Gesù Profeta, regno di Dio, segni del regno (miracoli)

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Sentiamo tutti l’esigenza di uscire dai formalismi religiosi per vivere la fede autentica, che ci faccia sentire a casa nella nostra relazione con Dio.
Il centro è un concetto dinamico: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). È il punto di gravitazione, non dunque un punto statico:
 La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni conformi alla sua volontà. Essa è sempre un dono di Dio che viene ad incontrare.
III IIIDOMENICADIPASQUA ANNO B Lc 24, In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano.
Capitolo 7 1 Dopo questi fatti Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
VI Pasqua C Gv 14, “… verremo presso di lui e faremo dimora accanto a lui”
Capitolo 8 1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi,
V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO a Gv 11, b-45.
Transcript della presentazione:

Gesù Profeta, regno di Dio, segni del regno (miracoli) Cristologia Gesù Profeta, regno di Dio, segni del regno (miracoli)

Cronologia e tratti essenziali della figura di Gesù Gesù nacque a Betlemme di Giuda (o forse a Nazaret) durante il regno di Erode il Grande (dunque prima della primavera del 4 a.C.) e più precisamente verso la sua fine, dunque nel 6-7 a.C Dopo un’educazione in una famiglia umile di giudei nella bassa Galilea, fu attratto dal movimento di Giovanni il Battista ed iniziò il suo ministero nella valle del Giordano verso la fine del 27 d.C. o all’inizio del 28 quando aveva circa trentatré o trentaquattro anni. Il ministero, speso tra la nativa Galilea e Gerusalemme (dove si recava in occasione delle grandi feste per avere un uditorio decisamente più cospicuo), si protrasse per due anni e pochi mesi. Nel 30 d.C., dinanzi alla percezione della crescente ostilità delle autorità del tempio e l’imminente possibilità della morte, Gesù celebra un solenne banchetto di addio con i suoi discepoli un giovedì sera, il 6 aprile secondo il computo moderno, inizio del quattordicesimo giorno di Nisan, il giorno della preparazione della Pasqua. Arrestato nel Getsemani nella notte fra il 6 e 7 aprile, giudicato dapprima da alcuni giudei, fu consegnato a Pilato venerdì 7 aprile di buon mattino. Pilato rapidamente lo condannò a morte per crocifissione fuori Gerusalemme nello stesso giorno ed egli morì sul fare della sera, quando probabilmente aveva circa trentasei anni.

Anche i tratti della predicazione di Gesù sono nitidi e certi, come pure l’inizio e la fine di tale predicazione: il battesimo e la morte in croce a Gerusalemme. L’aspetto più originale del messaggio di Gesù si coglie nel suo comportamento: sta con i peccatori e le persone cultualmente impure (cf Mc 2,16ss); rompe il precetto del sabato (cf Mc 2,23ss) e le prescrizioni della purità rituale (cf Mc 7); annuncia il regno di Dio e compie miracoli ed esorcismi. Il suo stare con i peccatori scandalizza, tra l’altro Gesù si intrattiene anche con i pubblicani che erano gli sfruttatori del popolo. Il suo agire non è univoco né positivamente accolto da tutti, anzi suscita numerose perplessità e scandalo: infatti l’idea di un Dio che amava anche i peccatori metteva in questione la concezione ebraica della santità e della giustizia divina. Lo scandalo fu tale che Gesù venne accusato di bestemmia (cf Mc 2,7) e di essere un falso profeta, e come tale, stando alla legge, meritevole di morte (cf Dt 18,20) Il secondo dato certo della vita di Gesù è la sua morte in croce. Gesù viene giustiziato perché ha preteso di essere il Messia con una pena pagana (la crocifissione)

La figura di Gesù (parole e comportamenti) rappresentava una grande provocazione e non era inquadrabile entro schemi e categorie già esistenti: non era come il battista, perché né eremita né asceta; e nemmeno era paragonabile a un sadduceo o a un fariseo o a un pio ebreo, visto il suo rapporto con la legge e il tempio. La novità della sua persona si manifesta in alcuni atteggiamenti e comportamenti poco consueti e talvolta profondamente provocatori.

l’amore di Dio lo impegna totalmente al servizio degli altri: egli non fa nulla per sé ma tutto per Dio e per gli altri, e seppure maestro egli è il servitore; ha una stima per le donne assolutamente impensabile per il suo tempo; non considera la povertà e la malattia una punizione divina; l’accoglienza dei peccatori fino al gesto del mangiare insieme. Gesù sta con coloro che sono considerati impuri e perciò espulsi dalla società; non disdegna né odia i ricchi: Levi, un pubblicano, diventa un suo discepolo più vicino non ha un programma politico ma semplicemente “fa la volontà di Dio” che chiama Padre e a cui si affida come un bambino; a differenza dei farisei insegna con autorità (cf Mc 1,22.27); -assomiglia agli scribi perché insegna e ha una cerchia di discepoli, ma non ha studiato da scriba. Gesù fu certamente chiamato maestro; tuttavia, a differenza dei rabbini è Gesù stesso che chiama i discepoli mentre tra i maestri giudei della Palestina del I secolo era consuetudine diffusa che il discepolo si scegliesse il maestro. Inoltre, diversamente dai filosofi greci, l’aspetto più importante non è l’adesione a valori o virtù o la ricerca della verità; ma seguire Gesù stesso

Gesù profeta escatologico In Israele i profeti hanno aiutato il popolo a seguire la legge di Dio, facendo maturare sia la coscienza del monoteismo sia l’attesa escatologica della salvezza. Nei momenti di rovina la speranza della salvezza rimane legata all’attesa di un profeta Ai tempi di Gesù la profezia era spenta da parecchio ed era stata sostituita dall’autorità della legge e delle sue interpretazioni. Tuttavia l’attesa di un profeta era particolarmente viva, perché la fine del silenzio profetico avrebbe segnato l’avvento dei tempi ultimi Questa attesa assumeva contorni diversi; c’era la convinzione che il profeta avrebbe compiuto le profezie anteriori, mentre alcuni pensavano al ritorno di un profeta del passato come Mosè, Elia o Geremia. Non proprio univoco era anche il giudizio sulla funzione di questo profeta, considerato sia rivelatore degli ultimi segreti, sia colui che avrebbe invitato alla penitenza e che, soprattutto, avrebbe restaurato la gloria di Israele distruggendo i nemici del popolo eletto La credenza nel profeta escatologico, infine, era parallela a quella nel messia.

Nei vangeli incontriamo il titolo di “profeta” attribuito a Gesù Ragioni della profeticità di Gesù In primo luogo i miracoli/segni che Gesù compie. Dopo aver risuscitato il figlio della vedova di Nain la gente esclama “un grande profeta è sorto tra noi” (Lc 7,16); il cieco nato confessa Gesù profeta dopo la sua guarigione ai farisei che lo interrogano (cf Gv 9,17). L’autorità della sua predicazione: profeta lo considera la samaritana (cf Gv 4,19); al contrario Simeone dubita che Gesù sia un profeta perché lascia che la peccatrice gli baci i piedi (cf Lc 7,39); i discepoli di Emmaus confessano Gesù “profeta potente in parole” (Lc 24,19). Non solo la gente percepiva Gesù un profeta, ma anch’egli aveva una coscienza profetica.

Il proverbio da lui citato in occasione della sua visita a Nazaret che si trova nella quadruplice tradizione. La formulazione lucana, la più fedele, recita: «Amen, vi dico: nessun profeta è accetto nella sua patria» (4,24; cf anche Mc 6,4; Mt 13,57 e Gv 4,44) Lc 13,33-34: «Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!».

“sul piano fenomenologico, la personalità di Gesù doveva risultare profondamente ricca e complessa. Ma, se vogliamo esprimerci con una categoria riassuntiva, va detto che egli doveva apparire con i tratti specifici del profeta: non del rabbi (visto che egli non è certo caratterizzato dalla fedele spiegazione della Tôrah), né solo del maestro di sapienza (poiché il nucleo centrale del suo annuncio, il regno, non ha pressoché nulla da spartire con la tradizione sapienziale), e neanche del Messia politico (dato che egli predica e pratica l’amore per i nemici)”

Gesù eccede il titolo di profeta i sinottici attribuiscono a Gesù una missione superiore a quella di tutti i profeti dell’Antico Testamento: il suo battesimo (cf Mc 1,10-11; Mt 3,13-14; Lc 3,21-22). L’evento è descritto con i tratti caratteristici della “vocazione profetica”. Tuttavia la voce non dice che Gesù è un profeta bensì “il figlio prediletto”. Il secondo episodio è la trasfigurazione (cf Mc 9,2-12; Mt 9,28-36; Lc 17,1-13); qui Gesù appare in mezzo a Mosè (la legge) e Elia (i profeti) con una superiore dignità e la voce ripete la sua singolarità come al momento del battesimo, definendolo figlio prediletto. La parabola dei vignaioli omicidi (cf Mc 12,1-12; Mt 21,33-46; Lc 20,9-19), che mette in rilievo la funzione di Gesù per Israele come figlio prediletto ed erede.

Gesù profeta “non come gli altri” Almeno cinque indizi della l’irriducibilità di Gesù al titolo di profeta Gesù predica il regno di Dio vincolandone la venuta alla sua persona: cosa impensabile per un profeta che si limitava ad essere latore di un messaggio di Dio I profeti parlano a nome di Dio di cui riferiscono le parole:i “così dice il Signore Dio”, “oracolo del Signore”, “Parola del Signore rivolta a” ecc. Gesù invece parla a nome proprio e non per esprimere un’opinione sulla legge ma addirittura per trascenderla; egli si pone al di sopra della legge soprattutto riguardo al sabato (cf Mc 2,23-28), al digiuno (cf Mc 2, 18-19) e ai precetti concernenti le categorie di puro e impuro (cf Mc 7, 14-23). Quando nei vangeli leggiamo “è stato detto dagli antichi” oppure “avete inteso che fu detto ma io vi dico”, questa forma verbale costituisce un passivo divino da tradurre in forma attiva con le parole “Dio ha detto”. Gesù, quindi, avanza la pretesa di portare a compimento la volontà di Dio espressa nella legge; l’autorità con cui parla e agisce lo pone al di sopra dei profeti e addirittura della legge stessa. La fede che Gesù domanda per operare non è solo fiducia nel potere del Padre, ma nel potere di Gesù stesso; Mt 9,27 dove ai due ciechi che lo invocano Gesù chiede: “credete voi che io possa fare questo?”.

Sequela e rapporto con il Padre Gesù ebbe dei discepoli tra i quali cerchia ristretta che lo seguiva materialmente nei suoi spostamenti Il Gesù dei sinottici chiede un’adesione incondizionata alla sua persona; la salvezza si decide a partire dalla posizione che si prende nei suoi riguardi: “a causa mia” Quanto alle caratteristiche del discepolato di Gesù, anzitutto è Gesù stesso che chiama i suoi discepoli La sequela, come la chiede Gesù, pone delle richieste radicali: a) dev’essere senza condizioni (cf Mt 8, 22), nemmeno se esse provengono dalla legge e dalla tradizione; b) è richiesta la rinuncia alle ricchezze (cf Mc 10,21; 10, 29-30 e parr.); c) è richiesta la rinuncia ai legami parentali (cf Mt 10,37-38); d) occorre rinunciare al matrimonio (cf Mt 19,12). Se consideriamo che in Israele il celibato era normalmente considerato in termini negativi, vale il criterio della discontinuità per stabilire la gesuanità dell’idea. Andare dietro a Gesù significa perdere la vita a causa sua

Il rapporto con il Padre Gesù chiama Dio “abba”cioè “papà”, parola assolutamente impensabile per indicare il rapporto con Dio. L’unico passo sulla bocca di Gesù è Mc 14,36, la notte prima della crocifissione Altri indizi che indicano la realtà del rapporto unico di Gesù con il Padre: Gesù non dice mai “padre nostro” (se non per insegnare ai discepoli a pregare) e distingue sempre tra “padre mio” e “padre vostro” Gesù è talmente intimo al Padre, “figlio per natura”, che nel vangelo di Giovanni viene presentato come il rivelatore del Padre (cf 1,18), il testimone del Padre, colui che riferisce quello che ha visto in prima persona (cf 8,13-59)

L’inno di giubilo: Mt 11,25-27 «In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”» (Mt 11,25-27; cf Lc 10,21-22)

“tutto mi è stato dato”: Dio manifesta i suoi “segreti”, il suo mistero al Figlio. Quanto al contenuto di questo “essere dato”: A) si afferma la conoscenza (secondo il senso semitico la conoscenza è un evento di intimità) tra Padre e Figlio; una conoscenza reciproca, permanente (verbo al presente), esclusiva, unica; b) tale conoscenza è il fondamento della rivelazione: Gesù conosce il Padre perciò lo può rivelare, ma l’oggetto della Rivelazione è anche il Figlio. Il Figlio è mistero come il Padre ed è Colui che fa conoscere il Padre. L’inno di giubilo suggerisce chiaramente una eguaglianza di natura tra il Padre e il Figlio. Il rapporto del Figlio con il Padre non è qualcosa di accidentale, ma appartiene all’ontologia delle persone»

Gesù annunciatore del regno di Dio Secondo i vangeli sinottici il centro della vita pubblica di Gesù e della sua predicazione è l’annuncio dell’imminente avvento del regno di Dio Gesù non dice mai che cosa sia questo regno, ma che esso sta per venire Nella letteratura canonica continuamente Dio è presentato come re, come colui che regna. Nella predicazione di Gesù il tema non è univoco ma possiede connotazioni diverse; sono però da escludere interpretazioni gnostiche, etiche o politiche All’epoca del giudaismo il regno di Dio appare come una realtà ad un tempo presente e futura con due connotazioni: il governare di Dio in atto e la trasformazione della realtà, che al momento è ingiusta e cattiva; l’attesa futura del giudizio di Dio sui popoli pagani nemici, la loro distruzione e la salvezza di Israele.

Il regno di Dio indica il riconoscimento della signoria e della divinità di Dio nella storia Israele ha fatto nella sua storia l’esperienza che Dio è il salvatore (liberazione dalla schiavitù dell’Egitto), la guida del popolo (attraverso il deserto), il Signore tanto di Israele quanto del mondo intero; “Dio è re” (cf Sal 93,1; 96,10; 97,1; 99,1), re “di tutti i popoli” (Sal 145,13) Israele nella sua storia registra anche la realtà sia di una continua schiavitù, sia del male e per questo motivo si verifica, soprattutto con i profeti, una escatologizzazione della coscienza di fede ovvero: il regno è rinviato al futuro, quando ci sarà una nuova alleanza (cf Ger 31,31-34) e un nuovo esodo nell’apocalittica l’attesa del regno si accompagna con l’attesa di un nuovo eone, cioè di una nuova epoca (cf la visione dei quattro regni nel libro di Daniele, cap. 2)

Il contenuto della speranza legata al regno di Dio il giudizio delle nazioni il glorioso raduno di Israele sotto la guida di Dio signore di tutti i popoli al monte Sion (cf Mi 4,1-4; Is 2,2-4) Il regno si realizzerà attraverso l’opera futura di un Messia (cf Is 11,1-5), instauratore di un regno di giustizia e di pace L’attesa di Israele si colloca in una visione della storia di natura religiosa. L’uomo biblico percepisce che non possiede da sé stesso pace, giustizia, libertà, vita, anzi la sua vita è costantemente minacciata e la giustizia calpestata; poiché l’uomo non è in grado di liberarsi dalle potenze del male ostili a lui la riconciliazione e la salvezza possono venire solo da Dio.

In Gesù incontriamo i due aspetti tipici del regno L’uno riguarda la dimensione futura, escatologica del regno: “venga il tuo regno” (Mt 6,10/Lc 11,2) e le beatitudini, dove la connotazione futura propone la salvezza escatologica a categorie di persone ben individuate L’altro riguarda la sua dimensione presente: ora il regno trova adempimento: il tempo che i profeti avevano preannunciato e desiderato vedere è giunto (cf Mt 11,5). Nell’annuncio di Gesù il regno resta una realtà futura che, però, già irrompe nel presente attraverso la parola e l’evento Gesù. Molti detti e molte azioni di Gesù sembrano dimostrare che Gesù a volte parlava del Regno in qualche modo o in qualche misura già presente nel suo ministero. Questa pretesa di essere colui che dà inizio al regno nel presente provoca reazione e scandalo poiché ci si chiede se possa essere instauratore del regno, e quindi messia o figlio dell’uomo, uno sconosciuto con dei discepoli ignoranti ed attorniato dalla gente tra la più equivoca dell’epoca

Il regno è strettamente connesso con la persona storica di Gesù; lo testimoniano almeno sei luoghi gesuani l’annuncio inaugurale di Mc 1,15b: «il regno di Dio si è reso vicino»;il verbo al perfetto indica qualcosa a cui ci si sta approssimando a breve: non un futuro indeterminato ma un’imminenza strettamente legata alla sua persona Le cinque parabole della crescita: la semina in vari terreni (cf Mc 4,3-9), il seme che cresce da solo (cf Mc 26-29), il granello di senapa (cf Mc 4,30-32), la zizzania nel buon grano (cf Mt 13, 24-30) e il lievito nella pasta (cf Mt 13,33/Lc 19,20-21) Il detto della cacciata dei demoni (cf Lc 11,20) Il giudizio di Gesù sul Battista (cf Lc 7,28; Mt 11,11): lo stadio di Giovanni è superato e chi aderisce a Gesù è già oggi nella sfera del regno di Dio. Il regno nelle mani dei “violenti” (Lc 16,16/Mt 11,25) La presenza del regno (cf Lc 17,20-21); interrogato dai farisei sul tempo della venuta del Regno Gesù risponde: «il regno di Dio è in mezzo a voi».

Gesù unisce nell’annuncio del regno parola e azione; nei suoi gesti di sottrazione dell’uomo dall’oppressione del demonio mette all’opera una vera realizzazione, anche se parziale e preliminare, della liberante sovranità di Dio Gesù parla del mistero del regno in parabole usando l’immagine del seme (cf Mt 4,26-29), del granello di senape (cf Mc 4,30-32), del lievito (cf Mt 13,33). Per il fatto che il regno è venuto in Cristo, il presente è segnato dalla necessità di scegliere per o contro Gesù. Se per il Battista il regno è un giudizio minaccioso, per Gesù è offerta di salvezza, vangelo, buona novella Il regno inverte tutti i rapporti: le beatitudini ci mostrano il capovolgimento di tutti i valori. In particolare vengono proclamati beati i “poveri”, che sembrano diventare i cittadini del regno. I Poveri sono tutte quelle persone prive di mezzi e di aiuto, oppresse, disperate, odiate, maltrattate e oltraggiate. Gesù si mette dalla parte dei poveri (come tanti nell’AT) ma non trasfigura in modo romantico la povertà, né ne fa una rivendicazione

Il comportamento di Gesù si sintonizza con la sua predicazione Egli sta con i piccoli ma anche con gli empi: è il compagno di pubblicani e peccatori, solidarizza con i declassati, diffamati, emarginati, gente che per mala sorte o per propria colpa o per causa dei pregiudizi sociali, non si inserisce nelle strutture di questo mondo In che cosa consistono questa beatitudine e salvezza? Esse rappresentano la guarigione dell’uomo, di tutto l’uomo, cioè, in definitiva, la remissione dei peccati e l’incontro con la misericordia sconfinata e immeritata di Dio, dal quale nasce la capacità di perdonare senza limitazione alcuna (cf Lc 17,3ss). «Il tempo della venuta del regno di Dio è il tempo dell’amore, il quale esige che noi ci accettiamo l’un l’altro. Questo amore, che non chiede e non rifiuta nulla, arresta la forza del male del mondo … spezza il cerchio diabolico di potere e contropotere, di colpa e vendetta. L’amore è il nuovo inizio e la concretizzazione della salvezza» l’amore divino «si esprime nell’accettazione dell’uomo da parte dell’uomo, nella distruzione di tutti i pregiudizi e di ogni barriera sociale, in un nuovo e spontaneo modo di comunicare tra gli uomini, nella cordialità fraterna, nella compartecipazione alla sofferenza e alla gioia

I segni del regno: i miracoli Segni di misericordia: verso poveri, emarginati, peccatori Stare a mensa Perdono dei peccati Guarigione del paralitico (Mt 9,1-9) Episodio della peccatrice (Lc 7,36-50) Segni che “scandalizzano” rovesciando la mentalità corrente

Segni di potenza: esorcismi, guarigioni, miracoli sulla natura La tradizione dei miracoli compiuti da Gesù si ritrova fin negli strati più primitivi dei vangeli i vangeli sinottici narrano sei esorcismi, diciassette guarigioni (di cui tre rianimazioni), otto miracoli sulla natura Diverso significato dei miracoli nei Vangeli: Marco: miracolo come segno della lotta di Gesù contro satana e le potenze del male. Matteo: i miracoli accompagnano e sono subordinati alla parola di Gesù. Luca: i miracoli fanno conoscere Gesù come benefattore e profeta escatologico. Giovanni: i miracoli sono segni che rinviano al Cristo e vanno accolti nella fede.

L’indagine storico-critica sui miracoli è giunta a tre risultati: a) dal punto di vista letterario si rileva una tendenza ad amplificare e moltiplicare i miracoli e le proporzioni dei miracoli. Alcuni esempi: in Mc 1,34: “Gesù guarisce parecchi” ma Mt 8,16 scrive “Gesù guarì tutti”; la figlia di Giairo in Marco sta per morire, mentre in Matteo è già morta b) Una parziale riduzione del materiale nasce anche dal confronto con le storie di miracoli di provenienza rabbinica o ellenistica. Alcuni miracoli di Gesù hanno la stessa struttura di quelli di Apollonio di Tiana o di quelli avvenuti nel santuario di Asceplio a Epidauro. Questi miracoli extra evangelici hanno il seguente schema: gravità della malattia e insuccesso dei precedenti tentativi; narrazione del miracolo; testimoni presenti che lo approvano. Non mancano però differenze: ad esempio Gesù non chiede mai un compenso né nei racconti di miracoli non neotestamentari viene mai richiesta la fede. c) Alcuni racconti sono proiezioni dell’esperienza pasquale sulla vita terrena di Gesù, cioè anticipazioni dell’attività del Cristo glorificato: la tempesta sedata, la trasfigurazione, il camminare sulle acque.

Esiste chiaramente un nucleo storicamente molto esteso di miracoli comprovato da tre ordini di argomenti: 1) la tradizione dei miracoli sarebbe inspiegabile senza il ricordo di quanto fatto realmente da Gesù durante la sua vita terrena 2) Tale tradizione può essere analizzata con i criteri di storicità Il più importante criterio è la molteplice attestazione delle fonti e delle forme. Le fonti sui miracoli sono numerose e sono molteplici anche le forme letterarie. Quanto al criterio della discontinuità, la tradizione dei miracoli se da un lato non può certo dirsi discontinua rispetto alla cultura pagana e giudaica circostante in cui esistono molte tradizioni di miracoli, dall’altro è anche vero che nel contenuto e nella forma si tratta di eventi piuttosto diversi. Quanto all’imbarazzo, a volte gli esorcismi compiuti da Gesù lo esponevano all’accusa di essere alleato del demonio, un rimprovero davvero troppo odioso per essere frutto di invenzione. 3) Alcuni racconti sono troppo particolareggiati e senza alcuna tendenziosità come in Mc 1,29-31 o in Mt 11,20-22.

In conclusione con assoluta certezza possiamo dire che esiste un nucleo molto ampio di miracoli: Gesù ha operato come taumaturgo e ha compiuto opere straordinarie che hanno lasciato stupefatti i contemporanei. Valgano su tutte queste parole di Meier: «l’affermazione che Gesù ha operato da esorcista e guaritore e tale è stato considerato durante il suo ministero pubblico vanta in suo favore molta e solida documentazione storica, al pari di quasi tutte le altre affermazioni che possiamo fare sul Gesù della storia. In verità, in quanto affermazione globale su Gesù e il suo ministero, essa gode di un’attestazione molto migliore rispetto a numerose altre asserzioni fatte su Gesù, asserzioni che spesso vengono date per scontate. Ampiamente presente nei vangeli e senza dubbio nel suo ministero concreto, l’attività taumaturgica di Gesù ha ricoperto un ruolo essenziale nella sua capacità di attirare l’attenzione, sia in senso positivo che in senso negativo. […] Qualsiasi storico che cerchi di dipingere il ritratto del Gesù storico senza dare il dovuto peso alla sua fama di taumaturgo non sta tracciando il profilo di questo ebreo strano e complesso, ma piuttosto sta delineando un Gesù addomesticato che ricorda il mellifluo moralista creato da Thomas Jefferson»

Che cosa significa “Miracolo” Secondo un’interpretazione del passato «il miracolo è un evento percepibile, che trascende le possibilità naturali e viene prodotto dall’onnipotenza divina infrangendo, o per lo meno eludendo, le causalità naturali, per cui serve a confermare la rivelazione della Parola divina» Definizione insostenibile scientificamente e teologicamente

Che cos’è un miracolo 1) un evento insolito, sorprendente, o straordinario, che in linea di principio è percepibile da qualsiasi osservatore interessato e “mentalmente onesto” 2) un evento che non trova alcuna spiegazione ragionevole nelle capacità umane o in altre forze note che operano nel nostro mondo spazio-temporale 3) un evento che è il risultato di un atto speciale di Dio, che realizza quello che nessun potere umano è in grado di fare

Sul piano storico sono accertabili solo i primi due aspetti mentre la decisione secondo cui l’evento particolare è un miracolo compiuto da Dio resta di pertinenza dell’ambito della filosofia e della teologia La critica della filosofia al miracolo (Spinoza, Hume) si reggeva su presupposti non di natura storica ma filosofica; nel caso dell’illuminismo e del deismo l’idea condivisa che l’universo fosse un sistema chiuso, governato da leggi eterne e immutabili create da Dio (visione meccanicistica), escludeva che Dio intervenisse violando le leggi che lui stesso aveva stabilito, perché diversamente sarebbe andato contro se stesso e la sua natura nell’orizzonte della fede i miracoli sono di sicuro eventi straordinari che suscitano lo stupore e la meraviglia dell’uomo, ma lo sguardo non deve essere rivolto alla natura e alle sue leggi ma a Dio creatore; essi scaturiscono dall’iniziativa personale di Dio e sono opera di Dio

Nel contesto della predicazione di Gesù, i miracoli sono segni del regno di Dio che sta irrompendo nella storia, segni che attestano che la salvezza riguarda tutto l’uomo, segni che riconciliano la realtà liberandola dalle forze del male. Non è legittimo considerare e definire i miracoli solo come una violazione delle leggi naturali, né separarli dall’annuncio del regno che Gesù realizza; in questo senso, i miracoli manifestano la missione e l’autorità di Gesù. Per riassumere: 1) i miracoli costituiscono l’adempimento dell’AT e con essi Gesù ricapitola l’AT (cf Mt 11,5ss). Questa caratteristica li contraddistingue dagli incantesimi e dai miracoli dei taumaturghi del periodo ellenistico del tempo di Gesù. 2) Nei miracoli di Gesù la potenza di Dio si manifesta nell’oscurità, nel nascondimento, nell’equivocità e nello scandalo 3) Il fine dei miracoli è rendere disponibile l’uomo alla sequela, provocarlo alla fede mediante la sequela di Gesù e la condivisione della sua missione. Propriamente i miracoli sono segni per la fede