bartolomeo De Gregorio, come riferisce il Cannarsa, “ venuto da poco su in ricchezze per furti, rapine ed assassini e quindi pauroso di mutamenti ….” convinse “la folla ignorante a non chiudere le porte alla gente dei paesi vicini e difensori del Trono e dell’Altare”…mentre “Basso Maria e Federico Brigida, il dott. Francesco Saverio di Claudio ed altri pregavano il popolo a non dare ascolto a false proteste di amicizia e mettevano a disposizione, più che a ladri di fuori, le loro ricchezze alla gente bisognosa del paese pur di non farsi ingannare”. MENU

Il 3 febbraio 1799 le porte vengono aperte a quella marmaglia assetata di sangue e di conquista, che si precipita nella cittadella. “I cittadini, presi alla sprovvista, non sanno difendersi.. assaliti, urtati, sbaragliati sparpagliati sono inseguiti, calpestati fin nelle loro case a scopo di vendetta e bottino. Le campane suonavano a stormo non per chiamar a raccolta ma per panico che aveva preso chi non sapeva a qual partito appigliarsi in quel frangente. Quella gente raccogliticcia, armati di coltelli, spiedi, urtano le porte, le squassano, le rompono, entrano e si impossessano di quanto trovano..” Intanto i Fratelli Brigida ed altri si sono rifugiati in una stanzetta buia attigua alla Sacrestia della Cattedrale, nascosta dietro un grosso armadio. “Se lo scaccino Pasquale Marchese non li avesse indicati a quelle belve umane” avrebbero avuto salva la vita. MENU

L’ armadio viene rimosso ed i giovani sono catturati e trascinati, legati e seminudi, tra umiliazioni, offese e percosse, fuori dall’ abitato, in località detta Molino a vento. Insieme ad essi, sono presi il Dr Francesco Saverio di Carlo e suo fratello Domenicantonio, Annibale Bassani, Giuseppe Puca, padre dell’ ucciso Giovanni, Giambattista Massaro, Giovanni Lione, Giacomo de Sanctis di Guglionesi ed un soldato di Pescara. Vengono uccisi quasi tutti.; Francesco Colonna riuscì a fuggire ma verrà catturato il giorno dopo a San Giacomo ed ucciso. Tornando agli avvenimenti del 1799, è da menzionare il nobile gesto compiuto dalla madre dei Brigida, Maria Concetta Quici che, nonostante il dolore provato per la barbara uccisione dei figli, ebbe il coraggio e la forza d’animo di fermare l’ azione della truppa francese, capeggiato dal dott. Vincenzo Rossi di Bonefro, marito della figlia. MENU

IL MOTO SANFEDISTA A CASACALENDA Per quanto riguarda la realtà di Casacalenda, essa fu eretta ad “Università” (Comune) all’epoca della dominazione Normanna contemporaneamente all’istituzione delle “Contee” ed “Università” di Molise, Bojano, Isernia ed altre ancora. L’Università era retta da un Governatore o Mastrogiurato. In questo periodo anche Casacalenda vide ergere “il suo albero della libertà”. Ma così come altrove, in questa università il malcontento popolare si fece sempre più pesante, le tasse aumentarono e spesso il paese fu vittima di saccheggi, distruzioni, incendi. Domenico De Gennaro, amato da tutta la popolazione di Casacalenda già dal 1780 sostenne fortemente le ragioni del Comune contro il Duca del luogo, Lucio Scipione di Sangro. “Ebbe compagni nella lodevole impresa l’avvocato Prosdocimo Rotondo di Gambatesa ed il dottor Domenico Tata anche di Casacalenda”. Più volte Domenico Di Gennaro, quale mastrogiurato, rivendicò i diritti di Casacalenda davanti ai magistrati sulle terre usurpate dal Duca, che fu sempre soccombente. Con la proclamazione della Repubblica Napoletana, il duca di Sangro approfittò della reazione sanfedista e fece “un’attività di propaganda contro Casacalenda e contro De Gennaro, dipingendolo come liberale, patriota, e repubblicano ardente” e in maniera calunniosa, “ come nemico della religione”. Lucio Scipione Di Sangro MENU

Dopo che nel dicembre 1798 l’esercito francese entrò nel Regno di Napoli, il vicario del vescovo nominò Padre Giuseppe da Macchia, l’autore del “Breve racconto del tragico fatto avvenuto in Casacalenda a dì 19-20-21 Febbraio 1799” predicatore quaresimale. Il 19 febbraio circa 1000 tra Albanesi e Larinesi si schierarono sul monte del casino di Vincelli alle cinque del pomeriggio e cominciarono ad assalire il casale del monte con fucili e cannoni. Decisero, però, di non uscire dal posto di blocco essendo stati informati dalle spie che gli abitanti dell’Università di Casacalenda avevano organizzato la resistenza. Il mattino seguente ripresero gli scontri a fuoco che non causarono feriti tra i Casacalendesi. Questi ultimi, invece, fecero fuoco sul campanile della Chiesa, sul palazzo ducale e sulle torri e inflissero alcune perdite tra la parte avversa. I nemici, spaventati per la morte di alcuni compagni e vedendosi ormai perdenti, chiesero la pace, e cioè che Padre Giuseppe andasse in processione con i capi del popolo. Il frate si rifiutò perché ipotizzava un massacro generale e poco dopo, infatti, si venne a sapere che sul colle era pronto un cannone caricato a mitraglia. MENU

Vedendo che i nemici non rispettarono le richieste di pace, spedirono corrieri per chiedere aiuto alle popolazioni confinanti che portarono soccorso con il pretesto di combattere per la fede. Le truppe dei paesi limitrofi circondarono Casacalenda e iniziarono a colpire le case. Poiché si giunse a circa 12mila uomini schierati, i soldati iniziarono ad abbandonare i posti per cercare di salvarsi. De Gennaro in un primo momento si avviò per fuggire con gli altri; dopo preso dal rimorso decise che voleva morire con il suo popolo. Ritornato si battè per la pace; l’albero della libertà da più giorni era stato spiantato. Vietò ai soldati di fare fuoco, così alcuni si diedero alla fuga. Nonostante avesse tentato l’armistizio per 24 ore, i nemici non vollero accordarlo e chiesero 2000 ducati per la spesa dell’esercito, tutte le armi e l’arresto di tutti i galantuomini. Il comandante di tutto l’esercito era Michelangelo Flocco con cui si cercò di trovare un accordo per non sottostare alle pretese. L’esercito di Casacalenda accettò la consegna delle armi e lo sborso di 2000 ducati, ma si oppose all’arresto di De Gennaro e di tutti i galantuomini. MENU

I nemici non accettarono e chiesero l’arresto del mastrogiurato, altrimenti avrebbero proseguito l’incendio del paese. Padre Giuseppe venne scelto come mediatore per trattare la pace: evitò il pagamento di 2000 ducati e l’arresto dei galantuomini, mentre ottenne che De Gennaro sebbene arrestato non venisse ucciso. Nella notte del 20 fino a mezzogiorno del 21 il paese fu saccheggiato barbaramente. Oltre a depredare casali e a estirpare viti e siepi, malmenarono le donne per spogliarle dei gioielli, per devastarle con fucilate, percosse, ferite e stupri. Invasero inoltre anche le chiese privandole di oggetti sacri. Finito il saccheggio venne fatto portare in processione il SS. Sacramento sul monte e là uccisero 11 innocenti cittadini. Dopo il massacro degli innocenti e la liberazione degli altri arrestati, i nemici partirono portando con loro a Campomarino De Gennaro e il sacerdote Simonelli. Il 27 febbraio il mastrogiurato venne barbaramente ucciso e testimone dell’omicidio fu lo stesso Simonelli che venne rimandato a Casacalenda. Alle ore 24 pressarono Padre Giuseppe per la consegna delle armi e così fece. Ricominciarono a saccheggiare l’Università e non risparmiarono dalla depredazione anche i sacerdoti: la stessa abitazione di padre Giuseppe subì un saccheggio da parte di 6 albanesi. MENU

Dal registro Parrocchiale di Casalenda alla data 21 febbraio 1799 leggiamo: Sul Monte detto Calvario, e propriamente presso la casa di Nicola Marzitelli furono trovati fucilati i seguenti cittadini: 1. Michelangelo Giuseppe Ciolla. 2. Michelangelo Sancolla 3. Vito Polisena 4. Carlo Caruso 5. Francesco Caruso 6. Domenico di Lazzaro 7. Francesco di Tommaso 8. Domenico Mastrocola 9. Vincenzo Mastrocola 10. Francesco Serpe, detto il calabrese 11. Pietro di Nicola Venditto 12. Prosdocimo Rotondo 13. Giovanni Varanese MENU

CAUSE E CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE PARTENOPEA L’ondata di questa rivoluzione tendeva ad abolire alcuni principi come : l'apogeo della borghesia, con un potere economico crescente, che svolgeva un ruolo fondamentale nell'economia dell'epoca; il risentimento contro l'assolutismo reale; la piena maturazione degli ideali dell'illuminismo, tra i quali la libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il rifiuto di una società divisa, la separazione dei poteri dello Stato; un debito nazionale ingestibile, causato ed esacerbato dal peso di un sistema di tassazione grossolanamente iniquo, considerato che le classi privilegiate (nobiltà e clero) non erano obbligate a pagare. Questo rese più acute le tensioni sociali e politiche e contribuì a produrre una grave crisi economica, che fu ulteriormente aggravata dai costi che la Francia sostenne per il proprio intervento a favore dell'indipendenza americana. MENU

CONSEGUENZE Sebbene l’ondata repubblicana avesse interessato parte dei luminari del Molise, essa non ebbe risvolti a causa della mancata adesione popolare (non esisteva di fatto un nutrito ceto borghese al quale le riforme rivoluzionarie potessero giovare); i repubblicani inoltre erano spesso personalità di grande rilievo e cultura, eccessivamente “dottrinari” e lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo. Il Novantanove molisano si concluse con la fuga dei repubblicani e l’ultimo scontro con le bande sanfediste sul Matese, dove molti giacobini perirono. Giuseppe Sanchez, Amodio Ricciardi, Gabriele Pepe e Vincenzo Cuoco, presero la via di un esilio che fu tuttavia di breve durata. Infatti già pochi anni dopo, in un Molise messo in ginocchio da terremoti, alluvioni e carestie, molti degli ex giacobini molisani, tra cui Vincenzo Cuoco e Biase Zurlo, si fecero interpreti del moderatismo della monarchia borbonica; passarono così dalla lotta antiborbonica al filomonarchismo. Gli interessi economici di una nuova borghesia del denaro e delle professioni predominarono sugli ideali politici affermati . MENU