Premessa Con L’epistola Al conte Carlo Pepoli, del 1826, Leopardi aveva pronunciato in via definitiva la rinuncia alla poesia. Alla base di tale distacco.

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La seconda fase della poesia leopardiana (1828-1830): i canti pisano-recanatesi

premessa Con L’epistola Al conte Carlo Pepoli, del 1826, Leopardi aveva pronunciato in via definitiva la rinuncia alla poesia. Alla base di tale distacco stavano: ragioni storiche (la impoeticità del moderno), ragioni ideologiche (la caduta del “sistema della natura e delle illusioni” che aveva animato la prima poesia leopardiana)

Lo spazio ampio del vivere sociale Leopardi è uscito da Recanati. Vive a Bologna, Milano, Firenze, mantenendosi con lavori editoriali per il libraio Stella di Milano, e con lezioni private; conosce e frequenta Teresa Carniani Malvezzi “quella puttana della Malvezzi” Nell’inverno del ’28 si trasferisce a Pisa per il clima

La rinascita della poesia Nella primavera del 1828, in sintonia con il clima e con l’ambiente pisano, Leopardi riprende a comporre testi poetici, componendo in poche settimane Il risorgimento e A Silvia. Nei due anni successivi, tornato a Recanati, scrive Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio; forse anche Il passero solitario. Le analogie tematiche o strutturali intercorrenti tra questi componimenti li isolano nel corpo della produzione leopardiana, facendone un momento specifico e ben caratterizzato.

Il risorgimento (aprile 1828) analizza la crisi che aveva provocato il precedente silenzio poetico ripercorrendone i sintomi sulla base dell’esposizione di Al conte Carlo Pepoli, che non a caso la precede nella struttura dei Canti. Il Risorgimento ha una chiara funzione programmatica – strutturale

A Silvia La prima grande prova delle potenzialità espressive del nuovo atteggiamento, maturato attraverso l’esperienza delle Operette morali e di pertinenti appunti consegnati allo Zibaldone, primo esempio di canzone libera.

Parallelismo di una situazione

Poetica del vago Silvia Solo particolari: Mondo esterno: Occhi ridenti e fuggitivi Lieta e pensosa Perpetuo canto tenerella Mondo esterno: Solo particolari Le vie dorate e gli orti Il maggio odoroso Il ciel sereno Le quiete stanze

Filtrazione di dati concreti attraverso l’immaginazione Nei Ricordi di infanzia e di adolescenza:”canto delle figlie del cocchiere ed in particolare di Teresa mentre ch’io leggeva” Filtro fisico: la FINESTRA (io lirico separato dal mondo da un diaframma) Interiorità vs esterno \\ immaginazione vs reale

filtraggio Immaginazione: teoria della doppia visione che attribuisce al canto echeggiante in una stanza valore evocativo Memoria: trasfigura il dato reale, recuperando il ricordo delle illusioni Letterietà: qui Virgilio, Aen. VII, 111-14: Solis filia lucos\adsiduo resonat cantu […]arguto tenues percurrens pectine telas Filosofia: l’illusione “ricordata” non può essere recuperata

L’aspirazione alla pienezza vitale (speranza= VITA) Viene ostinatamente negata dalla natura maligna Linguaggio del VERO (Berardi) Diviene protesta, rivendicazione consapevole -“eroica” -lucidamente perseguita attraverso una “filosofia dolorosa ma vera” asprezza dolcezza vs

livelli Fonico : Morfologico Liv. Sintattico: Liv. Retorico fonemi \vi\ (fuggitivi, solevi, salivi, festivi, perivi, Silvia) \a\r\=dilatazione dello spazio Morfologico : imperfetto vs presente = continuità-durata-memoria-illusione vs constatazione del vero-consapevolezza-delusione Liv. Sintattico: sintassi piana, subordinate prev. Temporali (solo nel moento riflessivo compaiono anafore e congiunzioni) Liv. Retorico :numero limitato di metafore e personificazioni. Il linguaggio “ardito” del vero fortemente metaforico e titanico compare nelle strofe dedicate al vero (4 e 6) Liv. Metrico :endecasillabi e settenari senza schema fisso, rime liberamente ricorrenti, settenari dissimulati dentro endecasillabi (prevalentemente senza pausa intena; quelli spezzati riflessivi, di protesta); in enjambement le parole che indicano le mete irraggiungibili (diletti, giovanezza)

La terza fase della poesia leopardiana (1831-1837) Walter Binni “poetica eroica”

Situazione definitivo abbandono di Recanati, nel 1830, impegnativo contatto con l’ambiente fiorentino dei cattolici moderati dell’«Antologia», nuove e intense esperienze esistenziali, soprattutto d’amore il confronto - negli anni napoletani- con una tendenza culturale dominante di tipo spiritualistico-regressivo

L’amore l’esperienza dell’amore, vissuta con intensità negli anni fiorentini tra il 1830 e il 1833. passione del poeta per Fanny Targioni Tozzetti, da lui amata senza essere ricambiato. La donna è chiamata «Aspasia» solo nell’ultimo dei testi a lei dedicati. “Aspasia” è il nome di una etera amata da Pericle; il significato «infamante» (Peruzzi) dal punto di vista etimologico (il termine significa all’incirca ‘donna da letto’) ne rende in qualche modo impropria l’utilizzazione, ormai consueta, per l’intero ciclo (che alcuni studiosi definiscono infatti “canti dell’amore fiorentino”).

Cosiddetto ciclo di Aspasia si compone di cinque testi composti tra la primavera del 1831 e quella del 1834. Il più antico è con ogni probabilità Il pensiero dominante, dedicato a una definizione e rappresentazione concettuale dell’amore. Amore e morte, Consalvo, A se stesso e Aspasia.

modalità l’esperienza della passione amorosa si qualifica al di fuori della tradizione lirica del petrarchismo La radicalità dell’esperienza amorosa costringe a rivisitare l’intero sistema concettuale e filosofico che presiede alla meditazione e alla scrittura leopardiana. Si conferma una volta di più il legame intimo tra esperienza personale e riflessione filosofica.

L’inganno estremo l’amore costituisce una sorta di illusione non consumabile, cioè non smascherabile mai per intero dalla ragione e non cedevole davanti agli attacchi dell’età adulta. Esso è dunque la dimostrazione più profonda dell’infelicità umana, dato che amando si concepisce e accarezza con l’immaginazione una ipotesi di felicità poi non effettivamente realizzabile; ma, al tempo stesso, è la maggiore consolazione concessa dal fato agli uomini, che attraverso questa illusione possono affrontare consapevolmente il male della vita. Per questo l’amore si associa alla morte quale bene supremo per gli uomini. La formulazione del binomio “amore e morte” (oggetto esplicito di uno dei testi del ciclo) sancisce una nuova apertura eroica per il soggetto, che se sperimenta l’amore può sfidare la morte e perfino invocarla.

con le parole di Leopardi Pregio non ha, non ha ragion la vita Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto; Sola discolpa al fato, Che noi mortali in terra Pose a tanto patir senz’altro frutto; Solo per cui talvolta, Non alla gente stolta, al cor non vile La vita della morte è più gentile.        Per còr le gioie tue, dolce pensiero, Provar gli umani affanni, E sostener molt’anni Questa vita mortal, fu non indegno; Ed ancor tornerei, Così qual son de’ nostri mali esperto, Verso un tal segno a incominciare il corso: Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, Giammai finor sì stanco Per lo mortal deserto Non venni a te, che queste nostre pene Vincer non mi paresse un tanto bene. Da Il pensiero dominante

Da Amore e Morte Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte Ingenerò la sorte. Cose quaggiù sì belle Altre il mondo non ha, non han le stelle. Nasce dall’uno il bene, Nasce il piacer maggiore Che per lo mar dell’essere si trova; L’altra ogni gran dolore, Ogni gran male annulla.

Le canzoni sepolcrali La centralità del soggetto biografico lascia il posto a una ricerca fondata su interrogazioni oggettive di carattere filosofico La rinascita della sensibilità come partecipazione al dolore altrui (Plotino e Porfirio) Il “valore sociale del vero” /G.Berardi.

canzoni sepolcrali composte probabilmente tra il 1834 e il 1835, a Napoli ripresa del precedente foscoliano dei Sepolcri e di una tradizione tematica assai diffusa nel periodo neoclassico e preromantico. La morte riacquista in Leopardi la dimensione tragica del lutto che è presente in certi scrittori classici. L’esperienza della perdita diviene l’occasione per interrogare energicamente l’intera vicenda umana, sottoponendo a una verifica esistenziale la condizione dei viventi. Da R. Luperini:Le due canzoni sepolcrali (Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi e Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima) sono per molti aspetti testi gemelli, condividendo il tema e la disposizione dilemmatica della ricerca. In entrambe le canzoni si affiancano ingredienti appassionati e partecipi, commossi e vibranti, da una parte, e un tono distaccato e perfino sarcastico, dall’altra. L’interrogarsi dolente non esclude un falsetto e una leggerezza che implicano la consapevolezza di parlare di questioni essenziali dal limitatissimo punto di vista dell’esperienza umana: il tema impegnato rifiuta il linguaggio dell’assoluto e sceglie di affidarsi a un’alternanza di interrogazioni o dilemmi trepidanti e di risposte desolate e secche; la pietà si riversa sulle domande e rifugge dalle risposte, improntate alla sconsolata ipotesi pessimistica che sta al fondo del sistema leopardiano.

La poesia del periodo napoletano Al periodo napoletano, che abbraccia gli ultimi tre anni e mezzo di vita del poeta, appartengono le estreme composizioni leopardiane: i Paralipomeni della Batracomiomachia (già iniziati però a Firenze nel 1831), il capitolo in terza rima I nuovi credenti, la Palinodia al marchese Gino Capponi, Il tramonto della luna e La ginestra, o il fiore del deserto. Del libro dei Canti non fanno ovviamente parte, per la struttura poematica, i Paralipomeni; e ne viene esclusa anche la polemica — troppo diretta e risentita — dei Nuovi credenti, rivolta a deridere il rinascente spiritualismo dell’arretrato ambiente culturale napoletano. Il tramonto della luna e La ginestra — nate nell’ultimo anno di vita del poeta — troveranno posto soltanto nell’edizione postuma curata da Ranieri, andando a collocarsi quale conclusione effettiva del libro.

La satira Paralipomeni, Nuovi credenti e Palinodia sono dominati da una prospettiva intensamente satirica; e questa attraversa più di un luogo della stessa Ginestra, definendosi così quale cifra stilistica dominante dell’ultimo Leopardi. È l’atteggiamento dissacratore che caratterizza le Operette morali infine penetrato anche all’interno della scrittura poetica. ora rinuncia ai presupposti di poetica sui quali si fondava : l’amore del vago e dell’indefinito, la tensione verso il passato e la memoria. Leopardi sembra ora interessato piuttosto a prendere posizione nel dibattito vivo e attuale della società italiana, contrastando con veemenza la ripresa di tendenze irrazionalistiche e spiritualistiche di tipo antilluministico, nonché i facili miti sociali e politici dei moderati cattolico-liberali.

La ginestra, o il fiore del deserto composta a Torre del Greco, nei pressi di Napoli, nella primavera del 1836 testamento Il paesaggio desolato del Vesuvio è il luogo-simbolo della condizione umana sulla terra, e consente di smentire ogni facile ottimismo consolatorio. Su questa considerazione si innesta la critica, condotta con acuto disprezzo, per le tendenze filosofiche dominanti negli anni della Restaurazione, improntate a uno spiritualismo religioso e a una prospettiva sociale progressista, ma in ogni caso fiduciose nell’antropocentrismo

Leopardi e i modelli della tradizione lirica La lingua dei Canti è il risultato di una sedimentazione di innumerevoli elementi della tradizione, vicina e lontana, classica e volgare. a Parini lo lega poi, oltre che l’adesione alle categorie del sensismo, la sensibilità ai temi civili e impegnati; ad Alfieri il tono agonistico ed eroico, cioè la soggettività preromantica; a Foscolo un comune interesse per i grandi temi esistenziali e filosofici, possibilmente orientati in prospettiva sociale. Leopardi rilegge (e riutilizza) Petrarca attraverso il classicismo sette-ottocentesco, ripresa da Petrarca di materiali linguistici e figurativi, sottoposti però a un rovesciamento ideologico. il modello cristiano messo in opera da Petrarca è ripreso e rovesciato da Leopardi.

Metri, forme, stile, lingua la canzonetta non ha nessuna rilevanza nei Canti, dove conta un’unica presenza (Il risorgimento). sonetto ode, decisivi per il versante classicistico, sono del tutto assenti.

Metri classici ma… Nei Canti non vi sono metri diversi dall’endecasillabo e dal settenario, i versi portanti della tradizione lirica italiana. Tuttavia Leopardi forza tali metri sia attribuendo all’enjambement una funzione di primo piano, sia investendo il rapporto tra metro e sintassi di un’eccezionale carica espressiva. (lo si vede benissimo nella Ginestra)

Forme metriche la canzone (ventuno testi) l’endecasillabo sciolto (undici testi). funzionalizzazione ai diversi contesti espressivi La scelta della canzone quale forma metrica fondamentale si giustifica con la sua tradizione . almeno a partire da Dante e Petrarca, essa corrisponde infatti al livello più illustre e impegnato del discorso lirico, e ben si addice dunque ai temi civili affrontati da Leopardi tra il 1818 e il 1822. Dal modello petrarchesco fondamentale Leopardi si affranca a poco a poco, mettendo a punto una serie di innovazioni, originali o ispirate alla tradizione rinascimentale, barocca e arcadica. Tornando a scrivere canzoni nel 1828, dopo cinque anni, Leopardi produsse infine, a partire da A Silvia, un tipo di canzone radicalmente mutato, definito canzone libera o, appunto, leopardiana. L’altra forma metrica fondamentale dei Canti, l’endecasillabo libero, o sciolto, ha alle spalle una tradizione meno lunga e meno nobile della canzone, nascendo nel Cinquecento e affermandosi pienamente soltanto nella seconda metà del Settecento, quando diviene uno dei metri più in voga.. Lo sciolto è impiegato di solito per usi didascalici, ma si presta bene anche al genere dell’epistola in versi e della satira. Gli esempi illustri di Parini e dei Sepolcri foscoliani incoraggiavano tuttavia anche usi civilmente impegnati. Su questa linea si collocano alcuni componimenti dei Canti, come l’epistola Al conte Carlo Pepoli e la Palinodia al marchese Gino Capponi. Prevale però nei Canti un uso più strettamente lirico dell’endecasillabo sciolto, come negli idilli del 1819-21. Per questo impiego, Leopardi si è rifatto all’esempio di Monti, che negli Sciolti a Sigismondo Chigi e nei Pensieri d’amore aveva adibito il verso sciolto alla libera espressione lirica degli affetti e alla rappresentazione del rapporto io/paesaggio. Nonostante questo modello, la soluzione leopardiana risulta intensamente originale, data la forte connotazione concettuale anche della poesia idillica Canzone libera leopardiana

Le scelte linguistiche di Leopardi risentono profondamente di una intensa elaborazione teorica intorno alla lingua in sé e intorno alla lingua della poesia in particolare. predilezione per voci che esprimano vaghezza, distanza, indefinitezza, parole rare e usi peregrini, discosti dalla norma sulla distinzione tra “termini” e “parole”. funzionalizzazione massima delle parole secondo la prospettiva aperta da questa loro possibile significazione multipla.