La poesia del Novecento
Problematiche Clima storico e culturale Il desiderio di rinnovamento e le sperimentazioni Correnti e autori più rappresentativi
Il “malessere” di inizio Novecento Nei cervelli e nelle coscienze regna una straordinaria confusione … Crollate le vecchie norme, non ancora sorte e ben stabilite le nuove, è naturale che il concetto della relatività di ogni cosa si sia talmente allargato in noi, da farci quasi del tutto perdere l’estimativa. L’intelletto ha acquistato una straordinaria mobilità. […] Nessuno più riesce a stabilirsi un punto di vista fermo e incrollabile. […] Non mai, credo, la vita nostra, eticamente ed esteticamente, fu più disgregata … Da ciò, a parere mio, deriva per la massima parte il nostro malessere intellettuale. Luigi Pirandello, Arte e coscienza d’oggi
Nel momento di passaggio tra Ottocento e Novecento si sviluppa un vivo e costante interesse per il rinnovamento della letteratura e ci si chiede quale ruolo debba avere l’intellettuale nella società.
Ma per quanto riguarda la poesia?
Il panorama della poesia italiana del Novecento è difficile da affrontare in modo sistematico, essendo composto di una miriade di autori complessi da catalogare e che sperimentano forme nuove, talvolta contraddittorie, spesso in evoluzione veloce e profonda.
Può essere utile, servirsi della celebre distinzione fatta da Pasolini tra linea novecentista (facente capo a Ungaretti, agli Ermetici e a una concezione di poesia pura) e linea antinovecentista, legata, da una parte, all’esperienza di Montale e alla sua idea di una poesia che si faccia prosa; dall’altra, alla poetica del “quotidiano” e delle “cose semplici” tipica di Gozzano e di Saba
Soprattutto con Giuseppe Ungaretti e Eugenio Montale la poesia italiana vive un'importante stagione di rinnovamento, che la porta a essere autentica, antiretorica, profondamente emotiva e comunicativa. Come non ricordarsi ………….
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie 9
M’illumino d’immenso
Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato
Consideriamo che nei primi decenni del Novecento in Italia la poesia vive un'importante stagione, grazie ad alcune grandi personalità di poeti che assumono un ruolo di guida e a movimenti d'avanguardia.
La poesia del Novecento Se si volesse indicare una caratteristica comune delle varie esperienze con cui inizia il nostro Novecento poetico, dovremmo forse dire che essa consiste nella diversa consapevolezza che il poeta ha del suo ruolo, che non è più quello del poeta-vate e nemmeno quello romantico di colui che ha il privilegio di esprimere il mondo dell’interiorità e dei sentimenti 14
I poeti del Novecento sembrano essere consapevoli proprio della crisi di questo ruolo e della necessità di trovare nuovi moduli espressivi. «Perché tu mi dici: poeta?» si chiede Corazzini, definendosi invece un «piccolo fanciullo» che non ha altro che «lagrime da offrire al Silenzio»
A. Palazzeschi
Chi sono. (1909) Son forse un poeta. No certo Chi sono? (1909) Son forse un poeta? No certo. Non scrive che una parola, ben strana, la penna dell’ anima mia: follia. Son dunque un pittore? Neanche. Non à che un colore la tavolozza dell’ anima mia: malinconia.
Un musico allora. Nemmeno Un musico allora? Nemmeno. Non c’è che una nota nella tastiera dell’ anima mia: nostalgia. Son dunque... che cosa? Io metto una lente dinanzi al mio core, per farlo vedere alla gente. Chi sono? Il saltimbanco dell’ anima mia
Più tardi anche Montale nega che il poeta possa essere artefice di un’illuminazione sentimentale od intellettuale. Scrive infatti: «Non chiederci la parola che squadri l’animo nostro informe...non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo»
Dunque l’avventura della poesia del Novecento inizia e prosegue nel segno dell’interrogazione, o in un frenetico attivismo (futurismo), o in una ricerca rivolta si verso il mondo interiore ma non più animata da alcuna delle antiche certezze.
Movimenti e poeti della poesia del Novecento
Le “Avanguardie storiche” Futurismo - Crepuscolarismo Tentano di demolire il passato nelle sue forme e nelle sue istituzioni e progettano un nuovo mondo, con un atteggiamento di rivolta che spesso assume i toni dello scherno e del cinismo. 22
Due posizioni Futuristi: affrontano la crisi storica e intellettuale nell’esaltazione incondizionata della civiltà industriale, nella celebrazione della macchina e della velocità. Crepuscolari: cercano una soluzione alla crisi fuggendo dalla città e tentando di tornare alla semplicità, all’innocenza, agli affetti sani della vita di campagna. 23
Il movimento futurista Il Futurismo nasce ufficialmente il 20 febbraio 1909 a Parigi, quando sulle colonne del Figaro appare il Manifesto del Futurismo a firma di Filippo Tommaso Marinetti. Seguono Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) e Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà (1913).
È un movimento di avanguardia che ha risonanza europea. Esprime il bisogno di vivere globalmente e totalmente la contemporaneità, con una carica dirompente e di rottura verso il passato, con un atteggiamento polemico e provocatorio 25
Vuole dare una risposta al passatismo della tradizione, coinvolgendo la totalità degli aspetti della cultura e dell’arte. Vuole porsi come modo di sentire e di vivere, sintonizzandosi con le espressioni tipiche della vita moderna nelle sue manifestazioni più vistose
Al movimento, accompagnato da fenomeni del gusto e della moda, aderiscono scrittori e artisti di varia natura: poeti (Marinetti, Palazzeschi) scrittori (Giuseppe Papini, Ardengo Soffici) pittori (Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Fortunato Depero) scrittori di teatro musicisti
riviste («Poesia» e «Lacerba») conferenze opere musicali Per mettere in pratica il loro programma, i futuristi cercarono anche un canale di comunicazione più diretto e immediato con il pubblico: riviste («Poesia» e «Lacerba») conferenze opere musicali serate futuriste 28
Fondazione e manifesto del futurismo Esaltazione del progresso tecnico e scientifico, e delle prospettive che esso apre. Il nuovo valore, la velocità, «corsa» verso il futuro e bisogno di liberarsi dei limiti, dei retaggi che la vecchia cultura impone: sono questi gli elementi base del Manifesto dei futurismo, esasperati in asserzioni dogmatiche, e dalla letteratura si passa ad appoggiare l'interventismo, il nazionalismo, la guerra, come valori, come realizzazione dell'uomo nuovo.
Dopo una parte introduttiva, Marinetti sintetizza in 11 punti i principi del nuovo movimento:
Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Commento Emerge chiara l'intenzione di voler plasmare, distruggendola e rifondandola, una nuova concezione della vita e dell'arte. La Belle Époque vede un susseguirsi di scoperte scientifiche ed invenzioni tecniche che mutano radicalmente ed in modo assai veloce la concezione della vita
Tutto ciò crea, secondo i futuristi, l'urgenza di rifondare alcuni modelli estetici e di ripensare a nuove modalità di linguaggio per le generazioni future, destinate a vivere in un'epoca caratterizzata da una profonda rottura con i valori del passato.
Manifesto tecnico della letteratura futurista Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono. Si deve usare il verbo all’infinito per dare il senso della continuità della vita. Si deve abolire l’aggettivo, poiché suppone una sosta, una meditazione. Si deve abolire l’avverbio, in quanto conserva alla frase una unità di tono. Abolire la punteggiatura, per accentuare certi movimenti ed indicare le loro direzioni, si utilizzeranno segni della matematica ed i segni musicali.
1. Il rumore 2. Il peso 3. L’odore Bisogna introdurre nella letteratura tre elementi che furono finora trascurati: 1. Il rumore 2. Il peso 3. L’odore Bisogna abbandonare l’intelligenza per affidarsi all’intuizione in grado di avvicinarci al nuovo mondo delle macchine La nuova letteratura futurista ha dunque come presupposto la distruzione della sintassi. Vi è l’uso del verbo all’infinito, per comunicare il senso della durata.
Vi è l’eliminazione dell’aggettivo e dell’avverbio I segni matematici usati al posto della punteggiatura. Dalla distruzione della sintassi si giunge alle “parole di libertà”. All’ordine dell’arte si contrappone disordine, un’estetica del “brutto”. All’intelligenza viene sostituita l’intuizione. Il “peso” della materia. Marinetti intende dare voce alla materia, e non alla psicologia. Vi è il tentativo di riprodurre il “rumore”, il “peso”, l’”odore”.
Marinetti disse come doveva essere l’artista futurista. «Chi pensa e si esprime con originalità, forza, vivacità, entusiasmo, chiarezza, semplicità, agilità e sintesi. Chi odia i ruderi, i musei, i cimiteri, le biblioteche, il culturismo, il professoralismo, l’accademismo, l’imitazione del passato, il purismo, le lungaggini e le meticolosità. Chi vuole svecchiare, rinvigorire e rallegrare l’arte italiana, liberandola dalle imitazioni del passato, dal tradizionalismo e dall’accademismo e incoraggiando tutte le creazioni audaci dei giovani».
Filippo Tommaso Marinetti POETA E SCRITTORE ITALIANO, MA FRANCESE DI FORMAZIONE. NATO IL 22 DICEMBRE 1876 AD ALESSANDRIA D’EGITTO. ESORDÌ PRESTO COME POETA E ROMANZIERE. PUBBLICÒ IN LINGUA FRANCESE LE SUE PRIME OPERE, NELLE QUALI SI AVVERTE UNA RICERCA DI MODERNITÀ DEL LINGUAGGIO E DELLA FORMA POETICA. LA SUA PRIMA BATTAGLIA ARTISTICA È A FAVORE DEL VERSO LIBERO. MORÌ A COMO NEL 1944.
In All’automobile da corsa è interessante notare l’esplicitazione dei temi cari ai Futuristi: l’automobile (che inizialmente era scritta senza apostrofo, perché doveva essere considerata maschile) è il simbolo di una nuova civiltà imperniata sul culto della velocità; la sua immagine è del tutto positiva, e diventa un simbolo di conquista dello spazio circostante.
All’automobile da corsa Veemente dio d'una razza d'acciaio, Automobile ebbrrra di spazio! che scalpiti e frrremi d'angoscia rodendo il morso con striduli denti... Formidabile mostro giapponese, dagli occhi di fucina, nutrito di fiamma e d'olì minerali, avido d'orizzonti e di prede siderali... io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente, scateno i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare via per le bianche strade di tutto il mondo!..[…]
Commento Le principali tematiche di questo componimento sono il brivido della velocità, l’'ebbrezza del pericolo e l’esaltazione del dio-macchina e sono i motivi conduttori. Tra I' altro, Marinetti celebra gli spericolati guidatori che sfidano il rischio in una folle corsa in automobile, aggrappati al loro volante come all'asse terrestre. La devozione totale del poeta al moderno e alle sue divinità rovescia i rapporti tradizionali. La natura viene disprezzata, al punto che il tema del canto diviene il trionfo della macchina sopra di essa.
Per rappresentare in modo adeguato la vita trasformata dalla velocità, ogni cosa e sensazione vengono rapidamente dette e subito dopo scivolano via, altrettanto rapidamente. Sempre per dare I' impressione e I' emozione della velocità, Marinetti ricorre a un fitto impasto di similitudini e all'uso delI' onomatopea: spicca I'allitterazione sulla r (ebbrrra, frrrerrmi, Prrrendimi, crrrrollanti a prrrrecipizio), un artificio fonico che vorrebbe tradurre con immediatezza il rombo tonante del motore.
L' OPERA ZANG TUMB TUMB Pubblicato nel 1914 nelle Edizioni futuriste di Poesia, il poemetto in prosa parolibera si divide in dieci parti; offre un resoconto poetico sulla guerra turco-bulgara (nota come seconda guerra balcanica) del 1912, alla quale Marinetti assistette come inviato di un giornale. L’opera obbedisce ai precetti della rivoluzionaria maniera espressiva del Futurismo.
Interpretazione del testo II brano celebra il rito “igienico” della guerra, del quale vuole esprimere sulla pagina scritta tutta la forza dinamica. La violenza e la ferocia della guerra sono recepite da Marinetti come musica, come spettacolo bellissimo e purificatore. Lo stile sostiene il messaggio: le parole in libertà servono a commentare come didascalie I' avvenimento di guerra.
L'autore vuole rappresentare le sensazioni suggerite dal bombardamento nella maniera più oggettiva e fedele possibile. Non descrive, perciò, ma raccoglie con ossessiva attenzione le impressioni, le immagini, i suoni di una giornata di guerra. Le forme sulla pagina imitano lo sconquasso provocato dal bombardamento. Sono ripetuti ed evidenziati i sostantivi chiave, che esprimono le virtù e i valori che si vogliono celebrare.
Sul piano linguistico, spiccano tre fenomeni: la mancanza di punteggiatura; I' uso dell'onomatopea, che diviene pienamente comprensibile solo se il brano viene letto ad alta voce e recitato; infine I' uso dell'accumulo verbale: incontriamo serie di verbi all'infinito (sventrare, balzare, ecc.), sequenze di vocaboli che si richiamano per analogia (azzannarlo, sminuzzarlo, sparpagliarlo; oppure alture, palchi).
Malgrado tutto però Marinetti non riesce a ricorrere in maniera esclusiva alle parole in libertà. Nel testo incontriamo infatti frasi tradizionali (non sento più i miei piedi gelati), L 'autore vorrebbe eliminare gli avverbi, e invece si lascia sfuggire un «comunica telefonicamente». La stessa caduta della punteggiatura è compensata daIl' uso degli spazi bianchi, che hanno, in fondo, la medesima funzione dl scandire i tempi della lettura
A. Palazzeschi
Aldo Palazzeschi (1885-1974) Pseudonimo di Aldo Giurlani. La sua produzione abbraccia un arco vastissimo toccando esperienze lontane fra loro. Periodo crepuscolare: I cavalli bianchi (1905), Lanterna (1907), Poemi (1909) Periodo futurista: L’incendiario (1910), il romanzo Il codice di Perelà (1911), il manifesto Il Controdolore (1914). La prima guerra mondiale chiude tutto un periodo della produzione di Palazzeschi. Del 1934 è il romanzo Sorelle Materassi, del 1948 I fratelli Cuccoli. 50
La fontana malata Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchette, chchch... È giù, nel cortile, la povera fontana malata; che spasimo! Sentirla tossire. Tossisce, tossisce, un poco si tace... di nuovo. Tossisce. Mia povera fontana, il male che hai il cuore mi preme. Si tace, non getta più nulla. non s'ode rumore di sorta che forse... che forse sia morta? Orrore Ah! No. Rieccola, Ancora tossisce, Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, chchch... La tisi l'uccide. Dio santo, quel suo eterno tossire mi fa morire, un poco va bene, ma tanto... Che lagno! Ma Habel! Vittoria! Andate, correte, chiudete la fonte, mi uccide eterno tossire! Andate, mettete qualcosa per farla finire, magari... magari morire. Madonna! Gesù! Non più! Non più. Mia povera fontana, col male che hai, finisci vedrai, che uccidi me pure. Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch... Aldo Palazzeschi, Poemi 51
Aldo Palazzeschi Letterato dalla personalità originale, Palazzeschi sfugge a una precisa identificazione con un movimento. Nella prima produzione poetica ritorna il mondo caro ai crepuscolari, ma il poeta toglie a quei temi la tenerezza e la malinconia, per sostituirvi la vocazione al riso. La funzione del poeta, ridotto a un saltimbanco dell’anima, viene ribaltata nel grottesco e nel ridicolo e il poetare non è altro che un divertimento. 52
Del Futurismo Palazzeschi rifiuta l’esaltazione della velocità e della macchina, la celebrazione della guerra sola igiene del mondo. Accoglie invece lo sperimentalismo delle onomatopee, delle immagini e delle parole in libertà, l’avversione al romanticismo sentimentale, all’estetismo. La sua produzione è tutta intrisa del tono ironico e burlesco.
Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange… l’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride… Bisogna educare al riso i nostri figli, al riso smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente… Sviluppare […] quell’istinto utile e sano che ci fa ridere di un uomo che cade per terra e lasciarlo rialzare da sé comunicandogli la nostra allegria. Aldo Palazzeschi 54
A. Palazzeschi Questi versi sono un esempio eloquente dell’atteggiamento dei futuristi nei confronti della poesia tradizionale. In modo polemico e provocatorio il poeta prende in giro chi, in passato, ha composto poesie serie, rispettando ogni regola. Palazzeschi rivendica la libertà di trasgredire tutte le norme. La poesia, dice, non ha più nulla da offrire agli uomini; i tempi sono cambiati, la vecchia poesia è morta: lasciatemi divertire!
Lasciatemi divertire Tri tri tri, fru fru fru, ihu ihu ihu, uhi uhi uhi! Il poeta si diverte, pazzamente, smisuratamente! Non lo state a insolentire, lasciatelo divertire poveretto, queste piccole corbellerie sono il suo diletto. Cucù rurù, rurù cucù, cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze. Queste strofe bisbetiche Cosa sono queste indecenze? Queste strofe bisbetiche? Licenze, licenze, licenze poetiche! Sono la mia passione. Farafarafarafa, tarataratarata, paraparaparapa, laralaralarala! Sapete cosa sono? Sono robe avanzate, non sono grullerie, sono la spazzatura delle altre poesie Bubububu, fufufufu. Friu! Friu! Ma se d’un qualunque nesso son prive, perché le scrive quel fesso? bilobilobilobilobilo blum! Filofilofilofilofilo flum! Bilolù. Filolù. U. Non è vero che non voglion dire, voglion dire qualcosa. Voglion dire… come quando uno si mette a cantare senza saper le parole. Una cosa molto volgare. Ebbene, così mi piace di fare.
Aaaaa. Eeeee. Iiiii. Ooooo. Uuuuu. A. E. I. O. U Aaaaa! Eeeee! Iiiii! Ooooo! Uuuuu! A! E! I! O! U! Ma giovanotto, ditemi un poco una cosa, non è la vostra una posa, di voler con così poco tenere alimentato un sì gran foco? Huisc…Huiusc… Sciu sciu sciu, koku koku koku. Ma come si deve fare a capire? Avete delle belle pretese, sembra ormai che scriviate in giapponese. Abì, alì, alarì. Riririri! Ri. Lasciate pure che si sbizzarrisca, anzi è bene che non la finisca. Il divertimento gli costerà caro, gli daranno del somaro.
Labala falala falala eppoi lala. Lalala lalala Labala falala falala eppoi lala. Lalala lalala. Certo è un azzardo un po’ forte, scrivere delle cose così, che ci son professori oggidì a tutte le porte. Ahahahahahahah! Ahahahahahahah! Ahahahahahahah! Infine io ò pienamente ragione, i tempi sono molto cambiati, gli uomini non dimandano più nulla dai poeti, e lasciatemi divertire!
Commento al testo II componimento è costruito come un dialogo di stampo teatrale, quasi una pantomima. Un veloce scambio di battute oppone il poeta a un immaginario pubblico, che liberamente interloquisce con lui. AII‘ inizio di ogni strofa compaiono suoni senza significato, oppure onomatopee. Seguono, nei versi successivi, le voci del poeta (che difende il proprio divertimento) e dei suoi interlocutori anonimi (che glielo contestano).
Queste voci sono a volte isolate, a volte mescolate tra loro: ruoli e punti di vista s'intrecciano bizzarramente. In sottofondo, una divertita girandola di fonemi propone una specie di commento «canoro» e «musicale a queste battute di dialogo Lo scopo dichiarato dall'autore è divertirsi. Tale motivo chiave viene enunciate fin dal v. 5, il primo del testo ad avere un significato (il poeta si diverte); sarà ripreso più volte nel corso del componimento (v. 9, v. 78, e con varianti lessicali ai w. 51 e 76); lo ritroviamo infine nella chiusa (e lasciatemi divertire!, v. 96).
«Divertirsi», per Palazzeschi, significa giocare con le forme della tradizione letteraria e con le stesse parole, ridotte a suono elementare, a sberleffo Al pubblico borghese, che protesta contro le indecenze e le strofe bisbetiche delta sua poesia, il poeta oppone la libertà di fare ciò che più gli aggrada, persino la libertà di riutilizzare la roba avanzata, la spazzatura delle altre poesie. La filastrocca prende di mira i benpensanti, i professori, chi ancora identifica la poesia in un gran foco divino, o la ritiene portatrice di valori e di significati.
Le idee Una rivoluzione estetica di massa: Il futurismo precede il fascismo, che nella sua fase "rivoluzionaria", ne utilizza idee ed energie. Il futurismo è il primo movimento del secolo ad aspirare a un seguito di massa.
• La città alla quale pensano i futuristi è il risultato di una progressiva urbanizzazione, dell’industrializzazione e della società delle macchine • Essa è popolata da masse che si muovono convulsamente, seguendo i ritmi frenetici della fabbrica e della moderna civiltà. Umberto Boccioni La città che sale, 1910
Umberto Boccioni Dinamismo di un giocatore di football
Giacomo Balla Dinamismo di un cane al guinzaglio 1912
Movimenti e poeti Un posto di tutto rilievo nella storia della poesia novecentesca, e più precisamente del primo Novecento, lo occupano i crepuscolari: Corazzini, Moretti ed in particolare Guido Gozzano.
Crepuscolarismo Il termine “Crepuscolarismo” fu coniato da Giuseppe Antonio Borgese per identificare il tramonto della “gloriosa poesia” italiana: Si direbbe che dopo le Laudi e i Poemetti la poesia italiana si sia spenta. Si spegne, infatti, ma in un mite e lunghissimo crepuscolo. Il Crepuscolarismo è un clima culturale, un modo di atteggiarsi di fronte alla realtà e alla letteratura che esprime una raffinata nostalgia per un mondo perduto per sempre. 69
Con i crepuscolari, dunque, incomincia la nuova poesia del '900 con caratteristiche opposte a quella precedente Infatti, i crepuscolari (insieme con i futuristi) si pongono ormai in piena rottura con la tradizione e, investiti dalla complessa spiritualità del Decadentismo, operano nella poesia un profondo cambiamento di contenuto e di forme.
L’universo poetico dei crepuscolari è malinconico, dimesso, umile; anche gli elementi più tipici di esso: i giardini e le ville abbondonate, gli organetti di Barberia e le «buone cose di pessimo gusto» tanto care a Guido Gozzano, assumono un valore eminentemente simbolico, dato che in essi si rispecchia una condizione interiore.
La personalità di maggiore rilievo è proprio quella di Guido Gozzano, torinese, morto molto giovane di tisi. I temi e soprattutto gli scenari scelti e le immagini dell’antico non vengono celebrate da Gozzano come immagini di bellezza o verità, ma esprimono invece la profonda malinconia di un animo rassegnato (pur se a volte ironicamente) alla consapevolezza della caducità delle cose, della fragilità della vita stessa.
G. Gozzano
Biografia Nato a Torino nel 1883 da famiglia benestante, egli si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza senza tuttavia mai conseguire la laurea. La sua inclinazione per la poesia si manifestò proprio durante gli anni universitari quand'egli preferiva andare a sentire le lezioni di letteratura italiana tenute da A. Graf, un poeta allora tenuto in grande considerazione, piuttosto che quelle di Giurisprudenza. Incominciò così a frequentare i circoli letterari
Cominciò quindi a scrivere poesie delle quali fondamentale è la raccolta intitolata Colloqui, apparsa nel 1911. Nella sua breve esistenza sono importanti i soggiorni estivi ad Aglié (TO), città natia, dove colloca la Villa Amarena della Signorina Felicita - e la relazione iniziata dal 1907 con la poetessa Amalia Guglielminetti.
Già in questo periodo cominciarono a manifestarsi i primi sintomi di tisi, malattia “di moda” all’epoca. Nel 1909 con la morte della madre e successivamente anche del padre, Gozzano comincia a scoprire le preoccupazioni per la vita economica, è costretto, infatti, a vendere la sua amata casa ad Agliè. .
Nel 1912-1913 compì un viaggio in India, molto breve, della durata di un solo mese, di cui scrisse un resoconto per «La Stampa» Nel 1915 la sua malattia, la tisi, si aggrava fino ad esplodere in una crisi decisiva. Trasportato in condizioni ormai disperate a Torino muore nel 1916.
Opere Fra le sue raccolte poetiche le più importanti sono: La via del rifugio (1907), che ottenne uno straordinario successo di critica e pubblico lo stesso anno, e I colloqui (1911), che rimangono il suo capolavoro. Lavorò anche ad un poemetto, Le farfalle, e scrisse racconti e fiabe.
I colloqui La signorina Felicita ovvero la felicità
1 Signorina Felicita, a quest’ora scende la sera nel giardino antico della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico. Signorina Felicita, è il tuo giorno! A quest’ora che fai? Tosti il caffè, e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, all’avvocato che non fa ritorno? E l’avvocato è qui: che pensa a te. Pensa i bei giorni d’un autunno addietro, Vill’Amarena a sommo dell’ascesa coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa dannata, e l’orto dal profumo tetro di busso e i cocci innumeri di vetro sulla cinta vetusta, alla difesa... Vill’Amarena! Dolce la tua casa in quella grande pace settembrina! La tua casa che veste una cortina di granoturco fino alla cimasa: come una dama secentista, invasa dal Tempo, che vestì da contadina. Bell’edificio triste inabitato!
Grate panciute, logore, contorte. Silenzio. Fuga delle stanze morte Grate panciute, logore, contorte! Silenzio! Fuga delle stanze morte! Odore d’ombra! Odore di passato! Odore d’abbandono desolato! Fiabe defunte delle sovrapporte! […] Penso l’arredo – che malinconia! – penso l’arredo squallido e severo, antico e nuovo: la pirografia sui divani corinzi dell’Impero, la cartolina della Bella Otero alle specchiere... Che malinconia! Antica suppellettile forbita! Armadi immensi pieni di lenzuola che tu rammendi pazïente... Avita semplicità che l’anima consola, semplicità dove tu vivi sola con tuo padre la tua semplice vita! Quel tuo buon padre – in fama d’usuraio quasi bifolco, m’accoglieva senza inquietarsi della mia frequenza, mi parlava dell’uve e del massaio, mi confidava certo antico guaio notarile, con somma deferenza.
Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle tue vesti quasi campagnole, ma la tua faccia buona e casalinga, ma i bei capelli di color di sole, attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga... E rivedo la tua bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere, e il volto quadro, senza sopracciglia, tutto sparso d’efelidi leggiere e gli occhi fermi, l’iridi sincere azzurre d’un azzurro di stoviglia... […] Oh! questa vita sterile, di sogno! Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta, meglio andare sferzati dal bisogno, ma vivere di vita! Io mi vergogno, sì, mi vergogno d’essere un poeta! Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatta la seconda classe, t’han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi... E non mediti Nietzsche... Mi piaci. Mi faresti più felice d’un’intellettuale gemebonda... Tu ignori questo male che s’apprende in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti, tutta beata nelle tue faccende. Mi piace. Penso che leggendo questi miei versi tuoi, non mi comprenderesti, ed a me piace chi non mi comprende. Ed io non voglio più essere io! Non più l’esteta gelido, il sofista, ma vivere nel tuo borgo natio, ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido, in oblio come tuo padre, come il farmacista...
I temi Il Crepuscolarismo dunque racconta un mondo di piccole cose, di dimessa quotidianità. Alla mondanità delle città, delle ville, dei salotti alto-borghesi, i crepuscolari contrappongono gli orti, i giardini, i conventi, le chiesette, i cimiteri di campagna, le stazioncine di provincia, il salotto buono piccolo-borghese. Di contro alle donne fatali e raffinate, propongono le signore che scelgon le paste nelle confetterie, la cuoca diciottenne, le fantesche. 83
La volontà di potenza si rovescia in un diffuso senso di malinconia e di nostalgia, di morte, di stanchezza di vivere, di disadattamento esistenziale. Il poeta non aspira più ad essere guida e interprete delle esigenze della nazione, adesso chiede solo che lo si lasci sognare (Gozzano) o divertire (Palazzeschi) o morire (Corazzini).
Lo stile Alla poesia dal tono magniloquente, alto, i crepuscolari oppongono un tono dimesso, quotidiano, colloquiale, con un periodare discorsivo, prosaicizzato e un lessico comune, impoetico, preso dalla lingua d’uso Alla ricerca degli effetti musicali contrappongono un uso della parola che indica gli oggetti, della filastrocca, della ripetizione. 85
Le rime vengono usate non in funzione di elevazione musicale, ma in funzione ironica e dissacratoria, con l’accostamento di parole di livello stilistico diverso: divino/intestino, malinconia/radioscopia, fuggitivi/legumi improduttivi.
L’ironia La sua polemica è rivolta non solo alla tradizione letteraria, ma investe anche i temi della sua poesia e se stesso come poeta. Il costante atteggiamento autoironico consente al poeta di prendere le dalla sua rappresentazione, che a volte colloca lontano nel tempo e nello spazio. 87
Lo stile Il contrasto creato dall’ironia, fra un mondo di cose evocate e ripudiate, amate e derise, è reso nel linguaggio con l’uso frequente dell’aggettivo antitetico: buone cose di pessimo gusto, dolci bruttissimi versi. Frequente il contrasto fra lessico banale, quotidiano, tipico del crepuscolarismo (stoviglie, biciclette, rotaie del tram, ecc.) e un lessico aulico (peplo, rabescare, cornucopia, ecc.). La rima è spesso usata contrapponendo parole di diverso livello linguistico e con funzione di dissacrante ironia: divino/intestino. 88