IL COLESTEROLO Il colesterolo è una molecola rigida con molte importanti funzioni. Serve.

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Transcript della presentazione:

IL COLESTEROLO Il colesterolo è una molecola rigida con molte importanti funzioni. Serve tra l’altro a conferire rigidità alle membrane cellulari di tutto il regno animale. Le membrane sono costituite da un doppio strato di molecole chiamate “fosfolipidi”, cioè grassi (insolubili) legati ad un gruppo fosforico (solubile), che si dispongono a palizzata per formare la membrana. Questo doppio strato è estremamente fluido, ed il colesterolo serve a conferire rigidità e a permettere la formazione di strutture più resistenti. Senza colesterolo non esisteremmo. Il corpo non potrebbe, per esempio, replicare le cellule perché non avrebbe la sostanza base. Senza abbastanza colesterolo il nostro organismo non potrebbe rimpiazzare le cellule morte della pelle, non sarebbe in grado di rinnovare i tessuti, le unghie, i capelli, non sarebbe in grado di riparare i muscoli e non potrebbe rinnovare l’intera superficie intestinale ogni 4 giorni, per esempio.

Il Colesterolo presente nel sangue è prodotto per l’80% dal fegato, mentre il restante 20% lo si ricava dagli alimenti. Il Colesterolo (che non è un grasso ma un alcole, come la cera) non è solubile, ed ha quindi bisogno di speciali proteine che consentano di trasportarlo nel torrente ematico e “consegnarlo” ai tessuti che ne hanno bisogno. Queste proteine “da transito” si chiamano HDL, LDL, IDL, VLDL ed insieme al Colesterolo trasportano anche i Trigliceridi (i grassi che dovrebbero servire per l’energia). HDL (high-density-lipoprotein) lipoproteine ad alta densità. LDL (low-density-lipoprotein) lipoproteine a bassa densità. IDL (intermediate-density-lipoprotein) lipoproteine a densità intermedia. VLDL (very-low-density-lipoprotein) lipoproteine a bassisima densità.

Colesterolo buono e cattivo Perché si parla di “colesterolo LDL cattivo” e “colesterolo HDL buono”? LDL e HDL in realtà sono le proteine di trasporto cui è legato il colesterolo. Il ruolo delle HDL e delle LDL I trigliceridi e il colesterolo (rispettivamente, il carburante e la struttura) viaggiano insieme. Il viaggio parte dal fegato sulle VLDL. A mano a mano che le VLDL scaricano trigliceridi si alleggeriscono e diventano IDL. Successivamente le IDL, finito di scaricare trigliceridi alle varie cellule incaricate di immagazzinarli o di utilizzarli per produrre energia si trasformano in LDL ed iniziano a consegnare il colesterolo. Le HDL invece si occupano di ripulire i vasi dal colesterolo in eccesso e lo riportano al fegato per essere riciclato o per eliminarlo attraverso la bile. Le HDL sono a loro volta suddivise in 5 sotto classi, il cui ruolo esatto non è ancora chiaro; quello che si sa con certezza è che le HDL-2 e le HDL-3 assumono un ruolo importante e che la loro produzione è rispettivamente stimolata dall’esercizio e dal vino rosso.

Response of blood lipids to exercise training alone or combined with dietary intervention ARTHUR S. LEON, and OTTO A. SANCHEZ Med. Sci. Sports Exerc., Vol. 33, No. 6, Suppl., pp. S502–S515, 2001 Aggiornamenti sul ruolo dei lipidi del sangue nell’aterosclerosi, le cause di malattia coronarica (CHD) e patologie cardiache correlate. Quesiti specifici affrontati in questa relazione: 1) ci sono dimostrazioni scientifiche a conferma dell’ipotesi che l’allenamento di endurance abbia effetti favorevoli sul profilo lipidico del sangue in relazione al rischio futuro di CHD? 2) la risposta dei lipidi all’allenamento di endurance dipende da sesso, età, razza/etnicità, livelli lipidici basali, peso corporeo iniziale e suoi cambiamenti con l’allenamento? 3) come si correlano le risposte dei lipidi all’esercizio con l’intensità, la durata, la spesa energetica settimanale, la lunghezza del programma di allenamento e gli aumenti di V’O 2max ottenuti?

Il cambiamento che si osserva più di frequente è un aumento dell’HDL-C, un fattore di protezione contro le CHD. È stato stimato che per ogni mmol·L -1 (1 mg·dL -1 ) di aumento del HDL-C, il rischio di CVD si riduce del 2% nei maschi e almeno del 3% nelle femmine. L’allenamento può abbassare anche il livello di TC (colesterolo totale), LDL-C e TG (trgliceridi). In genere, una riduzione dell’1% delle LDL-C riduce il rischio di CVD del 2-3%. L’allenamento ha anche l’effetto di limitare la riduzione delle HDL-C che accompagna la riduzione dell’assunzione alimentare di grassi e colesterolo, raccomandata per diminuire le LDL-C. Non pare che il sesso cambi le cose rispetto alla risposta all’allenamento delle HDL-C, perché maschi e femmine adulti rispondono alla stessa maniera. Nemmeno l’età ha influenza sulla risposta dei lipidi all’esercizio perché maschi e femmine anziane hanno la stessa probabilità, o addirittura un po’ di più, dei giovani di aumentare le HDL-C dopo un allenamento. Gli studi che hanno analizzato i rapporti tra intensità dell’esercizio e risposta lipidica non sono molti: per la maggior parte si tratta di prescrizioni di attività moderate/intense per almeno 30 min tre volte la settimana. Ci sono poche dimostrazioni della possibilità che un esercizio di lieve intensità abbia gli stessi effetti.

EFFECTS OF THE AMOUNT AND INTENSITY OF EXERCISE ON PLASMA LIPOPROTEINS William E. K Raus, M.D., J Oseph A. H Oumard, P H.D., Brian D. Duscha, M.S., Kenneth J. Knetzger, M.S., Michelle B. Wharton, M.A., Jennifer S. Mc Cartney, M.A., Connie W. Bales, P H.D., R.D., Sarah Henes, R.D., Gregory P. Samsa, P H.D., James D. Otvos, P H.D., Krishnaji R. Kulkarni, P H.D., And Cris A. Slentz, P H.D. N Engl J Med, Vol. 347, No. 19 November 7, 2002 Un aumento dell’attività fisica riduce il rischio di malattie cardiovascolari, forse perché porta ad un miglioramento del profilo lipoproteico. Non si sa però quale sia la quantità di esercizio necessaria per ottenere questo effetto. Abbiamo studiato gli effetti della quantità ed intensità dell’esercizio sulle lipoproteine in uno studio prospettico randomizzato. Abbiamo suddiviso un gruppo di 111 uomini e donne sedentari e sovrappeso con dislipidemia da moderata a media in un gruppo di controllo e 3 gruppi che hanno fatto esercizio per sei mesi con: quantità elevata intensità alta, l’equivalente calorico di una corsa di 20 mi (32 km) alla settimana dal 65 all’80 per cento del rispettivo consumo d’ossigeno di picco; bassa quantità alta intensità, equivalente ad una corsa di 12 mi (19,2 km) alla settimana dal 65 all’80 per cento; bassa quantità bassa intensità, equivalente a camminare 12 mi alla settimana dal 40 al 55% del consumo di picco.

L’intensità e la quantità di esercizio necessari per ridurre i fattori di rischio non sono noti. I risultati mostrano un chiaro effetto della quantità di esercizio sulle lipoproteine e sulle loro subfrazioni; una quantità relativamente alta di esercizio regolare, anche se non porta riduzioni di peso, può migliorare significativamente il quadro lipoproteico. I nostri dati contrastano con le conclusioni generalmente ammesse, basate su risultati del profilo lipoproteico standard con quantità moderate di esercizio (analoghe a quelle del nostro gruppo a bassa quantità), secondo cui l’esercizio ha scarsi effetti sui lipidi e le lipoproteine. L’altro risultato importante è che la quantità di esercizio influenza le lipoproteine plasmatiche di più dell’intensità dell’esercizio. I nostri risultati, insieme a quelli di altri, mostrano che gli effetti dell’intensità sui lipidi sono modesti rispetto a quelli della quantità di esercizio. Benché l’esercizio all’intensità più bassa abbia prodotto minori miglioramenti, ha comunque evitato l’aumento di peso e le sue conseguenze sul profilo lipoproteico generale, che si sono visti nel gruppo di controllo.

Entrambi i gruppi ad alta intensità hanno avuto miglioramenti simili della fitness (in base al massimo consumo d’ossigeno), ma solo il gruppo ad elevata quantità ha ottenuto importanti miglioramenti del profilo lipoproteico. Analogamente, la stessa bassa quantità di esercizio settimanale ha avuto effetti molto diversi sulla fitness nel gruppo ad alta e a bassa intensità, ma gli effetti sul profilo lipoproteico sono stati simili. Sembra pertanto che sia la quantità di attività, e non necessariamente il cambiamento di fitness che è importante per il miglioramento del profilo lipoproteico nei programmi di esercizio.

Effects of exercise on glucose homeostasis in Type 2 diabetes mellitus DAVID E. KELLEY, and BRET H. GOODPASTER Med. Sci. Sports Exerc., Vol. 33, No. 6, Suppl., pp. S495–S501. La fisiopatologia del diabete di tipo 2 si caratterizza per ridotta secrezione di insulina e alterata azione dell’insulina nella regolazione del metabolismo glucidico e lipidico a livello del fegato, del muscolo scheletrico e del tessuto adiposo. I diabetici di tipo 2 hanno spesso ipertensione, alterazioni del metabolismo delle lipoproteine e altre manifestazioni legate alla sindrome di insulino resistenza. Lo scopo di questa relazione è di analizzare i risultati di trials clinici randomizzati e di altri lavori controllati per stabilire in maniera critica il valore terapeutico dell’esercizio nel controllo del diabete di tipo 2. È chiaro che l’esercizio migliora (diminuisce) l’insulino resistenza dei tessuti periferici e in particolar modo attenua l’insufficienza del metabolismo glucidico stimolato dall’insulina nel muscolo scheletrico. Si è visto che l’esercizio migliora l’iperglicemia postprandiale, mentre i suoi effetti a digiuno sono minori. Inoltre, l’esercizio abbassa in maniera acuta la produzione di glucosio nel fegato nel diabete di tipo 2.

I risultati di studi prospettici indicano chiaramente che un aumento dell’attività fisica previene o per lo meno ritarda lo sviluppo del diabete di tipo 2 negli adulti. I miglioramenti sul controllo glicemico nei diabetici provocati dall’esercizio da solo non sono grandissimi, ma la riduzione dei rischi di malattia cardiovascolare è molto evidente.

L’attività fisica e l’esercizio sono elementi fondamentali della spesa energetica nonché del bilancio energetico. Ogni modificazione del bilancio energetico altera la massa grassa ed è pertanto logico chiedersi quali siano i legami fra l’attività fisica e le funzioni del tessuto adiposo. La questione è complessa parchè l’attività fisica è un tipo di comportamento che presenta molteplici aspetti, di cui l’esercizio non è che un elemento. L’influenza dell’attività fisica sul tessuto adiposo ha una componente acuta ma anche una a lungo termine: un singolo episodio di esercizio stimola il flusso ematico nel tessuto adiposo e la mobilizzazione dei grassi, per cui gli acidi grassi sono trasportati ai muscoli ad una velocità ben adattata a quella del metabolismo, ad eccezione forse che in esercizi molto intensi.

Gli stimoli sono fattori adrenergici ed altre sostanze in circolo. Al termine di un episodio di esercizio, gli acidi grassi sono deviati dal tessuto adiposo verso altre destinazioni, in particolare i muscoli, riducendo il deposito di grassi alimentari nell’adipe. In seguito all’allenamento (esercizio cronico), la fisiologia del tessuto adiposo si modifica, in particolare aumentando la mobilizzazione dei grassi durante l’esercizio. Non è tuttavia facile distinguere cambiamenti cronici di tipo strutturale dagli effetti dell’esercizio acuto, ne’ gli effetti dell’allenamento in quanto tale da quelli del bilancio energetico negativo. Osservazioni epidemiologiche indicano che le persone più attive fisicamente hanno un massa grassa relativamente ridotta e questo è confermato da studi interventistici. Si discute se l’esercizio piuttosto che la restrizione calorica riduca soprattutto il grasso addominale, ma questo non è confermato dalla metanalisi. Concludiamo che l’attività fisica oltre a ridurre la massa grassa può contribuire alla buona salute metabolica modificando la risposta del tessuto adiposo all’esercizio acuto.

Siamo nel bel mezzo di una ben nota epidemia globale di obesità con l’inevitabile aumento del rischio delle malattie croniche che ne derivano. Le cause sociali di questo fenomeno sono complesse, ma partendo dal fatto che l’attività fisica e l’esercizio sono elementi fondamentali della spesa energetica e quindi del bilancio energetico, è ragionevole sospettare che un declino di questi comportamenti ne sia almeno parzialmente responsabile e che potrebbe essere parte della sua soluzione. Il tessuto adiposo è specializzato nell’accumulo di energia sotto forma di trigliceridi, ma è anche un organo endocrino perché libera numerosi peptidi ed altri fattori che agiscono in maniera endocrina o paracrina. Questo tessuto costituisce circa il 20% del peso corporeo nei maschi e circa il 28% nelle femmine, ma negli obesi si può espandere fino all’80% del peso. Contiene diversi tipi cellulari, comprese cellule endoteliali e precursori degli adipociti di tipo fibroblastico e anche, soprattutto negli obesi, macrofagi ed altri elementi della serie bianca. Gli adipociti occupano l’80-90% del volume del tessuto, ma rappresentano solo il 60-70% del numero dei cellule.

Il contenuto di trigliceridi delle cellule adipose rispecchia il bilancio energetico: siccome la capacità del corpo di accumulare glicogeno è finita e relativamente piccola, ogni disparità a lungo termine fra l’assunzione di energia e il suo consumo finisce per modificare il contenuto di trigliceridi nel grasso. D’altra parte, il contenuto di trigliceridi nelle cellule adipose a sua volta rispecchia l’equilibrio fra deposizione e mobilizzazione. Insomma, questi processi devono essere regolati in funzione del bilancio energetico dell’intero corpo. Gli adipociti maturi derivano da precursori detti preadipociti, mediante l’accumulo di trigliceridi. Non è sicuro quale sia il turnover del tessuto adiposo umano, ma si è parlato di circa il 10% all’anno, con ricambio di metà degli adipociti in 8 anni: evidentemente il turnover c’è, ma è molto lento; invece il numero totale di adipociti nell’adulto è relativamente costante.

La quantità relativa di attività fisica dipende dalle capacità assolute di ciascun individuo

Dispendio energetico per 24 ore in 4 maschi di mezza età. 1 MET = metabolismo basale. La linea tratteggiata indica la soglia di 3 MET, il minimo raccomandato. Valori registrati con accelerometro e cardiofrequenzimetro sincronizzati

Da un’analisi della relazione fra attività fisica e adiposità si conferma una relazione inversa, ma i risultati sono poco consistenti e le relazioni sono modeste. Aumento di peso in 8-12 anni dopo i 45 in 7944 donne, in relazione all’attività fisica riferita e calcolata in MET ore per settimana.

I depositi di grasso sono numerosi e distinti: VAT – visceral AT; SCAT subcutaneous AT Alcuni ritengono che VAT possa rispondere di più all’esercizio perché è più ricco di recettori adrenergici, ma dal punto di vista quantitativo prevale SCAT perché è più abbondante Nella figura: l’effetto dell’esercizio non è maggiore nel VAT e si ottiene sia con dieta solo sia con dieta + esercizio in cui la somma della spesa e del deficit energetico sia uguale.

Vari tipi di allenamento fisico riducono il grasso da tutti i depositi, ma nei maschi la perdita maggiore di grasso sottocutaneo riguarda quello dell’addome. C’è uno studio che mostra perdita maggiore dalle cosce nelle femmine e un altro dice che i maschi sovrappeso anziani perdono dall’addome ma i giovani perdono dalle cosce. La dimostrazione diretta che interventi sull’attività fisica riducono le dimensioni delle cellule adipose è limitata ma consistente. Donne obese in menopausa aggiungendo esercizio a bassa o alta intensità ad un intervento dietetico per perdere peso hanno ridotto il peso degli adipociti addominali e glutei, mentre con la dieta da sola non hanno ridotto quelli addominali. In conclusione, l’esercizio regolare (a prescindere dall’intensità) riduce le dimensioni degli adipociti subcutanei addominali, mentre la dieta con analogo effetto di restrizione calorica non lo fa. Durante aumenti di peso modesti si ritiene in genere che vi sia solo ipertrofia delle cellule adipose, mentre l’iperplasia compare quando la massa grassa è già molto aumentata; viceversa, durante la perdita di peso non cambia il numero delle cellule, ma si riducono le dimensioni. Per quanto riguarda il numero di cellule, ogni deposito adiposo si comporta in modo diverso e ci possono essere fattori legati al sesso.

La riduzione della massa grassa si basa essenzialmente sul fatto che l’idrolisi dei trigliceridi in deposito (lipolisi) supera la sintesi. Il grasso è un importante substrato metabolico durante l’esercizio prolungato: la sua ossidazione aumenta in risposta all’esercizio di bassa intensità, fino al 60-65% VO 2max. La comparsa di acidi grassi non esterificati (NEFA) durante l’esercizio supera di 3-4 volte quella a riposo e, salvo che per esercizi molto intensi, c’è un buon accoppiamento fra la liberazione di NEFA dal tessuto adiposo e l’ossidazione dei grassi nei muscoli attivi Traffico degli acidi grassi fra diversi tessuti a digiuno. I trigliceridi (TG) sono mobilizzaati nel tessuto adiposo e pompano NEFA in circolo: questo dipende però anche dalla riesterificazione nelle cellule adipose. I NEFA sono catturati, fra l’altro, dal fegato e dai muscoli: in entrambi i casi possono subire la beta ossidazione o essere riesterificati. Il fegato può anche secernere FA in forma di VLDL- TG, che saranno utilizzati seguendo la via della lipoprotein lipasi (LPL)

La liberazione di acidi grassi dal tessuto adiposo durante l’esercizio può essere influenzata dalla lipolisi del tessuto adiposo, dalla velocità di riesterificazione e dal flusso ematico nel tessuto adiposo (ATBF). C’è la prova diretta della mobilizzazione di FA dallo SCAT durante diversi tipi di esercizio, e almeno in parte questo è dovuto alla ridotta velocità di riesterificazione. L’aumento della mobilizzazione di FA dal tessuto adiposo richiede bassi livelli di esercizio, mentre poco si aggiunge aumentando l’intensità: quindi, un’attività fisica di bassa intensità è adatta a rimuovere grasso addominale. È interessante notare che, dato che l’ossidazione dei grassi continua ad aumentare fino al 60-65% VO 2max, devono essere utilizzati altri depositi adiposi a mano a mano che l’intensità dell’esercizio aumenta (per es. le riserve intramuscolari). L’aumento della lipolisi nel tessuto adiposo dovuto all’esercizio è sempre stato attribuito ad alte concentrazioni di catecolamine e piccole cadute della concentrazione d’insulina: anche un esercizio di bassa intensità, al 40-45% del VO 2max aumenta di circa tre volte l’adrenalina circolante; ma se questa è la principale responsabile della lipolisi, anche dopo averla bloccata rimane una mobilizzazione di lipidi, che indica che vi sono altre molecole circolanti che la influenzano nell’esercizio acuto.

Un possibile candidato è il peptide natriuretico atriale, che è certamente secreto in maniera dipendente dall’intensità dell’esercizio. È anche interessante osservare che in maschi sovrappeso anche dopo il blocco adrenergico la mobilizzazione di lipidi dallo SCAT non cambia, indicando che in questi soggetti non è l’adrenalina lo stimolo lipolitico principale, mentre l’ANP potrebbe essere più importante. Con l’aumentare dell’intensità dell’esercizio, c’è un aumento della lipolisi in tutto il corpo e anche della lipolisi determinata direttamente nel tessuto adiposo regionale, e questo potrebbe dipendere da ormoni ad azione lenta, come l’ormone della crescita e il cortisolo, che sono influenzati da fattori diversi, compresa l’intensità e la durata dell’esercizio. Nei giovani la lipolisi è maggiore in un secondo esercizio fatto un’ora dopo un primo, suggerendo la possibilità di un effetto preparatorio (priming),che sarebbe dimostrato dal fatto che un’interruzione anche molto breve aumenta la concentrazione venosa di NEFA e l’ossidazione di grassi durante e dopo il secondo episodio di esercizio. È un’ipotesi divertente la possibilità che un’attività fisica modesta di primo mattino prepari il sistema in modo da amplificare la risposta lipolitica agli esercizi successivi.

Finora non si è parlato del ruolo di esercizi più intensi. Mentre esercizi intensi sopprimono la mobilizzazione di grassi dal tessuto adiposo, rispetto ad esercizi meno intensi, non si può trascurare il fatto che la spesa energetica rimane comunque più alta e così pure il deficit energetico netto (a parità di ogni altra condizione): è quindi importante prendere in considerazione le variazioni metaboliche seguenti esercizi più vigorosi prima di trarre conclusioni su quale sia il tipo di esercizio ottimale per la mobilizzazione dei grassi. Naturalmente, la mobilizzazione rappresenta solo una parte del quadro perché la massa grassa è in definitiva determinata dall’equilibrio fra la rimozione e l’immagazzinamento del grasso. La lipoprotein lipasi (LPL) è il fattore che regola l’assunzione e la riesterificazione nel tessuto adiposo: ogni episodio di esercizio provoca un piccolo ma significativo aumento dell’attività dell’LPL nel tessuto adiposo, e questo sembra illogico perché predisporrebbe ad un aumento dei depositi, ma va visto alla luce di un aumento molto maggiore della LPL nei muscoli e a livello sistemico. Questo effetto è così grande che un singolo episodio di esercizio ha effetti di lunga durata (12-18 ore) sulla risposta postprandiale ai pasti, che è in larga misura regolata dal costo energetico totale dell’attività fisica, e quindi il trasporto netto di grasso alimentare al tessuto adiposo è ridotto.

L’esercizio acuto ha effetti prolungati (10-20 ore) sull’ossidazione del grasso esogeno alimentare. Quindi, oltre all’aumento della lipolisi e della mobilizzazione degli acidi grassi durante e subito dopo l’esercizio a digiuno, una parte della regolazione della massa grassa che si ottiene con un’attività fisica regolare è probabilmente mediata da un’interazione acuta esercizio-pasto e c’è una riduzione netta dell’accumulo di grasso perché questo è stato consumato da altri tessuti, in particolare dai muscoli. C’è un aumento dell’ATBF in esercizi di bassa e moderata intensità anche in tessuti adiposi lontani dai muscoli attivi, anche se non è chiaro cosa provochi questo aumento e se esso aumenti in parallelo all’aumento dell’intensità dell’esercizio e della mobilizzazione degli acidi grassi. È stato ipotizzato che esercizi di intensità vigorosa provochino una vasocostrizione del tessuto adiposo dovuta alle catecolamine, che potrebbe spiegare la ben documentata caduta della mobilizzazione dei grassi dal tessuto adiposo con esercizi intensi; questa vasocostrizione potrebbe servire a favorire la vasodilatazione muscolare. Non è nemmeno chiaro se l’esercizio abbia altri effetti sull’utilizzazione degli acidi grassi in altri tessuti: un’assunzione variabile potrebbe spiegare variazioni regionali della distribuzione del grasso in individui diversi e anche la diversa risposta all’esercizio.

Vie metaboliche dell’immagazzinamento e della mobilizzazione del grasso nel tessuto adiposo. Il grasso alimentare raggiunge il tessuto adiposo in forma di chilomicroni ed è assunto tramite la LPL; c’è bisogno di glicerol-3-fosfato, prodotto dal metabolismo glucidico, per formare i trigliceridi, che a loro volta sono rimossi dai depositi da una serie di lipasi e liberano acidi grassi. La lipolisi è stimolata dalle catecolamine e da ANP, BNP (prodotti dal cuore durante l’esercizio). L’insulina stimola l’accumulo e sopprime la metabolizzazione dei grassi.

In giovani maschi, la mobilizzazione dei grassi e l’ATBF rimangono aumentati per diverse ore dopo un esercizio moderato: c’è una riduzione transitoria subito dopo la fine dell’esercizio, seguita da un costante aumento che dura almeno 3 ore e si esaurisce in 24 ore. Questa lipolisi post esercizio è dovuta in larga misura all’ormone della crescita. Interessante notare che nel diabete II la lipolisi post esercizio non compare. È stata trovata correlazione fra l’intensità dell’esercizio e la mobilizzazione di grassi post esercizio, ma questo effetto potrebbe essere dipendente dal sesso perché non compare nelle femmine. Nei giovani obesi la lipolisi durante l’esercizio è molto minore forse perché è aumentata la risposta ai recettori adrenergici alfa 2.

Concentrazione extracellulare di glicerolo (microdialisi) nel tessuto adiposo sottocutaneo in soggetti di controllo (A) e obesi (B), prima (circoli aperti) e dopo (pallini pieni) alfa 2 bloccante. L’aumento del glicerolo è modesto negli obesi, ma è ripristinato dal blocco adrenergico

Vi sono differenze specifiche per il sesso sulla lipolisi in risposta all’esercizio. A livello di corpo intero, le donne hanno una maggiore mobilizzazione di grassi, probabilmente perché i depositi sono molto più abbondanti. Nelle donne obese, le catecolamine sono molto meno efficaci. Il tessuto adiposo produce molte molecole (adipochine) che complicano gli aumenti di adiposità: sono aumentate nell’esercizio ed hanno effetti anche al di fuori del tessuto adiposo. Per esempio, leptina e adiponectina aumentano l’ossidazione di acidi grassi e l’assunzione di glucosio nei muscoli. IL-6 è prodotta anche nell’adipe e ha effetto analogo.

Variazioni dinamiche della funzione del tessuto adiposo durante e dopo esercizio acuto.

Il quesito se l’allenamento modifichi l’ossidazione dei grassi a riposo è complicato dagli effetti persistenti dell’ultimo episodio di esercizio. Gli effetti sull’ossidazione a riposo sono controversi, mentre aumenta durante l’esercizio, fino al 41% in più rispetto a prima dell’allenamento: l’aumento è localizzato ai muscoli. L’aumento c’è anche in maschi e femmine sovrappeso. L’esercizio e l’attività fisica hanno un effetto importante sul metabolismo lipidico postprandiale: c’è un raddoppio dell’attività LPL muscolare e della relativa espressione genica che si manifesta entro 8 ore dall’ultimo esercizio e una riduzione speculare nel detraining. Allenamento di lunga durata dirige il grasso alimentare verso altri tessuti come il muscolo, per l’ossidazione, piuttosto che verso il tessuto adiposo. Eventuali effetti sull’ATBF, tutti da mettere a punto, riguardano soprattutto il trasporto di molecole regolatrici (ormoni), che, a parità di concentrazione, arrivano al tessuto in maggiore quantità.

Chronic Exercise Training and Adipose Tissue: Summary L’esercizio regolare (cioè l’allenamento) ha la capacità di aumentare la spesa energetica totale e l’ossidazione dei grassi e quindi mantiene l’equilibrio dei grassi e può provocare un deficit energetico. Questo dipende sia dall’ossidazione dei grassi durante e dopo le sedute di allenamento sia nel corso di qualsiasi attività fisica che aumenti la spesa energetica. Al momento non si può dire che vi sia un aumento dell’ossidazione dei grassi a riposo. L’esercizio assomiglia alla restrizione calorica nel senso che modifica le masse di svariati depositi adiposi a patto che la “dose” di esercizio sia sufficiente a provocare lo stesso deficit energetico e non si aumenti l’apporto energetico. Dal punto di vista del tessuto adiposo a riposo, molte delle conseguenze dell’allenamento sono legate al deficit energetico provocato dall’esercizio; quindi è più importante il bilancio energetico e la perdita di peso rispetto alla modalità con cui si effettua (dieta o esercizio). Oltre agli effetti cronici, vi sono una serie di risposte acute indotte da ogni episodio di esercizio all’interno del tessuto adiposo ed oltre, che persistono per ore. Per esempio, le risposte postprandiali sono influenzate dall’esercizio recente, ma non c’è una controparte per la restrizione dietetica.

La perdita di peso provocata dall’esercizio ha effetti simili a quella ottenuta con restrizione calorica sulle funzioni del tessuto adiposo che dipendono dalla riduzione di massa grassa in quanto tale, ma l’esercizio regolare ha molti altri effetti benefici che non si ottengono con l’intervento dietetico. È bello immaginare che l’allenamento possa provocare un rimodellamento del tessuto adiposo, con un aumento del turnover degli adipociti, sostituiti da elementi più giovani e attivi. Il fatto che molti di questi cambiamenti siano risposte acute dinamiche a recenti episodi di esercizio sottolinea l’importanza della quantità totale di esercizio accumulata e la necessità di comprendere meglio le implicazioni di questi episodi transitori.