La retribuzione “equa” Serafino Negrelli Corso di laurea in Scienze dell’Organizzazione Facoltà di Sociologia Università di Milano Bicocca.

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La retribuzione “equa”
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La retribuzione “equa” Serafino Negrelli Corso di laurea in Scienze dell’Organizzazione Facoltà di Sociologia Università di Milano Bicocca

negrelliretribuzione equa2 Art. 36 Costituzione “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

negrelliretribuzione equa3 La norma sociale di fairness in tema di retribuzione “i partecipanti, da ambo i lati, possiedono nozioni ben definite di quel che è da considerarsi equo e di quel che non lo è” (Solow, 1994) Ogni società ha un proprio significato di retribuzione equa (“costruzione sociale”)

negrelliretribuzione equa4 USA: dalla società fondata sulla equità retributiva e sulla classe media degli anni cinquanta… circa la metà delle famiglie americane era classificata di reddito medio (cioè unità familiari con un reddito al netto delle tasse compreso tra 4000 e 7000 dollari, in valuta del 1953)…La prosperità e lo sviluppo del ceto medio d’America fu uno dei massimi trionfi del capitalismo americano… Nel 1929, il primo 5% nella graduatoria degli americani meglio pagati riceveva il 34% del reddito individuale totale, ma nel 1949 la loro quota era scesa al 18% (“più che a metà strada della perfetta equità”, proclamò con entusiasmo il National Bureau of Economic Research). Il gruppo del primo 1% fece un salto verso il basso ancora maggiore passando dal 19% del reddito totale nel 1929 al 7,7% nel 1946 (Reich, 1993).

negrelliretribuzione equa5 …alla società diseguale di fine secolo scorso “il tenore di vita degli americani, al pari di quello dei cittadini delle altre nazioni, dipende…sempre più dalla domanda che in tutto il mondo si manifesta della capacità e della creatività dei cittadini stessi” (Reich, 1993): ciò che vale meno è pagato meno. Crescita delle disuguaglianze tra il 1977 e il 1990: il reddito medio del quinto della popolazione americana meno abbiente è calato del 5%, ma il reddito medio del quinto più abbiente è cresciuto contemporaneamente del 9%. Negli stessi anni, il reddito medio del 20% delle famiglie americane meno abbienti si è ridotto ancor più, del 7%, mentre quello del 20% delle famiglie più abbienti è aumentato del 15%. Nel 1990, il 20% dei cittadini americani meno abbienti rappresentava il 3,7% del reddito nazionale complessivo, in forte calo rispetto a vent’anni prima e la percentuale più bassa mai registrata dal Mentre al 20% più ricco della popolazione americana è andato un reddito superiore al 50% del reddito nazionale totale, un livello mai raggiunto prima da tale fascia di reddito, un fenomeno di disparità accentuato da un altro primato, ovvero dal fatto che al 5% più abbiente è andato il 26% del reddito nazionale complessivo.

negrelliretribuzione equa6 Differenziali in crescita negli USA Nel 1960 l’amministratore delegato di un’azienda americana tra le prime 100 non finanziarie guadagnava 190 mila dollari, corrispondenti a circa 40 volte il salario dell’operaio di fabbrica (al netto delle imposte “solo” 12 volte), circa 30 anni dopo guadagnava 2 milioni di dollari, corrispondenti a ben 93 volte il salario dell’operaio medio di fabbrica (tolte le imposte, più favorevoli al top management, si arriva comunque a ben 70 volte!). Nel 1990 un amministratore delegato di un’impresa americana con un fatturato di 250 milioni di dollari guadagnava 543 mila dollari tra stipendio, premi e gratifiche, un dirigente giapponese con analoga posizione guadagnava meno di due terzi (352 mila dollari), mentre un amministratore delegato tedesco si fermava a poco più della metà (287 mila dollari) e uno coreano il 400% in meno. Se si fa riferimento al potere di acquisto, il dirigente americano poteva acquistare il triplo di beni rispetto a quanto poteva acquistare il dirigente giapponese e il doppio rispetto al tedesco.

negrelliretribuzione equa7 Il modello retributivo europeo di coesione sociale Prima della moneta unica (dati Eurostat,1996), media di costo orario del lavoro: 18 euro nell’Ue, da circa 25 euro in Germania a 5 euro in Portogallo; UE allargata, retribuzione comprendente la parte fissa e quella variabile di un impiegato d’ordine: dai euro della Germania ai euro della maggioranza dei paesi dell’Est, Italia in posizione intermedia a euro. Idem per retribuzioni degli “specialisti”: euro in Germania, nei paesi dell’Est (ad eccezione di Estonia e Lettonia a euro), in Italia. Minori differenziali per il middle management: dai euro della Germania e agli oltre euro dei paesi dell’Est (ad eccezione di Lituania, Lettonia ed Estonia a euro), sempre con la posizione intermedia dell’Italia a Ancor meno per il top management: euro in Germania, nei paesi dell’Est (fa eccezione la sola Estonia con euro), euro in Italia

negrelliretribuzione equa8 Minori differenziali in generale… Solo nei paesi dell’Europa dell’Est tra il top management e l’impiegato d’ordine si hanno divergenze di reddito simili a quelle registrate negli Stati Uniti negli anni Sessanta. Mentre in Germania (1 a 5) e in Italia (1 a 7,5) le divergenze restano più contenute; Ancor minori differenziali al di sotto dei livelli di top management. Il rapporto tra il salario medio dei quadri superiori e quello degli operai non qualificati è attorno a 2 o di poco superiore in gran parte dei paesi (Olanda, Danimarca, Finlandia, Svezia, Germania) anche se in Italia si registra una punta di 4, seguita da Spagna e Francia e da altre realtà intermedie tra 2,5 e 3,5 come il Regno Unito.

negrelliretribuzione equa9 …ma disparità per genere, Nei 15 paesi Ue non si sono registrati progressi, tra il 1994 e il 2001, nel gap di paga tra donne e uomini in termini di guadagni lordi orari (per chi lavora più di 15 ore settimanali), fermo al 16%, più alto nel settore privato (21%) che non in quello pubblico (12%). La paga oraria lorda delle lavoratrici raggiunge solo i quattro quinti di quella degli uomini in molti paesi (Germania, Regno Unito, Austria, Olanda, dove pesa la sovra-rappresentazione di donne a part-time). Il gap si è ridotto al 6% in Italia e al 10-15% in Portogallo, Belgio, Francia, Danimarca (dati Eurostat)

negrelliretribuzione equa10 … per età, In Italia, Francia, Grecia, Spagna, il salario di un giovane di anni equivale mediamente alla metà di quello dei lavoratori a fine carriera con più di 55 anni. In Germania, Danimarca, Svezia e Regno Unito sale ad almeno il 70%. Ad un modello retributivo dell’Ue orientato ad una maggiore integrazione sociale rispetto a quello degli Stati Uniti si registrano quindi differenziazioni tra i paesi del Centro-nord nei quali i salari sono mediamente più alti e ripartiti in maniera più egualitaria e i paesi del Sud nei quali si registrano tendenze opposte, con il caso spesso intermedio del Regno Unito. Mentre nei nuovi paesi membri dell’Est, le paghe minime dei giovani si abbassano fino al 40-30% dello stipendio medio

negrelliretribuzione equa11 …e immigrazione Rilevazioni empiriche molto rare Prevalenza di mansioni poco qualificate e di lavori atipici, con livelli di paga ancora più bassi ovviamente per le posizioni illegali. Ricerca 1995 sulle paghe degli immigrati in Belgio: significative divergenze di paga soprattutto per i lavoratori di provenienza extra- Ue (Turchia, Marocco) fino al 20-25% in meno rispetto ai lavoratori nazionali, con punte ancor più elevate tra il 40 e il 60% per le donne. Dati simili registrati anche in Norvegia, seppure con recuperi nel tempo, variabile però a seconda dei gruppi etnici

negrelliretribuzione equa12 I lavoratori “low paid” Percettori di low wages nell’Ue e Norvegia nel 2000: tra il 10 e il 20% (livello Eurostat=meno del 60% del salario nazionale medio) Le donne hanno maggiori probabilità di trovarsi in tale situazione rispetto agli uomini (77% sul totale dei lavoratori low paid): più Austria (86%), Olanda e Regno Unito (in entrambi 81%), meno in Grecia (51%) e Italia (60%). La crescita dei lavoratori con paghe basse negli ultimi anni soprattutto in Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Italia e Spagna. In Italia, 15,7% nel 1993; 13,7% nel 1995; 18,3% nel 1998 (dati riferiti al livello sotto i due terzi dei guadagni medi per tutti i lavoratori full-time) Tra le donne la percentuale sale al 25,9%, mentre tra gli uomini è del 13%; percentuali più elevate per i giovani con meno di 30 anni. Smentita nel nostro paese la tesi che le paghe basse possano costituire un “ponte” verso lavori meglio pagati: nel periodo il 50% di coloro che erano nel decile inferiore della distribuzione salariale all’inizio del periodo è rimasto ancora nella stessa posizione alla fine del periodo e chi ne è uscito è diventato spesso un disoccupato.

negrelliretribuzione equa13 “Lavoratori poveri” Lavoratori che non sono in grado di percepire un salario di sussistenza ovvero occupati che si mantengono sotto la linea della povertà. Negli Stati Uniti nel 1990 più della metà dei 32,5 milioni con redditi al di sotto della linea ufficiale di povertà, insieme a circa i due terzi dei bambini poveri, apparteneva a famiglie con almeno un occupato, un livello record di “lavoratori poveri” nel secondo dopoguerra. Nell’Ue (13 paesi, con esclusione di Svezia e Finlandia, dati Eurostat disponibili al 1996), la percentuale di lavoratori poveri (con almeno 15 ore settimanali di lavoro) era dell’8% sul totale degli occupati, con livelli più alti per Germania e Italia (entrambe al 10%). I lavoratori poveri costituivano il 20% di tutti i lavoratori con paghe basse, con punte in Italia (25%) e Germania (24%), dove le due categorie hanno quindi maggiori probabilità di coincidere. I lavoratori con paghe basse rappresentavano il 37% dei lavoratori poveri, con punte del 52% in Grecia, 44% nel Regno Unito, 41% in Germania e 40% in Austria. La più bassa percentuale registrata in Italia (27%) e in altre realtà indica che altri fattori, quali il sostegno della famiglia o trasferimenti sociali impediscono a chi è pagato poco di cadere nella povertà.

negrelliretribuzione equa14 Il salario di produttività ! : Stati Uniti da 78,7 milioni di occupati a 134 (+ 70%), tasso di occupazione dal 61,9% al 74,3% (tasso di disoccupazione tra il 4 e il 5%) UE-15 da 131,5 a 151,3 milioni di occupati (+15%), calo del tasso di occupazione dal 64,8% al 60% (tasso di disoccupazione dal 2,3% al 10,1%). Giappone da 50,9 a 64,5 milioni di occupati, contemporanea crescita del tasso di occupazione dal 71,2% al 75% e del tasso di disoccupazione dall’1,2% al 4,9% (dati Ocse). Produttività oraria + 115% nella UE, + 24% negli USA: azzerato il gap di produttività tra le due realtà, che all’inizio del periodo era ben del 46% (il Giappone lo ha ridotto di meno, ma comunque significativamente, dal 64 al 22%).

negrelliretribuzione equa15 Crisi del rapporto salariale fordista : crescita economica annua del 2,2% nell’Ue e del 2,5% negli Stati Uniti (crescita occupazionale annua rispettivamente dello 0,5% e dell’1,6%), i salari reali individuali sono aumentati più nell’Ue (0,9% annuo) che negli Stati Uniti (0,8%), ma la produttività individuale del lavoro è cresciuta molto di più nella prima (1,7%) rispetto a quella dei secondi (0,9%), determinando uno scompenso per la parte salariale sul valore aggiunto dello 0,6% annuo nei paesi Ue rispetto alla stabilità registrata negli Stati Uniti. La riduzione della quota dei salari sul valore aggiunto nell’Ue, dal 76% al 68%: crisi del “rapporto salariale fordista” fondato sulla progressione dei salari nominali indicizzati sul costo della vita e sulla crescita della produttività del lavoro. Andamento della quota dei salari sul valore aggiunto: il calo dello 0,6% annuo nel periodo si contrappone alla crescita dello 0,5% annuo nel periodo e alla lieve diminuzione annua dello 0,1% dal 1960 al Ciò è stato determinato essenzialmente dall’andamento dei salari reali (negli stessi periodi rispettivamente dello 0,9%, del 2,4% e del 4,4%) cresciuti in misura nettamente inferiore nell’ultimo periodo, di quasi un punto percentuale all’anno, rispetto alla crescita della produttività (rispettivamente dell’1,7%, del 2% e del 4,5%, dati Eurostat ).

negrelliretribuzione equa16 Crisi più grave in Italia La percentuale del reddito da lavoro dipendente in Italia ridotta di più in Italia, negli ultimi anni: scesa stabilmente sotto il livello dei due terzi dal 69,8% del 1993 al livello minimo del 64,4% nel 2001, al 65,3% nel Calo drastico in agricoltura (dall’84,3% al 56,4%); forte ridimensionamento nelle attività terziarie (ormai vicino alla metà: dal 58,6% al 53,3%);maggior tenuta dell’industria (dal 70% al 69,4%, ma con caduta al 66% nel 1995). Perché si riduce la quota dei redditi da lavoro? –il risultato di un’onda lunga di reazione imprenditoriale e di innovazione tecnologica per far fronte alle rivendicazioni sindacali che avrebbero reso più costoso il lavoro e più rigida la sua gestione; –fattori di natura macroeconomica all’origine sia degli andamenti differenti dei paesi anglosassoni rispetto all’Ue che dei dualismi che si sono registrati tra gli stessi paesi appartenenti a quest’ultima.

negrelliretribuzione equa17 La partecipazione economica dei lavoratori al capitale dell’impresa azionariato all’esterno dell’impresa con obiettivi decisionali: prevede obiettivi di progressivo “controllo operaio” dell’impresa attraverso fondi di investimento dei lavoratori costituiti con una parte crescente di utili a ciò destinati. Esperienze in gran parte superate (“Piano Meidner” svedese degli anni settanta); azionariato all’esterno dell’impresa per obiettivi distributivi: serve a costituire prevalentemente dei “fondi pensione complementari”, a livello settoriale, di impresa o per gruppi professionali, con il contributo prevalente o totale del datore di lavoro (diffusi in molti paesi europei e negli Stati Uniti); azionariato all’interno dell’impresa con obiettivi distributivi: quote riservate ai lavoratori per la costituzione di schemi previdenziali integrativi che investono il loro capitale nella stessa azienda in cui tali lavoratori sono dipendenti, come ad esempio nel caso degli Esop (Employee Stock Ownership Plans) negli Stati Uniti. Alla fine del secolo scorso questi ultimi riguardavano oltre 10 mila imprese e 7 milioni di lavoratori; azionariato all’interno dell’impresa con obiettivi decisionali: quote di azioni riservate ai dipendenti a condizioni privilegiate o preferenziali che definiscono una modalità di “partecipazione individuale alla proprietà”.

negrelliretribuzione equa18 L’istituto del “salario minimo” Fissato per legge: Regno Unito ( ; 1999), Stati Uniti (1938), Canada, Lussemburgo (1944), Francia ( ), Giappone ( ), Spagna ( ), Olanda (1968), Portogallo (1970), Irlanda (2001). Accordi collettivi a livello nazionale o intersettoriale sulle tariffe minime: Belgio, Danimarca, Finlandia, Grecia, Norvegia, Svezia. Accordi collettivi sui salari minimi a livello di settore: Austria, Germania, Italia. I sistemi legali di salario minimo variano soprattutto in base ai meccanismi di indicizzazione: nei paesi anglosassoni non sono previste forme di indicizzazione automatica; in Spagna, Portogallo e Lussemburgo la legge fissa una indicizzazione collegata all’andamento dei prezzi e al livello di performance del sistema economico; in Francia, Olanda e Giappone è collegata, oltre che all’andamento dei prezzi, a quello dei salari (medi), seppure con differenziazioni specifiche nell’ambito degli stessi paesi. I livelli di salario minimo variano da paese a paese: più generosi nei paesi nordici, Francia e Lussemburgo, oltre il 50% del salario medio previsto a livello nazionale; meno generosi nei paesi anglosassoni e Spagna, al di sotto del 40% del salario medio; livelli intermedi di Belgio, Olanda e Portogallo.