Il vino e il suo significato nella letteratura greca

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Il vino e il suo significato nella letteratura greca Letteratura e cibo Il vino e il suo significato nella letteratura greca

Il vino nei poemi omerici Nei poemi omerici abbondanti bevute di vino accompagnano in genere il consumo della carne: entrambi sono alimenti pregiati, quindi segno materiale di ricchezza e di nobiltà. Il basileus omerico non può non avere molte anfore di vino nella dispensa della propria casa o nella tenda, quando va in guerra, e, nella conquista di una città nemica le anfore di vino fanno parte del bottino. Quando si parte per un viaggio (Od. II, vv. 353-55), fra le scorte, non deve mancare il vino, in abbondanza.

Proprio perché anche il buon vino è simbolo di aristeia, è spesso contenuto in coppe d’oro e viene prontamente versato agli ospiti, attingendolo da bei crateri. Al contrario degli aristoi, che sanno bere il vino con misura e unendolo con grazia alla gioia del canto e della danza, i Proci insolenti e creature semibestiali come il Ciclope Polifemo e il centauro Euritione, ne bevono troppo e si ubriacano. Il Ciclope viene stordito dal vino, indicatore della superiorità di Ulisse nei confronti del gigante. I Ciclopi, infatti, conoscono il vino anche se non praticano l’agricoltura (le vigne e il grano nascono nella loro isola sebbene non siano stati seminati, grazie alla pioggia di Zeus) ma, come lo stesso Ciclope ammette, non c’è paragone tra il vino delle loro vigne e quello che gli offre Ulisse, che viene definito “fiume d’ambrosia e di nettare”.

Ulisse, inoltre, per chiarire quanto sia appetibile il vino che poi offrirà in dono al Ciclope, descrive dettagliatamente come questo gli sia stato donato, ad Ismaro terra dei Ciconi, da Marone, figlio di un sacerdote di Apollo, e finisce il suo racconto accennando a come il vino veniva mescolato: “Riempiva una sola tazza e in venti misure d’acqua mischiava” . Era consuetudine, infatti, essendo il vino dei greci più forte di quello che si beve oggigiorno, servirlo mescolato con acqua in genere due o tre misure di acqua per una di vino. Le venti misure d’acqua indicano che il vino offerto al Ciclope è eccezionalmente inebriante, tanto da farlo cadere in un sonno profondissimo.

Omero: “Odissea” […]Il Ciclope, impassibile, afferra due uomini e li sbrana, facendo così anche il giorno seguente. E così Ulisse medita una vendetta. Allora ricominciai a parlare al Ciclope, tenendo in mano un boccale del mio vino: “ Ciclope, tieni, bevi il vino, dopo che hai mangiato la carne umana, perché così potrai capire che questo la mia nave trasportava. L’ avevo portato a te come offerta, se avendo pietà mi lasciassi partire: e tu invece compi queste crudeltà! Pazzo! Come potrà venire altro uomo a trovarti in futuro Se tu non agisci giustamente? Così dissi, e lui prese e bevve. Gli piacque talmente tanto che disse: “ “Dammene ancora, si buono, e poi dimmi il tuo nome, perché io ti faccia un dono ospitale e tu ti rallegri. Anche la terra di noi Ciclopi produce Grappoli, che Zeus gonfia con la pioggia. Ma questo è fiume d’ ambrosia e di nettare.” […]

Vino e Simposio Il grande valore dato al cibo e al vino in Grecia porta ad elaborare una raffinata cultura del banchetto. Il termine simposio deriva dal verbo greco “Συν-πινειν”, che significa “bere insieme” e designa la riunione di compagni, caratterizzata dal bere vino che seguiva normalmente il pasto della sera. I greci non bevevano da soli, perchè il consumo del vino era vissuto come atto collettivo.

Il vino, nella Grecia antica, non era una bevanda qualsiasi, ma il suo carattere divino (in quanto dono di Dioniso agli uomini) era molto sentito da tutta la società. Il suo consumo però doveva sottostare ad alcune regole che lo rendevano un vero e proprio rituale, posto sotto il controllo del dio: la regola principale era che non si doveva mai bere da soli, ma in gruppo; inoltre il vino doveva essere sempre miscelato con acqua piuttosto che essere bevuto puro.

Archiloco (680-650 a.C.) “Giambi” "So intonare il ditirambo, il bel canto di Dioniso mio signore, quando sono folgorato nel cuore dal vino".

Celebrando il vino come ispiratore del canto dionisiaco, Archiloco ha anche affermato lo stretto rapporto tra Dioniso e le Muse: egli intuì che la poesia è figlia di un divino entusiasmo e ardì equiparare all’ispirazione poetica la follia scatenata dal vino. Punto di partenza fu la stretta somiglianza tra gli effetti del vino e del canto, ambedue causa di oblio e ristoro dai mali. Ma la concezione della poesia come oblio e ristoro implica valenze religiose che la differenziano nettamente dalla tradizionale valutazione del vino. Come il dono delle Muse, anche quello di Dioniso procura l'oblio; non procura però la memoria delle imprese del passato e degli dei beati. La dinamica oblio-memoria, che è propria del canto, manca nel vino; chi ne beve, dimentica gli affanni, ma attinge una gioia cieca e smemorata. È a questo punto che si inserisce la nuova intuizione di Archiloco, ribadita dal suo definire bello il ditirambo e dall'orgoglio con cui afferma di saperlo intonare.

Alceo (fine VII sec. a.C.) “Carmi” “Tieni indietro l'inverno, aggiungendo fuoco, e mescendo in abbondanza vino di miele, poi sopra le tempie morbida cingi all'intorno lana” “Bagna i polmoni di vino: l'astro il suo giro ha compiuto. La stagione è opprimente; assetato è tutto, sotto la calura”

Famosi sono i due simposi di Alceo che vengono ambientati nell'inverno e nell'estate. Nel primo, Alceo prescrive abbondanti bevute come antidoto al cattivo tempo e all'inverno; nel secondo invece il bere è presentato come antidoto all'arsura dell'estate. Originati da una situazione di partenza vera o fittizia, questi carmi erano poi destinati a essere riusati in molte altre occasioni.

In alcune occasioni, il tema del vino veniva presentato anche in altri componimenti in contrasto con quello che era il suo uso consueto. Come è stato già detto infatti, il vino era considerato una bevanda divina e, per questo, al suo consumo erano associati vari accorgimenti. Bere troppo vino fino ad ubriacarsi, ad esempio, era considerato sinonimo di scarsa moderazione; anche per questo motivo, alcuni autori greci usavano questa immagine come espediente per mettere in risalto i caratteri dei personaggi da loro rappresentati.

Euripide (485-484 a.C.) “Alcesti” L'Alcesti è una tragedia presentata nel 438 a.C. come quarto dramma di una tetralogia. È stata ripresa la scena in cui entra in scena un servo che, invece di rendere onore ad Alcesti (morta al posto del marito) con un compianto funebre, indugia sulla descrizione del disdicevole comportamento di Eracle, vorace e rumoroso convitato: particolarmente significativo è l'accenno alla bevuta di vino puro, non mescolato con acqua, che nella cultura greca era caratteristica attribuita alle popolazioni barbare.

Alcesti, vv. 747-757 “Ospiti arrivati alla reggia di Admeto ne ho conosciuti e serviti a tavola tanti, ma sinora non me n'era capitato nessuno peggiore di questo.[...] E poi, pur conoscendo la situazione, non si è accontentato dei cibi che gli venivano imbanditi, no, quello zotico se qualcosa mancava ce la chiedeva con insistenza. Agguantata con le mani una coppa di edera, tracanna vino puro, così com'è prodotto dalla nera terra, ne tracanna finchè il calore fiammeggiante del vino non gli si diffonde per tutte le vene.[...]”

Sitografia ●http://volta.valdelsa.net/thiasos/baccanti/simposio- testo.htm ●http://www.vinilazio.org/Storia%20del%20Vino/IL%20VI NO%20NELLA%20STORIA04.htm ●Luigi Enrico Rossi “Letteratura greca” Le monnier 1995