La liberazione: arte, morale, ascesi.

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Transcript della presentazione:

La liberazione: arte, morale, ascesi. Arthur Schopenhauer La liberazione: arte, morale, ascesi.

La liberazione Per l’uomo che ha compreso che la realtà e lui stesso sono volontà e che, perciò, tutto è destinato a soffrire, esiste tuttavia la possibilità di una liberazione dal dolore e dalla noia.

Rifiuto del suicidio La soluzione alla tragedia dell’esistenza non è nel suicidio, perché esso: non nega la volontà, ma è affermazione di volontà (il suicida “vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate”); sopprime solo l’individuo, ma non la volontà che continua ad esistere e a perpetuarsi.

Le tappe della liberazione La vera soluzione consiste nel liberarsi della volontà, nella cessazione del volere, il che è possibile attraverso un cammino che comprende tre tappe: L’arte, contemplazione disinteressata delle idee; La morale, riassunta nelle virtù della giustizia e della carità; L’ascesi, in cui si spegne la volontà e si giunge all’esperienza del nulla.

1. L’arte Il primo momento di questa liberazione è l’esperienza estetica che si dà nell’arte: in essa, infatti, l’individuo si stacca dai desideri e dai bisogni, non guarda più alle cose per la loro utilità (ossia: in rapporto alla sua volontà), ma diventa “puro occhio del mondo”; chi contempla non è più consapevole di sé, non avverte né volontà né il dolore.

Le idee Nell’arte si contemplano le idee: Schopenhauer riprende Platone, ammettendo l’esistenza di forme determinate e immutabili, modelli delle cose mutevoli, che costituiscono la prima oggettivazione della volontà. Nell’arte le realtà particolari rimandano ad essenze universali e immutabili (nella rappresentazione di questo amore/dolore noi contempliamo l’amore/il dolore in sé).

Gerarchia delle arti Le varie forme d’arte sono poste in una sorta di gerarchia, in relazione ai gradi di manifestazione della volontà: l’architettura esprime l’idea delle forze naturali e delle materia inorganica; scultura, pittura e poesia hanno per oggetto le idee del mondo vegetale, animale ed umano; la musica è la forma più alta, in quanto è essa stessa oggettivazione della volontà.

2. La morale Nella contemplazione estetica si ottiene un momentaneo conforto alla vita; la vera liberazione dalla volontà inizia con la morale che non è un più un estraniarsi dalla realtà ma è un impegno nel mondo a favore del prossimo, un tentativo di superare l’egoismo e di porre fine alla lotta tra gli individui che è una delle maggiori fonti di dolore.

Giustizia Il primo passo nella morale è la giustizia: cioè il riconoscere gli altri uguali a se stessi; ciò diminuisce l’egoismo della volontà individuale, ma non l’elimina: gli altri sono ancora, distinti e contrapposti rispetto a me; inoltre la giustizia ha un carattere negativo, è un non fare il male, non un agire per gli altri positivamente.

Agape L’ ulteriore passo è la bontà, o carità, (agape), ossia l’amore disinteressato verso gli altri che vivono la nostra stessa tragica condizione. In essa si supera la volontà individuale: la carità porta infatti alla compassione, sentire l’altrui dolore come nostro.

3. L’ascesi Anche il compatire, però, è un patire, in quanto rimane all’interno della vita, presuppone un attaccamento ad essa. Per superare il dolore occorre liberarsi non solo dall’egoismo ma anche dalla volontà di vivere mediante l’ascesi: in essa l’orrore per un mondo pieno di dolore agisce come “quietivo” portando alla estinzione della volontà.

Tecniche ascetiche L’ascesi si realizza attraverso: la castità, che libera dall’impulso della generazione, una delle principali forme attraverso cui la volontà si manifesta; la rinuncia a i piaceri; l’umiltà; il digiuno; la povertà; il sacrificio; l’automacerazione... Si tratta delle forme tipiche dell’ascetismo religioso,viste come strumenti per annullare la volontà.

Noluntas Per questa via si giunge alla liberazione: la volontà diviene “noluntas”: è lo stato di grazia, l’estasi dei mistici, il momento dell’unione con Dio; che nel misticismo ateo di Schopenhauer è piuttosto qualcosa di simile al nirvana del buddismo: l’esperienza del nulla che è però “un tutto” rispetto all’insensatezza di questo mondo di dolore.

Se non c’è più volontà, non c’è più rappresentazione, non più universo. Non resta, dunque, che il nulla. Ma, non ce ne dimentichiamo: ciò che si ribella contro un simile annientamento, cioè la nostra natura, non è che il voler vivere che siamo noi, e che è il nostro universo. L’orrore nostro del nulla non è che una diversa espressione per indicare che vogliamo la vita, che siamo volontà di vivere, che non vogliamo saper nient’altro. Ma distogliamo l’occhio, per un momento, dalle nostre miserie. […] E allora vedremo, in luogo del tumulto di aspirazioni senza fine, del passaggio incessante dal desiderio al timore, dalla gioia all’affanno; in luogo della speranza sempre insoddisfatta e sempre rinascente […]; allora vedremo la pace più preziosa di tutti i tesori della ragione, l’oceano di quiete […]. Lo riconosciamo francamente: per coloro che sono ancora animati dal volere, ciò che resta dopo la totale soppressione della volontà è il vero ed assoluto nulla. Ma viceversa, per coloro in cui la volontà si è convertita e soppressa, questo mondo così reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, questo, propriamente questo, è il nulla. Il mondo come volontà e come rappresentazione

Il filosofo non è l’asceta Schopenhauer non fu un campione del suo ascetismo: « Che il santo sia un filosofo, è tanto poco necessario, quanto è poco necessario che il filosofo sia santo: come necessario non è che un uomo bellissimo sia un grande scultore o che un grande scultore sia pure un bell’uomo. Sarebbe d'altronde singolare pretendere da un moralista che non debba raccomandare se non le virtù da lui stesso possedute. Rispecchiare astrattamente, universalmente, limpidamente in concetti, l’intera essenza del mondo e, cosi, quale immagine riflessa deporla nei permanenti e sempre disposti concetti della ragione: questo e non altro è filosofia. »