La carta performativa Nel gioco della rappresentazione cartografica, dove le inclusioni si alternano alle esclusioni e la realtà viene resa astratta mentre la raffigurazione appare naturale ed oggettiva,la mappa acquista una valenza performativa, agisce, trasforma il territorio. Le modalità di intervento su di esso che descrive diventano proposte per l’azione futura. Jama Mussejama
Luoghi incontaminati La natura viene definita tale quando è disabitata: pertanto la sua tutela si riduce ad una conservazione del verde selvaggio Vandana Shiva La carta descrive bene le aree protette, quelle zone definite in vario modo (parchi regionali o statali, oasi, riserve..) ma che hanno la comune caratteristica di escludere la presenza umana, al più circoscritta al turismo controllato o ad attività produttive cosiddette tradizionali. Ma fuori da queste zone? Della questione ambientale non c’è più traccia. Nel suo proprio linguaggio la carta ripropone un’idea e propaganda un modo di fare che presuppone una concezione precisa del rapporto natura/uomo dove la prima è passiva e improduttiva se non assoggettata all’economia e il secondo attivo ma distruttore perché imbrigliato nell’inevitabile sviluppo: i due soggetti sono insomma lontani e inconciliabili. Ma l’interrelazione tra natura ed esseri umani è profonda e continua, tanto che l’una e gli altri si modificano reciprocamente. E se nelle aree protette la natura viene comunque modificata (per es. con l’introduzione di piante che l’ambiente originario non prevedeva), i luoghi “incontaminati” esistono solo nei depliant turistici.
Il parco naturale Popolazioni intere sono state cacciate o hanno visto i servizi essenziali ridotti ed eliminati. La loro terra non era più loro. La lista di casi di popoli cacciati per far spazio a parchi è lunga: per esempio i Masai del Kenia e della Tanzania, gli aborigeni dell’Australia,, i Chetri del Nepal, i Pigmei del Camerum. Dal 1990 la superficie delle terre divenute parchi è aumentata fino a raggiungere il 12% del totale. Impossibile fare una stima esatta delle persone coinvolte: i calcoli più attendibili vanno da cinque a diverse dozzine di milioni
Le foreste Le grandi foreste tropicali non devono essere tagliate? Chi ne paga le conseguenze? Il ministro per l’ambiente del governo di Jakarta ha avanzato la seguente proposta: i paesi industrializzati paghino fino a venti dollari per ettaro ai paesi che accettano di non tagliare le loro foreste tropicali. Il paese che non taglia le foreste si vede così rimborsare una fonte di guadagno perduta, possibile con il commercio del legname o eventuali piantagioni al posto dei boschi. Nel protocollo di Kyoto è stato recentemente incluso il rimboschimento e il mantenimento delle foreste tropicali per compensare l’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Una soluzione quantitativa e di tipo economico che rimanda il problema aggravandolo. Non si risolvono i problemi, come per esempio il problema dell’inquinamento ambientale e della forestazione, partendo dalle stesse premesse che li hanno generati. Bisogna cambiare le nostre abitudini di pensiero e i nostri comportamenti. Un evento mentale difficile e in gran parte inconsapevole. Sembra più facile cambiare l’ambiente che se stessi, modificare lo stato di salute del pianeta piuttosto che le nostre abitudini di pensiero e di vita.
Il monte Elgon All’interno del parco nazionale del monte Elgon in Uganda sono stati piantati nei primi anni del alberi che dovrebbero, secondo la fondazione Face che ha firmato l’accordo con il governo dell’Uganda, compensare le emissioni di gas serra prodotte da una centrale elettrica che stava per aprire in Olanda. Bisognava, quindi, confiscare ai contadini del monte Elgon le terre trasformate in parco, dove cresceva il mais bisognava piantare gli alberi olandesi. Sono state scacciate circa persone. Da Monde diplomatique. Il manifesto L’atlante per l’ambiente
L’osservatore L’osservatore è sempre dentro alla realtà, partecipa a costruirla e non può non assumersene la responsabilità. Heinz von Foester Questo modo di pensare il nostro vivere nel mondo nasconde un paradosso, quello dell’osservatore che osserva se stesso mentre osserva, del cittadino che è responsabile non solo delle sue azioni, ma anche di come percepisce e pensa il mondo, il paradosso del legislatore che è responsabile non solo delle leggi che contribuisce a scrivere, ma anche di come costruisce/crea il contesto dei problemi che deve affrontare e risolvere legiferando.