A.A Corso di Politica Sociale Maria Letizia Pruna

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A.A. 2006-2007 Corso di Politica Sociale Maria Letizia Pruna Terza lezione Il welfare state: il percorso evolutivo

L’evoluzione del Welfare state europeo Si possono distinguere cinque fasi: instaurazione consolidamento espansione crisi riforma

Fase di instaurazione del welfare state (1880-1920) L’intervento pubblico nella protezione sociale comincia nel XVII secolo con le leggi sui poveri. Povertà, indigenza, mendicità, vagabondaggio: sono questi i fenomeni sociali che determinano i primi interventi assistenziali-repressivi da parte dello Stato.

I poveri: “meritevoli” e non L’assistenza ai poveri (numerosi e incombenti) si basava sulla distinzione tra: Poveri meritevoli (deserving poor): persone inabili, orfani, vecchi, malati Poveri non meritevoli (undeserving poor): i disoccupati (disoccupazione volontaria). “Chi è povero, ma in condizioni di salute normali, anche se è senza lavoro, lo è per colpa sua.” (E. Pugliese, Sociologia della disoccupazione, Il Mulino, 1993)

La nascita vera e propria del welfare state: l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria (alla fine del XIX secolo) rappresenta un cambiamento radicale almeno da due punti di vista: si abbandonano le elargizioni occasionali e discrezionali, di stampo paternalistico e su base strettamente locale, in favore di prestazioni standardizzate fondate su precisi diritti individuali si introduce una prospettiva temporale nella protezione sociale, non più ripiegata sull’emergenza e il contingente ma proiettata in un futuro di medio e lungo termine

Dall’assistenza ai poveri alla protezione dagli infortuni Prima fase dello sviluppo industriale: XIX secolo Problemi diffusi di povertà e indigenza (pauperismo), disoccupazione di massa in aree urbane  assistenza ai poveri e ai senza lavoro Seconda fase dello sviluppo industriale: XX secolo Accelerazione della produzione accompagnata da estesi fenomeni di incidenti e infortuni sul lavoro  il primo (e più diffuso) schema di assicurazione obbligatoria fu proprio quello contro gli infortuni.

Il ruolo delle organizzazioni operaie Fu la mobilitazione operaia e la nascita dei primi partiti socialisti a dare la spinta decisiva per l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro i vari rischi sociali cui i lavoratori delle industrie erano esposti.

La protezione da malattie e vecchiaia e l’assicurazione contro la disoccupazione Tra il 1880 e il 1920 quasi tutti i principali paesi dell’Europa avevano introdotto gli schemi assicurativi rivolti alla protezione dalla povertà, dagli infortuni, dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla disoccupazione. La forma, l’entità, l’estensione della protezione pubblica da questi rischi sociali varia da Paese a Paese, in base alla diversa incidenza e diffusione dei differenti fenomeni e al loro specifico “radicamento” (embeddedment) nei contesti locali.

2. Fase di consolidamento del welfare state (1920-1945) Nel periodo tra le due guerre venne integrato il catalogo dei rischi coperti dai vari schemi assicurativi, che vennero anche estesi per includere altri segmenti della popolazione oltre ai lavoratori dipendenti (industrie e Stato) E’ in questa fase che nascono gli assegni familiari, una forma di assicurazione la cui titolarità spettava al capofamiglia lavoratore ma le cui prestazioni erano definite in base ai familiari a carico

Dall’assicurazione dei lavoratori all’assicurazione sociale La fase di consolidamento del welfare state segna il passaggio dalla nozione più ristretta di “assicurazione dei lavoratori” a quella più ampia di “assicurazione sociale”, che riconosce una definizione più estesa dei rischi e dei possibili beneficiari della protezione. Si fa strada, insieme all’idea tradizionale del risarcimento in base ai contributi versati, anche l’idea di una protezione minima in base ai bisogni, a prescindere dalla contribuzione.

3. Fase di espansione del welfare state (1945- 1975) I trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale individuano un periodo di sviluppo talmente intenso ed esteso da giustificare l’immagine di “trentennio glorioso”. La spesa sociale crebbe a ritmi sostenuti – così come la ricchezza dei paesi – anche grazie alla razionalizzazione delle modalità di prelievo di imposte e contributi e al miglioramento della capacità di governare i flussi redistributivi dal centro e di erogare le prestazioni alle varie categorie sociali.

I modelli di protezione sociale Il modello universalistico Si è sviluppato nei paesi anglo-scandinavi, nei quali venne abolita la prova dei mezzi e la copertura del welfare state fu estesa a tutta la popolazione (non più solo ai bisognosi: pensioni solo per gli anziani poveri). Le prestazioni sono ampie, generose e imperniate su principi egualitari, e finanziate tramite il gettito fiscale. Il modello occupazionale Si è sviluppato nei paesi dell’Europa continentale, in cui il processo di estensione della copertura del welfare state è stato più tortuoso e parziale. Le prestazioni sono molto differenziate, agganciate ai ruoli professionali (il modello è infatti chiamato anche “corporativo”), prevalentemente finanziate tramite contributi sociali.

Introduzione del meccanismo della “ripartizione” L’adozione del meccanismo della “ripartizione” per il finanziamento delle pensioni consentiva di utilizzare immediatamente i contributi versati dalle generazioni attive (cioè coloro che lavoravano) per finanziare le prestazioni erogate alle generazioni inattive (le pensioni degli ex lavoratori anziani).

4. Fase di crisi del welfare state (1975-1990) La crisi del welfare state ha origine dalla crescente inadeguatezza delle “vecchie” soluzioni di fronte ai “nuovi” problemi delle società post-industriali. Una serie di profondi cambiamenti hanno invalidato le premesse socio-economiche e politico-istituzionali sulle quali poggiavano entrambi i modelli di welfare edificati negli anni di grande sviluppo successivi alla seconda guerra mondiale.

Il welfare state: vecchie premesse, trasformazioni e sfide

5. Fase di riforma del welfare state (1990-2006) La molla che ha fatto scattare il processo di riforma del welfare è senza dubbio di tipo finanziario: la compatibilità macroeconomica della spesa sociale è stata al centro di intense riflessioni politiche e tecniche a partire dai primi anni ’90, con una accelerazione prodotta a metà del decennio dal processo di unificazione europea. L’incertezza sui termini con i quali definire il travagliato processo di riforma del welfare state riflette, da un lato, la resistenza al cambiamento alimentata dalla crescente pressione sociale a garantire forme di tutela più estese e, dall’altro, l’urgenza di complessivi interventi di contenimento dei costi e di riequilibrio della protezione.

La “ricalibratura” del welfare state Individua un processo di cambiamento istituzionale caratterizzato da: la presenza di vincoli (endogeni ed esogeni) che condiziona le scelte dei decisori politici; l’interdipendenza tra scelte espansive o migliorative e scelte restrittive o sottrattive (cambiamenti “a somma zero”: se si aggiunge da una parte, si sottrae da un’altra); spostamento dell’enfasi posta sui diversi strumenti e obiettivi delle politiche sociali (ridefinizione dei rischi, della loro gravità, delle protezioni esigibili; maggiore evidenziazione delle chance si promozione sociale).

Le dimensioni della “ricalibratura” del welfare state Ricalibratura funzionale  interventi volti a ribilanciare la funzione di protezione sociale rispetto a diversi rischi (es: minore tutela della vecchiaia e maggiore tutela dell’infanzia) Ricalibratura distributiva  interventi volti a ribilanciare il grado di protezione sociale tra categorie ipergarantite e ipogarantite (es: dipendenti pubblici e disoccupati) Ricalibratura normativa  interventi di natura simbolica (es: articoli e discorsi pubblici di esperti, intellettuali, politici) che convincano della necessità di cambiamento del welfare state in ragione della sua inefficienza, inefficacia e iniquità.