Francesco Guicciardini L’Antimachiavelli
Francesco Guicciardini nacque a Firenze nel 1483 Francesco Guicciardini nacque a Firenze nel 1483. Apparteneva ad una delle famiglie più in vista della città, tra le più fedeli al governo mediceo. Palazzo Guicciardini e stemma
La vita (1483-1540) Dopo gli studi in giurisprudenza, iniziò ancora giovane una carriera diplomatica di alto livello, grazie anche al matrimonio contratto (contro il volere paterno) con Maria Salviati Fu ambasciatore della Repubblica fiorentina presso il Re di Spagna
Dopo la caduta della repubblica (1512) e il rientro dei Medici a Firenze, ebbe incarichi importanti dai i due papi medicei, Leone X e Clemente VII Clemente VII Leone X
Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propagandò un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac nel 1526, ma si rivelò ben presto fallimentare: nel 1527 la Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata (per l’ultima volta) la repubblica. La Lega di Cognac fu un accordo tra papato, monarchia inglese, monarchia francese e Repubblica di Venezia contro l'imperatore Carlo V di Spagna. Per la presenza del papa tra gli accordati fu chiamata anche Seconda Lega Santa (la prima era la Lega di Cambrai). I lanzichenecchi erano dei soldati mercenari di fanteria provenienti dalle regioni del Sacro Romano Impero, che combatterono tra la fine del XV e la fine del XVII secolo.
Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritirò in un volontario esilio nella sua villa di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Nel 1529 scrisse le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Tito Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la redazione definitiva dei Ricordi.
I Ricordi Sono una raccolta di massime e brevi riflessioni, destinate a trasmettere ai figli il succo della propria esperienza come era d’uso nelle famiglie mercantili fiorentine “Ricordo”, infatti, propriamente significa “ammonimento, consiglio” Il titolo si richiama quindi a un genere di scrittura privato
Dopo il nuovo rientro dei Medici a Firenze (1531), fu accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro; il successore di Alessandro, Cosimo I, però lo lasciò in disparte. Guicciardini allora si ritirò nella sua villa di Santa Margherita in Montici ad Arcetri, dove trascorse i suoi ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordinò i Ricordi politici e civili, raccolse i suoi Discorsi politici e soprattutto scrisse la Storia d'Italia. Morì ad Arcetri nel 1540, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata. Chiesa di Santa Felicita, Firenze
Guicciardini e Machiavelli: due opposte concezioni della storia In Machiavelli si avverte, pur sullo sfondo di una visione pessimistica, l’entusiasmo di un pensiero che crede nel controllo razionale della realtà In Guicciardini, di poco più giovane e testimone del crollo definitivo della situazione italiana, prevale il senso dello scacco, dell’impossibilità di dominare gli eventi.
Guicciardini e Machiavelli Guicciardini condivide con Machiavelli la visione realistica e disincantata della realtà, ma non ha la stessa fiducia nella possibilità di formulare delle leggi generali di comportamento. E’ impossibile dunque nell’insieme degli eventi cogliere regole generali che siano di guida per l’uomo politico. Un evento è irriducibile a ogni analogia e somiglianza: l’eccezione è la norma, la condizione prevalente e comune E’ grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per così dire, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circustanze” (Ricordi, 6)
In Machiavelli c’è un tentativo di sintesi, cioè di ricondurre il particolare ad una teoria generale che possa spiegare la realtà e costituire da modello. In Guicciardini prevale l’analisi, cioè la constatazione che ogni evento ha caratteristiche sue proprie, non riconducibili a leggi generali.
Guicciardini e il mondo classico Non è possibile valersi degli esempi storici perché le circostanze non si ripetono mai uguali. Non servono a nulla le conoscenze tratte dai libri (“l’esperienza delle cose antique”di Machiavelli) “Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e Romani!” (Ricordi, 110) La storia romana dunque, a differenza di Machiavelli, non conserva per Guicciardini alcun valore esemplare
Guicciardini e la “fortuna” La varietà e l’imprevedibilità dei casi rende il potere della “fortuna” pressoché incontrastabile. Per Guicciardini dunque la “fortuna” esercita un dominio totale sulle vicende umane: né la prudenza, né la capacità di adattarsi alle situazioni consentono agli uomini di dirigere gli eventi o di prevederli. I personaggi che nella storia hanno avuto successo non lo devono alla loro capacità di dominare gli eventi, ma al fatto di aver agito in circostanze storiche favorevoli “Nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà, perché si vede che a ognora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potere degli uomini né a prevedergli né a scifargli” (evitarli) (Ricordi, 30)
dal latino dis-cerno, “separo, distinguo” La “discrezione” In mancanza di regole assolute e generali, non resta che affidarsi alla “discrezione” dal latino dis-cerno, “separo, distinguo” Per Guicciardini la storia è del tutto imprevedibile, le regole generali non servono a nulla e così pure le conoscenze tratte dai libri La sola qualità da cui può scaturire una chiara visione dei fatti politici e sociali è dunque la discrezione, cioè la capacità di cogliere il carattere peculiare – unico e irriducibile – di ogni situazione e di adeguarsi ad essa
“Discrezione” e “virtù” La “discrezione” è principio ben diverso dalla “virtù” di Machiavelli: la “virtù” machiavelliana è costruttrice di nuove realtà politiche. Guicciardini non ha in mente grandi disegni da realizzare: il suo punto di riferimento non sono tanto le sorti dello stato, quanto quelle del singolo.
Il “particulare” Di fronte all’instabilità del mondo, è necessario mantenersi aderenti alla situazione concreta, operando per il proprio “particulare” (per il proprio personale e privato interesse), senza affidarsi a valori o ideali astratti. Ciò è parso a moti puro cinismo, ma Guicciardini in fondo è un moralista, preoccupato di come un individuo possa salvarsi materialmente e moralmente in mezzo al fluttuare di eventi ingovernabili. “Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi l’interesse proprio, e tutte le azioni sue misurano con questo fine” (Ricordi, 218)
Per Machiavelli il BENE è la dedizione assoluta all’interesse della collettività e della patria. Quindi sono pochi quelli che operano per il bene e gli uomini sono istintivamente portati al male. Per Guicciardini il BENE è il conseguimento della felicità (l’interesse personale) senza danneggiare gli interessi degli altri. Quindi sono tanti quelli che operano il bene, poiché gli uomini sono istintivamente portati al bene. CONCEZIONE PESSIMISTICA DELL’UOMO SOSTANZIALE OTTIMISMO
Per Machiavelli è possibile formare una MILIZIA NAZIONALE, con un reclutamento popolare, in vista della costituzione di uno Stato Italiano. Pertanto Machiavelli si può definire ottimista in politica, o quanto meno fiducioso in un futuro più prospero per le sorti italiane. Per Guicciardini è impossibile formare una milizia nazionale, anzi non bisogna disdegnare l’utilizzo dei MERCENARI, spesso più esperti nell’arte militare. Egli infatti si dimostra scettico di fronte al progetto di unificazione italiana, esprimendo un sostanziale pessimismo in senso politico, o quanto meno accontentandosi di un equilibrio fra gli stati italiani come ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
La Storia d’Italia (1561) Lo stesso realismo disilluso dei Ricordi ispira l’opera più impegnativa di Guicciardini, la Storia d’Italia. L’opera narra in 20 libri le guerre che portarono alla fine dell’indipendenza italiana, dalla morte di Lorenzo il Magnifico (1492) a quella di papa Clemente VII (1534). Sono eventi che l’autore aveva visto da vicino e di cui era stato in parte protagonista Nell’opera domina il senso di una grande tragedia politica e dell’inevitabilità degli eventi che determinarono la fine dell’indipendenza degli stati regionali italiani.
La novità della “Storia d’Italia” L’opera si basa su un’attenta ricerca e valutazione dei documenti. Questo segna uno sviluppo rispetto alla storiografia precedente, incluso Machiavelli che non si preoccupava del vaglio critico delle fonti. Guicciardini riduce al minimo gli ornamenti retorici tradizionali nella storiografia (ampi discorsi messi in bocca ai protagonisti – sull’esempio classico – commenti e massime generali). Mira invece a ricostruire col massimo di lucidità lo sviluppo di avvenimenti intricati La Storia d’Italia segna dunque una tappa importante nella formazione della moderna metodologia storica (cioè della raccolta e dell’attenta indagine critica delle fonti)