Max Planck La crisi della fisica classica ed il sorgere della meccanica quantistica Dott. Trevito – dipartimento di Filosofia della scienza Dott. Romano.

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Max Planck La crisi della fisica classica ed il sorgere della meccanica quantistica Dott. Trevito – dipartimento di Filosofia della scienza Dott. Romano – dipartimento di Fisica nucleare

La crisi della fisica classica La scienza di fine ‘800 si basava su due pilastri della fisica classica: La meccanica L’elettromagnetismo In cui si identificavano due tipi di fenomeni, quelli corpuscolari e quelli ondulatori, che avevano forme di evoluzione diverse e inconciliabili tra loro. Alcuni lavori sperimentali, realizzati, verso la fine dell’800, mostrarono in modo indiscutibile delle caratteristiche in netto contrasto con quanto previsto dalla fisica classica. 2

La crisi della fisica classica Uno dei problemi sollevati dagli esiti dei suddetti lavori fu il cosiddetto problema del corpo nero destinato andare vita a una delle più grandi rivoluzioni concettuali della storia del pensiero scientifico e a gettare le basi della teoria dei quanti. 3

La nascita della meccanica dei quanti La nascita della meccanica dei quanti può essere fatta risalire al 1900, quando Max Planck (1858-1947) risolse il problema del corpo nero grazie all’idea che l’energia non è emessa ed assorbita in quantità continue, ma in quantità discrete dette appunto quanti. Un po’ meno precisi si può essere quando si cerca di identificare il passaggio dalla meccanica dei quanti alla cosiddetta “meccanica quantistica”, ossia alla teoria fisica che prenderà il posto della meccanica classica nel dominio dei fenomeni microscopici. 4

La nascita della meccanica dei quanti Si può pensare che questo passaggio avvenga attorno al 1925-1926, ossia nel periodo in cui si inizia a lavorare alla sistematizzazione della nuova teoria, processo che si compirà nel 1932, quando verrà pubblicato i fondamenti matematici della meccanica quantistica di John von Neumann (1903-1957). Questo volume non deve essere considerato solo come contenente la versione più matura della meccanica quantistica, ma anche come il suggello della vittoria di una particolare interpretazione. 5

Le due scuole di pensiero Due sono infatti le interpretazioni della meccanica quantistica. La prima che risulterà poi vincente, si era formata ad opera dei fisici che operavano nella città di Copenhagen, fra cui Niels Bohr (1855-1962), e di Gottinga, dove sotto lo scudo di David HIlbert (1862-1943) lavoravano Max Born (1882-1970), Wolfang Pauli (1900-1958), Werner Heisenberg (1901-1980) e, appunto von Neumann. La descrizione fisica dei fenomeni subatomici è indeterministica perché anche il mondo è così. La formulazione della teoria è completa e non serve completarla con altre variabili non ancora note (“variabili nascoste”). 6

Le due scuole di pensiero Contro questa scuola, e contro l’interpretazione della meccanica quantistica da essa sostenuta, si raccolse invece un nucleo di fisici che annoverava fra i suoi maggiori esponenti Albert Einstein (1879-1955), Louis De Broglie ed Erwin Schrödinger (1887-1961). La formulazione della meccanica quantistica (pur essendo questa una buona teoria), deve essere completata per farne una teoria deterministica in quanto il mondo è metafisicamente deterministico. Concludendo,per Einstein la meccanica quantistica è una descrizione incompleta del mondo.

Dio non gioca a dadi In questa lettera del 4/12/1926 a Born, Einstein esprime il suo disappunto verso la meccanica quantistica esprimendo il suo famoso parere secondo cui Dio “non gioca a dadi col mondo”. Caro Born […] la meccanica quantistica è degna di ogni rispetto, ma una voce interiore mi dice che non è ancora la soluzione giusta. E’ una teoria che ci dice molte cose, ma non ci fa penetrare più a fondo il segreto del gran Vecchio. In ogni caso, sono convinto che questi non gioca a dadi col mondo. 8

Dal certo al probabile La meccanica quantistica, introdusse nello studio dei fenomeni naturali un atteggiamento opposto a quello tradizionale sostituendo alle previsioni univoche sul moto dei corpi, tipiche della meccanica classica, previsioni regolate dal concetto di probabilità. La meccanica quantistica concerne la descrizione dei fenomeni che avvengono su scala microscopica (atomica, subatomica, nucleare, subnucleare) 9

Onda o corpuscolo? Una delle innovazioni fondamentali introdotte dalla meccanica quantistica fu una particolare simbiosi fra due concetti originariamente antitetici nella descrizione dei fenomeni naturali: quello di onda e quello di corpuscolo, sui quali grandi scienziati come Newton e Huygens si erano fondati per fornire interpretazioni opposte sulla natura delle radiazioni luminose. 10

Il corpo nero Ogni corpo emette radiazione elettromagnetica, la cui energia è correlata con la sua temperatura. Tuttavia, non sempre la temperatura di un corpo è sufficiente per rendere visibile la radiazione emessa. Per esempio, per avere della radiazione visibile emessa da una barra di ferro, bisogna riscaldare a qualche centinaio di gradi centigradi. Comunque, un corpo non solo emette radiazione, ma anche assorbe tutta la radiazione. 11

Il corpo nero Se un corpo assorbe tutta la radiazione che gli arriva, indipendentemente dalla sua temperatura e dalla frequenza della radiazione incidente, si dice che si è in presenza di un corpo nero. Verso la fine dell’Ottocento ci si chiedeva quale fosse l’equazione che descriveva lo spettro della radiazione emessa da un corpo nero. 12

Il corpo nero Questo problema fu risolto nel 1900 da Max Planck grazie alla sua ipotesi della quantizzazione dell’energia, secondo cui ogni processo di assorbimento e di emissione di radiazione di frequenza ν avviene non in modo continuo ma in una successione discreta di eventi elementari, ognuno dei quali comporta l’assorbimento o l’emissione di radiazione avente un quantità di energia pari a: E = hν dove h è una costante universale (da allora nota come costante di Planck), che vale 6,6310-34 Joule-secondo. 13

L’atomo di Bohr L’idea della quantizzazione dell’energia fu poi usata nel 1913 da Bohr per proporre il suo modello di sistema atomico, secondo cui gli elettroni che circondano il nucleo non possono stare in orbite ben precise, ognuna caratterizzata da un particolare valore dell’energia E. In tale modello l’elettrone può passare in un’orbita superiore caratterizzata da un’energia E’ e quindi l’atomo passa a uno stato di eccitazione solo quando assorbe esattamente energia pari a E’ – E, cioè quando assorbe energia avente frequenza ν tale che: hν = E’ – E Analogamente, nel processo di diseccitazione atomica, l’elettrone passa da una orbita di energia superiore E’’ a un’orbita a energia inferiore E, emettendo energia con una frequenza ν tale che: hν = E’’ – E 14

L’EFFETTO FOTOELETTRICO Il fisico tedesco Lenard nel 1902 aveva scoperto che quando la luce colpisce alcuni metalli, questi espellono degli elettroni. L’effetto fotoelettrico consiste appunto in tale fenomeno. Andando ad indagare più a fondo i fisici avevano scoperto, con grande sorpresa, che gli elettroni espulsi avevano velocità e, quindi, energia che non dipendeva affatto dall’intensità della luce incidente. La velocità dipendeva, invece, dalla frequenza della radiazione incidente. 15

L’EFFETTO FOTOELETTRICO: 16

L’EFFETTO FOTOELETTRICO L’ipotesi di Einstein della quantizzazione dell’energia estesa alle radiazioni spiegava invece perfettamente logico il fenomeno. Quando i fotoni, quanti di energia, urtano la superficie del metallo, una parte della loro energia hν serve a vincere il potenziale attrattivo che tiene legato l’elettrone all’atomo; la rimanente si trasforma in energia cinetica dell’elettrone espulso, secondo l’equazione: 17

L’aspetto corpuscolare della radiazione Nel 1905 Einstein, per rendere conto dell’emissione di elettroni da una superficie metallica su cui incideva della radiazione elettromagnetica (effetto fotoelettrico), introduce l’idea che tale radiazione non solo fosse quantizzata nel momento dell’assorbimento o dell’emissione, come aveva proposto Planck, ma che viaggiasse in pacchetti, o quanti di energia, detti fotoni, ognuno con una energia pari a E = hν dove ν era la frequenza della radiazione stessa. Questo significa che alla radiazione si devono attribuire anche delle caratteristiche che fino ad allora si erano attribuite solo alla materia e cioè che essa viaggiasse in corpuscoli, anche se privi di massa, aventi una quantità di moto pari a: dove c è la velocità della radiazione. 18

L’effetto Compton Se il fotone, il quanto di radiazione elettromagnetica, è pensato come un corpuscolo dotato di quantità di moto, allora per esso deve valere tutta la teoria degli urti usuali dotati di quantità di moto. E, in effetti, così è, come mise in luce sperimentalmente nel 1923 il fisico americano Compton. Egli realizzò un’esperienza che consentiva di deviare una radiazione per mezzo di elettroni. Il fenomeno è noto come effetto Compton. La conclusione di tale esperimento fu che un elettrone si comporta proprio come una particella. 19

L’Effetto Compton Compton ottenne la seguente espressione per la variazione della lunghezza d'onda dei raggi X: dove h è la costante di Planck, m la massa dell'elettrone, e c la velocità della luce. 20

L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA In modo puramente teorico, nel 1915 De Broglie pensò che se la radiazione presentava il duplice aspetto di onda e corpuscolo, così doveva essere anche per la materia. Questa intuizione non era però accompagnata da una precisa formulazione teorica. Fu Erwin Schrödinger a dare una sistemazione completa a tutta la materia. Ne scaturì la meccanica ondulatoria. Ossia, a un corpuscolo materiale di energia E e quantità di moto p doveva corrispondere una lunghezza d’onda: 21

L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA Esempio: calcoliamo la lunghezza d’onda associata ad una pallina avente massa di 50 g e che abbia una velocità di 10 m/s. Essa sarà: = 6,626 × 10-34 / 5 ×10-2 × 10 = 6,626/5 × 10-33 Si tratta come si vede, di una distanza infinitesima. 22

L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA Ebbene, nel 1927 Davisson e Germer e poi Thomson corroborarono empiricamente questa ipotesi teorica, mostrando che agli elettroni, in certe occasioni, erano attribuibili caratteristiche tipicamente ondulatorie. In conclusione, si era arrivati a mostrare che la materia presenta degli aspetti ondulatori.

Il principio di complementarietà Si era così mostrato sia per via teorica sia per via sperimentale, che gli oggetti subnucleari, cioè gli oggetti quantistici, erano caratterizzati da una complementarietà onda corpuscolo, la quale comportava che essi potessero essere osservati come corpuscoli nelle situazioni sperimentali atte a rilevare gli aspetti corpuscolari e come onde nelle situazioni sperimentali atte a rilevare aspetti ondulatori. Tuttavia, l’aspetto corpuscolare e l’aspetto ondulatorio non potevano essere rilevati simultaneamente. 24

Il principio di indeterminazione Nella meccanica classica è possibile determinare simultaneamente la posizione x e la velocità v (cioè la quantità di moto p=mv, dove m è la massa della particella) con la precisione che si vuole, naturalmente in funzione della bontà degli strumenti di misura che si usano. Questo non vale più per gli oggetti quantistici, come ha messo in evidenza Heisenberg. Supponiamo di voler misurare la posizione di un elettrone. Per fare questo gli mandiamo contro un fotone; l’urto rivelerà dove si trova l’elettrone. L’interazione fra l’elettrone ed il fotone comporterà che quest’ultimo uscirà dall’interazione con una velocità (quantità di moto) diversa da quella che aveva prima. Bisogna infatti tener conto che ora anche al fotone è associata una quantità di moto. 25

Il principio di indeterminazione Insomma, per misurare la posizione dell’elettrone dobbiamo perturbare il suo stato, rendendo impossibile misurare con la stessa precisione la sua velocità. Questa idea che, a livello quantistico, una qualunque misura perturbi l’oggetto che si vuole misurare, è sintetizzata nel principio di indeterminazione proposto da Heisenberg, secondo cui è impossibile misurare con precisione assoluta contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di un oggetto quantistico. 26

Il principio di indeterminazione Se indichiamo con Δ l’indeterminazione della misura, si ha che: Ossia che il prodotto dell’indeterminazione nella misura della posizione e dell’indeterminazione nella misura della quantità di moto deve sempre essere maggiore o uguale a Questo comporta che vi è un limite alla precisione raggiungibile nella conoscenza dei valori assunti simultaneamente da certe grandezze fisiche, come per esempio la posizione e la quantità di moto di una particella. Insomma, l’operazione di misura fatta per conoscere il valore della prima grandezza perturba la conoscenza del valore della seconda grandezza. 27

Accordo tra teorie classiche e quantistiche Dividendo per m la relazione e ricordando che Δp = mΔv, abbiamo : Questa espressione ci dice che il valore dell’indeterminazione, espresso dal secondo membro, diventa praticamente trascurabile non appena m acquista valori che siano anche solo di qualche microgrammo. In altri termini, per corpi di dimensioni non subatomiche, la meccanica quantistica dà risultati in perfetto accordo con la meccanica classica. Le teorie quantistiche, quindi, non vanno intese in contraddizione con le teorie classiche. Esse si rendono necessarie nello studio di corpuscoli di dimensioni atomiche e subatomiche. 28