PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale ° GIORNO
Essere creature Principio salvifico per ogni esistenza umana è l’adesione alla realtà. L’immaginazione non è fuga dal reale, ma dinamismo impresso al reale. Gli umani sono creature, ossia esseri che non hanno origine da e in se stessi. Essere creatura implica una dipendenza, ma anche una destinazione, un fine.
Proprio il limite del suo dipendere, del suo non avere in sé la propria origine, contiene il dinamismo verso il futuro, la progettualità: l’uomo è chiamato a farsi, a divenire se stesso. Ora, il vocabolo creatura ha in sé un senso di futuro e di ulteriorità insito nella desinenza latina del participio futuro (-urus/ura).
Nel legame con il passato c’è la proiezione al futuro, nella coscienza della dipendenza da altri è inclusa la chiamata alla soggettività, a crearsi, a divenire se stessi. Nell’accettazione del legame con il passato, con l’origine, che ci sfugge e ci eccede, troviamo anche il dinamismo del futuro.
Riconoscersi creature significa riconoscersi ospiti dell’umano. Ospiti, non padroni dell’umano che è in noi e che siamo chiamati a sviluppare e nutrire; ospiti, e non padroni dell’umano che è in noi e negli altri, così che anche i rapporti con gli altri, quali che siano le differenze culturali, sono improntati al riconoscimento basilare di essere ospiti dell’umano e chiamati a umanizzarci, ad addomesticare la nostra animalità.
La vita interiore L’interiorità è luogo in cui si coltiva la propria umanità. «È difficile», scrive Umberto Galimberti, «pensare di poter governare la propria vita senza un’adeguata conoscenza di sé» UMBERTO GALIMBERTI, L’ospite inquietante, Feltrinelli, Milano2007, 45.
In tempi in cui viaggiamo molto, e in cui i giovani e perfino i giovanissimi spesso hanno già viaggiato, nei pochi anni della loro vita, molto più di quanto abbiano fatto i loro nonni in tutta la loro esistenza, è bene ricordare che il viaggio più difficile è il viaggio interiore verso la conoscenza di sé.
Questo viaggio e questa conoscenza richiedono coraggio: il coraggio della solitudine, del silenzio, del pensare, del guardarsi dentro, del dialogare interiormente, del porre in relazione i vissuti intimi, emotivi, con l’esteriorità, con gli eventi quotidiani. Il coraggio della luce che può rivelarci aspetti di noi quanto mai indesiderati.
LA PAURA SI AFFACCIA E PUÒ DIVENIRE LA GRANDE NEMICA DI QUESTO VIAGGIO COSÌ VITALE. UNA BELLA POESIA DI COSTANTINOS KAVAFIS ESPRIME LA PAURA DELLA PROPRIA INTERIORITÀ, DEL DOLORE CHE PUÒ COSTARCI IL PRENDERE CONTATTO CON LA SOFFERENZA CHE È IN NOI:
«In queste buie stanze dove passo giornate soffocanti, io brancolo in cerca di finestre. Una se ne aprisse, a mia consolazione. Ma non ci sono finestre o sarò io che non le so trovare. Meglio così, forse. Può darsi che la luce mi porti altro tormento. E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero». 16. COSTANTINOS KAVAFIS, Cinquantacinque poesie, Einaudi, Torino 1968,
Il coraggio di osare la propria interiorità conduce la persona ad avere un ubi consistam, ad avere stabilità e saldezza, ad avere profondità. Avere radici in se stessi aiuta la costruzione di un futuro. Avere consistenza interiore è essenziale per immettersi in un cammino, per scegliere una strada e per seguirla con perseveranza.
Questo richiede anche di attivare la vita della mente: l’attenzione, la concentrazione interiore per imprimere in noi le tracce della realtà, la memoria, la capacità di pensare; l’immaginazione, che è la nostra risorsa fondamentale per rapportarci alla realtà futura sempre partendo dal far tesoro della realtà attuale; il giudizio, la volontà, l’azione.
Abbiamo qui una sorta di indice per un’educazione complessiva della persona. Si tratta di elementi decisivi per ogni istruzione degna di questo nome. Le radici del nostro proiettarci al futuro si creano con un lavoro di interiorità. La scuola dovrebbe tener conto di questo.
Dalla parte degli adulti Dopo aver rilevato alcune dimensioni del futuro come potenzialità nei giovani, vorrei a questo punto pormi dalla parte degli adulti e sottolineare la dimensione di responsabilità del futuro da parte di chi è «grande». Occorre declinare il futuro come responsabilità, prendendosi cura del futuro degli altri.
E qui la prima cosa da affermare è che l’irresponsabilità verso il futuro è direttamente irresponsabilità verso gli altri. Il filosofo Lévinas argomenta l’analogia tra l’avvenire e l’altro: «L’avvenire è ciò di cui non è possibile appropriarsi, ciò che cade su di noi e s’impadronisce di noi. L’avvenire è l’altro. La relazione con l’avvenire è la relazione stessa con l’altro» EMMAUNEL LÉVINAS, Il Tempo e l’Altro, Il Melangolo, Genova 2002, 46.
18. Sulla fiducia cfr. LUCIANO MANICARDI, Il vangelo della fiducia, Qiqajon, Bose ORA, CREARE FUTURO SIGNIFICA DARE TEMPO A QUALCUNO, DARGLI ASCOLTO, DARGLI FIDUCIA. ASCOLTARE, OVVERO FARE SPAZIO IN SÉ ALL’ALTRO, DARGLI SPAZIO, ACCOGLIERLO COSÌ COME LUI È. L’ATTITUDINE BASILARE È LA FIDUCIA 18..
Nel lavoro di formazione i problemi nascono quando non si riesce a stabilire una relazione di fiducia. Il compito difficile, oneroso, è quello di creare i presupposti e le condizioni perché possa svolgersi la relazione, ovvero la creazione della fiducia. Occorre molta umiltà, capacità di raccordarsi alla capacità di ascolto e di linguaggio dell'altro, senza mai pretendere di costringerlo a subire i nostri parametri.
LA CAPACITÀ DI PROMETTERE Dunque capacità di ascolto e di dare fiducia: questo fa parte della responsabilità dell’adulto verso il giovane. Ma vorrei sottolineare una dimensione spesso taciuta: la capacità di promettere.
Spesso si dice, con stucchevole retorica, che i giovani sono il futuro e la speranza della società e della Chiesa; in realtà il futuro e la speranza nascono anche grazie alla capacità di promettere e di mantenersi fedeli alle promesse da parte degli adulti. Promettere è far sperare.
E la speranza è esattamente una responsabilità. La Prima lettera di Pietro lo afferma chiaramente: «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» ( 2 Pt 3, 15). In quel rispondere vi è tutta la pregnanza dell’assumersi una responsabilità.
Promettere è dare forma di futuro al tempo. La promessa suscita un’attesa e dunque instaura una direzione di marcia. Si tratta di un’abilità tipicamente umana.