La comunicazione Appunti

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La comunicazione Appunti _______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Comunicare efficacemente significa migliorare le relazioni e rafforzare la propria leadership 14 aprile 2015

L’interesse per la comunicazione è cresciuto a dismisura negli ultimi 30 anni: la necessità di ottenere consensi, di dar peso alle proprie idee, di mettere in comune le conoscenze e condividerle è diventata sempre più un BISOGNO La relazione interpersonale è parte dell’esistenza di ogni persona, in quanto l’essere umano è un essere sociale.

La comunicazione è un’espressione sociale, un mettere un valore al servizio di qualcuno Per comunicare non basta scrivere, disegnare e pronunciare delle parole La comunicazione avviene quando l’espressione è compresa e diventa patrimonio comune per la costruzione di una discussione, di un sapere, di una cultura.

Siamo nati immersi nella comunicazione, pertanto per comunicare non basta accontentarsi di aver trasmesso ciò che volevamo dire, tante volte lo abbiamo fatto eppure il nostro destinatario non ha capito o ha travisato le nostre parole.

Ma in realtà non c'è cosa più complicata della buona comunicazione Apparentemente niente è più semplice del comunicare. Noi tutti comunichiamo. Basta un cenno per capire se è sì o è no. Ma in realtà non c'è cosa più complicata della buona comunicazione

Qual è la differenza tra parlare e comunicare? PARLARE -> dire qualcosa a voce per mezzo di parole COMUNICARE -> dal latino: [communicare], mettere in comune, derivato di [commune], propriamente, che compie il suo dovere con gli altri, composto di [cum] insieme e [munis] ufficio, incarico, dovere, funzione.

La comunicazione ha una qualità relazionale che l’informazione non ha!

Lo scopo principale della comunicazione è proprio l’abilità del mettere in comune, del partecipare e far partecipare. Se veramente vogliamo essere efficaci quando comunichiamo con gli altri dobbiamo mettere il destinatario in condizione di comprendere ciò che noi abbiamo trasmesso.

La capacità di comprendere e di farci comprendere è una capacità complessa frutto di esperienza e competenza In ambito lavorativo la COMUNICAZIONE è una vera competenza professionale Per agire insieme è necessario comunicare, cioè trasferire il proprio patrimonio di conoscenze, pensieri, aspettative, sentimenti e progetti da un ambito ristretto e personale ad un ambito più ampio e condiviso con gli altri

“Il processo di comunicazione è essenziale per far partecipare il personale e coinvolgerlo nel raggiungimento degli obiettivi fissati per dare attuazione alla politica aziendale di prevenzione e tutela” Linee giuda per un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro

La comunicazione è un “processo attraverso il quale i partecipanti creano e condividono informazioni”. (Rogers, 1983) Comunicare significa appunto questo: CONDIVIDERE, METTERE IN COMUNE QUALCOSA ,la radice del termine risale a termini greci chiaramente legati al concetto di Comunità

Non si può comunicare allo stesso modo con tutti è quindi indispensabile cercare sempre nuove tecniche per riuscire a comunicare al meglio con gli altri. Riuscire a comunicare non significa solo saper usare le tecniche giuste ma saper adottare una forma mentis idonea, cioè un atteggiamento mentale entusiasta e positiva che ci rende delle persone gradevoli non solo agli occhi degli altri ma anche a noi stessi.

Come esseri umani siamo portati a creare un’immagine di noi stessi , un’auto-immagine che generalmente manteniamo ogni qualvolta ci confrontiamo con gli altri. L’immagine ideata di noi stessi e degli altri a sua volta influenza il nostro atteggiamento mentale e spesso cerchiamo di agire e/o reagire in base a questa: ci comportiamo infatti in modo diverso a seconda di come percepiamo noi stessi e gli altri.

Esempio: se crediamo che il nostro collega sia superiore a noi, lo trattiamo in un certo modo, se invece crediamo che sia inferiore lo trattiamo in un altro modo. Il punto è che valutiamo queste cose in base al nostro punto di vista, che non necessariamente rispecchia la realtà.

L’ATTEGGIAMENTO MENTALE DETERMINA IL MODO IN CUI VEDIAMO LE COSE

ESERCITAZIONE

Una navicella con 7 posti sta per partire per un altro pianeta. Intorno alla navicella ci sono 11 persone che aspirano a partire. Vi ritrovate nella posizione di dover scegliere le 7 che partiranno e costituiranno il primo nucleo di una nuova civiltà. Di loro sappiamo pochissimo, o quasi niente, e tuttavia su queste basi dovete scegliere chi deve partire e anche rapidamente

Le informazioni a disposizione sono le seguenti: 1 militante nero 2 poliziotto con fucile 3 atleta 4 architetto 5 cuoca 6 falegname cieco 7 dottoressa 8 prostituta 9 ragazza di 16 anni incinta 10 musicista di strada 11 sacerdote Fra 20 minuti la navicella deve partire!

Quando la navicella con i passeggeri da noi prescelti sta già viaggiando verso il nuovo mondo, ci arriva un secondo documento, con informazioni più dettagliate su ognuno dei partecipanti. Leggiamole il militante nero è un pacifista, esperto di non violenza e di gestione creativa dei conflitti. Il poliziotto con fucile è giovane e atletico leader dei Boy scouts, uno che userebbe il fucile unicamente per procurare il cibo con la caccia. L’atleta è una donna di 70 anni che ha vinto le Olimpiadi della terza età; L’architetto mangia solo rape rosse, pianta che non sembra svilupparsi nel nuovo pianete.

La cuoca ha lavorato unicamente nel carcere di Sing Sing e ha imparato solo quel tipo di pietanze. La prostituta è un’ottima cuoca, giovane, allegra e gode di ottima salute. La ragazza di 16 anni ha l’aids Il musicista di strada è uno studente che suona la chitarra. Il falegname cieco è un famoso maestro delle costruzioni in legno e sarebbe in grado di insegnare queste abilità a chiunque. La dottoressa è una laureata in legge, dirigente della Pubblica Amministrazione Il sacerdote è capo di una setta fondamentalista musulmana. Verificate chi avete deciso di far partire! (Sia individualmente che in gruppo).

pensare per stereotipi: incasellando gli altri (e noi stessi) in categorie preconcette, evitiamo di pensare alla gente in termini di individui distinti. Ciò porta a relazioni innaturali, e ci conferisce un immeritato senso di superiorità o inferiorità, privandoci inoltre della possibilità di conoscere e comprendere i lati migliori di coloro che sono oggetto dei nostri pregiudizi.

siamo tutti esseri umani con personalità uniche, ciascuno con i suoi pregi e difetti

Noi esseri umani costruiamo il nostro mondo comunicando: mettiamo in atto dei comportamenti che creano atmosfere di qualità o meno.

Qualsiasi interazione umana è ipso facto una forma di comunicazione. Di conseguenza, quale che sia l'atteggiamento assunto da un qualsivoglia individuo, questo diventa immediatamente portatore di significato, informazioni e messaggi per gli altri e per sé stessi. In qualsiasi contesto è assolutamente impossibile sottrarsi al flusso comunicativo. Anche senza volerlo esprimiamo sempre e comunque qualcosa su di noi, sulla situazione che stiamo vivendo o sulla comunicazione nella quale siamo immersi.

non si può non comunicare Ogni comportamento è comunicazione: non si può non comunicare Anche il silenzio è comunicazione: può esprimere riflessione, assenso, dissenso, ostilità…

Il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste qualcosa che sia un NON COMPORTAMENTO. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, rispondono a questi messaggi COMUNICANDO

Ciò implica che noi comunichiamo anche se non pensiamo di farlo Pensiamo per esempio ad un passeggero in treno o in aereo che siede con gli occhi chiusi o che guarda fuori dal finestrino: sta comunicando il suo desiderio di essere lasciato in pace e di non voler partecipare ad alcuna conversazione. Ciò implica che noi comunichiamo anche se non pensiamo di farlo La comunicazione avviene anche se non è intenzionale o conscia e il mittente connoterà i messaggi sulla base del contesto, delle sue esperienze, ecc.

CONTESTO DELLA COMUNICAZIONE

Comunic-azione Processo messo in moto da un’azione relazionale che ci consente di trasmettere e di condividere con altre persone sia le informazioni sui diversi aspetti della realtà sociale (elementi oggettivi) sia gli stati d’animo e le emozioni (elementi soggettivi).

TANTO PER COMINCIARE…. Quando parliamo di qualcosa, siamo sicuri che intendiamo tutti lo stesso “qualcosa”????

OGNUNO PERCEPISCE IL MONDO IN CUI VIVE IN UN MODO UNICO E SOGGETTIVO: NON COME UNA REALTA’ OGGETTIVA Chi sa veramente CHE COSA un altro PENSA? E…COME pensa Ciascuno pensa di conoscere la “realtà” che però differisce da persona a persona

Ognuno di noi ha la sua Mappa della realtà Ognuno di noi ha un modo di pensare, parlare e fare le cose completamente unico. E questo corrisponde ad un modo di vedere la realtà completamente differente da persona a persona, come se avessimo una "mappa", che ci permette di orientarci all'interno della complessità del mondo. Ognuno di noi ha la sua Mappa della realtà

Questo è anche uno dei motivi principali per cui spesso le persone talvolta fraintendono ciò che l'altro dice, oppure noi stessi parliamo dando per scontato che l'altro capisca . Per es. una singola parola come "amicizia" o "amore" può acquisisce significati e sfumature completamente diversi da persona a persona.

Vuoi andare a vedere un particolare film, diversi amici l’hanno già visto e chiedi un parere sul film, alcuni ti dicono che è un film da non vedere perché brutto e rischi di buttare solamente soldi, altri, invece, ti fanno venir voglia di correre al cinema perché te ne parlano in modo superlativo. Eppure stiamo parlando dello stesso film!

Chiaramente il giudizio che uno ha è estremamente soggettivo, proprio perché le emozioni che un film può trasmette sono una rielaborazione attraverso i filtri sensoriali che il cervello usa per analizzare le informazioni.

Quindi anche la nostra mappa personale, che usiamo per interagire con il mondo, non è la realtà stessa, ma solamente una rappresentazione filtrata e soggettiva della realtà!

Ognuno di noi ha una rappresentazione interna e mentale delle informazioni che i nostri sensi raccolgono dal mondo esterno I nostri sensi ricevono un numero elevatissimo di stimoli, per poterli gestire e trasformare in ESPERIENZA dobbiamo filtrarli eliminando quelli inutili almeno dal punto di vista della sopravvivenza, cosi da ottenere modelli del mondo

Il processo di costruzione della mappa inizia con le informazioni che raccogli attraverso i famosi “cinque sensi”: tatto, udito, vista, olfatto e gusto. Nella Programmazione Neuro-Linguistica i cinque sensi sono raggruppati in tre canali percettivi, denominati VAK, ossia:   V CANALE VISIVO (vista); A CANALE AUDITIVO (udito); K CANALE CINESTESICO (gusto, tatto, olfatto ed esperienze emozionali).

Attraverso i canali percettivi tutti noi “filtriamo” le informazioni che ci arrivano dall’esterno e costruiamo la nostra MAPPA DEL MONDO. In ognuno di noi prevalgono uno o due specifici filtri rappresentazionali rispetto agli altri. Secondo le nostre tendenze soggettive (tutte le esperienze dirette ed indirette che si fanno nel corso della vita), usiamo prevalentemente un canale, sia per organizzare i dati d’elaborazione interna delle percezioni sia nel comunicare con gli altri.

Un secondo canale è meno forte mentre il terzo, è spesso destinato (erroneamente) a sparire. Non è facile capire quale canale percettivo utilizza maggiormente il Tuo interlocutore, anche se con un po’ di pratica, capacità d’ascolto e buona volontà, puoi farcela ed utilizzare il suo stesso“linguaggio” rappresentazionale.

Supponi che tu sia una persona “visiva” : Il visivo è una persona che usa soprattutto il senso della vista per percepire il mondo e basa le sue decisioni sulle immagini che riceve. Supponi che tu sia una persona “visiva” : al ristorante, rivolgendoti al cameriere dirai: “Ha un menù cui posso dare un’occhiata?” Oppure potrai dire ad un amico: "Hai visto cosa è capitato a Marco?"

 L’auditivo è una persona che usa soprattutto il senso dell’udito per percepire il mondo e che dipende dalle parole per le informazioni che decidono il suo comportamento. Se io fossi un potenziale “auditivo” : al mio arrivo in stazione, pur avendo il cartello delle partenze a pochi metri da me, mi rivolgerei al personale ferroviario e gli domanderei: “Scusi, a che ora parte il primo treno per Milano?”. Rivolgendomi ad un amico direi: "Ascolta: ho saputo una cosa capitata a Marco, tu già la sai?"

Il cinestesico sensoriale è una persona che procede attraverso le sue esperienze usando l’intuizione. Usa il “sesto senso” nel prendere decisioni vitali. Percepisce il mondo attraverso ciò che sente a livello “pelle”. In questo canale percettivo puoi integrare il senso dell’olfatto, del tatto e del gusto. Un cinestesico vive sostanzialmente d’emozioni : al ristorante, nella scelta di un piatto, dirà al cameriere: “Il solo nome mi fa venire l’acquolina in bocca…vada per le linguine tartufate”. Se dovesse parlare con un amico potrebbe dire: "Sento di doverti confessare una cosa: ho un brutto presentimento riguardo ciò che è capitato a Marco. Tu che impressioni hai?"

Secondo la PNL tutto è soggettivo, proprio perché ognuno di noi ha un suo personalissimo modo di interpretare le sfumature e le elaborazioni che il cervello fa quando riceve i dati attraverso i tre canali.   La scelta delle parole della persona che hai davanti è una fonte importante, che può fornirti indicazioni molto precise. Basta imparare ad ascoltare con attenzione. Spesso può capitare di vedere 2 persone discutere sempre, anche per motivi futili e banali, il motivo potrebbe essere solamente l'uso di diversi canali e non il contenuto del discorso.

smetti di giudicare qualcuno per le sue azioni Nel momento in cui accetti che la mappa del tuo mondo è la tua esclusiva elaborazione della realtà, avviene una cosa bellissima: smetti di giudicare qualcuno per le sue azioni perchè comprendi che giudicando non tiene conto delle diverse esperienze passate, convinzioni limitanti, credenze e sistema rappresentazionale dominante.

Le mappe che formiamo internamente e utilizziamo rappresentano la nostra individualità fatta di scelte, esperienze, interessi differenziandoci da quelle di ogni altro essere umano

L’essere umano utilizza costantemente delle mappe per muoversi nella realtà In ogni momento, nel processo del pensiero, l’uomo trova risposta alla domanda “cosa significa e cosa farò” e nel farlo il suo giudizio e la sua decisione sono determinate e determinano le sue mappe. “quando una persona affronta un problema, il problema non è nella realtà stessa, ma nella mappa della persona. C’è quindi sempre una soluzione. La mappa deve arricchirsi di quelle scelte che permetteranno alla persona di trovare la soluzione”.

Quando una mappa è impoverita, perchè mancano particolari importanti, può essere dannosa, e non utile al suo scopo. Se, ad esempio, nella mappa mentale di una persona manca la comprensione che a volte anche le altre persone soffrono, penserà che “sono dei gran antipatici, perché non mi hanno salutato con un sorriso”. 

Per comunicare al meglio con i tuoi interlocutori è fondamentale entrare nella mappa dell’altra persona e capire cosa ci sia nel mondo dell’altro. Solo così puoi avere un atteggiamento mentale di elasticità e apertura per comprendere il tuo interlocutore ed avere la miglior comunicazione possibile con esso.

Ma provate a pensare ai rapporti interpersonali: un gesto casuale ci può spingere a classificare questo soggetto in una categoria da cui poi facciamo fatica a spostarlo, anzi da quel momento in poi cerchiamo di confermare la nostra visione. Perché? Perché la nostra mappa non è abbastanza elastica da accettare nuovi e contrastanti dati di realtà Spesso più che a conoscere le nostre mappe rigide ci portano a riconoscere e catalogare in categorie preesistenti e RASSICURANTI il mondo che percepiamo

NON ESISTONO MAPPE GIUSTE O SBAGLIATE, VERE O FALSE, MA SOLO MAPPE FUNZIONALI O DISFUNZIONALI RISPETTO A CERTI OBIETTIVI, UTILI O INUTILI PER CERTI INDIVIDUI IN CERTI LUOGHI E TEMPI

Non si può dire che esista una comunicazione giusta, efficace, se non in relazione ad un obiettivo. “Il significato della tua comunicazione è dato dalla risposta che ottieni”.   Il processo comunicativo è infatti legato ai risultati che se ne vogliono ricavare, ossia agli obiettivi

Il significato del nostro messaggio non può essere trovato in ciò che pensiamo di esprimere ma solo nel modo in cui il nostro interlocutore ci risponde perché è in quel momento che ci rivela come la sua mappa ha elaborato il nostro messaggio, indipendentemente dalle nostre intenzioni

È il feedback che ci permette di calibrare quello che stiamo dicendo per migliorare la comunicazione, è grazie ad esso che la comunicazione diventa un processo attivo.

..il significato di qualsiasi comunicazione non sta in ciò che noi pensiamo che significhi: sta nella reazione che provoca. Se cercate di fare un complimento a qualcuno e lui si sente offeso, il significato della vostra comunicazione è un insulto… Bandler e Grindler

Per parlare con una persona è importante si conoscere la sua mappa ma lo è altrettanto l’ascolto attivo e l'empatia

Quando si comunica con un’altra persona ci sono due vie principali attraverso le quali cercare di comprendere quanto ci sta raccontando.

Il focus è sul cosa l’altro sta raccontando. La prima forma è la comprensione intellettuale, tipica di chi vuole comprendere i fatti. Chi ascolta è quindi concentrato sui fatti accaduti e su come si siano avvicendati. Il focus è sul cosa l’altro sta raccontando. La seconda è la comprensione empatica che invece è centrata sul come il nostro interlocutore stia raccontando. Il focus è quindi sulle sfumature emotive che colorano la narrazione è che forniscono informazioni sullo stato d’animo del narratore

Spesso ci si sente compresi solo quando chi ci ascolta comprende quello che stiamo vivendo e non come si sia svolta la vicenda

I tre elementi chiave della comunicazione empatica La comunicazione empatica che porta a questo tipo di comprensione si basa su tre elementi principali: 1. trasparenza: evitare di mascherare le proprie reazioni emotive. Si può non essere d’accordo con qualcuno e glielo si può dire, ma mentire blocca la comunicazione; 2. autocontrollo: non confondere le proprie reazioni con quelle dell’altro, né far prevalere i propri bisogni. Non sempre si è a caccia di consigli; 3. accettazione incondizionata: evitare di giudicare il comportamento dell’altro, ma focalizzarsi su cosa sente.

Che fare allora per favorire la comunicazione empatica? Se lo scopo è quello di comprendere l’altro innanzitutto bisogna partire dal presupposto che non è detto che si riesca a comprendere tutto e subito. È utile chiedere chiarimenti, ad esempio parafrasando quanto è stato raccontato. Questo dà modo all’interlocutore di verificare la nostra comprensione.

L’EMPATIA comincia dall'ascolto e dall'osservazione. L'atto comunicativo è uno scambio, un continuo palleggio. Ma per creare un clima empatico dobbiamo prima mostrarci disponibili ad accedere al suo mondo, con le sue stesse modalità. Solo così è possibile incidere nella relazione. 

Innanzitutto Cerchiamo di identificare i sistemi rappresentazionali dell'individuo, ossia le modalità sensoriali che questi usa per dare un significato tutto suo alle esperienze vissute. Poi osserveremo i suoi toni, il suo non verbale, quindi la postura, la gestualità, i movimenti degli occhi.

Il linguaggio del corpo Portamento/atteggiamento Aspetto esteriore Portamento/atteggiamento Mimica facciale Gestualità Voce (volume e tono) Distanza e gestione dello spazio

In ogni caso occorre fare molta attenzione perché non tutto quello che viene comunicato arriva al ricevente. Anzi, di solito: SI VUOL DIRE 100 SI DICE 70 L’ALTRO ASCOLTA 40 CAPISCE 20 SI E’ INTERESSATO AL 15 ACCETTA 10 CREDE 5 RICORDA 2 Appunti _______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 25

Comunicazione non verbale La comunicazione non verbale È contestuale (avviene sempre in un preciso contesto) È comunicativa (non si può non comunicare) È caratterizzata da più comportamenti e gesti È più credibile

Il RICALCO è uno strumento sempre affidabile per rendere la nostra comunicazione più efficace: RICALCARE significa entrare in rapporto con il destinatario usando il suo stesso modello del mondo, quindi riproducendo, in modo naturale e non artificioso, sia la sua postura (corpo respiro) che il suo tono (emotività) e il suo linguaggio (mente, pensiero). 

Per essere efficace una comunicazione dev'essere chiara, ovvero non ambigua, e responsabile, ovvero consapevole e rispettosa dell'altro, delle sue esigenze.

Saper leggere l'altro significa anche sapere cosa non dire in quello scambio comunicativo, cosa evitare, e soprattutto quali comportamenti o stili comunicativi sono inappropriati per il contesto e/o il destinatario in questione

È fondamentale conoscere strumenti e strategie per comunicare bene, ma lo è altrettanto conoscere i modi che bloccano la comunicazione. All'interno di un atto comunicativo, sia semplice che complesso, possono entrare elementi verbali e non verbali che interferiscono con la comunicazione, dando luogo ai cosiddetti blocchi comunicativi.   

Esempi di atteggiamenti non verbali inibitori possono essere l'utilizzo di una postura chiusa e rigida, guardare l'interlocutore con uno sguardo troppo fisso, dare segni di impazienza, distrarsi mentre l'altro parla o mostrarsi incongruenti tra piano verbale e non verbale.  Provate ad immaginare il fastidio di una persona che dice di ascoltarvi ma tamburella con le mani mentre fissa l'orologio!

Comportamenti come dare ordini, fare la morale, giudicare, approvare senza motivo, ridicolizzare o minimizzare possono sovente inibire l'altro e la sua libertà di decisione, bloccando la comunicazione e inducendo l'interlocutore alla "fuga".  Si tratta comunque di indicazioni di massima, poichè ciascuno ha le proprie modalità più consone e familiari. Un cinestesico, ad esempio, può infastidire un visivo se vi si rivolge con le proprie modalità cinestesiche. 

Vediamo altre caratteristiche di questi blocchi: • atteggiamento indagatore più attento ai particolari di ciò che è accaduto; • imposizione di soluzioni in base alla propria esperienza. Chi offre facili soluzioni ai problemi altrui spesso poi si offende se non viene ascoltato; • frasi consolatorie generiche che non tengono conto della specificità della situazione; • espressione di giudizi personali su cosa sia accaduto.

ascoltare è un TALENTO” “Parlare è un BISOGNO, ascoltare è un TALENTO” Johann Wolfgang Goethe 28

Per fare in modo che l’altro si apra e ci dia l’opportunità di comprenderlo è necessario dare dimostrazione di  saper ascoltare  Ascoltare non significa stare fermi e non interrompere, è un comportamento proattivo attraverso cui dimostrare di essere in grado di comprendere l’altro.

Ascoltare vuol dire prestare attenzione non solo alle parole ma anche alle emozioni che l’interlocutore trasmette al di là delle stesse parole. Del resto, le parole sono uno strumento creato dagli uomini per esprimere il proprio mondo interiore, ma la parola ha valore soltanto nel momento in cui assume un significato autentico in chi la ascolta.

“Abbiamo due orecchie e una sola bocca proprio perché dovremmo ascoltare il doppio e parlare la metà”.

Esiste una grande differenza fra sentire ed ascoltare Esiste una grande differenza fra sentire ed ascoltare. Sentire è solo l’atto del percepire le parole, mediato dall’udito, mentre ascoltare ha un significato più vasto, oltre a percepire le parole, le dobbiamo interpretare, comprendere in modo da fornire una risposta consona alla discussione.

Capita a tutti di disapprovare qualcosa o qualcuno Ricordiamoci di immettere nel discorso frasi che rafforzino l’autostima del destinatario, cioè feedback costruttivi

Feedback puntato sull’identità ESEMPIO: Luigi è un lavoratore che ultimamente è disattento nel suo lavoro, questa sua mancanza genera delle non conformità che si ripercuotono negativamente sui colleghi. “sei il solito incapace, se continui così dovrò prendere seri provvedimenti nei tuoi confronti” Feedback puntato sull’identità

“Luigi ritengo che hai sempre svolto al meglio il tuo lavoro, ma ultimamente abbiamo ricevuto delle non conformità relative ad una scarsa attenzione. A mio parere sei una persona d’esperienza, non dovrebbe essere un problema per te risolvere questa situazione…”

Un feedback proficuo CONTESTUALIZZA In questo modo non attacchiamo la sua identità, né la sua autostima, ma restringiamo la critica alla sola area interessata, quella che vogliamo migliorare. Un feedback proficuo CONTESTUALIZZA

LA CRITICA COSTRUTTIVA E’ COME UN SANDWICK: 1° STRATO: lode sull’identità (sei una brava persona) 2°STRATO: critica sull’effettiva area di miglioramento (stavolta ti sei comportato male) 3°STRATO: ritorna una lode (la prossima volta farai meglio)

Ricordiamoci che non sono le persone ad essere negative, ma lo potrebbero essere alcuni loro comportamenti, può per questo essere utile dare un feedback che al suo interno contenga una direzione verso il miglioramento piuttosto che una critica che contesti l’identità.

La percezione del rischio negli adolescenti

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento di comportamenti a rischio da parte degli adolescenti fenomeni quali lancio dei sassi dai cavalcavia, l’incremento nell’uso di sostanze stupefacenti, le baby band, le stragi del sabato sera, il bullismo, ecc. sono solo alcuni esempi di come la percezione dei rischi si evolva e generi comportamenti dannosi sia per chi li mette in atto sia per gli altri.

Il concetto di rischio si è evoluto in corrispondenza dei mutamenti sociali. Alcuni autori sostengono che l’assumersi dei rischi è insito nello sviluppo adolescenziale, ma questo può comportare dei problemi se tali rischi sono socialmente dannosi. 

Gli adolescenti e la percezione del rischio Alcuni autori considerano l’adolescenza come l’età a rischio per eccellenza in quanto essa è caratterizzata da inesperienza ed impulsività e quindi i soggetti in questa fase sono portati a rischiare di più e a non pensare alle conseguenze delle loro azioni. 

Il passaggio di cui si parla non è quasi mai lineare. L’adolescenza è definita come un periodo di transizione in cui il soggetto da una parte, si lascia alle spalle l’età infantile e dall’altra, si proietta nel mondo degli adulti. Il passaggio di cui si parla non è quasi mai lineare. In questo periodo gli adolescenti cercano un’identità, una personalità, delle caratteristiche proprie e delle spiegazioni al senso della vita. Inoltre a rendere particolarmente complessa questa fase ci sono anche i cambiamenti fisiologici del corpo che possono condurre a crisi d’identità.

L’adolescenza resta in ogni caso l’epoca della vita in cui si definisce l’identità sessuale, in cui avviene la trasformazione del rapporto con i genitori, l’inserimento nei gruppi dei pari, l’avvio di relazioni sentimentali e sessuali.

Durante questo periodo l’adolescente deve costruire un’identità autonoma elaborando sul piano emotivo nuove modalità di relazione con i genitori e con altre figure significative, integrando nell’immagine di sé il proprio ruolo sessuale. Sul piano evolutivo, questa riorganizzazione del sé e delle proprie relazioni significative comporta rischi di disorganizzazione, ma è anche accompagnata dall’aumento di abilità nella regolazione del mondo interno e delle relazioni sociali e dalla capacità di sintonizzarsi con l’ambiente sociale e con i coetanei.

Agli adolescenti è richiesto di superare compiti di sviluppo, termine diffuso da Havighurst (1952), il quale esplicita che, nel caso in cui tali compiti siano portati a termine in modo costruttivo e positivo, questo conduce ad una condizione di benessere, aumento dell’autostima, sviluppo armonioso con il contesto ed infine pone le basi per il successo del superamento dei compiti di sviluppo delle fasi successive. I compiti di sviluppo riferiti all’età adolescenziale riguardano la sfera personale, la sfera socio-istituzionale, dove si richiede di fare scelte come la scuola da frequentare, il lavoro, lo sport, di affrontare il tema accettazione del sé e del raggiungimento dell’autonomia  

E’ un tempo di verifica delle capacità innate e acquisite, dei bisogni e dei desideri di ogni adolescente che si prepara ad affrontare le scelte, i distacchi che il passaggio al mondo degli adulti comporta. In famiglia, a scuola e con i coetanei l’adolescente, infatti, vive una rete di rapporti, di esperienze, non solo psicologiche e affettive ma culturali e sociali, che sono i nodi essenziali per lo sviluppo futuro della sua persona. Gli adolescenti rappresentano quindi una fondamentale risorsa per il futuro di una società e in tal senso è importante promuovere la loro capacità di fare scelte di salute, di tutelare la propria integrità fisica e mentale e lo sviluppo di opportunità di autonomia.

A differenza di quelli che caratterizzano lo sviluppo del neonato-bambino, questo periodo è caratterizzato da cambiamenti coscienti, ed è considerato un periodo universale che tutti gli individui affrontano. Oggi viene sottolineato come la cultura di appartenenza, la società, il sesso, il rapporto con i genitori e le condizioni economiche rappresentano fattori che plasmano lo sviluppo e che stanno alla base delle diverse modalità con cui viene affrontato lo sviluppo adolescenziale. 

L’attuazione dei comportamenti a rischio negli adolescenti è considerata come un mezzo per affermare la propria identità, per essere rispettati e considerati dagli adulti. In particolare, Bonino (2003) sostiene che proprio per questi motivi alcuni adolescenti passano attraverso comportamenti ritenuti maturi come sostenere le proprie idee in pubblico o impegnarsi in progetti di vita, mentre altri adolescenti hanno bisogno di assumere comportamenti rischiosi per dimostrare la propria maturità.

Dietro i comportamenti adolescenziali si nasconde il bisogno sentirsi adulti ed essere accettati dal mondo degli adulti. gli adolescenti ritengono di essere capaci di auto-controllarsi, considerandosi in grado di gestire le situazioni di rischio. Questo modo di comportarsi può consolidarsi in cattive abitudini come ad esempio il bere e l’assumere cannabis, contribuendo così a distogliere l’attenzione dai reali compiti di sviluppo. 

Questo fattore è definito anche come ottimismo ingiustificato. gli adolescenti ritengono di essere immuni dal subire le conseguenze da fonti di rischio. Questo fattore è definito anche come ottimismo ingiustificato. Nella percezione del rischio, gli adolescenti non sono giudici accurati dei rischi in cui s’imbattono. La tendenza è quella di pensare di essere relativamente invulnerabili e di supporre che solo gli altri siano esposti alle conseguenze indesiderate dell’esperienza negativa.

Ad esempio chi supera un rischio attribuisce ciò alla bravura personale, al coraggio e all’abilità. Se il rischio ha come risultato una delusione o finisce in tragedia, il fatto verrà spesso ascritto dal protagonista alla sfortuna o a fattori esterni, mentre altri ricondurranno tali incidenti e fallimenti a incompetenze, scarsa capacità di giudizio e ad altri difetti personali. 

Il timore è che l’ottimismo irrealistico possa indurre a sottostimare la vulnerabilità personale, riducendo la motivazione ad adottare precauzioni per proteggere la propria salute. L’invulnerabilità percepita dagli adolescenti, è stata anche definita da Elkind (1967) come la fiaba personale. La costruzione della fiaba personale in adolescenza deriva, sia dal sentimento di invulnerabilità, sia dall’egocentrismo, definito come la tendenza a proporre se stesso al centro di ogni evento, inoltre, è un sentimento che fa sentire gli adolescenti come unici, al centro dell’attenzione, immortali e onnipotenti.

Un fattore che influenzata la propensione verso il rischio è la curiosità, tipica negli adolescenti. La curiosità può essere accentuata da fattori sociali e culturali tra cui, la pressione dei pari e i mass media Le identità proposte dai media in un certo senso riempiono i vuoti delle istituzioni sociali e degli individui stessi offrendo modelli stereotipati di massa cui, tutti possono fare riferimento per colmare il proprio vuoto; la problematica individuale è pertanto affrontata con ricette per la massa.

Come ultimo fattore di riferimento, sembra che gli adolescenti che ascoltano un tipo di musica dalla quale traggono forti emozioni, come hard rock e heavy metal, siano coloro che assumono una varietà maggiore di comportamenti a rischio rispetto a coloro che ascoltano musica classica o musica leggera  

Un costrutto ritenuto importante per comprendere i meccanismi attraverso i quali le persone prendono coscienza di sé e che contribuisce attivamente a determinare le condizioni del proprio sviluppo positivo è denominato autoefficacia percepita (Bandura, 1997)   L’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha sulle proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione Non si tratta di una generica fiducia in se stessi, ma della convinzione di poter affrontare efficacemente determinate prove, di essere all’altezza di determinati eventi, di essere in grado di cimentarsi in alcune attività o di affrontare specifici compiti.

“L’autoefficacia, non è dunque una misura delle competenze possedute, ma la credenza che la persona ha in ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le capacità che possiede” (Borgogni,2001). La nostra vita è guidata dal nostro Senso di Autoefficacia che costituisce un importante fondamento per l’azione

              In genere le persone con un basso senso di autoefficacia percepita, evitano  i compiti impegnativi i quali vengono percepiti come elementi di minaccia. Generalmente hanno bassi livelli di aspirazione e si impiegano moderatamente nel perseguimento degli scopi, in situazioni problematiche tendono a focalizzare sulle proprie debolezze, sugli ostacoli delle situazioni, sull’avversità degli esiti. Accade invece il contrario negli individui che hanno un alto livello di autoefficacia percepita. Queste sono generalmente attratte da compiti difficili che sono rappresentati come occasioni per mettere alla prova le proprie capacità. In queste personalità riscontriamo alti livelli di aspirazione e impegno nelle attività volte al raggiungimento degli scopi prefissati. L’autoefficacia percepita non agisce solo sulle proprie autopercezioni, ma anche sul sistema immunitario; per un verso aumenta la tolleranza della sofferenza per l’altro, attiva difese nei confronti dell’insorgere della malattia, pone riparo agli agenti patogeni, infine favorisce l’abbandono di condotte patogene.

Un fattore indagato è la qualità delle relazioni con i genitori, che, se risulta essere positiva rafforza l’autoefficacia percepita, così da favorire anche i rapporti prosociali. Il background familiare come, la separazione dei genitori, l’adozione e l’essere un figlio illegittimo sembrano essere dei fattori che influenzano l’assunzione dei comportamenti a rischio

un ambiente familiare positivo (ad es un ambiente familiare positivo (ad es. relazioni positive tra genitori e figli, supervisione e coerenza nell’educazione, comunicazione aperta) sembra essere una condizione essenziale perché non si manifestino comportamenti delinquenziali o pericolosi

il supporto genitoriale è il maggiore fattore di protezione nel favorire la progettualità negli adolescenti e nel promuovere obiettivi positivi per la propria vita Queste acquisizioni suggeriscono la necessità di implementare interventi a livello familiare che sappiano prevenire problemi tra loro interrelati

La teoria dell’autoefficacia di Bandura trova applicazioni in vari ambiti, tra cui quello scolastico. La scuola ha come obiettivo quello di fornire alle persone i mezzi per adattarsi all’ambiente sociale. Bandura, analizzando il ritmo incalzante con cui la società si è modificata nel giro di poco tempo, sottolinea l’importanza di possedere la capacità di gestire autonomamente la propria istruzione, per poter restare al passo con i tempi e affrontare le richieste che la società impone; egli, pertanto, conferisce alla scuola l’importante ruolo di fornire agli studenti, non solo le competenze intellettuali, ma anche le convinzioni di efficacia e la motivazione intrinseca necessarie per continuare a educare se stessi lungo tutto l’arco della propria vita. 

Nell’analizzare il senso di autoefficacia nell’ambito scolastico, Bandura prende in considerazione non solo l’influenza che l’autoefficacia degli studenti ha sulle loro prestazioni, ma anche il ruolo degli insegnanti nel motivare e promuovere l’apprendimento degli alunni Numerose ricerche hanno evidenziato come non sia tanto la capacità di un soggetto a determinarne le prestazioni, ma il suo senso di autoefficacia, che consente all’individuo di utilizzare al meglio le proprie abilità

L’obiettivo principale della scuola è di educare gli studenti ad essere aperti alla conoscenza, responsabili, socialmente ben adattati e cittadini partecipi. formare studenti ben preparati nelle materie scolastiche non può prescindere dall’insegnare ad interagire nelle situazioni sociali in modo competente e rispettoso, a mettere in atto comportamenti positivi e sicuri, a fornire un contributo responsabile nel gruppo dei pari, nella famiglia, nella scuola, nella comunità sviluppare le competenze necessarie alla costruzione della loro posizione lavorativa e sociale

riconoscere e gestire le loro emozioni, I progetti dovrebbero mirano ad incrementare il coinvolgimento degli studenti nelle attività della scuola ed a sviluppare le principali abilità psico-sociali degli studenti: riconoscere e gestire le loro emozioni, apprezzare la prospettiva degli altri, stabilire obiettivi positivi, responsabilizzarli affrontare in modo efficace le relazioni interpersonali Lo sviluppo di tali competenze mira a ridurre i fattori di rischio e a sostenere i fattori di protezione

L’ essere coinvolti in azioni prosociali incoraggia i giovani a prendere parte ad attività di aiuto e solidarietà. Durante l’adolescenza, assume particolare importanza per i giovani avere l’opportunità di interagire con coetanei ben adattati e di rivestire ruoli nei quali possano dare un contributo al gruppo (la scuola, il quartiere, il gruppo dei pari o la comunità più ampia )

I programmi che promuovono norme prosociali e che devono incoraggiare i giovani ad assumere credenze positive devono avvenire attraverso: approccio informativo fornisce ai giovani dati che rivelano l’esiguità dei loro coetanei che fanno uso di sostanze illegali, in modo da indurli a capire che essi non è necessario di far uso di droghe per sentirsi “normali”.

approccio partecipativo, incoraggiare i giovani a prendere l’impegno esplicito, in presenza del gruppo dei pari o dei loro insegnanti;  coinvolgono i ragazzi più grandi nel mostrare buoni standard di comportamento ai ragazzi più piccoli; (Promuovere l’utilizzo del tutoring fra pari, in cui studenti più grandi che possiedono maggiori conoscenze insegnano a quelli più giovani. Nell’assumere il ruolo di insegnante, i tutor acquisiscono una maggiore padronanza nelle materie scolastiche, sviluppano abilità sociali e di comunicazione );