Antropologia culturale Ivo G. Pazzagli
Come potremmo definire l’antropologia? L’antropologia culturale può essere definita come il “sapere della differenza”. l termine “sapere” per indicare che l’antropologia è nata in Occidente e si è sviluppata secondo le modalità che costituiscono la conoscenza entro la tradizione scientifica e accademica occidentale Il termine “differenza”, viceversa, per delimitare la specificità dell’ambito disciplinare antropologico, appunto discorso che parla degli altri”.
Chi sono gli altri di cui parla l’antropologia? Due possibili risposte: La prima, quella canonica, ci porterebbe ad affermare che gli “altri” sono i “primitivi” di cui parla l’Antropologia dell’Ottocento: l’antropologia nasce nell’Ottocento e si caratterizza subito come studio dei popoli “primitivi”, per usare la terminologia degli studiosi di quel periodo. Da questo confronto con l’alterità emergeranno delle differenze e a partire dall’analisi di queste differenze l’antropologia alimenta il suo progetto conoscitivo in quanto, appunto, sapere della differenza La seconda, affermatasi a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che nega l’esistenza di “alterità” radicali e, sulla base di una concezione più articolata dell’alterità, ha fatto sì che venisse alla luce la centralità di processi come la contaminazione e l’ibridazione culturale prodotte: dalla comunicazione planetaria dalle nuove tecnologie dall’espansione dei commerci e dei mercati dal turismo
L’antropologia e il concetto di cultura
Il concetto di cultura Uno dei principali contributi teorici che l’Antropologia dato alle scienze umane consiste nella elaborazione del concetto di cultura. Questa elaborazione si può sintetizzare in due passaggi: il passaggio dal significato soggettivo di “cultura”, intesa come ideale di formazione della personalità umana, al significato oggettivo di “cultura” intesa come realtà storica, come insieme di concezioni e di comportamenti propri di un certo gruppo sociale in un certo periodo storico il passaggio dal singolare (la “Cultura” comune a tutta l’umanità) al plurale (una molteplicità di “culture”, ciascuna risultato di uno specifico processo storico) Così inteso il concetto di cultura può essere considerato il più potente strumento di analisi delle differenze fra i gruppi sociali.
La definizione di Taylor Il primo passaggio al quale è associata dalla tradizione la nascita stessa dell’antropologia, come disciplina autonoma dotata di un suo oggetto, un suo metodo e un progetto teorico, è sancito dalla definizione del concetto di cultura dell’antropologo inglese Edward Tylor nel 1871 La cultura o civiltà, presa nel suo ampio senso etnografico, è quel complesso insieme che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, le leggi, i costumi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società.
La definizione di Taylor contiene almeno tre importanti novità: riconoscimento che tutti i gruppi sociali, hanno la capacità di produrre “cultura” l’inclusione, entro la categoria “cultura”, oltre al sapere scientifico, all’arte, alla religione, al diritto, anche delle consuetudini, dei costumi e dei modi di vita acquisiti socialmente, in un accezione “totale” del termine cultura rifiuto di qualsiasi soluzione di continuità fra popoli civili e popoli primitivi: la cultura è pensata come una “cosa” soggetta a una legge evolutiva analoga a quella operante nell’evoluzione delle specie biologiche, che ne determina lo sviluppo secondo fasi o stadi obbligatori per tutta l’umanità, anche se con tempi di realizzazione diversi.
Successive elaborazioni concettuali hanno poi portato: Al riconoscimento dell’esistenza di non una ma molteplici possibilità culturali, e quindi al riconoscimento della pluralità delle culture, non valutabili in base a una scala di valori unica (relativismo) All’abbandono di un’idea di cultura come realtà oggettive a favore di un concetto di cultura come una ‘finzione”, non nel senso di qualcosa di falso ma nel senso di qualcosa di “costruito” dagli antropologi nel loro lavoro di ricerca sul campo e di trascrizione delle culture indagate In sintesi potremmo intendere la cultura come il modo particolare dell’uomo in quanto membro di una società di organizzare il pensiero e il comportamento in relazione all’ambiente. In questa prospettiva la cultura presenta almeno tre aspetti particolari: comportamentale che sì riferisce al modo in cui gli individui agiscono e interagiscono l’uno con l’altro cognitivo, che si riferisce alle idee che gli uomini hanno del mondo e al modo in cui queste idee filtrano la loro comprensione del mondo e la loro esperienza materiale, che sì riferisce agli oggetti fisici che vengono prodotti entro un certo contesto socioculturale
Clifford Geertz
La cultura come meccanismo di controllo Gli uomini senza cultura (..) sarebbero inguaribili mostruosità con pochissimi istinti utili, ancor meno sentimenti riconoscibili, e nessun intelletto: casi mentali disperati. Quest’idea deriva da una concezione della cultura come “meccanismo di controllo” e del pensiero umano come fondamentalmente pubblico e sociale.
Concezione del “se” come effetto drammaturgico Il sé non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione, è un effetto drammaturgico che emerge da una scena, esso «è il prodotto di una scena che viene rappresentata e non una sua causa»; Le nostre idee, i nostri valori, i nostri atti, perfino le nostre emozioni sono, come lo stesso nostro sistema nervoso, prodotti culturali fabbricati usando tendenze, capacità e disposizioni con cui siamo nati, ma ciò non di meno fabbricati. La cultura è fatta di abiti e di costumi, che gli uomini indossano per recitare e soprattutto per dar forma alla loro vita.
La metafora della cultura come testo Secondo questa metafora, le attività sociali possono essere “lette” per il loro significato da parte dell’osservatore proprio come lo sono i materiali scritti e parlati. Il nucleo concettuale dell’antropologia interpretativa è la nozione di “significato”, proprio perché nella ricerca ci si domanda: qual è il “significato” delle azioni sociali? Per rispondere è necessario mettersi in grado di “vedere le cose dal punto di vista dei nativi”.
L’analisi culturale come scoperta dei significati che gli attori conferiscono alle loro azioni gli uomini interpretano non solo quando contemplano il mondo o riflettono sulla vita, ma anche quando lavorano, giocano, danzano o altro. l’uomo non può che “interpretare”, l’uomo interpretante agisce nei confronti della sua vita, del flusso delle sue sensazioni, emozioni e sentimenti, ed è questa l’unica procedura per conferire ordine e significato all’esperienza. l’antropologo deve accantonare le sue concezioni dell’esistenza e “leggere” le esperienze degli altri dall’interno, nel quadro della loro concezione, cogliendo il significato delle forme simboliche e dei fatti culturali osservabili
Ma perché i fatti culturali osservabili diventino comprensibili è necessario che l’azione venga inserita in una complessa rete di significati composta dal contesto culturale dell’azione, quello dell’attore e quello dell’interprete. Questo aspetto della comprensione è definito da Geertz, prendendo il termine da Ryle, thick description, “descrizione densa»” La “descrizione densa” consiste nello scoprire e ricostruire i livelli di significato non espliciti delle prospettive degli attori, cioè le molteplicità delle complesse strutture concettuali che le informa. Rappresenta la ricerca di “un contesto”, «qualcosa — sostiene Geertz — entro cui eventi sociali, comportamenti istituzioni, processi, possano essere intellegibilnente, cioè “densamente” descritti».