SUBORDINAZIONE ED AUTONOMIA STRUTTURA DEL RAPPORTO DI LAVORO INQUADRAMENTO DEI LAVORATORI ORARIO DI LAVORO POTERE DISCIPLINARE RETRIBUZIONE
LAVORO SUBORDINATO Ai sensi dell’art. 2094 c.c. “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Con il contratto di lavoro subordinato il lavoratore si obbliga – in cambio di una retribuzione – a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. L’elemento qualificante del rapporto è la subordinazione, intesa quale assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro La giurisprudenza, nel tentativo di dare maggiore concretezza alla definizione codicistica e posto come ogni attività umana economicamente rilevante possa essere oggetto sia di lavoro autonomo che subordinato, ha definito una serie di indicatori della condizione di subordinazione: La presenza di direttive tecniche e di potere di controllo e disciplinare; L’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, desumibile dall’assenza di un’organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore e dall’assoggettamento di questi al potere gerarchico del datore di lavoro;ù l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore di lavoro; L’assunzione del rischio di impresa da parte del datore di lavoro; Il pagamento della retribuzione a scadenze periodiche; l’osservanza di un orario di lavoro rigido e prestabilito.
Lavoro autonomo Ai sensi dell’art. 2222 c.c. si ha lavoro autonomo “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” Il rapporto di lavoro si qualifica come autonomo, dunque, quando un soggetto di obbliga ad una determinata prestazione lavorativa a favore di un altro soggetto, senza il vincolo della subordinazione e con l’assunzione del rischio a proprio carico. Alcuni esempi di tipi contrattuali tramite cui lo stesso può realizzarsi: Contratto d’opera. Ai fini della configurabilità, la legge prevede che la prestazione debba consistere in un opera o un servizio; essere prevalentemente personale ( il lavoratore può farsi aiutare da eventuali collaboratori, dotarsi di mezzi organizzativi più o meno complessi, si pensi agli studi professionali); svolgersi senza vincolo di subordinazione; essere compensata da un semplice corrispettivo (e non dalla retribuzione); essere effettuata sotto la responsabilità del prestatore per eventuali vizi e difformità dell’opera; Contratto di appalto: una delle parti contraenti assume con organizzazione di mezzi necessari e gestione a proprio rischio l’effettuazione di un’opera o di un servizio; Associazione in partecipazione: un soggetto (l’associante) attribuisce ad un altro (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari in cambio di un determinato apporto che può consistere in una prestazione di natura patrimoniale (come il conferimento di un bene o di un capitale) e/o di natura personale (come la realizzazione di un opera o un servizio).
Collaboratori coordinati e continuativi La collaborazione coordinata e continuativa è un rapporto di lavoro nel quale il lavoratore si impegna a svolgere un’opera o un servizio in via continuativa a favore del committente e in coordinamento con quest’ultimo, ma senza che sussista un vincolo di subordinazione. La fattispecie del collaboratore coordinato e continuativo (co.co.co.), detto anche lavoratore parasubordinato, è connotata dai seguenti elementi: a) Il carattere coordinato (e non eterodiretto, diversamente dal lavoro subordinato) della collaborazione; b) Il carattere continuativo (come nel lavoro subordinato) della medesima; c) Il fatto che la prestazione di lavoro sia eseguita mediante l’opera prevalentemente personale del collaboratore (come nel lavoro subordinato e diversamente da quanto accade nel lavoro imprenditoriale ex art. 2082 c.c., nel quale è prevalente, rispetto al lavoro personale, l’organizzazione dei mezzi). Il rapporto di lavoro in esame (c.d. parasubordinazione) si differenzia, pertanto, dal lavoro dipendente (in quanto non sussiste alcun vincolo di subordinazione), dal lavoro autonomo (inteso come esercizio di arte o professione) e dall’attività imprenditoriale (poiché manca un’organizzazione di mezzi).
La collaborazione a progetto o a programma Secondo l’art. 61 d.lgs. n. 276/2003, fatte salve alcune eccezioni (agenti di commercio, professionisti intellettuali iscritti ad appositi albi, i pensionati di vecchiaia, gli amministratori e i sindaci di società, i collaboratori occasionali impiegati per meno di 30 giorni complessivi nell’anno solare con lo stesso committente, e comunque con un reddito da lavoro non superiore a 5.000 euro netti annui), per le quali sopravvivono le “vecchie” collaborazioni coordinate e continuative, queste “debbono essere riconducibili a uno o più progetti specifici, o programmi di lavoro o fasi di essi”. Il contratto di lavoro a progetto è, pertanto, una species del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, in quanto si compone degli elementi di fattispecie proprie delle “vecchie” collaborazioni (coordinamento, continuatività, personalità della prestazione), con il più del progetto. Si definiscono, pertanto, rapporti di lavoro a progetto quelli riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso: determinati dal committente; gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato. Ciò nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempi impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. La durata del rapporto è funzionale alla realizzazione del progetto, programma di lavoro o fase di esso, in regime di totale autonomia.
La struttura del rapporto di lavoro Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore di lavoro deve rispettare un generale principio di parità di trattamento tra i lavoratori in materia di occupazione e condizioni di lavoro, che si traduce in un divieto di operare discriminazioni (dirette o indirette) per ragioni legate alla razza, origine etnica, religione alle convinzioni personali, agli handicap, all’età ed all’orientamento sessuale, vincolando il potere direttivo imprenditoriale. Oltre al rispetto di quanto dettato dalla disciplina specifica in materia di sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro è tenuto in generale a preservare l’integrità fisica e morale del lavoratore, pena il risarcimento del danno, anche non patrimoniale (art. 2059 c.c.). Al datore di lavoro, spettano, poi, una serie di poteri funzionali all’organizzazione dell’impresa, all’esercizio dei suoi diritti ed all’adempimento degli obblighi: i principali, previsti dalla legge, sono quello direttivo, di controllo e disciplinare. Il potere direttivo consiste nell’impartire una serie di disposizioni con lo scopo di garantire l’esecuzione e la disciplina del lavoro. Questo potere, essendo ricompreso nel più generale potere di organizzazione dell’attività dell’impresa costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.), viene esercitato – direttamente dal datore di lavoro o mediante i propri collaboratori superiori gerarchicamente al lavoratore – con dei margini di ampia discrezionalità, salvo i seguenti limiti: rispetto dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione dell’obbligazione (artt. 1175 c.c. e 1375 c.c.); divieto di discriminare i lavoratori; obbligo di garantire la sicurezza dei lavoratori.
Potere di controllo e vigilanza Il datore di lavoro può controllare, direttamente o tramite la propria organizzazione, l’adempimento delle prestazioni lavorative o il verificarsi di mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione; egli può, ad esempio, ai fini della tutela del proprio patrimonio, mobiliare ed immobiliare, all’interno dell’azienda, adibire a mansioni di vigilanza determinate categorie di lavoratori anche se sprovvisti di licenza di guardia giurata. I superiori gerarchici, tra i cui compiti rientra quello di controllare l’attività dei lavoratori, non sono considerati come personale di vigilanza. È vietato l’uso di impianti audiovisivi per finalità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, ad eccezione dei casi giustificati da esigenze organizzative, produttive o di sicurezza: in tali casi, infatti, l’installazione è ammessa previo accordo con le rappresentanze sindacali oppure, in mancanza di accordo, con provvedimento della DPL su richiesta del datore di lavoro. Le perquisizioni a carico del lavoratore sono vietate ad eccezione dei casi indispensabili di tutela del patrimonio aziendale, alle seguenti condizioni: all’uscita del luogo di lavoro e con sistemi di selezione automatica casuale rispetto alla collettività dei lavoratori; Salvaguardando la dignità e la riservatezza del lavoratore; concordando i casi e le modalità delle perquisizioni con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, soltanto su autorizzazione della DPL.
Accertamenti sanitari La legge vieta al datore di lavoro di accertare direttamente o mediante medico di propria fiducia sia l’idoneità al lavoro dei propri dipendenti che le condizioni di salute dei lavoratori in caso di malattia o infortunio. Tali visite possono essere effettuate solo utilizzando strutture sanitarie pubbliche. Lo stato di malattia può essere controllato su richiesta del datore di lavoro o dell’INPS, mediante l’utilizzo di apposite strutture sanitarie pubbliche. Le strutture competenti sono le ASL (mediante i rispettivi Servizi medico legali) e l’INPS (mediante personale medico inserito in liste speciali istituite presso ogni sede dell’Istituto), in quanto ente erogatore dell’indennità di malattia. Allo scopo di rendere possibile il controllo dello stato di malattia il lavoratore ha l’obbligo di essere reperibile presso l’indirizzo abituale o oil domicilio occasionale durante tutta la durata della malattia, comprese le domeniche ed i giorni festivi, dalle ore 10,00 alle 12,00 e dalle ore 17 alle 19. Eventuali diverse disposizioni stabilite dalla contrattazione collettiva sono in contrasto con le disposizioni ministeriali e, quindi, inapplicabili.
Il lavoratore La principale obbligazione del lavoratore è quella di offrire la propria prestazione lavorativa conformemente alle mansioni assegnate, secondo l’orario di lavoro concordato e nel luogo stabilito. L’obbligo di diligenza (ex art. 2104, comma 1, c.c.) richiede che il lavoratore nello svolgimento della propria attività debba usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione e dall’interesse dell’impresa. Essa consiste nell’esattezza e scrupolosità nello svolgere il proprio lavoro e dipende innanzitutto dalle mansioni assegnate, dovendo essere collegata anche alle esigenze organizzative dell’impresa, nel senso che la prestazione viene diligentemente effettuata solo se la stessa può essere integrata e coordinata con il lavoro di altri dipendenti. La violazione dell’obbligo di diligenza costituisce una forma di inadempimento contrattuale ed è fonte di responsabilità disciplinare determinando, a seconda della gravità, anche il recesso dal rapporto di lavoro. L’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.), collegato direttamente al potere direttivo del datore di lavoro, si realizza con il rispetto delle disposizioni impartite dal datore o dai suoi collaboratori per l’esecuzione e la disciplina del lavoro. La giurisprudenza individua, come limite specifico dell’obbligo di obbedienza, il rifiuto di eseguire ordini illegittimi del datore di lavoro. L’obbligo di fedeltà comporta l’osservanza, da parte del lavoratore, del divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore (divieto di concorrenza) e di quello di divulgare notizie riguardanti l’organizzazione e i metodi di produzione, oppure di farne uso in modo pregiudizievole per l’impresa (obbligo di riservatezza).
Mansioni e inquadramento del lavoratore L’individuazione dell’attività che il lavoratore si impegna a prestare è fondamentale al fine di determinare quali siano i diritti e i doveri delle parti nel rapporto di lavoro. L’oggetto della prestazione lavorativa è individuato nelle mansioni, ossia i compiti che vengono affidati ala lavoratore al momento dell’assunzione. In relazione alle mansioni si stabiliscono le: qualifiche, intese come raggruppamenti di mansioni; categorie in cui vengono riunite qualifiche tra loro omogenee (ad esempio operai ed impiegati). La disciplina giuridica di mansioni e qualifiche è contenuta nel codice civile (art. 2103 c.c.) ma la loro identificazione nonché i criteri di inquadramento dei lavoratori sono individuati dalla contrattazione collettiva. Sebbene ci siano ancora diverse norme e alcuni CCNL di categoria che fanno riferimento alla suddivisione gerarchica delle categorie operata dal codice civile, in generale può dirsi che quest’ultima sia stata superata da un nuovo sistema di classificazione professionale previsto dalla contrattazione collettiva, fondata su una classificazione unica ripartita generalmente in sette o otto categorie e altrettanti livelli retributivi (c.d. inquadramento unico): l’appartenenza a queste categorie è determinata sulla base di definizioni generali (c.d. declaratorie) delle caratteristiche dell’attività prestata nonché di un’elencazione (c.d. esemplificazioni) dei diversi profili professionali specifici e, quindi, delle mansioni o delle professionalità comprese in ciascuna categoria. Con il sistema di inquadramento unico, gruppi di impiegati ed operai possono trovarsi insieme nel medesimo livello.
Le categorie Il codice civile prevede una suddivisione gerarchica dei lavoratori subordinati in 4 categorie: dirigenti: rappresentano una categoria di lavoratori subordinati il cui rapporto è regolato da normative speciali e dalla contrattazione collettiva dei diversi settori di appartenenza e che in azienda ricoprono un ruolo di caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e la cui attività è diretta a promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa quadri: l’appartenenza a tale categoria è subordinata alla sussistenza dei requisiti fissati dalla contrattazione collettiva. Costituiscono caratteri distintivi di tale figura: autonoma responsabilità gestionale delle funzioni attribuite; responsabilità di buget; dipendenza diretta dai dirigenti; svolgimento di funzioni, con carattere continuativi, di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi di impresa. Non rientrano in questa figura i requisiti della gestione diretta dei rapporti con i terzi e della capacità di impegnare direttamente l’azienda.
Le categorie (II) impiegati: in via generale si tratta di lavoratori che svolgono attività professionale con funzioni di collaborazione, eccettuata ogni prestazione di semplice manodopera. Distinguiamo: impiegati di concetto: preposti formalmente o di fatto ad un ramo o servizio dell’attività svolta dall’imprenditore con poteri di circoscritta supremazia gerarchica nei confronti di latri dipendenti e di collaborazione con il titolare dell’impresa, del quale attuano le disposizioni con libertà di apprezzamento e facoltà di iniziativa; impiegati d’ordine: prestano la propria attività come mera attuazione della volontà dell’imprenditore o del dirigente, senza alcuna autonomia o con una facoltà di iniziativa limitata alle modalità di esecuzione delle operazioni loro affidate. operai: hanno compiti, generalmente di tipo manuale, attinenti al solo processo produttivo.
L’orario di lavoro Per orario di lavoro si intende qualsiasi periodi in cui il lavoratore sia a lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali, tuttavia i contratti collettivi possono stabilire una durata inferiore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. La durata media calcolata con riferimento ad un arco temporale non superiore a quattro mesi (periodo elevabile dalla contrattazione collettiva a 6 o – a fronte di ragioni obiettive, tecniche inerenti l’organizzazione del lavoro – 12 mesi), non può in ogni caso superare le 48 ore per ogni periodo di 7 giorni (comprese le ore di lavoro straordinario). L’organizzazione dell’orario giornaliero (numero di ore lavorative, ora d’inizio e di termine della prestazione e durata degli intervalli di riposo) è, in genere, rimessa a criteri individuali a livello aziendale. Qualora l’orario giornaliero superi le sei ore, il lavoratore deve beneficiare di una pausa finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’eventuale consumazione del pasto ed all’attenuazione del lavoro ripetitivo e monotono: modalità e durata della pausa sono in genere stabilite dalla contrattazione collettiva; in mancanza il lavoratore ha diritto ad un intervallo di durata non inferiore a dieci minuti consecutivi, la cui collocazione deve tenere conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
L’orario di lavoro (II) Ferma restando la durata normale dell’orario settimanale, il lavoratore ha diritto ad 11 ore di riposo consecutive ogni 24 ore. Il criterio della consecutività può essere derogato per le attività organizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata, come ad esempio l’attività del personale addetto alle pulizie, o da regimi di reperibilità Il lavoratore, poi, ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola, coincidenti con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero: il periodo di riposo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Il lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro (40 ore settimanali). Se l’orario settimanale previsto dal contratto collettivo è inferiore a 40 ore, il lavoro prestato oltre l’orario contrattuale ed entro il limite legale è definito supplementare. Ai lavoratori dipendenti è riconosciuto il diritto irrinunciabile ad un periodo annuale di ferie retribuite (paria almeno a 4 settimane) per reintegrare le energie psico-fisiche spese nella prestazione lavorativa. È nullo ogni diverso accordo, tra datore e prestatore di lavoro, che non sia giustificato da eccezionali esigenze aziendali. Le ferie non godute possono essere differite entro i limiti stabiliti dalla legge, solo in casi eccezionali possono essere retribuite mediante un’indennità sostitutiva.
Potere disciplinare e contratto di lavoro Uno dei più vistosi indici sintomatici della natura subordinata del rapporto di lavoro è il potere disciplinare, attribuito dalla legge, al datore di lavoro. Il lavoratore, che si sia reso responsabile della violazione di un obbligo di natura contrattuale, può essere perseguito, infatti, sia con un’azione ex art. 1218 c.c. (classica azione risarcitoria volta ad ottenere il giusto risarcimento del danno) sia con un’azione di natura disciplinare, cui corrisponde la titolarità di uno specifico potere in capo al datore di lavoro. Nel caso di inadempimento “sull’esecuzione e la disciplina del lavoro” (ad es. orario di ingresso e di uscita, divieto di fumo, etc), il lavoratore può essere perseguito con l’irrogazione diretta di sanzioni da parte del datore di lavoro.
I presupposti sostanziale del potere disciplinare Il fondamento normativo di tale potere risiede nell’art. 2106 c.c., ove sono indicati i presupposti fondamentali di esercizio, che consistono nell’inosservanza, da parte del lavoratore, dei tre obblighi (diligenza, obbedienza, fedeltà) di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. Il principio orientativo per il concreto esercizio del potere è quello della proporzionalità della sanzione all’infrazione commessa; Dal punto di vista sostanziale, invece, la fonte principale di determinazione dei presupposti del potere è oggi il contratto collettivo. Ciò in forza dell’art. 7, c.1 , Stat. Lav.:”Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse....devono applicare quanto in materia stabilito da accordi (collettivi) di lavoro ove esistano”.
I presupposti sostanziale del potere disciplinare La fonte collettiva di tale potere è espressione di un principio garantistico (ovvero il datore di lavoro deve applicare necessariamente le sanzioni previste dal contratto collettivo per ogni tipo di sanzione). Nei codici disciplinari del contratto collettivo v’è una naturale progressione, dai comportamenti meno gravi, passibili di lievi sanzioni, a quelli più gravi, per i quali cresce in proporzione la natura della sanzione: le sanzioni di natura conservativa (che non comportano, cioè, la risoluzione del rapporto di lavoro) sono di solito, ed in ordine di crescente gravità, quattro: rimprovero verbale, rimprovero scritto o censura, multa, sospensione dal lavoro e dalla retribuzione; è prevista la recidiva come fattore di aggravamento della responsabilità disciplinare; Infine, l’art. 7, comma 1, si preoccupa di garantire che ai lavoratori venga data un’informazione adeguata in ordine al codice disciplinare, disponendo che esso venga “affisso in luogo accessibile a tutti”.
Il Procedimento disciplinare La normativa dell’art. 7 prevede una procedura di irrogazione della sanzione disciplinare, volta a consentire al lavoratore di difendersi di fronte alla minacci di un provvedimento avente quel carattere. I principali passaggi di tale procedimento sono i seguenti: a) Contestazione dell’addebito (art. 7, comma 2 e 5); b) Difesa del lavoratore (art. 7, comma 2 e 3); c) Irrogazione della sanzione (art. 7, comma 2 e 5); d) Impugnazione (art. 7, comma 6 e 7). Una volta ricevuta la sanzione, il lavoratore può impugnarla sia per ragioni procedurali che sostanziali. L’impugnazione volta a far valere la nullità della sanzione, per violazione della normativa imperativa rilevante, può essere proposta al Giudice del Lavoro, oppure davanti al collegio arbitrale (“irrituale”) previsto dall’art. 7, comma 6 e 7, presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
Retribuzione e corrispettività nel contratto di lavoro La retribuzione è il principale diritto del lavoratore subordinato, e l’obbligo di corrisponderla costituisce, per converso, il principale obbligo del datore di lavoro. Il principio di corrispettività insito nella retribuzione (cfr. art 2904 c.c.) dovrebbe comportare che il lavoratore abbia diritto alla retribuzione soltanto a condizione di aver effettivamente lavorato. Tale principio subisce delle eccezioni, nei casi di sospensione dal lavoro, permessi dall’ordinamento (ad es. malattia, maternità, permessi sindacali, etc). La garanzia costituzionale di una retribuzione “sufficiente” ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa” comporta un’estensione a tutti i lavoratori dell’efficacia delle clausole retributive dei contratti collettivi nazionali di categoria. Ciò tramite l’assunzione delle tariffe retributive contrattuali, limitatamente alla “retribuzione base” come parametro di determinazione della nozione di “sufficienza”. L’art. 36, c. 1, sancisce anche il diritto del lavoratore ad una retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del lavoro”.
Fonti e struttura della retribuzione La disposizione centrale del sistema della fonti in materia di retribuzione è l’art. 2099, comma 1-2, c.c., la cui asserzione principale è che la determinazione della misura della retribuzione è rimessa ai contratti collettivi, nonché, in subordine, all’accordo tra la parti o, in mancanza, al giudice secondo equità. La fonte contrattuale si occupa di retribuzione a vari livelli, in calce ai quali occorre considerare anche quello della contrattazione individuale: gli accordi interconfederali; i contratti collettivi nazionali di categoria; i contratti collettivi di secondo livello; la contrattazione individuale. Accanto al nucleo centrale della retribuzione base, vi sono una pluralità di trattamenti accessori. Questi sono previsti da norme di legge (retribuzione feriale, trattamento di malattia, indennità sostitutiva del preavviso, etc.) o dai contratti collettivi (indennità di mensa, indennità di trasferta, indennità di cassa, trattamento estero, indennità di posizione,premio di produzione,etc.).
FORME DI RETRIBUZIONE L’art. 2099 c.c. contiene un’enunciazione generale delle possibili forme di retribuzione. La forma classica è la retribuzione a tempo (ad ore, a mese, etc.); L’altra forma retributiva “storica” è la retribuzione a cottimo, o a pezzo, secondo una tecnica legata al rendimento della singola prestazione; Tale forma di retribuzione è la forma più risalente di retribuzione variabile. Quest’ultima si sostanzia nella previsione, da parte della contrattazione collettiva o individuale, di compensi commisurati alla produttività del lavoratore e/o dell’impresa, o alla redditività di questa (ad. esempio premi di produzione, “di obiettivo” o “di risultato”, diffusi soprattutto nell’ambito della dirigenza).
TFR Una voce retributiva a sé stante è il trattamento di fine rapporto (TFR o liquidazione) previsto e disciplinato dalla legge (art. 2120 c.c., novellato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297). Esso consiste in una forma di retribuzione differita, la cui maturazione giuridica avviene nel momento della cessazione del rapporto di lavoro (anche se esso si forma durante tutto il corso di tale rapporto). Il meccanismo per calcolare tale retribuzione è il seguente: a favore di ciascun dipendente viene contabilmente accantonato dal datore di lavoro, ogni anno, un importo calcolato dividendo la retribuzione annuale per 13,5, equivalente, grosso modo, ad una mensilità di retribuzione per anno. Gli accantonamenti sono rivalutati ogni anno. Il TFR finale risulta, pertanto, dalla somma di tutti gli accantonamenti annuali, debitamente rivalutati. In ragione della non maturazione del trattamenti anteriormente alla cessazione del rapporto di lavoro, il dipendente non può usufruirne prima di tale momento. Egli ha solo titolo di chiedere un’anticipazione del TFR, entro un massimo del 70% del trattamento accantonato sino a quel momento.
Pagamento della retribuzione e tutela del credito di lavoro Il pagamento della retribuzione al lavoratore è effettuato, quasi dovunque, tramite bonifico e con cadenza mensile. Nella busta paga che viene consegnata al lavoratore è dato conto in maniera analitica della varie voci di cui si compone la retribuzione e di imposta sul reddito. Il datore di lavoro, infatti, opera per legge come sostituto d’imposta del lavoratore, cioè è tenuto a pagare i contributi e imposte del predetto. In pratica, il “netto” che il lavoratore percepisce risulta dalla retribuzione “lorda”, detratti contributi a carico del lavoratore e imposta. Per i diritti retributivi dei lavoratori subordinati è previsto un particolare regime della “prescrizione estintiva” (la cui durata è di 5 anni, ex art. 2948, n. 4, c.c.). Altri aspetti della tutela del credito di lavoro sono: in caso di ritardo nel pagamento, le somme dovute al lavoratore subordinato debbono automaticamente rivalutate (art. 429, c. 3, c.p.c.); i crediti da lavoro sono assistiti da un privilegio generale sui beni mobili del datore di lavoro (art. 2571-bis, c.1, n. 1, c.c.); il credito di lavoro è limitatamente pignorabile ad istanza di terzi creditori (art. 545 c.p.c.); lo stesso limite vale per la compensazione tra il credito di lavoro e quanto eventualmente dovuto dal lavoratore al datore di lavoro, purchè per debiti (art. 1246, n. 3, c.c.).
Programma parte orale Riccardo Del Punta, “Diritto del lavoro”, Terza Edizione, Giuffrè Editore Sezione seconda, Capitoli IV, V. Sezione quarta, Capitoli I, II. Sezione quinta, Capitoli II, III, IV, VI, VII, X, XI, XII. Sezione sesta, Capitoli II, III, IV.