In sottofondo “Veni Domine” di Felix Bartholdy Mendelssohn Anno B Domenica XI 14 giugno 2015 In sottofondo “Veni Domine” di Felix Bartholdy Mendelssohn
Dal libro del profeta Ezechièle Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò». Ez 17,22-24
Ezechiele nacque intorno al 620 a. C Ezechiele nacque intorno al 620 a.C. da una famiglia di sacerdoti, quando il regno di Giuda era alla fine. Fu deportato in Babilonia nel 597 assieme al re Ioiachin e si stabilì nel villaggio di Tel Aviv sul fiume Chebar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata alla missione di profeta con il compito di rincuorare i Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme. All'inizio della sua missione non fu ascoltato, ma dopo la caduta di Gerusalemme, il popolo gli diede ascolto perché aveva compreso la veridicità delle sue profezie. La sua predicazione si concentrò, da quel momento, sulla ricostruzione della Città santa. Dai testi che lo riguardano si comprende che ricevette delle profezie complesse ed era in grado di vedere i fatti che si verificavano a Gerusalemme, pur essendone distante quasi 2.000 km. Vedeva se stesso come pastore che doveva vegliare sul popolo, guidandolo dall'interno e si considerava come anticipatore del Messia. Si presentava anche come guardiano del popolo poiché doveva annunciargli l'imminente giudizio di Dio. Questo brano ci porta all’anno 597 a.C. quando Nabucodonosor deporta in Babilonia il re Ioiachin e mette al suo posto Sedecia, il quale non solo rompe l’alleanza con il re di Babilonia, ma anche con Dio. Il Signore allora lo castiga, ma senza però interrompere con il popolo di Israele l’opera di salvezza promessa. Infatti tramite Ezechiele annuncia la restaurazione del regno sotto l’allegoria di un agricoltore, che pianta un ramoscello e ne osserva la crescita: Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. L’immagine del ramoscello ricorda le tante profezie secondo cui Dio, pur castigando il peccato, non viene meno alla sua fedeltà a Davide. Suggella quanto dice con: Io, il Signore, ho parlato e lo farò. Un esemplare di Cedro del Libano
È bello rendere grazie al Signore. Salmo 91 È bello rendere grazie al Signore. È bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo, annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte.
È bello rendere grazie al Signore. Il giusto fiorirà come palma crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore fioriranno negli atri del nostro Dio
È bello rendere grazie al Signore. Nella vecchiaia daranno ancora frutti saranno verdi e rigogliosi per annunciare quanto è retto il Signore: mia roccia, in lui non c’è malvagità.
Il salmo è un inno alla giustizia divina che squisitamente premia il bene e implacabilmente punisce il male creando così un mondo perfetto e ideale. Una visione ottimistica contro cui reagiranno Giobbe, Qohèlet e i salmi 49 e 73. Per il salmista, invece , l’immagine vegetale, fresca e verdeggiante, della palma e del cedro è lo stemma del giusto: evoca la vita contro cui invano attenta il deserto. Anzi, secondo la tradizione popolare orientale, il cedro simboleggia con la sua altezza la longevità secolare la cui durata può raggiungere anche il millennio. … Questo Salmo si rivela come un inno ottimistico, anche musicale e pieno di gioia, sicuro e fiducioso in quella fonte di fecondità e rigoglio che sono l’amore e la fedeltà di Dio nei confronti del giusto. La sua è una marcia trionfale verso la bellezza del tempio, che è area di vita e di pace, e verso la dolcezza della comunione con Dio. Le radici del giusto sono simili a quelle delle palme e dei cedri del tempio; affondano in Dio e l’eternità diventa la loro linfa. Tra parentesi, potremmo dedicare questo slamo a tutti quegli anziani, e soprattutto a quei “presbiteri “le cui radici spirituali si sono sempre alimentate al terreno del tempio, cioè della fede e della preghiera. Essi potranno sicuramente continuare ad “annunciare quanto è retto il Signore” Commento tratto da “I salmi” di Gianfranco Ravasi
Dalla Seconda Lettera di S Dalla Seconda Lettera di S.Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male. 2Cor 5,6-10
Paolo scrive questa seconda lettera ai Corinzi non molto tempo dopo la prima, ossia intorno agli anni 56 e 57. A Corinto erano arrivati in quel periodo degli evangelizzatori che avevano non soltanto preso le loro distanze dalla persona di Paolo (anziché riconoscerne l'autorità e il suo ruolo di privilegio nei confronti dei Corinzi, essendo egli il fondatore di quella comunità), ma addirittura erano giunti a contestare la sua autorità di apostolo e di padre della comunità. Erano con tutta probabilità giudeo-cristiani venuti da fuori regione, con delle lettere credenziali che avevano lo scopo di "raccomandarli" presso la comunità di Corinto, e presentandosi , si definivano "servitori di Cristo e suoi apostoli“. Con tutta probabilità si facevano mantenere dalle comunità stesse (per questa ragione Paolo, polemicamente, insiste sul suo lavoro con cui ha provveduto personalmente al proprio mantenimento senza pesare sugli altri). Paolo si mostra dunque molto duro e severo anche con la comunità di Corinto che li ha accettati e seguiti, anziché metterli al bando e restare fedele al suo fondatore. In questo brano l’Apostolo, continua ad approfondire il tema, già iniziato, di tenere sempre lo sguardo rivolto ai beni eterni, e afferma che la compensa finale è tale da far desiderare all’uomo il termine dell’esilio terreno (esilio del corpo) per abitare presso il Signore. La terminologia con cui Paolo cerca di descrivere questo destino di gloria, è un po’ vaga perchè chiaramente non ne ha l’esperienza. Questo però è un bene perchè permette di guardare alla vita presente proiettata verso la gloria. Ciò che conta è di essere fin da oggi graditi a Dio rendendosi docili alla Sua volontà, svolgendo sempre bene le proprie azioni quotidiane, per essere pronti a sostenere vittoriosi il giudizio davanti al tribunale di Cristo. L’invito è a vivere quaggiù con la speranza fondata su Cristo e non sulle proprie forze. Scene della vita di S.Paolo
Alleluia, alleluia. Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna. Alleluia.
Dal Vangelo secondo Marco In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. Mc 4,26-34
Questo brano del Vangelo di Marco, presenta Gesù che per parlare del regno di Dio ricorre come era solito fare a delle parabole, ossia a dei racconti semplici, di facile comprensione, che hanno però un profondo significato. La prima parabola parla di un uomo che getta il seme nella terra. " dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Con questo paragone Gesù ci vuole far comprendere come l'agricoltore che semina il buon seme deve anche saper attendere pazientemente il raccolto. Nello stesso modo dobbiamo fare anche noi: dobbiamo seminare il bene attorno a noi e, a suo tempo, raccoglieremo questo bene, moltiplicato, anche se, il più delle volte, saranno gli altri, che verranno dopo di noi, a vedere i frutti. La seconda parabola parla di un granellino di senapa che è tra i più piccoli semi, ma una volta germinato, diventa un albero, tanto che gli uccelli nidificano tra i suoi rami. Nella Terra Santa, ai tempi di Gesù, con il nome di senapa chiamavano, oltre all’arbusto che noi conosciamo, anche un albero che raggiunge diversi metri di altezza. Questa parabola ci insegna come Dio, per diffondere il bene nel mondo, si serve di strumenti umili e semplici. Sono queste le Sue preferenze, e così ha fatto anche quando ha scelto gli Apostoli, umili e semplici pescatori, divenuti evangelizzatori del mondo. Gesù con le sue parabole cerca di dare soprattutto una risposta alle idee e alle aspettative messianiche degli Ebrei del suo tempo. C'erano i Farisei, i quali pensavano che si potesse affrettare l'avvento del Regno di Dio con la penitenza, con i digiuni, con l'osservanza, in genere, della Legge e delle tradizioni. C'erano poi gli Zeloti, che cercavano di impiantare il Regno ricorrendo alla violenza e alla resistenza armata contro i conquistatori romani. C'erano infine gli Apocalittici, che erano convinti di stabilire con precisione, attraverso i loro calcoli cabalistici, l'ora e il luogo della gloriosa manifestazione del Messia. Gesù corregge queste varie attese e afferma solennemente che il Regno è opera di Dio e non degli uomini. Entrambe le parabole, infatti, mettono in evidenza la inadeguatezza e l' assoluta irrilevanza degli strumenti umani, che Dio usa per realizzare il suo Regno. La parola di Dio è come il seme, una volta entrata nel cuore non rimane senza effetto, ma germoglia e cresce anche quando tutto sembra spento e morto. Non dobbiamo mai dimenticare che è Dio che lo fa crescere, quando e come vuole.
Apri Signore, il nostro cuore, e comprenderemo le parole del Figlio tuo.