Freud e la tragedia.

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Transcript della presentazione:

Freud e la tragedia

CONSCIO – INCONSCIO- CENSURA L'uomo ha una serie di pensieri, emozioni, desideri di cui è consapevole: è questa la parte manifesta della psiche che Freud chiama conscio. L'inconscio è la realtà abissale primaria, sede delle pulsioni primitive e dei desideri istintuali per i quali la coscienza rimarrebbe profondamente turbata. Alla parte della psiche che reprime tali contenuti nell'inconscio e non li fa venire a galla, risparmiando così alla coscienza dei grandi turbamenti, Freud dà il nome di censura.

CONSCIO CENSURA INCONSCIO RIMOSSO

CONTENUTO LATENTE E SOGNI Di notte, a differenza di quanto avviene durante il giorno, la censura non blocca del tutto il passaggio dei contenuti dell'inconscio verso il conscio; non li reprime totalmente ma neppure li lascia passare così come essi sono. La censura deforma il desiderio inconscio (contenuto latente) presentandolo sotto un altro aspetto meno perturbante per la coscienza (contenuto manifesto, ossia il racconto che la persona fa del proprio sogno). Il sogno diventa quindi l'appagamento (mascherato) di un desiderio (represso, rimosso). E il metodo usato da Freud per interpretarlo (cioè per passare dal contenuto manifesto al suo contenuto latente) comprende il ricorso a libere associazioni, simboli e sogni tipici.

L’analisi dei sogni Sigmund Freud arriva a elaborare le proprie tesi a partire dalla sua esperienza di medico neurologo; come riferisce ne L'interpretazione dei sogni, tra i soggetti affetti da nevrosi o anche sani da lui esaminati, molti avevano sogni ricorrenti di morte dei parenti. All'interno della casistica dei sogni di morte dei genitori, era poi evidente che essi tendevano a sognare la morte del genitore del medesimo sesso. Partendo dalla regola secondo la quale il sogno non rappresenta i desideri del momento in cui si vive, bensì desideri provati in epoche passate, Freud arriva a sostenere che in generale ogni bambino è portato, nei primi cinque anni di vita, ad essere attratto da genitore di sesso opposto e a percepire come rivale ostile quello del medesimo sesso, fino a desiderarne la morte. .

Totem e tabù Si potrebbe pensare che tale ostilità derivi dal desiderio, da parte del maschio, di raggiungere il prestigio detenuto dal padre in una società fondamentalmente patrilineare, e, da parte della femmina, di raggiungere l'indipendenza sessuale che invece le viene negata dalla madre. In realtà il periodo in cui il bambino soffre del complesso di Edipo, che lo porta alle reazioni descritte sopra, deve essere collocato nella prima infanzia e non nell'adolescenza per poter essere rilevante nella strutturazione della personalità individuale

Pasto totemico Il divieto (tabù) di cacciare l’animale sacro (totem) viene infranto nel corso di una festività annuale. Questo rituale sarebbe il riflesso di un parricidio primordiale che viene rimesso in scena simbolicamente nella cerimonia per superare un senso di colpa originario. La tragedia sarebbe una cerimonia di tipo totemico in questo senso evidenzierebbe il suo carattere catartico sia individuale che collettivo.

EDIPO (IL MITO): Edipo, figlio di Laio e di Gioacasta, viene abbandonato lattante perché un oracolo ha predetto al padre che il figlio non ancora nato sarebbe divenuto il suo assassino. Edipo viene salvato e cresce come figlio di re a Corinto, finché, incerto della propria origine a causa di un ubriaco che lo chiama “bastardo”, interroga egli stesso l’oracolo e ne ottiene il consiglio di restare lontano dalla patria, perché sarebbe costretto a divenire l’assassino del padre e lo sposo della madre così non fa ritorno a Corinto. Sulla strada che lo porta lontano dalla presunta patria, incontra il re Laio e lo uccide nel corso di una repentina lite. Giunge a Tebe dove risolve gli enigmi della Sfinge che sbarra la via: per ringraziamento i Tebani lo eleggono re e gli offrono in dono la mano di Gioacasta. Per lungo tempo regna pacifico e onorato, genera con la madre a lui sconosciuta due figli e due figlie, finché scoppia una pestilenza che induce ancora una volta i Tebani a consultare l’oracolo. La tragedia scritta da Sofocle prende l'avvio da tale circostanza. I messi portano il responso che la pestilenza avrà fine quando l’uccisore di Laio sarà espulso dal paese. Trovato l’assassino in Edipo, egli si acceca e abbandona la patria. L’Edipo re è una "tragedia del fato“, il suo effetto tragico si basa sul contrasto fra il supremo volere degli dei e i vani sforzi dell’uomo minacciato dalla sciagura: lo spettatore, profondamente colpito,  dovrebbe apprendere dalla tragedia la rassegnazione al volere delle divinità.

La leggenda di Edipo Come altri suoi contemporanei, Freud rigetta l'interpretazione degli ellenisti corrente nel suo tempo secondo la quale L’Edipo re può essere interpretata solo come una "tragedia del destino". Egli ritiene che il successo della tragedia risieda soprattutto nella sua "materia", cioè nella vicenda di Edipo stessa. Infatti, se si accetta, seguendo la tesi di Freud, che nei primi anni di vita tutti hanno desiderato unirsi con la madre e uccidere il padre (o viceversa, nel caso delle femmine), è ovvio che la tragedia non fa che mettere in atto, sulla scena, i desideri infantili di ogni persona umana. Sarebbe proprio per questo, secondo lo psicanalista, che il mito di Edipo è ancora capace di commuovere, mentre le tragedie moderne del destino non riescono più a farlo. Per usare le parole di Freud: Il suo destino (quello di Edipo) ci colpisce solo perché avrebbe potuto essere il nostro, perché l'oracolo ha fatto a noi, come a lui, la stessa maledizione prima della nostra nascita.(...) Re Edipo ci mostra semplicemente la soddisfazione dei nostri desideri infantili. La presunzione dello psicanalista sta forse nell'aver identificato come universale la commozione suscitata dal dramma e nell'aver trovato nella speciale materia di esso l'unica, universale "molla" che genera l'effetto tragico.

IL PROBLEMA DEI COMPLESSI: Complesso è il termine psicoanalitico che indica un insieme strutturato e attivo di rappresentazioni, pensieri e ricordi in parte o del tutto inconsci e dotati di una forte valenza affettiva. I complessi si formano al tempo delle prime esperienze interpersonali del bambino e interferiscono poi su tutta la vita psichica dell’adulto. In contrapposizione all’uso generico invalso nella volgarizzazione della psicoanalisi e all’uso mitologico proprio della psicologia junghiana, Freud usa tale termine per concettualizzazioni altamente specifiche (per esempio il complesso nucleare delle nevrosi, il complesso di castrazione). Il problema dei complessi fu proprio anche di Freud; egli stesso sperimentò questo problema nel rapporto con suo padre. Un sabato stava passeggiando per Freiberg; era ben vestito e portava un berretto di pelliccia nuovo. A una svolta, si trovò davanti un uomo che gli buttò il berretto nel fango gridandogli: "Giù dal marciapiede, ebreo!". Raccontando l'episodio al figlio, il piccolo Sigmund incalzò: "E tu cosa hai fatto?". Con calma, il padre rispose: "Sono sceso dal marciapiede e ho raccolto il berretto". Questo episodio mostra il pericolo insito nello smarrire modelli di riferimento e nell'affermarsi di sintomi propri dei "ragazzi senza padre" che trovano la loro espressione nei complessi.   

Complesso di Edipo "Due sono i fattori responsabili di tale complessità: il carattere triangolare della situazione edipica e la bisessualità costituzionale dell'individuo. Il caso più semplice si struttura, per il bambino di sesso maschile, nel modo seguente: egli sviluppa assai precocemente un investimento oggettuale per la madre, investimento che prende origine dal seno materno e prefigura il modello di una scelta oggettuale del tipo "per appoggio"; del padre il maschietto si impossessa mediante identificazione. Le due relazioni per un certo periodo procedono parallelamente, fino a quando, per il rafforzarsi dei desideri sessuali riferiti alla madre e per la constatazione che il padre costituisce un impedimento alla loro realizzazione, si genera il complesso edipico. L'identificazione col padre assume ora una coloritura ostile, si orienta verso il desiderio di toglierlo di mezzo per sostituirsi a lui presso la madre. Da questo momento in poi il comportamento verso il padre è ambivalente; sembra quasi che l'ambivalenza, già contenuta nell'identificazione fin da principio, si faccia manifesta. L'impostazione ambivalente verso il padre e l'aspirazione oggettuale esclusivamente affettuosa riferita alla madre costituiscono per il maschietto il contenuto del complesso edipico nella sua forma semplice e positiva" (1922, p. 494).

Mito e psicoanalisi "La Wirksamkeit del mito, la sua realtà" - continua Hillman - "consistono precisamente nel potere che gli è proprio di conquistare ed influenzare la nostra vita psichica". I Greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo ed una psicopatologia. La psicologia mostra, infatti, i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia in vesti antiche. Il primo a riconoscere questa verità fondatrice per la moderna psicologia del profondo fu Sigmund Freud. Il primo a riconoscere le implicazioni racchiuse nel riconoscimento da parte di Freud del rapporto fra mito e psiche, fra mondo antico e psicologia moderna, fu Carl Gustav Jung. Prendiamo il passo tratto dalle pagine di apertura dell'opera di Yung I simboli della libido: Chiunque sia riuscito a leggere l'Interpretazione dei sogni di Freud (...) e con animo pacato e libero da pregiudizi ha potuto subire la suggestione di una materia così particolare, sarà stato di certo profondamente scosso dal passo di Freud, là dove egli rammenta che alla base di quel poderoso tema drammatico dell'antichità che è la leggenda di Edipo, vi è un conflitto psicologico individuale, cioè una fantasia incestuosa. (...) Eravamo ancora in preda alla confusione che emana dall'infinita variabilità dell'anima individuale, quando tutt'a un tratto la semplice grandiosità della tragedia di Edipo, fiaccola del teatro greco destinata a non più spegnersi, si dischiuse al nostro sguardo. L'ampliarsi dei nostri orizzonti assomiglia ad una rivelazione. (...) Ma se seguiamo il cammino tracciato da Freud (...) l'abisso che divide la nostra epoca dall'antichità viene a essere colmato e ci avvediamo allora con stupore che Edipo vive ancora. (...) In tal modo, ai fini della comprensione dello spirito antico si apre una via mai esistita prima d'ora. (...) Passando per le infrastrutture celate della nostra anima, giungiamo a far nostro in tutta la sua vitalità il senso della civiltà antica e a prendere possesso di una solida base per comprenderne oggettivamente le correnti. Questa è almeno la speranza che attingiamo dalla riscoperta dell'immortalità del problema di Edipo (C.G. Jung, Opere, vol. 5, pp.17-19, ed. Boringhieri, Torino 1969-1988).

La repressione e la tragedia Essendo generalmente il pubblico teatrale composto da persone adulte, nessuna di esse, a meno di essere affetta da nevrosi, soffrirà del complesso di Edipo. La tragedia non rivela dunque un desiderio presente, ma uno passato, ed è tanto più capace di suscitare commozione quanto più tale desiderio è stato rimosso dall'inconscio. La tragedia agisce in modo simile alla psicanalisi, costringendo ciascuno a porsi dinanzi a ciò che si era misconosciuto perché contrario alla morale.

Le parole di Freud: Amore per l'uno, odio per l'altro dei genitori, fanno parte di quella riserva inalienabile di impulsi psichici che si forma nella vita psichica infantile. A sostegno di questa conoscenza, l'antichità ci ha tramandato un materiale leggendario, la cui energica e universale efficacia riesce comprensibile soltanto ammettendo un'analoga validità generale delle promesse anzidette, tratte dalla psicologia infantile. Intendo la leggenda del re Edipo e l'omonima tragedia di Sofocle. (S. Freud, Opere, vol. 3, pp. 242-244, qui e di seguito ed. Boringhieri, Torino 1967-1980). Dopo aver passato brevemente in rassegna il mithos continua: Ora, l'azione della tragedia non consiste in altro che nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte - paragonabile al lavoro di una psicoanalisi - che Edipo stesso è l'assassino di Laio... Il legame tra arte e psicanalisi è riaffermato da Freud dopo qualche riga: Portando alla luce nella sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prender conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti. E Freud continua: Se il re Edipo riesce a scuotere l'uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che (...) deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo. (...) Il suo destino ci commuove soltanto perchè sarebbe potuto diventare anche il nostro, perchè prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato il medesimo destino per me e per lui.

La resistenza: Edipo e Tiresia Lo scontro tra l'indovino e il tiranno è caratterizzato dall'impudenza del sovrano nel sopravvalutare la sua capacità intellettiva e nel diminuire le virtù divine del vate: Com'è che ai tempi in cui la cagna imperversava con i suoi indovinelli, tu non pronunciasti la parola che salvasse i tuoi concittadini? E sì che non toccava al primo venuto svelare l'enigma: occorreva quell'arte profetica che tu non dimostrasti di avere appreso né dagli uccelli né da un dio. E invece io, Edipo, io che nulla sapevo, appena giunto ammutolii la Sfinge con la forza della mia intelligenza, senza nulla aver appreso dal volo degli uccelli. (Ibid., vv. 391-403) [...] sei cieco negli occhi, nelle orecchie e nella mente. (Ibid., vv. 370-71) Ti nutri di una notte senza fine: non puoi proprio nuocere né a me né a nessun altro, che veda la luce del sole. (Ibid., vv. 374-75) Colmo della paradossalità di Edipo è proprio il rivolgere a Tiresia offese sulla sua condizione di non vedente e, parallelamente, di non sapiente, illuso (peccando di hybris) che fosse sufficiente l'intelligenza umana a sondare l'abisso dell'essere senza veli delle cose, dell'identità personale: «[...] io, quell'Edipo illustre che tutti conoscono» (Ibid., v. 8) esclama all'inizio della tragedia. Edipo manifesta a più riprese la volontà di varcare la soglia proibita al mortale, la conoscenza diretta delle cause, utilizzando spesso la metafora della luce: [...] chiunque di voi sappia chi uccise Laio, figlio di Labdaco, riveli a me ogni cosa [panta = tutta la verità].(Ibid., vv. 224-226) Ormai è giunto il momento di fare piena luce su tutto. (Ibid., v. 1050) Tutto è chiaro. (Ibid., v. 774) Devo sapere chiaramente. (Ibid., 1065) Si sprigionino tutti i mali del mondo, ma io voglio conoscere la mia origine. (Ibid., 1077) Tutto è ormai chiaro. (Ibid., 1182)

Luci ed ombre Hillman sostiene che la cecità è il prerequisito del metodo edipico della psicologia del profondo, giacchè è con essa che si inaugura la ricerca di sè. Si cammina  al buio, incapaci di vedere cosa fare, che strada prendere, come a un crocevia. Ci sono vari modi di essere ciechi: quello di Edipo, i cui occhi sono aperti, ma non gli consentono di vedere, e quello di Tiresia che ha gli occhi chiusi, ma è un veggente. Eppure sono ciechi entrambi. Il linguaggio di luce, visione, occhi pervade tutta la tragedia. L'accecamento di Edipo alla fine è in ogni caso l'esito del suo metodo di procedere (seguire le tracce, interrogare, cercare la verità su se stessi). Il "conosci te stesso" equivale qui alla cecità, quando seguendo il metodo edipico, finalmente vengo a sapere chi sono il risultato è l'accecamento, la cecità. Ciò che Tiresia chiama "la maledizione della madre e del padre, che da ogni parte colpendoti (...), col suo terribile piede ti scaccerà infine da questo paese; e se ora vedi bene tra poco vedrai le tenebre" (vv. 416-419), è il risultato del tentativo da parte di Edipo di vedere per via di interrogazione e di interpretazione. Ciò che si scopre discende dal modo in cui si scopre.

Scoprire chi siamo sconfigge l'inconsapevolezza incestuosa e l'analista fa da guida con i suoi occhi più grandi, più penetranti, gli occhi di Tiresia. L'analisi mira ad aprire quelli del paziente, in modo di vedere la vita più chiaramente, come un campo di proiezioni inconsapevoli. Il risultato finale, secondo Hillman, è la tragedia, giacchè lo sforzo eroico di vedere, a cui l'io si sottopone, è il sintomo stesso che tenta di vedere, e un sintomo non può vedere se stesso. La tragedia della Grecia diviene la tragedia della psicoanalisi. Come dice Freud: "Ogni membro dell'uditorio è stato una volta un tale Edipo, in germe e in fantasia, e da questa realizzazione di un sogno trasferito nella realtà ognuno si ritrae con errore".