Le industrie tessili inglesi

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Transcript della presentazione:

Le industrie tessili inglesi I fattori che ne favorirono la crescita La principale attività manifatturiera inglese nel Settecento era quella tessile, e in particolare la produzione di stoffe in lana. Tale attività veniva svolta prevalentemente da manodopera rurale, alla quale i mercanti inglesi erano stati i primi in Europa a rivolgersi. Nel Settecento l'attività manifatturiera tessile vide una crescita notevole, favorita da molteplici fattori: larga disponibilità di materia prima, soprattutto di lana a fibra lunga necessaria per i tessuti pettinati; relativa assenza di guerre nell'isola; facilità delle comunicazioni via mare e via fiume, incrementate dalla costruzione di canali e strade; flessibilità della manifattura rurale, che, essendo libera da restrizioni corporative, poteva adeguare la quantità del proprio prodotto alla domanda.

Le industrie tessili inglesi I presupposti per la crescita della domanda di prodotti tessili In Inghilterra esistevano inoltre i presupposti per una crescita della domanda di prodotti tessili. Infatti: nell'isola non esistevano barriere doganali interne, e ciò ne faceva il più grande mercato europeo; il reddito medio pro capite era più alto che nel continente (si stima che i salari britannici fossero circa il doppio di quelli francesi), e quindi maggiore la percentuale di reddito disponibile per l'acquisto di prodotti non immediatamente necessari alla sopravvivenza (Doc. 1); infine la società inglese era più aperta di quella dei paesi continentali, e le divisioni di classe meno marcate che in Francia o in Germania: di conseguenza le classi socialmente inferiori tendevano a uniformarsi, nel loro stile di vita, e dunque anche nei loro rapporti col mercato, al modello delle classi superiori.

La Lana: modello di produzione La produzione della lana nel Settecento avveniva in base al cosiddetto putting out system (o domestic system): un mercante-imprenditore forniva la materia prima (la lana greggia) al produttore diretto, che di solito era anche il proprietario dei mezzi di produzione, e ne ritirava il prodotto finito (il panno di lana) che poi vendeva sul mercato cittadino (foto 1 e foto 2). Si trattava di un modello precapitalistico, nel quale i due protagonisti (il mercante-imprenditore e il lavoratore) erano operatori indipendenti; il lavoratore poteva infatti normalmente contare anche su altri mezzi di sussistenza (sia pur modesti), derivanti per lo più dal lavoro della terra.

L’industria laniera e la sua affermazione L'industria laniera era impegnata soprattutto a mantenere la propria posizione di forza contro la minaccia proveniente dall'importazione delle pregiate stoffe di cotone indiane. L'India aveva pressoché il monopolio della fabbricazione e dell'esportazione dei tessuti, realizzati da artigiani del paese e importati in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali e le autorità inglesi cominciarono a tassare i prodotti tessili indiani per difendere l'industria laniera nazionale, meno apprezzata. La lotta tra le corporazioni laniere e la Compagnia delle Indie Orientali si concluse nel 1721 con la proibizione di importare questo tipo di merci dall'India. Ciò convinse i protagonisti dell'industria della lana che non era necessario impegnarsi sul versante dell'innovazione tecnica, e che la protezione politica era più che sufficiente al proprio mantenimento e alla propria crescita.

Foto 2 - Laboratorio d'un tessitore di seta a Lione nel 1860. Ritorna indietro

Foto 1 - Un esempio di organizzazione del lavoro all'interno di una casa contadina, dove la filatura era eseguita a mano dalle donne. Ritorna indietro

Il cotone: Nel corso del Settecento, accanto alla richiesta di tessuti di lana, andò crescendo in Inghilterra quella di tessuti in cotone, più leggeri ed economici. E proprio nel settore del cotone, più dinamico e meno ingabbiato dalle leggi corporative, trovarono applicazione le innovazioni tecnologiche che diedero vita alla Rivoluzione industriale. Alcune delle innovazioni più importanti ebbero luogo ancor prima dell'invenzione della macchina a vapore di Watt.

I motivi per cui la I fase della Rivoluzione industriale avviene nel settore del cotone Che la prima fase della rivoluzione industriale sia avvenuta proprio nel comparto del cotone dipende da molteplici ragioni: 1) il filo di cotone si presta meglio alla lavorazione industriale: è più omogeneo e resistente rispetto al filo di lana. Durante la fase iniziale del processo di meccanizzazione, quando il movimento delle macchine era poco fluido e omogeneo, questo aspetto rappresentò un decisivo elemento a favore del cotone. 2) L'offerta del cotone è molto più elastica rispetto a quella della lana: è molto più facile infatti aumentare la superficie delle piantagioni di cotone che incrementare le greggi di pecore. 3) Inoltre anche la domanda di tessuti in cotone era in piena espansione: da una parte si verificò infatti un'importante modifica della moda, con la possibilità di usare a basso costo indumenti interni (biancheria intima e camicie), che si diffusero anche tra persone di reddito meno elevato. D'altra parte, la grande varietà di colori e disegni stampati che caratterizzava i tessuti in cotone affascinava gli appartenenti alle classi agiate. 4) Infine, buona parte dei mercati, alla fine del Settecento e agli inizi dell'Ottocento, si trovava in aree calde o temperate (Mediterraneo, India, America centrale), dove la diffusione di capi in cotone era particolarmente favorita.

La rivoluzione tecnologica La rivoluzione industriale fu anche una grande rivoluzione tecnologica: nuove macchine vennero utilizzate, cambiando completamente il modo di produrre e di lavorare. Le più importanti furono il telaio meccanico e la macchina a vapore. Quest'ultima tecnologia, che costituiva quasi il simbolo stesso dell'industrializzazione, si appropriò progressivamente di moltissimi settori merceologici, soppiantandone i vecchi metodi di lavorazione e potenziandone le capacità produttive. In foto: Macchina a vapore per tessere, 1860 Vedi anche foto di una filiera a vapore

La produzione La produzione di quasi tutti i tipi di tessuto può essere divisa in quattro fasi: la preparazione, in cui il materiale grezzo viene scelto, pulito e pettinato, in modo che le fibre siano parallele; la filatura, in cui le fibre vengono tirate e ritorte per formare il filo; la tessitura vera e propria, durante la quale un filo viene disposto nel senso della lunghezza (ordito) e un altro (la trama) viene fatto passare alternativamente sopra e sotto i fili dell'ordito, in modo da formare un intreccio; la finitura, che a seconda dei tessuti può comprendere la follatura (per i panni), la pulitura, la cimatura, la tintura, la stampatura o il candeggio. Il punto più delicato di questa catena produttiva è il passaggio tra la filatura e la tessitura, che rappresenta per così dire una "strozzatura" del sistema, poiché non si può tessere più materiale di quanto non sia filato. Nel sistema tradizionale esisteva una grande richiesta di filato, perché i telai erano molto più efficaci degli utensili tradizionali per filare. Non a caso perciò le prime decisive innovazioni avvennero proprio nel campo della filatura, e si estesero in seguito anche a quello della tessitura.

L’innesco della Rivoluzione industriale All'inizio del Settecento solo una piccola parte dei processi di produzione erano stati meccanizzati. Perché si innescasse una vera rivoluzione industriale era necessario che si combinassero due fattori: da un lato, l'introduzione di macchine con rese molto maggiori rispetto alla produzione manuale, ma il cui funzionamento richiedeva nello stesso tempo una grande quantità di energia (ciò che portò a un notevole mutamento nel risvolto sociale della produzione: al domestic system si sostituì infatti la concentrazione di mezzi di produzione e di operai nelle fabbriche); dall'altro lato, un'industria in cui la meccanizzazione di uno dei momenti produttivi obbligasse alla meccanizzazione dei rimanenti. Se le prime innovazioni tecniche si erano verificate nel settore della produzione della lana, esse non erano tuttavia riuscite a imporsi. Si trattava della navetta volante di Kay (1733) e del filatoio di Wyatt e Paul (1738), che cominciarono a diffondersi solo dopo il 1750

Le invenzioni della svolta La vera svolta invece avvenne grazie a tre invenzioni che si susseguirono nella seconda metà del Settecento: - la spinning jenny di James Hargreaves (brevettata nel 1770); - il water-frame (filatoio idraulico) di Richard Arkwright (1769); - la mule di Samuel Crompton (1779). Si trattava di tre macchine per la filatura del cotone che, rispetto alla lavorazione manuale, moltiplicarono enormemente la produzione di filato e che permisero di ottenere un filato di qualità molto superiore a quello ottenibile con la lavorazione a mano. A questo punto dello sviluppo tecnologico la disponibilità di macchine e la loro efficacia portarono a una rapida crescita delle importazioni di cotone e a un crollo verticale dei prezzi del filato. Nel 1785 venne inventato da Edmund Cartwright il telaio meccanico che però essendo pesante e difficile da manovrare, conobbe una diffusione molto più lenta delle macchine per la filatura.

La macchina a vapore Uno dei fattori decisivi della rivoluzione industriale fu l'introduzione di una macchina in grado di trasformare l'energia termica in energia meccanica, fornendo un'alternativa all'energia animale, eolica e idraulica, e rendendo possibile uno sviluppo economico apparentemente senza limiti. Questa macchina sfruttava il calore per creare vapore, e usava il vapore per produrre movimento: è nota pertanto come "macchina a vapore".

La macchina a vapore: un po’ di storia Premesse fondamentale dell'invenzione della macchina a vapore fu la scoperta della pressione atmosferica nel 1644 da Evangelista Torricelli, discepolo di Galilei. Essa fece nascere l'idea di sfruttare il peso dell'aria: si costruirono macchine (dette atmosferiche), che creando il vuoto in un recipiente (per es. un cilindro), permettevano di usare la pressione dell'aria per compiere un lavoro (per es. spingere uno stantuffo). Nel 1690, il francese Denis Papin, ebbe l'idea di creare il vuoto in un cilindro mediante la condensazione del vapore acqueo. La macchina di Papin aveva un rendimento talmente basso da non rivelare alcuna utilità pratica: essa tuttavia rimane il primo esempio di congegno nel quale il vapore riusciva a muovere un pistone in un cilindro. Nel 1698, poi, l'ingegnere militare inglese Thomas Savery ottenne il brevetto per un sistema che sfruttava alternativamente la pressione del vapore e la depressione provocata dalla sua condensazione per aspirare l'acqua dai pozzi delle miniere. Il principio della macchina di Papin (sfruttare la depressione provocata dalla condensazione del vapore per muovere un pistone) fu ripreso e sviluppato dall'inglese Thomas Newcomen, che nel 1712 realizzò quella che si può considerare la prima macchina a vapore realmente funzionante. Siccome in questa macchina il lavoro viene svolto dalla pressione dell'aria, e non del vapore, va classificata come macchina atmosferica. L'uso della macchina di Newcomen si diffuse piuttosto rapidamente soprattutto nelle miniere di carbone dell'Inghilterra settentrionale, dove serviva a far funzionare le pompe che mantenevano asciutti le gallerie e i pozzi da cui si estraeva il minerale. In tal modo essa diede un enorme contributo alla prima fase della rivoluzione industriale.

Applicazioni della macchina a vapore Alla macchina di Watt nel tempo vennero apportate alcune migliorie: 1) da macchina ad azione semplice fu trasformata a macchina a doppio effetto (1782): il vapore agiva cioè alternativamente su entrambe le facce del pistone, cosicché, a parità di consumi, la potenza raddoppiava; 2) il movimento alternativo (cioè "avanti e indietro") fu trasformato in movimento rotatorio: la macchina a vapore fu applicata anche alle macchine utensili, e non solo al funzionamento delle pompe delle miniere. 3) la macchina fu dotata di un regolatore automatico dell'immissione del vapore per assicurare una velocità costante al variare del carico. La macchina di Watt, azionata da vapore a pressione quasi atmosferica, rimase per circa mezzo secolo il motore primario più diffuso nelle fabbriche, nonostante la potenza relativamente bassa che poteva erogare, perché presentava il vantaggio di poter essere costruita facilmente con la tecnologia disponibile all'epoca. Il futuro della macchina di Watt sarebbe consistito tuttavia nell'impiego di vapore ad alta pressione, un impiego al quale Watt si era sempre rifiutato di ricorrere paventando il rischio di esplosioni. Fu l'inglese Richard Trevithick (1771-1833), nei primi anni dell'Ottocento, il primo a costruire macchine a vapore ad alta pressione, le quali, grazie al loro ottimo rapporto peso/potenza, resero possibile nel giro di poco più di un decennio la nascita della locomotiva. Impiego sulle navi

Le origini della ferrovia Le ferrovie arrivarono all'utilizzo della locomotiva vera e propria attraverso un passaggio molto complesso che richiese il superamento di notevoli problemi tecnici: prima di tutto il movimento prodotto dalla macchina non doveva essere alternativo ma rotativo; - inoltre, le prime macchine a vapore erano troppo poco potenti in rapporto al loro peso; - infine bisognava risolvere il problema del consumo dell'acqua, dal momento che il condensatore era troppo pesante per essere montato su una locomotiva. Queste difficoltà vennero gradualmente superate. Negli stessi anni di Trevithick Oliver Evans fece funzionare per le vie di Filadelfia un veicolo a vapore. Nel 1804 Trevithick, che aveva già costruito una rudimentale "carrozza a vapore", realizzò una vera e propria locomotiva in grado di muovere un carico superiore alle dieci tonnellate lungo un percorso di circa 15 km, che collegava la ferriera di Pendarren con il canale del Glamorganshire. La locomotiva, che pesava cinque tonnellate senza l'acqua, poteva raggiungere la velocità di 6 km/h. Questa macchina, che deve essere considerata la prima vera locomotiva, presentava alcune soluzioni tecniche importanti, come il tiraggio forzato del camino della caldaia ottenuto tramite il vapore; ma Trevithick non brevettò la sua invenzione, che peraltro non conobbe diffusione. Il vero inventore della locomotiva è invece considerato George Stephenson (1781-1848). Continua nel dettaglio con Lo sviluppo della ferrovia

George Stephenson: il vero inventore della ferrovia Egli fondò, nel 1823, (insieme al figlio Robert) la Robert Stephenson & Company per la costruzione delle locomotive, la prima delle quali, la Locomotion, compì il suo primo viaggio il 27 settembre 1825: per molti storici questa deve essere considerata la data di nascita delle ferrovie, essendo la Darlington-Stockton la prima linea pubblica regolare destinata al trasporto di merci. La linea Liverpool-Manchester, prima linea pubblica aperta al traffico di merci e di passeggeri, fu inaugurata ufficialmente il 15 settembre 1830: l'era delle ferrovie era aperta.

G. Migliora, Interno della filanda a vapore Mylius di Boffalora Ticino, 1828, Collezione privata. A destra si notano i cesti di bozzoli numerati per poter controllare la resa e la qualità del lavoro delle filatrici.

Impiego della macchina a vapore sulle navi La macchina a vapore poteva inoltre essere impiegata anche sulle navi: ciò portò ad una enorme rivoluzione nei trasporti. La prima nave a vapore fu costruita nel 1807 da Robert Fulton. Con le prime navi azionate a vapore si abbandonò la vela: la navigazione non fu più condizionata dal vento e le traversate degli oceani diventarono più rapide e sicure. Più tardi fu utilizzata l'elica al posto delle ruote e si costruirono scafi metallici più resistenti. Così il trasporto di passeggeri e merci su mare, oceani e lungo i fiumi crebbe. Immagine: disegno dell'ingegnere americano Robert Fulton. I brevetti per l'applicazione della propulsione a vapore ai battelli gli furono concessi nel 1809 e nel 1811. Birmingham Public-Libraries, Collezione Boulton e Watt, Birmingham. Ritorna indietro