Canto XIII Suicidi
Figure e Personaggi Nesso Piero delle Vigna Arpie Lano da Siena Iacopo da Santo Andrea Scuola siciliana Fiorentino anonimo suicida
Nesso Il Centauro Nesso, è una delle figure mitologiche del ciclo di Ercole.Nesso usava traghettare i viaggiatori tra le sponde del fiume Eveno. Un giorno Eracle si trovò a passare il fiume assieme alla sua seconda moglie Deianira. Nesso si rifiutò di traghettare i due nello stesso momento. Quando Nesso si trovò ad avere in groppa la sola Deianira, tentò di rapirla dandosi alla fuga, ma fu ucciso da una freccia di Eracle. Nell'agonia, Nesso rivelò a Deianira che se ella avesse raccolto il suo sangue e ne avesse intriso una veste avrebbe potuto contare sull'amore eterno di Eracle; l'imprudente donna seguì il consiglio. Anni dopo, il vincitore Eracle che portava con sé la bella Iole, figlia del defunto re di Ecalia, si fermò a qualche distanza da Trachis e inviò Lica, un suo compagno, alla moglie Deianira per prendere una veste bianca per sacrificare. Lica raccontò tutto a Deianira, e questa, temendo la bellezza di Iole, consegnò a Lica la camicia di Nesso. Appena Eracle la indossò fu colto da terribili dolori, in quanto il sangue del centauro era contaminato dal veleno della freccia che lo aveva ucciso, intinta anni prima nel sangue dell'Idra di Lerna. Eracle, impazzito dal dolore, uccise Lica e ordinò di costruire una pira funebre su cui si fece bruciare. Deianira, impazzita per il rimorso, si impiccò.
Piero delle Vigna Nacque nel 1190 a Capua. Studiò a Bologna, probabilmente da Bene da Firenze. La sua carriera iniziò nel 1220, come notaio per Federico II di Svevia, dirigendo documenti, lettere e circolari per quest’ultimo. Fu impegnato attivamente nel cenacolo federiciano, e spese molte energie per costruire l’ Università di Napoli. Nel 1230 fino alla fine della sua carriera fu attivo nel campo diplomatico come ambasciatore imperiale presso la corte papale e i comuni del nord Italia. Nel corso della sua carriera accumulò un vasto patrimonio, cercando di rafforzare la situazione della sua famiglia. Fu arrestato a Cremona nel 1249, la causa rimane sconosciuta, nonostante si pensi a una congiura. Fu fatto accecare all’ Imperatore nel castello di San Miniato, ignoto è, anche, il motivo della sua morte, avvenuta poco dopo, per suicido. La sua opera più famosa è “L’ Epistolario Latino”. Diede anche un grande contributo nello sviluppo del volgare nella scuola Siciliana con alcune canzoni, ed un sonetto di corrispondenza con Jacopo da Lentini e Jacopo Mostacci sulla natura dell’ amore. Viene citato da Dante, nella Divina Commedia precisamente nel Canto XIII dell’ Inferno, ponendolo nella selva dei suicidi. L’autore, però, lo assolve dall’ accusa di aver tradito l’Imperatore.
Piero delle Vigna in Dante L’episodio di Pierre delle Vigne è preparato e anche condotto nella sua prima parte, da parole dal suono duro. Questa cupezza disarmoniaca che muta il suono in rumore aspro e secco cede poi, nella similitudine dello stizzo. Ma dopo l’ intervento di Virgilio, le parole del dannato hanno altro carattere: hanno qualcosa di elegante, di forbito, di raffinato. Parla infatti un uomo di una cultura superiore, ed è evidente nella preziosità delle parole scelte. Dante ammirava Pierre, per questo motivo utilizza uno stile elaborato per rendergli omaggio, ma è anche un modo poetico di esprimerne l’ambiguità interiore. Pierre intende ricostruire gli ideali che lo hanno animato in quanto cavaliere e letterato. Il prezionismo con il quale si esprime assume il valore artificioso di una maschera che si è costruito. E dietro questa si celano l’autocompiacimento, la superbia, la folle idolatria nei confronti del suo signore. Queste sono le ragioni che lo hanno reso fragile, fino a portarlo al suicidio. Pierre, è definito come un dannato che si distingue per le sue qualità morali e culturali, anche lui, come altri prima, ha stravolto l’ ordine morale e ha perduto il retto dominio della ragione. E’ in parte controfigura di Dante, vittima come lui, di ingiusta invidia e mancata riconoscenza da parte dei suoi concittadini.
Arpie Nella divina commedie le Arpie vengono rappresentate come mostri al volto di donna e corpo di uccello. Hanno larghe ali, colli e volti di esseri umani, piedi con artigli e grande ventre coperto di penne. Stanno appollaiate sugli alberi emettendo terrificanti lamenti. Nel Canto, svolgono il compito di straziare le sterpi, che non sono altro che le anime dei dannati. Le Arpie sono citate da Virgilio nell’ Eneide, quando cacciarono i troiani dalle Isole Strofadi.
Dante Virgilio
Scuola siciliana Nacque a Palermo, durante il governo di Federico II di Svevia. È la prima scuola poetica in volgare, che grazie all’ appoggio del sovrano, permise l’attività letteraria di ministri, funzionari e letterali dall’Italia all’Europa. Il tema delle loro opere è l’ amore cortese. Tra i principali poeti ricordiamo: Giacomo Da Lentini, Pierre delle Vigne e lo stesso Federico.
Anonimo Suicida Dante e Virgilio si accorgo di lui, mentre sgrida Iacopo, accusandolo di avergli procurato dolore, gettandosi sul suo cespuglio, prima di essere divorato dalle cagne furiose. Così Virgilio gli chiede di parlare di sé. Prima di iniziare il cespuglio, chiede ai due poeti di raccogliere le sue fronde e metterle ai suoi piedi. Poi informa i due che è fiorentino, omettendo la sua città natale, ma raccontando la storia del dio Marte. Egli era il patrono di Firenze, e quando il popolo sostituì la sua statua con quella di San G. Battista, lui rese la città sempre triste. La presenza di questa statua, veniva vista come una protezione alla città, venne distrutta da un’alluvione nel 1333. Alla fine del canto, l’anonimo racconta di essere morto impiccato in casa sua, e questa è l’unica informazione autobiografica che fornisce.