IL CARISMA DELLA PROFEZIA “Aspirate pure ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia… Chi profetizza parla agli uomini per la loro edificazione, esortazione e conforto” (1Cor 14,1b.3) Cfr: SE VUOI DIVENTA TUTTO DI FUOCO di Luigi Montesi
Il termine profeta deriva dal latino prophèta (profèta), ricalcato sul greco προφήτης (profétes), che è parola composta dal prefisso προ- (pro, "davanti, prima", ma anche "per", "al posto di") e dal verbo φημί (femì, "parlare, dire"); letteralmente quindi significa "colui che parla davanti" o "colui che parla per, al posto di“.
Il Profeta parla agli uomini “per conto di Dio”
“Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto”. (Mt 24,24-25)
Il Profeta è un adoratore del Signore; con Lui ha una profonda relazione personale. È in continuo ascolto di Dio nella propria vita.
I PICCHETTI - NESSUNA PROFEZIA PUÒ ESSERE IN CONTRASTO CON LA RIVELAZIONE E LA DOTTRINA DELLA CHIESA - DISCERNERE CIÒ CHE È DA DIO DA CIÒ CHE NON LO È - PER CHI È SIGNORE QUESTA PAROLA? - TEMPO E MODO DI LEGGERE LA PAROLA PROFETICA
NESSUNA PROFEZIA PUÒ ESSERE IN CONTRASTO CON LA RIVELAZIONE E LA DOTTRINA DELLA CHIESA “Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione (o interpretazione), poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi dallo Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio”. (2Pt 1,20-21) NON CONTA COSA SENTO IO MA COSA SENTE LA CHIESA… Siamo chiamati a fare chiarezza, ad essere saldi e fermi nel rispettare prima e difendere poi tali principi, ricordandosi che solo nella Chiesa c’è certezza di verità.
DISCERNERE CIÒ CHE È DA DIO DA CIÒ CHE NON LO È Tutta la Bibbia è parola di Dio, ma non è detto che, nel contesto di una situazione o di una preghiera comunitaria, ogni parola, anche se letta dalla Bibbia, sia veramente profetica, ovvero inviata da Dio che, in quel momento e in quel contesto, usa qualcuno (il profeta) per parlare al Suo popolo.
GIOBBE
FARISEI
“Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede»”. (Mt 4,5-6)
Nella preghiera comunitaria ci possono essere delle parole lette che, pur rimanendo “parola di Dio”, non sono da considerarsi “profetiche”: ovvero non sono ciò che il Signore in quel momento, in quella situazione e in quel contesto vuole dire. L’animatore, o meglio, gli animatori, in tal senso, sono dunque chiamati a discernere di volta in volta per capire ciò che è da Dio da ciò che non lo è.
Per chi è signore questa parola? All’interno della preghiera comunitaria, una parola di Dio può essere rivolta a tutta l’assemblea oppure solo ad alcuni o, addirittura, ad una sola persona. Ma la cosa sulla quale più di tutto dobbiamo vigilare, è capire se la parola di Dio è per gli altri oppure per me. Troppe volte, infatti, si ascoltano profezie che sono l’esatta situazione di chi le proclama.
BISOGNA CONSIDERARE LA COMPONENTE UMANA Abbiamo mai provato a pensare a quanti siano gli stati d’animo dei componenti l’assemblea durante una preghiera comunitaria? Proviamo ad elencarne qualcuno: esitazioni, paure, irrequietezze, superficialità, indifferenza, sensi di colpa, presunzioni, sensi di indegnità, protagonismi, spregiudicatezze, prudenze eccessive, immaturità, gelosie, invidie, tensioni, preoccupazioni. Tutti questi stati d’animo (e l’elenco è sicuramente incompleto) sono normalmente presenti in una assemblea di preghiera!
Se, infatti, ognuno di noi non filtra la parola di Dio alla luce del proprio stato d’animo è facile comprendere che ascolteremo forse molte o poche parole proclamate, ma sicuramente nessuna profezia. PREPARAZIONE A MONTE Poniamoci dunque prima di proclamare una profezia la domanda: “Signore! A chi è rivolta questa parola? È per me o per l’assemblea?”
Tempo e modo di leggere la parola profetica Non avere fretta nel proclamare la parola può aiutarci a meditarla meglio, a riflettere. Spesso si può ricevere una parola che non è per il momento immediato ma per tempi successivi. A volte inoltre il Signore ci può chiedere di non leggere la parola perché il senso è già stato annunciato da un’altra profezia, e allora può essere sufficiente un “confermo”.
Non è buona cosa leggere delle parole di Dio una dietro l’altra; questo non solo distoglie e disorienta chi ascolta, ma non dà nemmeno il tempo di meditare sufficientemente ciò che il Signore vuole dirci. È sempre bene, infine, fare una buona pausa di silenzio dopo aver letto o ascoltato una profezia per dar modo di meditare a tutta l’assemblea.
LUNGHEZZA DEI BRANI LETTI Non bisogna mai proclamare brani troppo lunghi; a volte può bastare anche una sola frase, un solo versetto o addirittura un breve periodo (come ad esempio: «Oggi ti ho generato») e persino una sola parola. L’esperienza insegna che quasi sempre la lettura profetica è breve e solo gli errori e le insicurezze di chi la proclama tendono a farla diventare lunga.
I carismi sono dati al corpo e per il corpo, non sarà mai una sola persona che discernerà, bensì un corpo di fratelli; secondo la parola: “le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti” (1Cor 14,32).
Non accada mai come quella volta in cui, nel mio gruppo, mentre pregavamo con i fratelli del Pastorale per chiedere al Signore di indicarci una soluzione per ‘arginare’ la vivacità dei nostri bambini, capitò tra le mani il brano del vangelo sulla ‘strage degli innocenti’… ORESTE PESARE