Giovanni Verga e il Verismo Cenni biografici su Verga Vita e opere 1-2 Fasi della poetica Esordio e salotti fiorentini Milano: contatti con scapigliati Scoperta del Naturalismo Il ciclo dei Vinti I romanzi del ciclo I Malavoglia: trama e motivi Messa in scena e straniamento Voce narrante e sistema dei personaggi I.I.S. “Carlo Urbani” – Ostia A cura del prof. Luigi O. Rintallo
Vita e opere - 1 Cenni biografici 1840-50 – Il 2 settembre 1840 nasce a Catania da G.B. Verga Catalano, di nobile famiglia, e da Caterina di Mauro proveniente dalla borghesia cittadina. Proprietari terrieri, la famiglia è agiata e gli fa seguire studi regolari. 1851-64 – Frequenta la scuola del poeta Antonio Abate, romanziere e patriota. A 16 anni scrive il primo libro, ispirato alla rivoluzione americana: Amore e patria, che rimane inedito. Iscrittosi alla facoltà di Legge dell’Università di Catania, a 21 anni abbandona gli studi, per dedicarsi all’attività letteraria. All’indomani della spedizione dei Mille, si arruola nella Guardia nazionale, rimanendo in servizio per circa quattro anni. Fonda con Abate il settimanale politico “Roma degl’Italiani”, ma nel 1861 se ne distacca per dissensi con il suo antico maestro. A sue spese fa uscire I carbonari della montagna nel 1862, seguito l’anno dopo dal romanzo Sulle lagune pubblicato in appendice dal giornale filo-garibaldino “Nuova Europa”. Nel 1863 gli muore il padre. 1865-71 – Comincia a risiedere per lunghi periodi a Firenze, città dove si trasferisce nel 1869 attratto dalla sua vivacità culturale. Frequenta i salotti cittadini e diventa amico del letterato Francesco Dall’Ongaro, nella cui casa conosce Giselda Fojanesi di cui si innamora. Nel 1866 pubblica Una peccatrice e intanto lavora ad altri due romanzi Storia di una capinera ed Eva, ispirati ai modelli della letteratura rusticana portata a riconoscere nella vita degli umili pregi e virtù da contrapporre alla corruzione dell’età moderna. Storia di una capinera esce nel 1871 a Milano con prefazione di Dall’Ongaro ed è il primo successo. 1872-81 – A novembre 1872 si trasferisce a Milano, dove rimane per quasi vent’anni pur facendo ritorno periodicamente in Sicilia. Si inserisce nel salotto letterario della contessa Maffei e ha modo di conoscere altri scrittori, fra i quali diversi orbitanti negli ambienti della Scapigliatura (Arrigo Boito, Luigi Gualdo). Pubblica nel 1873 Eva, che riceve aspre censure per la sua “immoralità”. L’anno dopo esce in estratto la novella Nedda, che ottiene un successo inaspettato. Intanto lavora a altri due romanzi, Tigre reale ed Eros, pubblicati nel 1875 dall’editore Brigola. All’uscita di Assommoir (1877) di Zola, l’amico Luigi Capuana si fa animatore di un gruppo di scrittori che si ispirano ai principi del Naturalismo. In una lettera del 1878, Verga annuncia di voler lavorare a un ciclo di cinque romanzi, raccolti sotto un titolo complessivo come quelli dei Rougon Macquart di Zola. Il titolo dapprima è La marea, che muta poi in I vinti. Il 5 dicembre 1878 gli muore la madre. Raccoglie e riordina le novelle scritte fino allora nel volume Vita dei campi (1880): fra esse vi è L’amante di Gramigna, preceduta da una prefazione considerata il manifesto della poetica verista. A settembre 1880 ritrova a Firenze Giselda Fojanesi, da otto anni sposata allo scrittore Mario Rapisardi, e riallaccia la relazione. Nel 1881 l’editore Treves pubblica I Malavoglia, primo titolo del ciclo dei Vinti: le reazioni della critica sono fredde (in una lettera parla di “fiasco pieno e completo”).
Vita e opere - 2 Cenni biografici 1882-87 – Conosce la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo, donna sposata di vent’anni più giovane: con lei intreccia una relazione che si protrae con alterne vicende per tutta la vita. Treves pubblica Il marito di Elena, che non fa parte del ciclo dei Vinti, mentre presso Casanova di Torino escono le Novelle rusticane. A maggio 1882, è a Parigi e si reca a Médan per visitare Zola. Nel 1883 escono le novelle di ambientazione milanese Per le vie. Rientrato a Catania, incontra ancora Giselda Fojanesi, che il marito Rapisardi scaccia di casa alla scoperta di una sua lettera compromettente. Giselda si trasferisce a Firenze, ma la relazione va intanto trasformandosi in una buona amicizia. Il 14 gennaio 1884, al teatro Carignano di Torino è rappresentato il dramma Cavalleria rusticana, ricavato da una sua novella e interpretato da Eleonora Duse nella parte di Santuzza. Pubblica con Sommaruga, editore romano, i racconti dei Drammi intimi. Nel 1885, il dramma In portineria non ottiene il grande successo di Cavalleria ed è accolto tiepidamente. Nel 1887, mentre esce la traduzione francese dei Malavoglia, pubblica un’altra raccolta di novelle: Vagabondaggio. 1888-97 – Fra luglio e dicembre 1888, esce su “Nuova Antologia” Mastro Don Gesualdo, secondo romanzo del ciclo dei Vinti. L’anno dopo, in una versione rivista, è edito in volume da Treves. Nel 1890, l’opera lirica di Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana, consegue un successo trionfale. Poiché il compositore e l’editore Sonzogno non intendono versargli le percentuali che gli spettano di diritto, intraprende una difficile lite giudiziaria che si conclude a suo favore: nel 1893 gli è data la somma di lire 143.000, che garantiscono a Verga la piena tranquillità economica. Ritorna quindi definitivamente a Catania, concedendosi solo qualche viaggio e soggiorno nelle città del “continente”. A Roma con Capuana, nel 1895, incontra Zola. L’anno seguente, a Torino si rappresenta La lupa, dramma in due atti tratto dall’omonima novella. Lavora alla stesura del terzo titolo dei Vinti, La duchessa di Leyra. 1898-1922 –Si dedica in prevalenza alla tutela dei suoi interessi di possidente agrario. Assume in politica posizioni conservatrici. Nel 1901, al Manzoni di Milano sono rappresentati i bozzetti scenici La caccia al lupo e La caccia alla volpe, tradotti l’anno dopo a Parigi per il Theatre Libre di Antoine. Nel 1903, alla morte del fratello Pietro, adotta i suoi figli. Si recita il dramma Dal tuo al mio, che è riscritto in forma di romanzo ed esce a puntate sulla “Nuova Antologia” nel 1905. Nell’edizione in volume presso Treves del 1906, appone una premessa dove scrive: “Se il teatro e la novella, col descrivere la vita qual è, compiono una missione umanitaria, io ho fatto la mia parte in pro degli umili e dei diseredati da un pezzo, senza bisogno di predicar l’odio e di negare la patria in nome dell’umanità”. Interventista nella I guerra mondiale, si dichiara favorevole al nazionalismo. Nel 1919 scrive la sua ultima novella, Una capanna e il tuo cuore, pubblicata postuma sulla “Illustrazione Italiana” del 12 febbraio 1922. E’ nominato senatore del Regno nel 1920, dopo che a Roma e a Catania sono celebrate solenni onoranze per i suoi ottant’anni. Colpito da trombosi, muore a Catania il 27 gennaio 1922. Sulla rivista “Lettura” di giugno, De Roberto pubblica pagine del romanzo interrotto La duchessa di Leyra.
Dagli esordi alla scoperta del Naturalismo Fasi della poetica Dagli esordi alla scoperta del Naturalismo L’attività letteraria di Verga può dividersi in varie fasi, corrispondenti all’evoluzione della sua poetica dall’apprendistato di tipo post-romantico, legato ancora al romanzo storico, alla scelta di avanguardia rappresentata dall’adozione dei modelli naturalistici passando attraverso l’esperienza della narrativa d’appendice che richiama i toni presenti nelle opere della Scapigliatura. I primi romanzi di Verga sono patriottici (I carbonari della montagna) e promuovono gli ideali risorgimentali. Influenzato da Antonio Abate, la sua produzione d’esordio risente pure della tradizione manzoniana legata all’esempio del romanzo storico. In una seconda fase, coincidente col soggiorno a Firenze dal 1869 al 1872, la frequentazione con Dall’Ongaro – esponente della letteratura rusticana – lo avvicina alle tematiche di questa corrente, che tende a rappresentare la vita di campagna con animo filantropico e un intento moralistico. Una peccatrice e Storia di una capinera risentono nell’ispirazione di fondo di queste influenze, sebbene vi siano mescolati motivi di molta letteratura romantica, all’insegna di un gusto un po’ provinciale per stravaganze e passioni esasperate. Il periodo milanese gli fa scoprire la vita di una città industriale e il contatto con gli scapigliati sviluppa elementi di critica sociale anti-borghese. Decadono così i valori romantico-risorgimentali, sostituiti da un’interpretazione maggiormente realista e di natura pessimista. Comincia a leggere le opere dei letterati contemporanei (Zola) e con Capuana inizia una battaglia in favore del “Verismo”. Dopo “Nedda”, muta lo scenario di riferimento e al posto degli ambienti cittadini torna centrale la campagna siciliana. Ma è dopo il 1877 e la lettura di Assommoir di Zola, che prende corpo la nuova poetica verghiana ispirata al Naturalismo francese. Avviene la rottura con la tradizione del romanzo manzoniano e apre alla modernità, proponendosi una narrazione nella quale non intervenga più la lente dello scrittore. Verga aspira a rappresentare cause ed effetti delle passioni umane, in modo tale che “la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile”. Così l’opera sembrerà “essersi fatta da sé”, come un fatto naturale. Sono i criteri delineati nella prefazione a L’amante di Gramigna, una delle novelle raccolte in Vita dei campi.
I romanzi del ciclo Il ciclo dei Vinti Verga rivela l’intenzione di scrivere un ciclo di romanzi in una lettera del 1878 all’amico Salvatore Paola Verdura. Lo definisce una “fantasmagoria della lotta per la vita”, che assume tutte le forme dall’ambizione all’avidità del guadagno. Nella lettera, il ciclo ha per titolo La marea e si compone di cinque romanzi così intitolati: Padron ’Ntoni; Mastro Don Gesualdo; La Duchessa delle Gargantàs; L’on. Scipioni e L’uomo di lusso. Qualche mese dopo, Verga distrugge il primo abbozzo di Padron ’Ntoni e comincia a riscriverlo col titolo I Malavoglia. Terminato il romanzo nel 1881, esso costituisce il primo titolo del ciclo che, nella prefazione al volume edito da Treves, chiama I vinti. Il suo argomento, scrive nella prefazione, è “la vaga bramosìa dell’ignoto”, il desiderio che spinge a migliorare le condizioni di vita e che “produce la fiumana del progresso”, descritto dall’autore non nella sua grandiosità (e positività), ma in quanto portatore di inquietudini e turbamenti che atterrano i rispettivi protagonisti dei cinque romanzi. Di questi, lo scrittore realizzerà soltanto i primi due. 1. I Malavoglia – Storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, che la “ricerca del meglio” allontana dalla età felice per travolgerli in una serie di sciagure che ne demoliscono le basi stesse. La rincorsa verso il benessere è ancora “lotta pei bisogni materiali”, ma condanna alla sconfitta chi la intraprende. 3. La Duchessa di Leyra – Rimasto incompiuto, il romanzo narra di Isabella, figlia di Gesualdo Motta, sposata a un nobile e penetrata come una intrusa nelle classi alte. 4. L’on. Scipioni – Avrebbe dovuto descrivere le vicende del figlio illegittimo di Isabella, raccontando le sue ambizioni politiche tese a “prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega”… “di fare la legge, lui nato fuori della legge”. 2. Mastro don Gesualdo – Il desiderio di elevarsi nella scala sociale assume qui i tratti dell’avidità di ricchezze. Gesualdo Motta, già muratore, obbedisce solo alle leggi della “roba”. Fattosi Don, agli occhi dei borghesi resta però un nuovo arricchito, risultando un “vinto” dalla vita derubato dai profittatori e destinato a morire solo. 5. L’uomo di lusso – Si proponeva di rappresentare la forma suprema dell’ambizione umana, quella che si nasconde sotto il velo delle aspirazioni artistiche.
I Malavoglia: trama e motivi Il ciclo dei Vinti I Malavoglia: trama e motivi La vicenda dei Malavoglia copre un arco di 15 anni, partendo dal 1863. Anche i capitoli del libro sono 15, ma vi è divaricazione fra tempo della storia e tempo del racconto. Nei primi quattro, quasi coincidono mentre negli altri il tempo della storia si allunga a scapito di quello del racconto. Possono distinguersi tre parti della narrazione, che raggruppano i capitoli in questo modo: 1-4, sono dedicati al negozio dei lupini intrapreso dai Malavoglia (nomignolo della famiglia Toscano, riunita intorno al patriarca Padron ’Ntoni) e al naufragio della loro barca Provvidenza in cui muore il figlio Bastianazzo; 5-9, hanno come tema principale il debito dei lupini e terminano con l’abbandono della casa avita del nespolo, ceduta come risarcimento; dopo il capitolo 10 che racconta la tempesta che coglie la barca e ferisce Padron ’Ntoni, ha inizio la terza parte dei capitoli 11-15. Qui il protagonista è ’Ntoni, figlio di Bastianazzo, e copre gli anni 1867-1878 descrivendo la sua ribellione e il suo arresto. Il motivo storico-sociale Oltre a riferimenti storici presenti nel romanzo (battaglia di Lissa del 1866), va rilevata la grande attenzione che Verga dimostra per i problemi economici e sociali. Le ricadute negative dell’Unità d’Italia per il mezzogiorno (leva, tasse) compaiono in più parti del libro, come pure è precisa la descrizione del sistema di potere locale affidato ai notabili. Tuttavia egli non crede nelle ribellioni, perché le giudica inutili e perché anche i ribelli agiscono per tornaconto personale. L’ideale dell’ostrica Nella concezione verghiana, ciascuno deve stare al proprio posto. Ciò viene teorizzato nell’ideale dell’ostrica, cioè della vita come rassegnazione paziente e operosa e come accettazione di una condizione destinata a restare immobile. Nel romanzo, il patriarca Padron ’Ntoni la esprime più volte, ricorrendo a una gran varietà di proverbi tutti intesi ad affermare l’immutabilità della società e delle condizioni di vita. Pessimismo antropologico L’ideologia conservatrice porta Verga a una visione fondamentalmente pessimista. Egli non crede che il progresso sia portatore di innovazioni positive e in questo si distingue dai naturalisti francesi. Inoltre ritiene che sempre ci saranno forti e deboli, governanti e governati, e sempre prevarrà la legge della forza e dell’interesse. In questo assimila il cosiddetto darwinismo sociale, che lo porta a evitare atteggiamenti di tipo populistico o paternalistico.
Messa in scena e straniamento Il ciclo dei Vinti Messa in scena e straniamento Il “fiasco pieno e completo” dei Malavoglia, si spiega col fatto che Verga si proponeva di fare un “romanzo moderno” di avanguardia. Rompendo con gli schemi del passato, egli rifiuta di andare incontro ai gusti del pubblico e decide che stile e forma dell’opera devono essere inerenti al soggetto dell’intreccio: la comunità di Aci Trezza, dove vive la famiglia di pescatori protagonista del libro. Al posto del narratore “mediatore ideologico”, Verga da scienziato della letteratura assume il punto di vista della comunità arcaico-rurale rappresentato. Così si distacca da Zola, che semplicemente osservava dall’esterno. In questo senso, Verga realizza una omologia fra il livello sociologico (l’ambientazione popolare del paese catanese) e il livello formale (il linguaggio e lo stile adottati nel romanzo). La novità del racconto verghiano consiste nell’abolizione della messa in scena, poiché lo scrittore non interviene e i personaggi sono disegnati come se il lettore già li conoscesse. Come letterato verista, l’autore fotografa la realtà ma non la controlla né vi interviene. Fornisce documenti oggettivi per meglio conoscere la società – in particolare quella meridionale – ma lo fa ricorrendo a un nuovo artificio letterario, basato sull’adozione di un punto di vista narrativo interno alla vicenda. La riproduzione del colore locale dei paesani di Aci Trezza non avviene attraverso l’uso del dialetto, bensì sul piano sintattico ricostruendo il loro modo di pensare e distribuire l’ordine delle parole. In tal modo si realizza l’artificio dello straniamento che sorprende il lettore, in quanto basato su due elementi: La differenza fra il punto di vista di chi narra e quello dell’autore La rappresentazione di ciò che è normale come fosse strano e viceversa
Voce narrante e sistema dei personaggi Il ciclo dei Vinti Voce narrante e sistema dei personaggi La voce narrante dei Malavoglia esprime l’ottica egoistica e crudele degli abitanti di Aci Trezza, ai quali il comportamento onesto e disinteressato di Padron ’Ntoni e della sua famiglia appare incomprensibile. Tuttavia il modo di vedere di chi narra non è condiviso dall’autore – Verga – che l’assume senza aggiungervi mai i propri commenti, in nome del criterio dell’imparzialità e dell’oggettività dello scrittore-scienziato. Rappresenta lo spettacolo della lotta per la vita, senza giudicarlo. La logica che ispira questa voce narrante corale è la logica dominante: quella del progresso da cui sono travolti gli ultimi idealisti (Padron ’Ntoni), legati ai miti della società patriarcale. La contrapposizione fra la voce narrante rappresentata dal “coro” dei paesani e la famiglia dei Malavoglia , si esprime pure nel sistema binario con cui sono concepiti i personaggi della storia. Una divisione che, oltre a riguardare da un lato i valori tradizionali della famiglia protagonista e – dall’altro – le leggi dell’interesse dei suoi antagonisti, attraversa la stessa famiglia di Padron ’Ntoni. Valori tradizionali Padron ’Ntoni e il nipote Alessi, che assieme all’orfana Nunziata recupererà la casa del nespolo L’altra nipote Mena che rinuncia a sposare compare Alfio per una questione d’onore Leggi dell’interesse Sono rappresentati dall’insieme degli abitanti, costituenti la voce narrante e – in particolare – dagli antagonisti: Zio Crocefisso, il creditore dei lupini; il mediatore Piedipapera e il segretario comunale Don Silvestro. Nella famiglia Toscano, chi abbandona i valori patriarcali sono il nipote ’Ntoni e Lia, che per questo si perderanno definitivamente