La dignità di discepoli, figli del Padre, ci è comunicata dal battesimo, proprio perché esso è immersione nella vita del Cristo Risorto. E l’eucaristia è il segno che Dio continua a radunare i suoi figli dispersi. La loro testimonianza nasce dalla esperienza pasquale di incontro vero con il Risorto e dalla convinzione secondo cui “in nessun altro c’è salvezza”.
prima lettura La replica di Pietro davanti al sinedrio, che ascoltiamo nella prima lettura, ci parla di testimonianza da rendere con franchezza e di esperienza della forza dello Spirito, secondo la promessa di Gesù. vangelo Egli infatti continua a essere presente in mezzo a noi, come il pastore buono e bello di cui parla il vangelo: Egli dona con libertà la sua vita come rivelazione della misericordia del Padre nei nostri riguardi. Attraverso Gesù, Dio ci rende suoi figli. seconda lettura Questa figliolanza, ci ricorda la seconda lettura, contiene la qualità e la misura dell’amore di Dio che può trasformare la nostra vita.
Durante la feste delle capanne… A Gerusalemme… In questo contesto era ambientato il segno della guarigione del cieco nato. Qui Gesù si è rivelato come colui che dona la luce al mondo e disperde le tenebre. La conclusione dell’episodio approda a una discussione tra Gesù e i farisei. È un momento di giudizio che non viene però da Gesù, ma si compie nell’intimo dei suoi interlocutori. Davanti a Gesù non si può non scegliere.
Finora in Giovanni, oltre che come luce, Gesù si è rivelato come… LO SPOSO LO SPOSO IL CIBO IL CIBO L’ACQUA L’ACQUA IL RIPOSO IL RIPOSO COLUI CHE OFFRE UNA CASA COLUI CHE OFFRE UNA CASA Ora l’evangelista fornisce un ulteriore titolo, non meno significativo. Gesù è il PASTORE che è venuto a dare la vita per il gregge, affinché ogni pecora abbia vita in abbondanza.
Il contesto di questa nuova rivelazione continua a essere quello della Festa delle capanne. In questa festa, Israele celebra la presenza di Dio che durante la vicenda esodica ha condotto il suo popolo nel cammino del deserto. Lì si è rivelato come premurosa guida e forte pastore del suo popolo, cosa che fa dire a un Salmo: “È lui il nostro Dio, noi il suo popolo, il gregge che egli conduce” (Salmo 95,7).
La metafora del pastore trova il suo radicamento nell’AT. Per la Bibbia i pastori sono i capi di Israele. Nel caso siano stati capi infedeli, sono qualificati, senza mezzi termini ‘cattivi pastori’, perché hanno lasciato il proprio gregge in balìa delle fiere e dei pericoli, pensando solo ai propri interessi.
Queste parole profetiche di Ezechiele illuminano il testo di Giovanni. L’idea che sarà Dio a cercare e radunare le sue pecore disperse per ricondurle, curarle, stringere con esse un’alleanza di pace, è ripresa da Giovanni. Ma l’evangelista va ben oltre la pagina di Ezechiele, al punto che il suo testo suona davvero “nuovo”. È sufficiente richiamare le caratteristiche di questo “bel” pastore, per rendersi conto di quanto la realtà superi la profezia.
Di sé il Cristo dice di essere IL BUON PASTORE che OFFRE LA VITA PER LE PECORE. Quale pastore farebbe una cosa del genere? Si ha proprio la sensazione che, mentre è ripresa una metafora comune nei testi biblici, Questa stessa immagine non riesca a contenere tutta la realtà che dovrebbe esprimere. La cura delle pecore arriva fino al punto di donare la propria vita! Per questo tra pastore e pecore si instaura una conoscenza senza precedenti e persino inaudita:
Un’altra caratteristica del buon pastore è che le sue pecore nono sono solo quelle di Israele. “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile: anche queste io devo condurre: ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”. Queste parole esprimono quell’apertura universale alla quale i discepoli di Cristo sono stati chiamati nei primi secoli della Chiesa. La Chiesa è un ovile aperto a tutti e non deve cedere alla tentazione di chiudersi, impedendo a quanti lo vogliono l’incontro col Cristo, pastore universale dell’umanità.
L’ultima caratteristica del buon pastore è che ha il potere di donare la sua vita e di riprenderla di nuovo. Nessuno, infatti, è in grado di toglierla. Le parole di Gesù si riferiscono alla sua passione, morte e risurrezione. La via della croce non è stata una fatalità degli eventi, un destino cieco e crudele. Il Cristo stesso ha scelto questa strada e l’ha abbracciata con passione per percorrerla fino in fondo. Il pastore allora non è caduto vittima di un meschino complotto umano e non è stato consegnato nelle loro mani violente. Ma liberamente si è consegnato, seguendo la strada indicatagli dal Padre.
Con questo verbo Gesù esprime la consapevolezza di avere portato a compimento la sua missione. Quella di effondere lo Spirito, di portare a pieno termine il disegno creatore di Dio. Ma c’è di più: Quella forma verbale esprime il compimento, ma nello stesso tempo, i frutti perenni di ciò che si è compiuto. Quell’effusione dello Spirito, come ultimo respiro di chi ha dato tutto, continua a portare frutto anche oggi in chi vuole diventare “didimo” di Gesù. In questo respiro sulla croce, nasce dunque la comunità dei discepoli, la Chiesa, prefigurata dalla madre e dal discepolo amato, ai piedi della croce.