Buone Pratiche di Salute Mentale e Psicoterapia di Comunità

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Buone Pratiche di Salute Mentale e Psicoterapia di Comunità Sviluppo Locale, Psicopatologia Sociale e Lavoro Territoriale

Buone Pratiche di Salute Mentale Il Libro Verde che la Commissione Europea ha redatto su invito della Conferenza Ministeriale Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, svoltasi ad Helsinki nel gennaio del 2005, ne propone essenzialmente due: Migliorare la coerenza degli interventi nel settore sanitario e tra questo settore ed i settori non sanitari; primi fra tutti i settori economico, sociale, educativo, produttivo, giudiziario e penale. Promuovere la partecipazione di un’ampia gamma di persone, agenzie ed istituzioni interessate alla ricerca di soluzioni; primi fra tutti le organizzazioni dei pazienti e la comunità dei ricercatori.

Buone Pratiche di Salute Mentale Le linee strategiche europee per lo sviluppo delle Buone Pratiche di Salute Mentale assegnano importanza programmatica non soltanto al miglioramento della qualità della vita dei cittadini, ma anche allo sviluppo sociale, economico e culturale delle comunità locali nel loro complesso.

Buone Pratiche di Salute Mentale La partecipazione delle organizzazioni dei pazienti alla ricerca delle soluzioni al proprio disagio, rappresenta da sempre un sfida strategica per lo sviluppo sociale. Come ricorda Isabelle Stengers: “Questa sfida ci pone dalla parte dell’invenzione politica, cioè del modo singolare in cui le minoranze inventano e si inventano. Nella nostra storia i sans-culottes, forse anche gli schiavi che si riconoscevano attraverso il dio dei cristiani, hanno saputo inventarsi attraverso l'aggettivo che li squalificava. Ma non è forse quello che sta succedendo, nel campo della medicina, con i cosiddetti "tossici" che spazzano via le dissertazioni scientifiche sulla legittimità di questo aggettivo per rivendicarsi in quanto tali in associazioni di utenti non pentiti. So bene che gli utenti autoorganizzati non sono interlocutori facili per i membri del corpo medico, poiché esigono un aiuto rifiutando di pagare il prezzo atteso, il riconoscimento della loro sottomissione alle categorie della medicina, rifiutando appunto di lasciarsi saldare al loro sintomo” Stengers, 1993

Definizione di Salute Mentale Se nel rapporto Nuova visione, nuove speranze (OMS, 2001), la salute mentale veniva definita “uno stato di benessere nel quale il singolo è consapevole delle proprie capacità, sa affrontare le normali difficoltà della vita, sa lavorare in modo utile e produttivo ed è in grado di apportare un contributo alla propria comunità”.

Definizione di Salute Mentale Nel Libro Verde, la Commissione Europea estende l’approccio bio-psico-sociale della salute mentale, elaborandone una rivoluzionaria visone comunitaria e provando a darne una definizione articolata sia sul livello individuale che sul livello sociale.

Definizione di Salute Mentale Per i cittadini la salute mentale è una risorsa che consente di conoscere il proprio potenziale emotivo e intellettuale, nonché di trovare e realizzare il proprio ruolo nella società, nella scuola e nella vita lavorativa. Per le società una buona salute mentale contribuisce alla prosperità, alla solidarietà e alla giustizia sociale. Le patologie mentali al contrario comportano molteplici costi, perdite e oneri per cittadini e la società. (OMS, 2005)

La Promozione della Salute Mentale La Promozione della Salute Mentale prevede di incentrare l’attenzione sui gruppi sociali più vulnerabili, sulle fasce di popolazione più svantaggiata e più a rischio di emarginazione. Alcuni interventi efficaci sono: consulenza per i gruppi sociali a rischio; aiuto ad entrare nel mondo del lavoro; occupazione assistita per le persone affette da malattie psichiche o handicap. (OMS, 2005, cap. 6.1.1)

La Promozione della Salute Mentale Questi interventi si fondano essenzialmente su un lavoro clinico-sociale volto a promuove l’inclusione sociale delle persone affette da malattie mentale, affinché lo stigma ed i pregiudizi non facciano diminuire l’efficacia delle loro richieste di aiuto ai servizi sanitari e, di converso, delle azioni di tutela, da parte degli stessi servizi, dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

La Promozione della Salute Mentale Il Libro Verde ha fatto propri i risultati di uno studio epidemiologico sulla patologia mentale in Europa (Alonso, Angermayer, Bernert, et al., 2004) dal quale emerge che soltanto il 26% degli adulti che soffrono a causa di un disturbo mentale entrano formalmente in contatto con un servizio (pubblico, privato o privato-sociale che sia) istituzionalmente deputato alla cura della patologia mentale. Tutti gli altri si rivolgono invece a servizi non specialistici di sostegno alla persona o ad organizzazioni di aiuto più o meno formale e/o istituzionale.

La Promozione della Salute Mentale Il paradosso è che la maggior parte dei casi di patologia mentale non trattati è rappresentata dai cosiddetti “casi gravi”. L’OMS definisce appositamente la “grave patologia mentale” come una condizione psicopatologica che può portare: al suicidio, alla morte per incidente dovuto alla inabilità conseguente o ad una tragica riduzione della qualità e dell’aspettativa di vita del paziente

La Grave Patologia Mentale (S.M.I.) Si considera “Grave Patologia Mentale” o Severe and Persistent Mental Illness (SMI), una patologia mentale che ottenga una indice di Valutazione Globale del Funzionamento – VGF – inferiore ai 50 punti, ed la necessità di una presa in carico da parte dei servizi di salute mentale di almeno 2 anni. Schinnar, Rothbard, Kanter, et al., 1990; Jones, Thornicroft, Coffey, et al., 1995; Slade, Powell, Strathdee, 1996; Ruggeri, et al., 2000; Mueres, et al., 2006; Parabiaghi, et al., 2006

La Grave Patologia Mentale (S.M.I.) La letteratura internazionale, in linea con le direttive dell’OMS (2001), si riferisce con questo termine principalmente ai disturbi psicotici, ai disturbi dell’umore ed alle dipendenze patologiche. Sono queste le prime tre patologie che in Europa “pesano”, in assoluto più di tutte le altre (comprese tutte quelle non psichiatriche, e quindi anche malattie infettive come HIV o cronico-generative come quelle cardio-vascolari) sulla perdita di anni di vita a causa di incidenti dovuti all’inabilità (YLL) nella fascia d’età tra i 15 ed i 44 anni.

La Grave Patologia Mentale (S.M.I.) Tra le principali cause di morte, considerate in assoluto in tutta la comunità europea, cioè non solo a causa di malattie o di incidenti, ma tutto ciò che può indifferentemente causare la morte, l’OMS (2001), riporta, nella fascia d’età tra i 15 ed i 44 anni: al primo posto gli incidenti stradali al secondo posto il suicidio.

La riduzione dell’aspettativa e della qualità di vita La stima (il carico) della riduzione dell’aspettativa e della qualità della vita dovuta all’inabilità della patologia è data dalle statistiche DALY (Disability Adjusted Life Years), il cui indice di annualità di vita o di buona salute perdute a causa di una malattia, integra due fattori: gli anni di vita perduti per mortalità prematura (YLL – Years of Life Lost ), gli anni di vita produttiva perduti per inabilità (YLD – Years Lived with Disability ). (OMS, 2001)

DALY: Anni di vita persi a causa della disabilità Carico di malattia Morti DALY Malattie cardiovascolari 23% 52% Disturbi neuropsichiatrici 20% 3% Cancro 11% 19% Malattie dell’ app. digerente 5% 4% Malattie respiratorie 4% 4% Disturbi muscolo-scheletrici 4% 0% Deficit degli organi di senso 4% 0% Diabete mellito 1% 1% Altre malattie croniche 5% 2% Totale 77% 86% Organizzazione mondiale della sanità - Ufficio Regionale per l’Europa, 2005 Rapporto: “Guadagnare Salute” La strategia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche

L’ Approccio Bio-Psico-Sociale La condizione psichica delle persone è determinata, secondo la visione bio-psico-sociale sviluppata dall’OMS (2001; 2005), da una molteplicità di fattori: biologici (per es. genetici, legati al genere), individuali (per es. esperienze personali), familiari e sociali (per es. assistenza sociale), economici e ambientali (per es. posizione sociale e condizioni di vita).

L’ Approccio Bio-Psico-Sociale L’OMS nel rapporto redatto nel 2001 mette in risalto la stretta connessione esistente tra le tre classi di fattori di rischio, biologi, psicologici e sociali, per lo sviluppo di patologie sia fisiche che mentali. Il fattore di rischio sociale al quale viene dato maggiore risalto è senza dubbio la povertà: condizione che raccoglie tutti gli elementi sociali potenzialmente patogeni individuati e viene analizzato nella sua complessa relazione con l’insorgenza, il mantenimento, l’aggravarsi e il perpetuarsi di disagi e patologie psicologiche. “La relazione tra povertà e salute mentale è complessa e multidimensionale. Nella sua definizione più stretta, la povertà si riferisce alla mancanza di denaro o di beni materiali” (OMS, 2001).

L’ Approccio Bio-Psico-Sociale Nel significato più ampio, e forse più appropriato per la discussione collegata ai disturbi mentali, la povertà può anche essere concepita come una condizione di mezzi insufficienti, che includono la mancanza di risorse sociali ed educative. Tale condizione di deprivazione include, secondo le categorie dell’OMS (2001) tre fattori di base: livelli minori di acquisizione educativa, disoccupazione e, in casi estremi, mancanza di una casa in cui vivere. Povertà e violenza producono infatti sia problemi psichiatrici che problemi sociali.

L’ Approccio Bio-Psico-Sociale Se le malattie psichiatriche sono biopsicosociali ne deriva che i problemi mentali e i comportamenti sociali sono strettamente legati alle politiche economiche. Risulta soltanto un artificio metodologico distinguere tra miglioramento della salute e sviluppo economico. Un buon programma di salute mentale non potrà che essere una integrazione concertata dei vari livelli presenti nella polis (amministrativi, economici, culturali, sanitari, ecc.), al fine di coinvolgere numerosi attori del tessuto sociale locale nella ricerca di soluzioni idonee per il proprio territorio.

Psicopatologia Sociale Entrare nel mondo del soggetto sofferente vuol dire compiere una esplorazione del suo “territorio di vita”; tale territorio è co-determinato principalmente dalla persona in questione, dalla sua famiglia e dall'ambiente sociale più ampio che li contiene; ambiente che quindi contiene anche l’operatore stesso, con i suoi gruppi professionali di riferimento e naturalmente tutti i suoi “gruppi di appartenenza primaria e secondaria”.

Psicopatologia Sociale Nessuna Progettazione Terapeutica Personalizzata (o P.T.I.), può non tenere in debita considerazione il “gruppo famiglia”, cioè il nucleo antropologico primario nel quale si forma il soggetto. Così come nessun Progetto Terapeutico può non tenere in considerazione la dimensione sociale nella quale si è formata la famiglia. L’intervento clinico deve, quindi, essere territoriale, nel doppio senso di intervento nella comunità di vita della persona sofferente e di partecipazione alla costruzione del suo spazio di vita. Ciascun individuo acquisisce le competenze per vivere in un dato ambiente, principalmente costruendo e ricostruendo il proprio spazio di vita: cioè organizzando in esso il proprio mondo ed i propri operatori simbolici ed operazionali utili per la costruzione delle rappresentazioni mentali dei confini identitari ed interpersonali.

Psicopatologia Sociale Famiglia e Gruppi di Appartenenza Secondari assolvono infatti due funzioni fondamentali per la sopravvivenza della società: quella della coesistenza e della coesione sociale e quella della ricerca e della creazione di processi di significazione utilizzabili per lo sviluppo sociale.

Lavoro Territoriale Le agenzie antropologiche deputate alla gestione dell’incapacità di sopravvivenza all’interno dello spazio sociale sono responsabili di tali esigenze, insieme complementari, concorrenti ed antagoniste. Tali agenzie sono quindi rappresentabili innanzitutto ai nostri occhi come contesti di cura, setting o dispositivi terapeutici comunitari, in quanto abitati da gruppi di persone (operatori, familiari, pazienti, committenti, ecc.) che condividono la titolarità e la responsabilità del progetto terapeutico di ogni singolo paziente.

Lavoro Territoriale «I dispositivi terapeutici comunitari sono i contesti di vita/cura del paziente, in cui vi è: una teoria di riferimento ed un linguaggio condiviso tra clinici, operatori sociali, pazienti, familiari e committenti. una organizzazione del lavoro che dia spazio alla narrazione collettiva sulla storia clinico-sociale del paziente e la riflessione sulle relazioni tra tutti i soggetti coinvolti. una metodologia improntata alla condivisione democratica del potere decisionale sul trattamento in generale, sui progetti specifici e sulle attività quotidiane. un progetto inter-culturale, pluri-istituzionale e multimodale, in grado di incidere contemporaneamente sul nucleo familiare e sul contesto comunitario di riferimento del paziente. l’intenzione clinica di costruire un campo mentale comunitario che funzioni come campo gruppale, per agire in senso terapeutico piuttosto che antiterapeutico.» (Barone, Bellia, Bruschetta, 2010, pag. 30)

I dispositivi terapeutici comunitari Sono questi i contesti di cura della patologia mentale, la cui pratica clinica emergente prevede, parafrasando Foulkes (1948) il quale a sua volta, nel citare Malinowski (1926), riporta la celebre descrizione del passaggio dall’Antropologia da Tavolino all’Antropologia sul Campo: il passare da una Psicoterapia da Tavolino ad una Psicoterapia sul Campo.

I dispositivi terapeutici comunitari Sono da intendersi come dei contesti clinico-sociali dove il paziente possa vivere, curarsi e ri-costruire relazioni. Contesti “abitati” da gruppi di persone (operatori, familiari, pazienti, committenti) che condividono la titolarità e la responsabilità di un Progetto Terapeutico Personalizzato sui bisogni e sui desideri del paziente. Un progetto terapeutico che integri la comprensione del paziente in termini psicodinamici con un modello bio-psico-sociale dell’etiologia, della diagnosi e del trattamento della sofferenza mentale. (Gabbard, 1994; 2004)

L’ Approccio Psicodinamico Come sostiene Gabbard (2004, tr. it. 2005, pp.40-43), “una buona formulazione psicodinamica è biopsicosociale per sua natura e consiste in una breve sintesi di tutte le componenti che contribuiscono alla comprensione del paziente, che spieghi il quadro clinico e guidi il successivo trattamento”. (…) “Una formulazione psicodinamica deve essere basata sulla comprensione della diatesi genetica e ambientale e del suo ambiente socio-culturale”. Ad es., così come il temperamento geneticamente determinato del bambino influenza gran parte dell’interazione con i genitori, anche il comportamento dei genitori, plasma a sua volta lo sviluppo della personalità del bambino. Per questo motivo, l’attenzione alla dimensione evolutiva, che caratterizza la tradizione di ricerca psicodinamico-psicoanalitica, mette in evidenza il ruolo centrale che svolgono, nello sviluppo del disagio mentale, le complesse interazioni fra i tratti propri del paziente (nell’arco della sua vita), le caratteristiche psicologiche dei familiari (soprattutto i genitori) e la corrispondenza genitore-bambino.

L’ Approccio Psicodinamico L’approccio psicodinamico considera il paziente adulto, come il prodotto di esperienze infantili importanti, che vengono riprodotte nel presente con gli altri significativi, incluso coloro che svolgono funzioni curanti. Ma la ricerca gruppale ed analitica ha esteso lo studio delle interazioni bambino-genitore anche alla trasmissione intergenerazionale degli effetti di tali interazioni (Kaes, et al, 1993; Tisseron, et al., 1995; Menarini, 1995) ed alla corrispondenza tra le caratteristiche psicologiche del paziente e dei suoi familiari e le caratteristiche socio-culturali degli ambienti di origine e di convivenza degli stessi (Lo Verso, 1994; Di Maria, Lo Verso, 1995; Giannone, Lo Verso, 1996).

La Progettazione Terapeutica Personalizzata Per Progetto Terapeutico Personalizzato intendiamo, in accordo con le Linee di Indirizzo Nazionali per la Salute Mentale (MIN. SAL., 2008), tanto un documento clinico quanto una prassi terapeutica, nella responsabilità del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) territorialmente competente, che ponga il paziente e la sua guarigione al centro del lavoro di un gruppo curante e che, di conseguenza, programmi gli interventi clinici e sociali, fissi gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, monitori e valuti il processo e gli esiti. Spetta quindi al Dipartimenti di Salute Mentale garantire per ciascun paziente la costruire un Progetto Terapeutico che sia: Individuale, cioè centrato più sull’utente, sulla sua domanda e sui suoi bisogni, che non sull’offerta dei servizi Personale, cioè tarato sulle reali abilità ed inabilità dell’utente, sulle sue parti sane e sulle sue parti malate Condiviso, cioè concordato con l’utente, i familiari ed in coordinamento pluri-istituzionale con le altre agenzie sociali del territorio.

La Psicoterapia di Comunità I contesti di presa in carico comunitaria della patologia mentale, ed i dispositivi terapeutici attivati in essi, si fondano sulla cura, l’elaborazione e la dinamizzazione delle relazioni umane che i pazienti, gli operatori, i familiari, le istituzioni di servizio e di committenza, intrecciano reciprocamente fino a creare una nuova matrice intersoggettiva di significazione degli eventi mentali.

La Psicoterapia di Comunità Ciascuno dei contesi di cura in cui avviene la presa in carico comunitaria della patologia mentale (ambulatorio, domicilio, comunità residenziali, ma anche reparti ospedalieri e strutture intermedie in genere), funziona solo se si attiva al suo interno un campo mentale condiviso, di tipo gruppale ed orientato in senso terapeutico, cioè solo se funziona come una comunità terapeutica. Lo Verso, 1994; Pontalti, Menarini, 1994b; Di Maria, 1993; Barone, Bruschetta, Giunta, 2010; Barone, Bellia, Bruschetta, 2010.

La Psicoterapia di Comunità Si definisce “campo mentale, l’organizzazione relazionale che offre senso all’insieme delle esperienze cognitive, emotive ed affettive di una comunità in un tempo storico dato” (Pontalti, Menarini, 1994). Il campo mentale di una comunità può essere identificato come un “campo gruppale” in grado di fondare nuovi spazi relazionali e di appartenenza, che costringono di conseguenza gli individui che la “abitano” ad accogliere sempre nuovi pensieri (Di Maria, 1993).

La Psicoterapia di Comunità L’insieme degli individui che “animano” (cioè abitano, vivono, frequentano, lavorano, ecc.) i contesti di cura della patologia mentale sono chiamati a costituire (intrecciando reciprocamente le relazioni umane che in essi si determinano e si manifestano), un campo mentale, produttore di senso ed intenzionalità propria per le loro comunità di appartenenza. Un campo mentale che permetta l’elaborazione dell’esperienza e del lavoro di cura, al fine di osservare (ed operare in riferimento a) tutti gli eventi bio-psico-sociali implicati.  

Psicoterapia Analitica e Gruppale I dispositivi terapeutici comunitari sono contesti di presa in carico della sofferenza umana, in cui è possibile far evolvere la pratica psicoterapeutica gruppale ed analitica della patologia mentale, lungo tre direzioni: Biologica Psicologica Sociale

Psicoterapia Analitica e Gruppale Direzione 1: la prospettiva biologica sulla patologia mentale, nei suoi termini scientifici e medici, viene elaborata anche in considerazione dell’impatto che l’uso di essa ha sull’esperienza di Sé dei pazienti, soprattutto di quelli più vulnerabili (Stolorw, Atwood, 1992)

Psicoterapia Analitica e Gruppale Direzione 2: la prospettiva psicologica, attraverso la ricerca teorico-clinica sull’inconscio sociale, permette di osservare l’istituzionalizzazione delle relazioni sociali di potere anche nella costituzione del sentimento d’identità degli esseri umani (Dalal, 1998)

Psicoterapia Analitica e Gruppale Dimensione 3: la prospettiva sociale, anche nei suoi risvolti epidemiologici o economici, viene utilizzata per una analisi critica della funzione biologica di quelle specie-specifica dimensione etologica definita gruppalità ed con essa l’altrettanto specie-specifica pratica comunitaria definita psicoterapia attraverso il gruppo. (Fasolo, 1995)