Delegazione Albaro -vecchia Genova

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Transcript della presentazione:

Delegazione Albaro -vecchia Genova

1)Con una vecchia carrozza a quattro cavalli, proveniente da Sestri Levante, giunse ad Albaro, verso la fine di settembre del 1822 lord Byron, un’anima in pena. Si soffermò presso la chiesa di S. Francesco ed essendogli piaciuta la località, interruppe il suo viaggio, prese in affitto «Casa Saluzzo», mentre la vedova di Shelley, il poeta scomparso in mare a Lerici, e suo grande amico, (che lo accompagnava) prese una stanza nella vicina «Casa Negrotto». Verso la fine del giugno 1823, Byron decise di partire, dopo un piacevolissimo soggiorno nella villa di Albaro. Pianse prima di partire soggiogato da quelle incantevoli località. Sulle pareti esterne del palazzo, ancora oggi, si può leggere su una lapide: «Riposando la vita fortunosa — qui dimorò e scrisse — Giorgio Gordon Lord Byron — finché l’intenso grido — della greca libertà risorta — nol traeva magnanimo — a lacrimato fine — in Missolungi — 1822/23».

2)il toponimo Albaro deriva forse dalla parola dialettale «arbò», da alba, albore, albeggiamento. L’antico confine segnato dalla strada romana, delimitava «il cosiddetto Prato di san Martino, metteva al mare nella località della attuale Foce del torrente che, pare, anticipatamente scaricasse le sue acque più a levante» così dice un antico documento. Le tre vecchie strade che solcavano il territorio erano quelle di San Martino, San Nazaro e Albaro, le vere arterie dell’ex Comune; poi le sue romantiche «crose», le crose di Albaro, cantate dai poeti Corazzini, Bellotti, Carlone, Malinverni, Firpo, chiamate «strade della solitudine», percorse da scrittori e poeti famosi come Byron, Jean d’Anton, Charles Dickens, Alfredo De Musset, Federico Nietzsche e qualcuno ha scritto, mirabilmente, che su di esse aleggeranno sempre questi «Cavalieri del silenzio». In Albaro fu celebrata la prima messa cristiana nell’anno 80, dal primo vescovo inviato da Roma nel genovesato

3)le parrocchie che furono smembrate da quella di San Francesco d’Albaro furono: quella di S. Pietro alla Foce nel 1797, S. Zita nel 1875, S. Antonio a Boccadasse nel 1894, N.S. del Rimedio nel 1936, San Pietro e S. Teresina nel 1941 ed infine quella di N.S. del Rosario nel 1969. Vicino alla chiesa di S. Francesco, verso i primi anni del Settecento, esisteva un piccolo teatro che, nel 1750, trasformato in luogo sacro fu consegnato alla Confraternita detta del Gonfalone. Nel 1797 fu distrutto dai rivoluzionari e nel 1810 ne fu inaugurato un altro presso la parrocchia di San Francesco. Il teatro era stato collocato in un edificio «uso villeggiatura del marchese pallavicini. Nel 1891 detto palazzo fu venduto e ristrutturato; il teatro scomparve. Il 15 giugno 1817 a Palazzo Carrega, invitati ad una festa parteciparono re Vittorio Emanuele I di Savoia, la regina Maria Teresa, principi e principesse, che si trovavano in villeggiatura a palazzo Canepa.

4)Nella zona di Albaro, a mare, si deve ricordare anche la «Badia di San Giuliano» una delle ultime che erano rimaste ai monaci dell’ordine dei Benedettini, il17 giugno 1282 fu rogato l’atto di vendita; prima vi dimorarono i Francescani. San Giuliano dipendeva, nel secolo XIII, da San Fruttuoso di Capodimonte; il suo giardino era coltivato con alberi da frutta, vigneti ed ortaggi. V’erano anche «piante selvatiche per difendersi da venti marini». La Repubblica Democratica soppresse il monastero nel 1798; fu comprato da un privato e ridotto ad una fabbrica di biacca. Nel 1842 Luigi Rolla lo cedette ai Certosini, i quali un anno dopo lo abbandonarono per andare «a rinsanguare» la Certosa di Pavia. Passò alla congregazione Cassinese, su donazione del re Carlo Alberto. Nel 1884 vi ritornarono i Benedettini. Un tempo vi si potevano ammirare tele di Luca Cambiaso. Agostino Adorno, nel secolo scorso, l’adornò di pregevoli margiatura» del marchese Palmi. Il portale proveniva dalla distrutta chiesa che sorgeva sul colle di San Benigno a Capo Faro (Lanterna) e dalla chiesa di San Teodoro, il coro di noce massiccia. La costruzione di corso Italia lo privò dell’incomparabile sfondo primitivo sul mare. Poi stabilimenti balneari fecero il resto.. . Oggi giace, purtroppo, in completo abbandono.

5)Nel 1873 Genova pretese l’incorporazione del comune di S 5)Nel 1873 Genova pretese l’incorporazione del comune di S. Francesco d’Albaro e così avvenne. Analoga richiesta era già stata formulata al regio governo nel 1864. Ancora nel secolo scorso dalla Foce a Boccadasse c’era una strada di campagna «u strazetto» e vi confluivano tutte le «crose» d’Albaro. Le splendide colline d’Albaro erano «posti da signori» e da quegli orti, intensamente coltivati, i contadini della zona portavano i loro ortaggi, la frutta, le primizie, sul mercato del Bisagno, da ciò deriva la parola «besagnin». Nel 1600 c’erano solamente 2000 abitanti, in Albaro, distribuiti in qualche centinaio di casette. Prigioniero di Napoleone, diretto in Francia, papa Pio VII il 5 maggio 1815, sostò a palazzo Carrega, assieme al re Vittorio Emanuele I . Nel 1902 fece la prima comparsa per le strade di Albaro il tramway elettrico. Al mare troviamo la gemma di Boccadasse, abitata, da sempre,dai pescatori, gli «uomini di Bocca d’Asino». Burloni dell’epoca, gente che organizzava balletti, danze, banchetti, feste, giochi all’aperto,fondarono nel 1592 la cosiddetta «Compagnia di 5. Luca d’Albaro».

6) Un proclama di quel tempo avverte: «Gio Francesco re d’Albaro, Arciduca di Parisione e di 5. Elena, Duca di Vernasola, di Boccadaze e di Santa Chiara, Marchese di Pescara e della Torre dell’Amore, Conte di Seretto e di San Giuliano, Barone di Sturla e del lago dei Rizzi, Signore di Cavo del Moro e del Fossato, della Nunziata ecc.»Quando viveva a Genova, nel palazzo reale di via Balbi, il principe Oddone, fratello del Re, appassionato cultore delle scienze naturali, molto spesso si vedeva tra gli scogli di Boccadasse, coi piedi a bagno.. . a raccogliere mitili, granchi ed altri animaletti, che poi faceva portare a palazzo, ove disponeva di un eccellente acquario. Parlare di Albaro, della sua gente, delle sue ville, delle sue meraviglie, ben altre pagine accorerebbero. Qui solo l’essenziale, purtroppo, e ciò che più è legato alla sua storia. Uno spettacolo consueto era certamente fornito dalla zona cosiddetta dell’abbeveratoio, collocato all’inizio dell’allora via Saluzzo, poco lontano da piazza Tommaseo; i cavalli , i muli, gli asini prima di iniziare la stretta strada che conduceva in Albaro, sostavano all’inizio «da muntà di rissi» e tranquillamente placavano la sete...

7)Quante erano le VILLE che sorgevano sulla collina di Albaro e nelle vicinanze nel secolo scorso, ancora piene di vita, abitate e famose? — villa De Ferrari già dei Lasagna — villa Montebruno — villa Rossi — villa Raggio — villa Balduino — villa Parodi — villa Sertorio — villa Rosasco — villa Fuckel — villa Scemi — castello Turcke, in stile quattrocentesco — villa Cambiaso — villa Bombrini — villa Carrega — villa Adorno

8) Dal volume di Edoardo Firpo «Tutta Zena ciù un caroggio» ediz 8) Dal volume di Edoardo Firpo «Tutta Zena ciù un caroggio» ediz. IL MELANGELO. ARBÀ-Arbà di tempi andeti.! mepiaxe ricordate pin d’orti e giardinetti, quande pe a strada antiga passava e diligenze e poi i tranvaietti. Tutta campagna a l’èa, quaexi sempre fiorìa finn-a là da a cittae. Strana malinconia questa andà a cercà ùnna tranquillitte ch’a no n’è mai existia!