UN FIGLIO A 40 ANNI, CON TECNICA E COSCIENZA Gabriella Mandina psicologa, psicoterapeuta familiare – Roma E-mail: gabriellamandina@libero.it
In tutto l’occidente, e in Italia in particolare, si sta alzando l'età in cui si ha il primo figlio. La coppia stabile si forma più tardi rispetto al passato, intorno ai trenta anni, e spesso si comincia a cercare una gravidanza dopo i 30-35 anni: ciò comporta una maggiore maturità dei genitori e un’identità più forte che permettono di affrontare i cambiamenti che seguono la nascita di un figlio con maggiore consapevolezza, ma in questo modo la genitorialità è rinviata ad un'età che determina la diminuzione della fertilità e difficoltà a concepire.
Molte coppie si ritrovano così a ricorrere alla procreazione assistita; in questo caso credo che sia utile che il percorso medico, complesso sia fisicamente che emotivamente, sia affiancato da un percorso psicologico. È importante che alla coppia che non riesce a concepire spontaneamente sia offerto un supporto psicologico per elaborare le eventuali difficoltà di alcuni momenti del trattamento medico.
Negli ultimi sette anni, da quando è nato il sito internet dell’Associazione Madre Provetta – www.madreprovetta.org -, molte persone, soprattutto donne, mi hanno raccontato la loro storia tramite e-mail. In base alla mia esperienza di ascolto, individuo diversi momenti critici, dal punto di vista psicologico, nel percorso di pma. Il primo nodo che incontra chi desidera un concepimento che non arriva è quello degli accertamenti diagnostici.
Una donna mi scrive: Gentile dott.ssa, non so come affrontare tutta questa cosa. Da un anno e mezzo io e mio marito stiamo cercando di avere un bambino.... non arriva. Abbiamo incominciato a fare degli esami ma tutto questo mi ha già spezzato il cuore. All'età di 17 anni mi è stato asportato un ovaio. Non ho mai vissuto male la cosa perché mi è sempre stato detto che non comportava infertilità. Mi spaventa da morire tutto quello che stiamo incominciando ad affrontare. Solo ieri sera sono stata da una nuova ginecologa, mi ha dato da fare i dosaggi ormonali, e poi l'esame delle tube (anzi di quella "buona") in un secondo tempo. Il problema è la mia testa. Non c’è niente che mi tolga la convinzione, che ho da qualche anno, che non sono destinata ad avere figli miei. Ci sono momenti in cui cado nella disperazione più totale e mi ritrovo di fronte una "me" che non ho mai conosciuto. Ho sempre affrontato le cose con grinta e anche un po’ di ironia.... Non riesco a trovare niente di ironico. Mi sento "quella povera sfigata che non riesce ad avere figli". (…) Mi sembra di dover pagare per qualcosa di cattivo che posso aver fatto. (…)
La lettura di questa lettera fa sentire l’ansia che cresce, la paura di affrontare molte difficoltà, i sentimenti depressivi che si possono affacciare nella mente di una donna che non riesce a concepire.
Successivamente la diagnosi, quando conferma la presenza di fattori organici che ostacolano la gravidanza, ma anche quando non riesce a rintracciare niente di somatico che possa spiegare le difficoltà di concepimento, pone la coppia in difficoltà. Ci può essere un rifiuto iniziale della diagnosi di infertilità, poi, di solito, emergono sentimenti di rabbia, senso di inadeguatezza, invidia. L’identità personale è in crisi, e inizialmente sembrano le donne in difficoltà maggiore rispetto agli uomini, per la mancata realizzazione del ruolo centrale della maternità con la conseguente perdita della identità sociale, di coppia e personale.
Una donna mi dice: (…) ho da poco scoperto che mio marito è affetto da una severa oligoastenozoospermia, non vi dico la delusione. Sono sposata da quasi 5 anni, da circa 2 anni e mezzo proviamo ad avere figli. Con questa diagnosi praticamente mi è cascato il mondo addosso, non provo più piacere per niente, mi sono chiusa in me stessa e mi sento molto depressa. Non me l'aspettavo, mi sento fallita, tutti quelli che ci circondano fanno figli tranquillamente quando vogliono. Mi pervade un sentimento di rabbia ed invidia. Brutto ma è così. Mio marito invece è fiducioso, non vuole parlarne mai ed evita l'argomento. (…)Vorrei che fosse tutto più semplice e che si risolvesse nella maniera più naturale possibile, ma in cuor mio so che non è così. La mia vita da quel giorno è molto cambiata non riesco più a stare tranquilla, vivo in una situazione d'ansia continua. Scusate x lo sfogo ma non so con chi parlare.
Questa lettera descrive bene la delusione conseguente alla diagnosi, i sentimenti depressivi e l’autosvalutazione, la rabbia e l’invidia che molte provano. Testimonia la differenza tra uomo e donna nell’affrontare la difficoltà a concepire, parla della solitudine che spesso sente chi vive questa situazione. L’ansia aumenta ad ogni tentativo e ad ogni fallimento il dolore sembra raddoppiarsi, mi scrive una donna che, in seguito all’ennesimo insuccesso, si sente stanca, svuotata, pervasa da un sentimento di frustrazione.
Leggo in una lettera: (…) abbiamo fatto il primo tentativo di fivet e....io sto quasi andando fuori di testa dall'ansia che mi pervade...non riesco a rilassarmi perché sono letteralmente ossessionata dalla paura che vada male tanto che riesco ad avere sentimenti solo negativi. Sono consapevole di dover in qualche modo ridimensionare il tutto...ma forse ho bisogno di un po’ di aiuto. L’angoscia del fallimento che traspare nella lettera è molto forte e probabilmente influenza anche l’esito dell’intervento di procreazione assistita, come una profezia che si autodetermina.
Un’altra donna racconta: Mi sono sottoposta, con esito negativo, alla sesta icsi (…). Praticamente ho fatto tutto in due anni circa. Io vorrei sottopormi anche ad un settimo tentativo, mentre mio marito dice di lasciare stare perché non vuole vedermi più soffrire per gli esiti negativi alla fine di ogni ciclo. (…)non riuscire a fare un figlio mi demoralizza molto e mi sento frustrata ed inutile. Ho paura che lasciando stare ora (ho 37 anni) più tardi potrei pentirmi di non aver provato ulteriormente. Avere dei rimpianti mi farebbe più male...(…) Sono molto confusa su cosa voglio veramente, e non so come fare a sbrigliare la matassa dei miei pensieri a volte in contraddizione.
Questa lettera parla della difficoltà di decidere se proseguire con i tentativi o desistere, della paura di rivivere la sofferenza sperimentata ma anche del timore di ritrovarsi con dei rimpianti. Spesso, poi, la donna non è d’accordo con il compagno sulle scelte da fare, l’uomo è meno coinvolto mentre la donna si può sentire più responsabile perché maggiormente interessata dal trattamento medico, perciò è importante che i partner riescano a comunicarsi i diversi vissuti. Il percorso della procreazione assistita è impegnativo, e chi mi scrive sente il bisogno di chiarire i propri desideri, i sentimenti, le emozioni, i pensieri, i bisogni, per scegliere con convinzione e responsabilità.
Trapela, nelle e-mail che leggo, un doloroso senso di solitudine e una forte esigenza di parlare, di condividere le proprie esperienze, i propri vissuti, cosa che aiuterebbe a ridimensionare le difficoltà e a scoprire le proprie risorse. Dice una donna: (…) Il parlarne, poi, certamente aiuta ma, a parte con mio marito, che oltre al conforto morale mi offre il suo più razionale punto di vista, più distaccato forse perché il problema non dipende da lui (dice che la sua preoccupazione sono io non il figlio che non arriva), con le, poche, amiche che hanno vissuto la stessa situazione, conoscendone il peso, per discrezione evito. Con le amiche che non hanno avuto problemi mi sembra di mostrarmi troppo piagnona e di suscitare commiserazione. Infatti mi dicono che reagisco bene (!!) e questo le porta a fare cose "normali" (come parlarmi delle difficoltà nel seguire i bambini, invitarmi alle feste di questi ultimi ...) che in parte mi feriscono. Da "zia" premurosa mi sto trasformando in anonima amica della mamma che ogni tanto si fa sentire. (…)
Dalla lettera emerge il senso di estraneità che avverte questa donna che si sente non capita da chi è più vicino; ancora: l’invidia nei confronti di chi ha figli, la rabbia e il senso di colpa per i sentimenti provati, che la fanno chiudere di più in sé stessa. Questa donna indica anche la maggior capacità degli uomini di accettare, di solito, la mancanza di figli. Un altro problema che alcune donne mi segnalano durante il proprio percorso clinico riguarda la sessualità. Il rapporto sessuale può, a volte, finalizzarsi esclusivamente al concepimento: i ritmi della fertilità biologica della donna sostituiscono quelli del desiderio, la sessualità perde la sua valenza affettiva.
In una lettera ancora una donna mi dice: Ho 33 anni e mio marito 34. Stiamo affrontando la prima fivet, ci siamo arrivati dopo 4 anni di tentativi. Ne abbiamo fatte davvero di tutti i colori e nonostante paia che non ci siano problemi tecnici questo figlio non arriva. Siamo arrivati alla frutta! Non abbiamo più rapporti da tre/quattro mesi (tanto ci pensavano i medici). Escludendo che mio marito abbia altre "valvole di sfogo", la cosa mi preoccupa molto anche perché per me, nonostante che il desiderio sfolgorante sia tramontato da un po’ di tempo grazie alle varie terapie cui ci siamo sottoposti, il desiderio di una vita sessuale c'è ma non lo percepisco da mio marito. Ho fatto un paio di tentativi appena accennati ma lui glissa distrattamente. Ci stiamo allontanando inesorabilmente e se qualche tempo fa non avrei dato troppo peso alla cosa, adesso non nego che mi spaventi dato il difficile momento che stiamo attraversando.(…) Io e mio marito siamo sposati da 7 anni ma stiamo insieme da 18 anni e siamo sempre stati bene insieme.
Un’altra donna scrive: (…) Ho 37 anni ed ho appena ultimato il mio secondo ciclo di pma. Il mio problema è che da quando abbiamo iniziato con questi cicli, il rapporto con mio marito è cambiato. Lui è molto premuroso e attento, ma c’è stato, soprattutto da parte sua, un forte calo di desiderio mai verificatosi in passato. È normale? Cosa posso fare? A volte mi pesa soprattutto perché in un momento difficile come questo avrei bisogno di rassicurazioni e di conferme. In queste lettere emerge come l’iter terapeutico possa provocare un calo del desiderio, proprio mentre nella coppia c’è maggior bisogno di sostegno reciproco. Un altro tema molto importante che mi è stato proposto tramite e-mail è quello del segreto. Alcune donne si interrogano sulla possibilità di parlare con i figli della vicenda del loro concepimento, soprattutto se i figli nascono da un’eterologa.
Una donna che sta per accettare il seme di un donatore scrive: (…) Il problema di fondo penso sia proprio il fatto di dover nascondere una cosa del genere al bimbo così nato. Su questo siamo d'accordo entrambi .. nessuno deve sapere. Ma cosa succederà se un giorno il diretto interessato dovesse scoprirlo? Non é una possibilità remota ... magari fra 20 anni compreremo i test genetici al supermercato. Cosa succederebbe allora ... come può reagire una persona scoprendo una cosa del genere? Insomma di una cosa siamo sicuri, un figlio nato così sarebbe amato e il pensiero che un estraneo ha partecipato non ci turberebbe in alcun modo in questo senso. Sono tutte le altre questioni che ci danno da pensare. È difficile trovare informazioni a riguardo .. intendo dire persone che hanno affrontato la stessa cosa e che hanno in un qualche modo avuto gli stessi dubbi. (…) Ho bisogno di parlarne e di capire. (…)
La volontà di non rivelare niente è condivisa da una donna che ha avuto due figli con inseminazione eterologa, e dice: (…) A seguito di questa scelta ho sempre pensato, e lo penso tuttora, che i miei figli non avrebbero dovuto sapere nulla di questa storia. Ho perfino cancellato tutte le tracce (certificati medici, analisi ecc.) in modo che non potessero capitare nelle loro mani quando sarebbero stati più grandi e magari intuire qualcosa. Nessuno, tranne i nostri genitori, sa di questa storia. Ho però sempre avuto il terrore che prima o poi loro potessero venire a sapere. Dopo tanti anni sono riuscita a confidarmi con una carissima amica la quale mi ha suggerito, per disinnescare questa paura, di prendere in considerazione la possibilità di dirlo ai miei figli, trovando naturalmente il momento ed il modo giusto. Io continuo ad essere contraria, ma vorrei però liberarmi di questa paura. (…)
Il tema del segreto, trattato in queste ultime lettere, solleva interrogativi sui quali sarebbe utile e importante lavorare anche una volta che l’iter terapeutico si concluda con il raggiungimento dell’obiettivo tanto desiderato. Credo che un percorso psicologico che accompagna la procreazione assistita possa eventualmente proseguire dopo, qualunque sia l’esito, perché la coppia possa affrontare le proprie scelte in un contesto adeguato.
Le donne che mi hanno scritto al sito internet mostrano di aver bisogno di affrontare le dinamiche psicologiche che si sviluppano lungo il processo della procreazione assistita. Da qui l’utilità di offrire alle coppie una serie di incontri dove condividere le sensazioni, i pensieri, le emozioni e le motivazioni emergenti per accrescere la consapevolezza e scoprire le proprie risorse.