Problemi di una filosofia dell’immaginazione 2011/2
posizionale non posizionale Forme calde Forme fredde mediateimmediate
L’immaginazione e il suo rapporto con l’origine dal mondo Alternative al reale Immaginazione contestuale Immaginazione assoluta Finzioni del possibile Fantasticherie Finzioni narrative Modificazioni del reale Immaginazione tecnologica Figuratività Finzione ludica
La rêverie non è altro che «un po’ di materia notturna dimenticata nella limpidezza del giorno»” Ma le cose stanno davvero così? La fantasticheria ha un nesso con il sistema delle nostre motivazioni. Le fantasticherie possono essere involontarie come i sogni, ma è difficile che non si riconosca nella fantasticheria un nesso forte con la la dimensione consapevole delle nostre motivazioni, dei nostri timori e, soprattutto, dei nostri desideri.
Il rapporto con il desiderio è particolarmente rilevante: le fantasticherie sbucano dalla nostra vita desta come manifestazioni appaganti di un desiderio. Una differenza rilevante: manifestazioni appaganti e soddisfazioni di desideri. L’immaginazione può proporre una alternativa possibile al reale all’interno di una dimensione di progettualità. Si cerca di soddisfare un desiderio e il desiderio implica una finzione del possibile in quanto tale: si deve immaginare una possibile alternativa al presente per poter agire e per soddisfare il desiderio da cui siamo mossi. L’immaginazione del possibile è così un mezzo nella prassi del soddisfacimento del desiderio.
Nella fantasticheria invece l’immaginazione si fa assoluta e non propone più lo scenario del possibile in quanto tale, non pone più la delineazione di un evento come una possibile forma che la realtà potrebbe assumere in un futuro, ma sovrappone alla realtà uno scenario che la rende provvisoriamente irrilevante. La fantasticheria smette allora di essere la finzione di un possibile che è insieme un mezzo per attuare la prassi del soddisfacimento di un desiderio e diviene la manifestazione appagata di un desiderio in uno spazio immaginativo. Una mera fantasticheria, appunto
Il trapassare del desiderio nella fantasticheria: Una considerazione temporale. Se desideriamo che qualcosa accada e ci venisse posta la domanda intorno al quando potremmo rispondere: di qui in avanti nel futuro. Naturalmente questo futuro è un futuro reale, il punto del tempo che indichiamo indeterminatamente appartiene alla linea del tempo oggettivo. Tuttavia si vede subito in che modo questa indeterminazione, che è in linea di principio qualcosa di completamente diverso dall’indeterminazione temporale dell’immaginazione, possa assumere i tratti di questa. Può accadere che il futuro posto indeterminatamente nel desiderio, e possibilmente come un futuro prossimo, diventi invece sempre più remoto: la realizzazione postulata nel desiderio tende ad allontanarsi sempre più nel tempo. Ed alla fine questo allontanarsi nel tempo assume sempre più i tratti di un allontanarsi dal tempo. Così il futuro remoto del desiderio tende a diventare un futuro improprio, un futuro intemporale, diventando piuttosto, come nel caso del passato lontano delle favole o del mito, un contrassegno dell’indeterminazione temporale che caratterizza gli scenari dell’immaginazione.
Nello stesso tempo, attraverso la mediazione del desiderio, vi è anche una coimplicazione dell’immaginazione con la realtà in senso proprio e autentico. Ogni desiderio contiene una presa di posizione implicita nei confronti della realtà, la posizionalità del desiderio poggia su una negazione di ciò che è già posto in essere. Per questo l’immaginazione, intrecciandosi con il desiderio, assume tratti che in se stessa non possiede. L’eterogeneità sembra non concedere nemmeno la possibilità di una contrapposizione; la contrapposizione - l’antiteticità - presuppone in ogni caso qualche legame. Può accadere che ciò che appare allo sguardo dell’immaginazione non sia soltanto qualcosa di totalmente altro, ma una realtà antitetica. L’immaginazione può così diventare facoltà dell’antitesi rispetto alla tesi della realtà. Spesso nel fantasticare viene posto in essere ciò che nella realtà è impedito o precluso. Questo può essere in fin dei conti solo una constatazione. E tuttavia in questa opposizione vi è qualcosa di simile ad una logica elementare che determina la struttura del desiderio e dell’immaginazione e che coinvolge i rapporti che l’uno intrattiene con l’altra.
“Gli antichi mi chiamarono Utopia per il mio isolamento. Adesso sono emula della Repubblica di Platone e forse la supero (infatti ciò che quella a parola ha tratteggiato io sola la attuo con le persone, i beni, le ottime leggi) sicché a buon diritto merito di essere chiamata Eutopia” Ma Utopia non è soltanto un eu topos: è anche un ou-topos: un luogo che non c’è
Una scena di Tempi moderni, di Chaplin
Ancora sulla caratteristica della assolutezza. L’immaginazione si fa assoluta non perché non ci parli della realtà, ma perché smette di presentarci ciò che ci presenta come un’immagine che ha per metro il mondo o che esibisce una possibilità del mondo. La riflessione precedente ci ha mostrato come il progetto possa trascolorire nella fantasticheria non appena l’immaginazione cessa di porre come una possibilità lo scenario che ci dischiude e lo presenta come una realtà – immaginaria. È tuttavia possibile un diverso cammino che ci mostra il farsi assoluta dell’immaginazione attraverso la rescissione del nesso che lega lo scenario fantasticato ad una realtà che dovrebbe potersi porre come il suo metro.
Marcel Duchamp, Taglia
“Condusse Bernini un ritratto così al vivo, che non fu mai occhio sino a questi nostri tempi che non ne stupisse; e avevalo già nel suo luogo collocato, quando assai cardinali e altri prelati vi si portarono apposto, per vedere sì bell’opera, tra questi uno che disse: «Questi è il Montoia pietrificato»; ne ebbe egli appena proferite queste parole che qui sopraggiunse lo stesso Montoya. Il cardinal Matteo Barberino, poi Urbano ottavo, che pure anch’esso era con quei cardinali, si portò ad incontrarlo e toccandolo disse: «Questo è il ritratto di Monsignor Montoya (e voltosi alla statua) e questo è Monsignor Montoya»” (Filippo Baldinucci, Vita di Bernini)