Nonviolenza e Soluzione di conflitti Giorgio Gallo 1 dicembre 2001.

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Nonviolenza e Soluzione di conflitti Giorgio Gallo 1 dicembre 2001

1ª Parte Violenza e Nonviolenza

Riferimenti bibliografici Giuliano Pontara, Antigone o Creonte - Etica e politica nell’era atomica, Editori Riuniti, 1990 Johan Galtung, Peace by Peaceful Means, International Peace Research Institute, Oslo, 1996 Johan Galtung, Conflict Transformation by Peaceful Means, Undp, 2000

A usa violenza verso B se e solo se: 1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche, 2. A fa ciò contro la volontà di B, 3. A fa ciò intenzionalmente, 4. A fa ciò mediante l'uso della forza fisica. Nonviolenza metodi di lotta non militare Violenza fisica attiva

A usa violenza verso B se e solo se: 1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche 2. A fa ciò contro la volontà di B 3. A fa ciò intenzionalmente Nonviolenza modalità di lotta incruenta Violenza fisica

A usa violenza verso B se e solo se: 1. A uccide B oppure infligge a B delle sofferenze o lesioni fisiche o psichiche 2. A fa ciò contro la volontà di B 3. A fa ciò intenzionalmente Nonviolenza modalità di lotta a-violenta Violenza

Nonviolenza negativa I tre concetti di nonviolenza visti sono di tipo negativo, cioè negazioni dei corrispondenti concetti di violenza Metodi di lotta non militari, incruenti, o a- violenti possono essere applicati sia al servizio di cause giuste che di cause ingiuste

Viene usata violenza verso B se e solo se: 1. a B vengono inflitte delle sofferenze o lesioni fisiche o psichiche 2. ciò avviene contro la volontà di B Nonviolenza positiva modalità di lotta nonviolenta diretta sia alla soluzione di conflitti che a cambiamenti strutturali Violenza strutturale

Nonviolenza positiva Modalità di lotta attiva, aggressiva e costruttiva Concezione etica dell’uomo e della società: –Massimo accesso a potere e benessere per tutti –Uguaglianza e autonomia dell’individuo –Empatia nelle relazioni interpersonali

Lotta Satyagraha Astensione dalla violenza Disposizione al sacrificio Rispetto per la verità Impegno costruttivo Gradualità dei mezzi

Astensione dalla violenza La lotta deve comportare il minimo possibile di violenza psichica La lotta non comporta né la minaccia di lesione né la lesione effettiva degli interessi vitali della parte avversa

Disposizione al sacrificio Il gruppo coinvolto deve essere disposto a tutti quei sacrifici che sono necessari a fare avanzare la propria causa e a minimizzare le sofferenze per l’avversario La disposizione a soffrire è testimonianza della serietà con cui si abbraccia la propria causa Le sofferenze sono in genere minori di quelle derivate da una lotta violenta

Rispetto per la verità Massima imparzialità ed obiettività in ogni fase della lotta Non porre obiettivi incompatibili con le idee etiche alla base della nonviolenza positiva Non operare nella clandestinità Essere disposti al dialogo ed a modificare la propria posizione

Impegno costruttivo Operare in modo da iniziare a realizzare, anche nella fase di lotta, il tipo di società che si vuole raggiungere Individuare programmi costruttivi da cui anche il gruppo avversario possa trarre benefici, ed in cui possa essere coinvolto

Gradualità dei mezzi Non ricorrere a forme di lotta più radicali se prima non si sono tentate forme meno radicali (programmi costruttivi su cui fare convergere gli sforzi, tecniche di persuasione, tentativi di compromesso purché non sugli obiettivi essenziali)

La lotta satyagraha bandisce sistematicamente l’uso, la minaccia e la preparazione della violenza perché: la violenza è considerata un male l’impiego della violenza è controproducente così facendo aumenta la possibilità di tenere sotto controllo la reazione violenta dell’avversario, di umanizzarlo, e di condurre il conflitto in modo tale che alla fine non sbocchi nella comune rovina delle parti in lotta

Insicurezza Repressione Resistenza violenta Frustrazione Insicurezza Israele Palestina Il ciclo della violenza

Impostando la lotta in base ai principi del satyagraha, è possibile trasformare conflitti antagonistici in conflitti non antagonistici, cioè conflitti tra parti che condividono alcuni interessi fondamentali e risolvibili senza l’uso della violenza. Impostare la lotta in modo tale da fare scaturire da essa fini che siano di comune interesse, creando così quel minimo di comunicazione tra le parti che è necessario ad uno sviluppo nonviolento della lotta. La nonviolenza positiva si fonda su una concezione ottimistica dell’uomo come essere razionale e capace di comportamento morale anche a livello collettivo e in situazioni di conflittualità acuta. Satyagraha (1)

La nonviolenza positiva, basata sul satyagraha, non è solo un mezzo di lotta, ma è anche un fine, che si configura in una società in cui il potere ed il benessere sono di tutti. La nonviolenza positiva è in questo senso anche una dottrina politica. In questo senso, la nonviolenza positiva si distingue dal pacifismo assolutistico, il cui rifiuto della lotta armata viene dedotto dal principio morale assoluto del “non uccidere”; pacifismo pragmatico, che rifiuta la guerra e la lotta armata in considerazione dei gravi rischi che, anche a causa dell’enorme sviluppo odierno degli armamenti, questi tipo di lotta comporta. Satyagraha (2)

Dimensioni della violenza strutturale Politica Militare Economica Culturale

Dimensione Politica Pace negativa Pace positiva Democratizzare gli stati –Diritti umani (ma de- occidentalizzati) –Referendum –Democrazia Diretta –Decentralizzazione Democratizzare l’Onu –Un paese un voto –Abolizione del diritto di veto –Seconda assemblea Onu –Elezioni dirette –Confederazioni

Dimensione Militare Pace negativa Pace positiva Organizzazione militare orientata alla difesa Delegittimazione delle armi Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) Forze di Peace- keeping Sviluppo di competenze non militari Corpi non militari di interposizione (Berretti bianchi)

Dimensione Economica Pace negativa Pace positiva Internalizzare le esternalità Privilegiare i propri fattori produttivi Sviluppare le economie locali Condividere le esternalità Scambi paritetici Cooperazione Sud- Sud

Dimensione Culturale Pace negativa Pace positiva Mettere in discussione –l’individualismo –l’idea di superiorità etnica, di popolo eletto –l’idea di violenza e di guerra –i fondamentalismi religiosi ed ideologici Sviluppare attitudini al dialogo Convivialità e condivisione Approccio olistico, globale Libertà, giustizia, democrazia, tolleranza e solidarietà. Promozione della vita

Il triangolo della violenza Disuguaglianze economiche CulturaViolenza / Armi

2ª Parte Il conflitto

Comportamento AtteggiamentoContraddizione Conflitto=Atteggiamento+Comportamento+Contraddizione

Un conflitto va affrontato sempre tenendo conto di tutte e tre le componenti Conflitto Atteggiamento (Peacemaking) Comportamento (Peacekeeping) Contraddizione (Peacebuilding)

Porta a convincersi che i problemi derivano dall’odio e che possano essere risolti attraverso conversione, psicoterapia o educazione alla pace. Trascura il fatto che anche una persona normalmente non violenta in condizioni di perdurante frustazione può arrivare ad uccidere o a tollerare le uccisioni. Concentrarsi solamente sugli atteggiamenti: Esempio: il conflitto palestinese non può essere ridotto alla dimensione di conflitto etnico religioso.

Porta a vedere il problema solamente nella violenza. Addomesticare le persone può rendere la violenza meno apparente, la può spazzare sotto il tappeto, ma potrebbe non avere alcun impatto sulla contraddizione sottostante. Concentrarsi solamente sui comportamenti: Esempio: i falliti tentativi dall’inizio della seconda Intifada di raggiungere una tregua.

Porta a vedere il problema solamente in termini di ingegneria sociale e/o istituzionale. Porta ad imporre soluzioni, anche in modo violento, con l’effetto di aumentare il livello di odio e di violenza. Concentrarsi solamente sulla contraddizione: Esempio: la spartizione della Palestina raccomandata dalla risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 1947.

Livelli nel conflitto Gli elementi del triangolo del conflitto, contraddizione, comportamento e atteggiamento, vanno esaminati a due livelli, quello più esterno e quello più profondo. Ad esempio, dietro un conflitto che si presenta come conflitto di tipo politico-religioso si può celare, a livello più profondo, un conflitto sociale. Oppure, dietro ad un conflitto su un argomento specifico e Circoscritto fra due persone o due gruppi di persone può esserci anche una componente di genere o razziale.

Parti ed obiettivi Un conflitto ha parti; le parti hanno obiettivi Conflitto complesso

Complessità dei conflitti I Conflitti reali sono molto complessi I conflitti elementari, (1,2) o (2,1) sono solamente buoni per i manuali Più complesso è il conflitto più spazio c’è per una trasformazione nonviolenta del conflitto Quando si arriva al massimo della tensione in un conflitto, la prima vittima è la complessità del conflitto stesso

Conflitto Israele-Palestina Ebrei secolari Ebrei religiosi Ebrei ultranazionalisti Palestinesi di Israele Palestinesi dei territori occupati Palestinesi della diaspora Fondamentalisti islamici Stato nazionale Diritti ed uguaglianza Sviluppo economico Controllo delle risorse Sicurezza Controllo dei luoghi santi (Gerusalemme) Diritto al ritorno PartiObiettivi

3ª Parte Soluzione e trasformazione del conflitto

Essere creativi per uscire dagli schemi rigidi del conflitto, facendo emergere un nuovo tipo di realtà. Su Gerusalemme ciascuna delle parti afferma il proprio diritto. La soluzione convenzionale è quella della spartizione che garantisce a ciascuna parte un diritto esclusivo su una porzione della città. Dietro c’è l’assunzione che ogni pezzo di terra del pianeta debba appartenere ad uno ed un solo stato. Una soluzione meno convenzionale è quella del condominio: una città unita, capitale di due stati ed amministrata congiuntamente.

Trascendere il conflitto per trasformarlo, definendo nuovi obiettivi, allargando lo spazio concettuale del conflitto ed inserendo nuovi attori Ad esempio porsi come obiettivo di fare di Gerusalemme un centro culturale, economico e turistico per tutta l’area Includere nel discorso anche i paesi vicini rendendoli interessati ad uno sviluppo economico congiunto. Il risultato sarebbe un guadagno per tutti.

Evitare l’errore di volere semplificare il conflitto ad esempio eliminando alcuni degli attori Ad esempio, nel conflitto israelo palestinese gli estremisti delle due parti fanno parte del conflitto e non devono essere cancellati. Cercare sempre il dialogo ed il loro coinvolgimento nel processo di trasformazione del conflitto.

Operatori di pace (1) In un mondo sempre più piccolo (globalizzato) e in una ottica di crescente democratizzazione, la costruzione della pace non appartiene solamente ai politici e ai diplomatici. La interdipendenza da un lato e il facile accesso a strumenti di violenza richiedono un impegno diffuso per la pace, sia nel senso della soluzione dei conflitti che della creazione di una vera cultura di pace.

Operatori di pace (2) M otivazione: perché lo faccio, per loro, per me, per fare esperienza? Conoscenza generale: posseggo una buona conoscenza generale sui conflitti? Conoscenza specifica: ho conoscenze specifiche, o sono disponibile a capire gli aspetti unici di questo conflitto? Competenze: sono capace di parlare e di ascoltare, o tendo ad imporre le mie opinioni? Empatia: ho sufficiente maturità per capire i sentimenti degli altri, o tendo ad avere pregiudizi e a proiettare sull’altro i miei sentimenti? Nonviolenza: sono nonviolento nei pensieri, nelle parole e nelle azioni? Creatività: vedo il conflitto come possibilità di creazione di nuove realtà o solo come distruttore? Compassione: sento le sofferenze attuali o potenziali delle vittime del conflitto, o esse sono dei meri oggetti? Perseveranza: ho la capacità di andare avanti se sorgono difficoltà o se le parti non seguono i miei consigli? Processo: mi considero io stesso parte di un processo di cambiamento e miglioramento?

Operatori di pace (3) Profilo ideale di un operatore di pace (Galtung): Donna, non troppo giovane, di qualsiasi razza, di classe media per quel che riguarda lo stato, il reddito e l’istruzione, guidata da una religione/ideologia non rigida, proveniente da un piccolo paese, collegata a municipalità e/o a ONG. Il profilo di chi opera nei conflitti nel mondo è usualmente l’opposto: uomini, di mezz’età, bianchi, di classe alta per quel che riguarda stato, reddito e istruzione, spesso legati ad una religione/ideologia rigida (anche se in modo non cosciente), piuttosto legati a livelli governamentali a livello statale o internazionale che a quelli a livello locale o alle ONG.

Obiettività Cosa vuol dire per un operatore/operatrice di pace essere obiettivo/obiettiva? Essere vicini a tutte le parti in modo da avere sufficiente conoscenza del conflitto, ma distanti abbastanza da non essere attaccati ad una delle parti alle spese dell’altra. Rendere espliciti i criteri usati per formulare opinioni e proposte, ad esempio le esigenze ed i diritti umani basilari. In modo chiaro, basandosi sui criteri scelti, cercare linee d’azione nonviolente, creative e costruttive.

Esigenze e diritti umani basilari Sopravvivenza Benessere Libertà Identità Morte Miseria Repressione Alienazione Essere più attenti alle parti che hanno deficit in uno o più di questi diritti di base, cercando di essere creativi cercando soluzioni a loro favore, senza però creare deficit per gli altri. Una soluzione che non rispetti i diritti di base non può avere successo.

Dialogo Lo strumento è la parola, il logos; non tanto parlarla, quanto condividerla. Ascoltare e imparare dall’altro. Non confondere il dialogo con un dibattito su chi abbia ragione, cercando di imporre la propria soluzione. Comprendere la “verità” dell’altro, e a partire da essa ricercare un esito (soluzione) accettabile e sostenibile. Dare più importanza al dialogo come processo che alla conclusione.

Dialogo, a che livello? L’approccio convenzionale ai conflitti è legato all’idea dei vertici: si organizzano incontri a livello di élite, di leader. Un tipico esempio sono gli accordi di Dayton sul conflitto nella ex Yugoslavia, a cui parteciparono i presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia con dei diplomatici americani. Un approccio alternativo consiste nel coinvolgere nel dialogo non solo le élite, ma anche la società civile e i media. Fare fiorire una molteplicità di dialoghi, incontri che portano ad una maggiore comprensione reciproca, ma anche a nuove creative idee. Diplomazia dal basso.

Una prospettiva di lungo termine La logica militare porta ad aspettare che il conflitto maturi (che esploda) per risolverlo in modo violento. La violenza si traduce in prestigio per i politici, in accresciuto ruolo per i militari, in profitti per gli industriali. L’obiettivo di raggiungere soluzioni accettabili e sostenibili richiede tempo. Per una trasformazione profonda del conflitto è necessaria creatività, e più creative sono le idee che emergono, più tempo ci vuole perché vengano accettate. Lungo termine anche all’indietro: affrontare il conflitto prima che sia arrivato allo stadio della violenza. Prevenire!

Empatia NonviolenzaCreatività

Empatia Capacità di comprensione profonda, a livello cognitivo ed emotivo, dell’Altro e della logica che lo guida. Cercare di identificare gli obiettivi che sono legittimi rispetto a criteri generali (universali). Ogni parte in conflitto ha, magari nascosto da parole ed azioni violente, un obiettivo valido sul quale costruire, purché sia incoraggiata a procedere in modo non violento e creativo.

Un esempio : Una proposta per la Palestina di Galtung [1] Palestine is recognized as a state following UN Security Council Resolutions 242 and 338, with the borders existing on 4 June 1967, with small land exchanges. [2] East Jerusalem becomes the capital of Palestine. [3] A Middle East Community with Israel, Palestine, Egypt, Jordan, Lebanon, Syria as full members, with water, arms, trade regimes based on multilateral consensus; and an Organization for Security and Cooperation in the Middle East with a broader base, analogous to the highly successful OSCE in Europe. [4] This Community is supported by the EU, Nordic Community and ASEAN financially and for institution- building expertise.

[5] Egypt and Jordan lease additional land to Palestine. [6] Israel and Palestine become federations with two Israeli cantons in Palestine and two Palestinian cantons in Israel. [7] The two neighbor capitals become a city confederation, also host to major regional, UN and ecumenical institutions. [8] The right of return also to Israel is accepted in principle, numbers to be negotiated within the canton formula. [9] Israel and Palestine have joint and equitable mutually beneficial economic ventures, joint peace education and joint border patrolling. [10] Massive stationing of UN monitoring forces. [11] Sooner or later a Truth and Reconciliation process. Mediating a peace package should not be a country, or a group of countries, but a respected person or a group of such persons.