I gesti religiosi -II parte-

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I gesti religiosi -II parte-

Il gesto di benedizione La benedizione è un atto liturgico che si esprime in modi molto diversi, ma in tutte le sue forme resta fondamentale il segno di croce che le accompagna: ogni segno di croce è invocare la benedizione di Dio. … sia nella Chiesa orientale che in quella occidentale il termine “benedire” significa tanto tracciare un segno di croce, quanto pronunciare una preghiera.

Ci sono anche diverse forme di benedizioni come ad esempio: -l’imposizione delle mani -l’invocazione con le mani distese.

Il rito di benedizione è stato ereditato da noi cristiani dall’ambiente giudaico dove esso aveva un ruolo fondamentale, è la formula di benedizione più bella e significativa che noi abbiamo è la benedizione di Aronne1 che ci ricorda la comune radice di fede che abbiamo con l’Ebraismo: “ Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6, 24-26). 1Cfr. Messale Romano, riformato a norma dei decreti del Vat. II e promulgato da Paolo VI, Libreria Editrice Vaticana, 1973, op. cit. p. 403.

L’imposizione delle mani Anche questo segno lo abbiamo ereditato dal mondo giudaico dove assumeva significati diversi. L’imposizione delle mani poteva essere un gesto di benedizione (Gn 48,14-16; Lv 9,22); ma poteva anche indicare la consacrazione di una persona ad un importante incarico: Mosè, su un ordine del Signore, scelse Giosuè come suo successore e “pose le mani su di lui” (Nm 27,18-23).

Altre volte questo gesto assumeva un significato sacrificale: il sacerdote imponeva le mani sulla testa dell’animale destinato al sacrificio e durante la festa dell’Espiazione le imponeva sulla testa del capro confessando su di lui tutti i peccati e poi lo mandava nel deserto.

Anche nel Nuovo Testamento questo gesto conserva il significato di benedizione, Gesù benediceva i bambini imponendo su di loro le mani (Mc 10,13-16). Però era anche il gesto che accompagnava le guarigioni operate da Gesù (Lc 4,40), e lo ritroviamo anche come segno che caratterizzerà la missione degli Apostoli: “Questi saranno i segni che accompagneranno coloro che credono...imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16,18).

In altri passi l’imposizione delle mani sul capo di una persona indicava l’invocare e il trasmettere su di lui il dono dello Spirito per svolgere una determinata missione (At 6,6-9; 8,15-17; 13,3) Nella liturgia attuale il gesto dell’imposizione delle mani lo ritroviamo in tutti i Sacramenti.

L’imposizione delle mani assume qui il significato dell’azione simbolica della trasmissione della grazia e della missione ministeriale della Chiesa. Fin dal tempo apostolico l’ufficio sacerdotale veniva conferito con l’imposizione delle mani. “Tutti i diaconi, sacerdoti, vescovi possono considerarsi come anelli di una catena umana, collegati attraverso l’imposizione delle mani che risale fino agli apostoli e a Cristo stesso”.1 1Kaspar P.P., Il linguaggio dei segni....., op. cit., p.77.

L’unzione Nella liturgia l’unzione non deriva il suo linguaggio soltanto dalla corrispondenza con gli usi umani, ma soprattutto dalla Scrittura. Nell’Antico Testamento l’olio veniva considerato simbolo del benessere e della benedizione di Dio: “L’olio e il profumo rallegrano il cuore” (Prv 29,7). Ma l’olio ricorda anche la forza nei momenti in cui più ne abbiamo bisogno: “ Tu mi doni la forza di un bufalo, mi cospargi con olio splendente” (Sal 92,11).

Nel Nuovo Testamento l’Unto per eccellenza è Gesù Nel Nuovo Testamento l’Unto per eccellenza è Gesù. Infatti il titolo a lui più riferito è “Cristo” termine greco che traduce l’ebraico ‘mashiah’ (Messia), che significa Unto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione”(Lc 4,18 ; Is 61,1).

Nel Nuovo testamento troviamo riportate diverse unzioni, sono riportate soprattutto le proprietà curative dell’olio. Gli Apostoli guariscono gli infermi ungendoli con l’olio (Mc 6,13), e così fa il buon samaritano con l’uomo ferito che incontra sulla strada (Lc 10,34).

Il sacramento dell’Unzione degli infermi ha quindi una sua collocazione nella liturgia già dall’epoca apostolica. Nel secondo o terzo secolo l’unzione sarà introdotta anche nel rito del Battesimo che era collegato con quello della Confermazione; risale invece al Medioevo l’unzione nell’ordinazione di presbiteri e vescovi.

Nelle celebrazioni liturgiche odierne vengono utilizzati tre tipi diversi di olio: l’olio dei catecumeni, che viene utilizzato nella prima unzione del rito del Battesimo; l’olio degli infermi, e il crisma, che è un miscuglio di olio e balsami, e viene utilizzato nella seconda unzione del Battesimo, nell’unzione della Confermazione e nell’ordinazione sacerdotale.

Questi oli vengono consacrati nella Messa del Crisma, che viene celebrata il mercoledì o il giovedì santo, e che ha la funzione di manifestare l’unione della diocesi intorno al proprio vescovo, e soprattutto di far comprendere come tutti i Sacramenti scaturiscono dalla Pasqua; queste due realtà emergono chiaramente dal fatto di benedire proprio in questa occasione tutti gli oli che serviranno per la celebrazione dei Sacramenti in tutta la diocesi.

Troviamo, infine, l’unzione anche nei riti di dedicazione della chiesa, dove viene unto con il crisma l’altare che così diventa simbolo di Cristo, e le pareti nei quattro punti cardinali per indicare che essa è simbolo del mistero di Cristo e della sua comunità.

L’immersione battesimale Possiamo sinteticamente affermare, sulla scia di C. Jung, che l’acqua ha un valore “simbolico archetipo”, conosciuto in tutte le forme di religione, ed in base ad esso assume i seguenti significati: l’acqua = dissolve, scioglie; l’acqua = purifica, rigenera; l’acqua = vita; l’acqua = morte.

Significato simbolico dell’acqua nel Battesimo cristiano Nel passaggio del fiume Giordano (Gs 4, 22-25), che riprende lo stesso valore simbolico dl passaggio del Mar Rosso, l’acqua viene vista come uno strumento di salvezza, ed è proprio attraverso di essa che si realizza il passaggio dalla schiavitù alla libertà.

Collegate a questo stessa immagine simbolica, troviamo evocate due grandi figure dell’Antico Testamento: Elia che attraversa il Giordano prima della sua ascensione (2 Re 5, 9-20), qui l’acqua è simbolo della morte che precede la nuova vita; ed Eliseo che guarisce Naaman il siro dalla lebbra dicendogli di immergersi nel Giordano, e qui l’acqua è chiaro simbolo di purificazione. Nel rito si arriva attraverso questo percorso a ricordare il battesimo conferito a Gesù da Giovanni Battista nel Giordano

l’acqua nel Battesimo cristiano non simbolizza soltanto la realtà della purificazione, ma essa è segno della nuova creazione che viene operata in noi, ed è anche segno di salvezza che si realizza attraverso la morte al peccato e la rinascita come nuova umanità incorporata a Cristo e che con Cristo attraversa la morte per risorgere alla “vita”.

Il gesto battesimale dell’immersione era molto eloquente per far comprendere il significato simbolico collegato all’acqua; non a caso il termine battesimo deriva dal verbo greco “Baptizo”, che significa “immergere nel profondo”, nel rito per immersione nell’acqua era resa “visibile” la morte al peccato del battezzando(immersione) e la sua rinascita come creatura nuova in Cristo (emersione).

Oggi il rito battesimale si compie per mezzo dell’infusione, versando per tre volte l’acqua sul capo del battezzando, l’impoverimento di questo gesto ha portato anche ad un impoverimento del significato simbolico del gesto, poiché l’infusione può facilmente essere interpretata come un semplice gesto di purificazione.

L’aspersione Il gesto dell’aspersione vuole essere sempre il ricordo e l’attualizzazione del significato dell’acqua battesimale, per questo motivo lo ritroviamo presente in molti riti della liturgia cristiana.

“ Il ricordo del battesimo quando si prende l’acqua santa, dovrebbe essere una breve rinnovazione del battesimo: sì, è molto bello appartenere al popolo di Dio e sentirsi dentro la sua casa. In molti luoghi vi è l’uso di porgere l’acqua con la mano, nell’entrare o nell’uscire di chiesa, soprattutto ai membri della propria famiglia. Anche se in origine questo forse aveva lo scopo pratico di evitare la ressa presso l’acquasantiera, il gesto è bello. Noi tutti siamo in un unico battesimo legati ad un unico Dio”. Kaspar P.P., Il linguaggio dei segni...., op. cit., p. 73.

Le abluzioni Il gesto dell’abluzione, compiuto con l’acqua, lo ritroviamo come simbolo di desiderio e realizzazione della purezza interiore presso molte culture e religioni. Dalla Bibbia conosciamo l’importanza dell’abluzione presso gli Ebrei, nel libro del Levitico (cap. 14-16) troviamo minuziosamente descritti i riti di abluzione, che significavano la purificazione spirituale.

È rimasto per il solo celebrante dopo l’offertorio. Nel nuovo Messale troviamo spiegato il significato del lavabo: “ Il sacerdote si lava le mani: con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore” (PNMR 52).

La lavanda dei piedi Nella liturgia cristiana troviamo il gesto della lavanda dei piedi all’interno della celebrazione del Giovedì Santo: dopo l’omelia, il celebrante prende un catino d’acqua e, inginocchiandosi davanti ad alcune persone, lava loro i piedi e li asciuga con un asciugatoio. Questo rito è derivato da un gesto compiuto da Gesù durante l’ultima cena con i suoi Discepoli, che “..depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse intorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto” (Gv 13, 4-5).

Il gesto compiuto da Gesù è in netta antitesi con le consuetudini del suo tempo, poiché, come abbiamo già detto, erano i discepoli a lavare i piedi al loro maestro, così le proteste di Pietro diventano chiaramente comprensibili, ma malgrado esse il gesto di Gesù prosegue perché era suo fine impartire una sublime lezione di carità e di umiltà ai suoi discepoli; e non a caso l’episodio termina con la frase “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14).

Ma “mettersi a lavare i piedi è qualcosa di più di una lezione drammatizzata di carità fraterna: è un gesto profetico, una “parabola sacramentale” della sua spoliazione in croce e dell’offerta della sua vita”.1 1Aldazabal J., Simboli e gesti..., op. cit., p. 149.

A sottolinearlo e a valorizzarlo furono soprattutto gli ambienti monastici, che lo utilizzavano sia come segno di ospitalità nei confronti dei pellegrini, sia come segno di servizio reciproco nella comunità. Nella liturgia odierna del Giovedì Santo il Messale non obbliga a compiere tale gesto, ma lascia al celebrante la libertà di scelta, e in base a questo criterio alcuni lo tralasciano considerandolo come un gesto anacronistico, e, quindi, privo di significato per la nostra epoca. Ma chi si barrica dietro questa giustificazione ha, forse, dimenticato che il gesto compiuto da Cristo ha anch’esso un valore sacramentale che vuole essere un ‘programma di vita’ per i ministri che sono chiamati a rappresentare Cristo nella sua comunità.

Il mangiare e il bere All’interno della liturgia cristiana il mangiare e il bere sono i gesti sacramentali più importanti. Però prima di essere gesti sacramentali, il mangiare pane e bere il vino, sono gesti strettamente umani e proprio per questo vengono scelti da Gesù, nella consapevolezza che la loro efficacia espressiva fosse facilmente comprensibile a livello antropologico.

Dal punto di vista umano, il mangiare e il bere a livello simbolico significano il nutrimento che è indispensabile alla sopravvivenza di ogni essere vivente. Il pane è uno degli alimenti fondamentali per l’uomo, frutto della natura, ma anche del suo duro lavoro. Il vino crea un’atmosfera di gioia, di festa, di vita; se bevuto a tavola con gli amici assume il significato simbolico della felicità, della forza, della gioia di stare insieme.

Nell’ambito religioso, fin dall’antichità, era diffusa la concezione che mangiando il pane e bevendo il vino si aveva la possibilità di partecipare alla vita divina. Gli antichi Israeliti consideravano l’atto di mangiare pane e bere vino come mezzo per entrare in comunione con Dio. Nel Levitico (cap. 2) troviamo descritti, in un rituale sacerdotale, dei cibi fatti con il frumento da offrire come ringraziamento a Dio.

Significato simbolico cristiano del gesto di mangiare il pane e bere il vino Gesù ci ha lasciato questo gesto sacramentale poiché il banchetto, il mangiare e bere insieme, è chiara espressione del vincolo di unità, solidarietà e amicizia che lega i cristiani, che sono chiamati ‘a mangiare’ con e il Signore, cibo di vita eterna.

Il gesto del mangiare e bere nella storia della liturgia cristiana Nei primi secoli questo gesto aveva un ruolo fondamentale all’interno della liturgia cristiana, ed era possibile una più facile comprensione del suo significato simbolico. Non a caso la celebrazione eucaristica veniva chiamata “fratio panis”, ed aveva l’aspetto di un convito. Dopo la celebrazione, i cristiani potevano portare a casa il pane consacrato per darne agli ammalati.

Nel IV secolo vi fu un repentino cambiamento della celebrazione eucaristica, che divenne un’imitazione del cerimoniale di corte bizantino, e i fedeli diventarono dei semplici spettatori. Il pane utilizzato per la celebrazione continuava però ad essere il normale pane cotto in casa, e il gesto della frazione del pane resta presente nella liturgia fino al Medioevo, continuando ad esprimere il suo alto significato teologico: nell’eucaristia ci nutriamo tutti dello stesso pane di vita, che è Cristo, diventando così un unico corpo.

Nel IX secolo viene prescritto per la celebrazione eucaristica l’uso del pane azzimo, sotto forma di ostie grandi come una moneta, che si diffonderà nell’ XI-XII secolo con la rinuncia della comunione con il calice. Il pane non viene spezzato… La riforma liturgica ha voluto ripristinare la comunione col calice: “La comunione esprime con maggior chiarezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie.

Prendere la comunione nella mano Nei primi secoli era cosa normalissima prendere la comunione nella mano, e questo ci viene testimoniato da molti Padri della Chiesa, e la testimonianza più nota ci viene da Cirillo di Gerusalemme, nel IV secolo