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La comunicazione della diagnosi ai fratelli e alle sorelle di persone con disabilità Contenuto della comunicazione e problemi correlati Istituto Superiore di Sanità 14/2/09

. L’argomento “comunicazione della diagnosi” è molto complesso. Esso coinvolge, in un primo momento, il medico e i genitori e, successivamente, gli altri figli, gli zii, i nonni, gli amici e i colleghi della coppia. In occasione di questa giornata di studio e di confronto tenteremo di analizzare, dedicando particolare attenzione alla comunicazione della diagnosi ai fratelli e alle sorelle delle persone con disabilità, i criteri e le modalità per comunicare una diagnosi difficile in modo soddisfacente. I contenuti di queste slide riprendono integralmente, riassumendoli, gli scritti della Dott.ssa Anna Zambon alla cui opera si rinvia. I contributi del Gruppo Siblings sono pubblicati sul sito www.siblings.it ove è riportata anche la bibliografia di riferimento. .

Mi chiamo Carla Fermariello, ho 33 anni e sono la sorella di Ada, che oggi ha 31 anni e fa il medico, e di Giulia, una ragazza con sindrome di Down di 26 anni. Sono vice presidente del Gruppo Siblings onlus - gruppo di sorelle e fratelli di persone con disabilità nato a Roma nel 1997.

La comunicazione della diagnosi ai genitori (A. Zambon) Dire ai genitori che il loro bambino è nato con una malformazione congenita significa dare un dolore che alcuni medici possono ritenere definitivo e insopportabile. Può accadere dunque che il medico, lasciandosi sopraffare dall’ansia, crei una barriera tra sé e i genitori e li abbandoni ad una secca e incerta diagnosi, data spesso al padre, lasciato da solo ad affrontare il compito di parlare con la moglie. In verità i genitori ricordano a distanza di anni le esatte parole del medico, il suo atteggiamento e le emozioni provate.

Quando nasce un bambino con una diagnosi difficile da comunicare il medico può affrontare la famiglia con modalità che saranno tanto più adegaute quanto più avrà informazioni: Su quali siano i criteri essenziali per comunicare la diagnosi in modo soddisfacente; Sul bambino e sulla persona con disabilità con le sue specificità; Sull’impatto che quel bambino potrà avere sul destino della sua famiglia. Le parole usate dal medico potranno rappresentare per i genitori un modello a cui riferirsi nel dare la notizia di questa nascita agli altri (nonni, zii, amici, colleghi).

Le parole usate dal medico e soprattutto il suo atteggiamento saranno ricordati dai genitori per tutta la vita con riconoscenza o con disagio. Dagli studi sulla famiglia si possono evidenziare 4 criteri da seguire per una modalità ottimale: Empatia Rispetto (buone maniere) Uno spazio privato Tempo (il massimo possibile)

Quando si comunica una diagnosi difficile è bene che: i genitori siano convocati insieme (per evitare che uno dei due abbia il compito di dare la notizia all’altro) il bambino sia presente e che venga chiamato per nome i genitori siano convocati per un secondo colloquio dopo pochissimi giorni

Le parole da usare per comunicare una diagnosi difficile ai genitori Cliff Cunningham (1994), celebre studioso delle famiglie, suggerisce di cominciare il discorso in questo modo, (che è risultato essere il più soddisfacente per i genitori): “Buon giorno sono il dott….Ho esaminato il vostro bambino/a (se possibile usare il nome del bambino, tenendolo in braccio e toccandolo) e ho trovato degli elementi importanti che ci indicano che ha……Sapete di che cosa si tratta?”. Cunningham aggiunge che è bene evitare espressioni negative come “mi dispiace dovervi dire che…”, ecc. E di continuare il discorso secondo le reazioni. Aggiunge di parlare con calore (warmth), mostrando comprensione, e di usare parole semplici. Suggerisce infine di offrire ai genitori la possibilità di essere lasciati soli per esprimere le proprie emozioni più liberamente.

La comunicazione della diagnosi ai siblings Quando nasce un bambino con disabilità è necessario comunicare la diagnosi anche agli altri figli, il più presto possibile, qualunque sia la loro età. Se il bambino con disabilità è il primogenito la comunicazione della diagnosi va fatta anche ai fratelli minori.

Essere fratello o sorella di una persona con disabilità non è come esserne genitori, per questo motivo “comunicare la diagnosi” ai fratelli pone problemi in parte differenti. Anche se ritenuti troppo piccoli per comprendere, gli altri figli si accorgono molto precocemente delle differenze tra se stessi e il fratellino (o sorellina): le particolarità somatiche e le difficoltà di apprendimento sono evidenti anche per un bambino di pochi anni che, comunque, è perfettamente in grado di fare paragoni tra le sue abilità e quelle del fratello. Per questo motivo è necessario spiegare anche agli altri figli che cosa abbia di speciale il loro fratellino: sarà così più semplice per loro comprendere perché egli abbia bisogno di particolari attenzioni e cure. La disponibilità, la serenità e la chiarezza degli adulti nel dare le informazioni consentiranno al bambino/a di gestire più facilmente la disabilità, di integrarla più armoniosamente con il mondo esterno.

Non appena i genitori saranno in grado di farlo nel modo più sereno possibile sarà opportuno quindi: comunicare la diagnosi agli altri figli, anche piccoli, il più presto possibile con parole semplici e chiare; spiegare loro il concetto di disabilità con esempi concreti; rassicurarli dando spazio e tempo alle loro domande.

Il contenuto della comunicazione varierà a seconda del carattere e delll’età del bambino. Ciò che conta è: che le spiegazioni vengano date in modo chiaro, rassicurante ed empatico; che venga data disponibilità di spazio e tempo per rispondere alle domande, anche poste succesivamente; .

E’ desiderabile che a dare le prime spiegazioni siano i genitori; tuttavia anche un altro adulto, quale un parente o il medico stesso, può dare risposte e informazioni più che adeguatamente Può accadere che gli altri figli non pongano domande, ciò non vuol dire che non siano disorientati da quanto è accaduto. Anzi, ciò che dà maggior disagio in età infantile è proprio la mancanza di spiegazioni spontanee e precoci da parte dei genitori, dei nonni o di altre persone vicine.

Le ricerche sulla famiglia condotte dagli anni ‘70 ad oggi mediante gruppi di controllo dimostrano che, contrariamente agli stereotipi, nelle famiglie in cui vi è una persona con disabilità c’è un maggiore impegno sociale e un numero minore di divorzi. Per quanto riguarda i siblings è emerso che: Sono più affettuosi con il fratello disabile piuttosto che con gli altri fratelli; sono più maturi socialmente e in grado di manifestare comprensione per le differenze individuali delle persone; sono più flessibili e in grado di tollerare i cambiamenti; sono più riflessivi; sono più responsabili, più affettuosi, più generosi.

Quali parole usare per comunicare la diagnosi ad un bambino che ha un fratello con difficoltà? Ci sembra che sia esemplare il racconto di Federico, al quale la disabilità fu spiegata dalla sorellina maggiore

“E’ stata Raffaella a spiegarmi quel che aveva Claudia “E’ stata Raffaella a spiegarmi quel che aveva Claudia. Quando è nata avevo cinque anni: non capivo che cosa fosse successo. Vedevo mio padre nervoso, mia madre stravolta. Sapevo che Claudia era malata di cuore, ma che con una operazione sarebbe guarita. E allora? Qual era il problema? Il problema si chiamava, genericamente, ritardo mentale. Un eufemismo che io, comunque, non riuscivo a capire. E allora Raffaella (otto anni o giù di lì) mi ha spiegato. Mi ha detto: “Hai presente l’Archimede Pitagorico dei fumetti? Ogni volta che ha un’idea... pac, gli si accende una lampadina sulla testa. Ecco, a Claudia, quella lampadina, si accende molto, molto dopo”.

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