Il rischio di liquidità

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Il rischio di liquidità

Il rischio di liquidità Per lungo tempo questo rischio è stato visto insieme a quello di credito come l’espressione per eccellenza dei problemi di gestione degli intermediari e in particolare delle banche La liquidità di una azienda viene definita come la capacità di far fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa. Per qualsiasi azienda la liquidità è un aspetto fondamentale dell’equilibrio di gestione, ma per le banche assume un rilievo quasi vitale. Il funzionamento della banca è, infatti, strettamente dipendente dalla sistematica accettazione delle sue passività da parte delle aziende non bancarie e dall’aspettativa dei creditori che gli adempimenti trovino sempre una puntuale conferma

D’altra parte, in un regime di riserva frazionaria, la capacità della banca di essere liquida e di garantire la liquidità dei singoli operatori economici è legata a sua volta al grado di fiducia di questi ultimi nei confronti della singola banca e dell’intero sistema Gli intermediari presentano tipicamente una differenza media (mismatching) fra durata media dell’attivo e durata media del passivo, essendo quest’ultima normalmente più breve Le banche sono in generale esposte al rischio di liquidità in modo particolare perché, da un lato una parte fondamentale della loro attività (i prestiti) non è negoziabile in mercati secondari, e dall’altro perché il loro passivo a vista, che rappresenta la componente fondamentale della moneta a disposizione del pubblico, è per definizione soggetto al rischio di prelievo

Inoltre, nello svolgimento della funzione monetaria e di quella creditizia, la banca emette passività e sottoscrive attività finanziarie che possono dar luogo ad un flusso di cassa incerto nell’ammontare e nei tempi di realizzazione. Tali condizioni di incertezza rendono difficile la programmazione dei flussi di cassa in entrata e in uscita dalla banca e determinano quindi un rischio di liquidità.

Il fabbisogno di liquidità di una banca dipende, oltre che dalle differenti caratteristiche delle attività e delle passività in bilancio, anche dalle condizioni sottostanti alla domanda di credito e all’offerta dei depositi da parte della clientela, che possono portare ad una differenza nei volumi di fondi impiegati rispetto a quelli raccolti. Nel caso in cui gli scostamenti tra i fabbisogni previsti e quelli effettivi risultassero di modesta entità, la banca potrebbe ottenere, in modo tempestivo e senza particolari aggravi di costi, la liquidità necessaria per far fronte agli impegni imprevisti. Nel caso invece gli scostamenti risultassero di notevole entità, la banca si troverebbe nella situazione di dover recuperare un ammontare consistente di risorse liquide in un tempo molto limitato; ciò potrebbe dar luogo ad una crisi di liquidità con conseguenze particolarmente negative per l’equilibrio della banca stessa La possibilità per le banche di incorrere in situazioni di crisi di liquidità e al limite di incrinare il rapporto di fiducia con i propri creditori, in particolare con i depositanti e, quindi, di generare condizioni di insolvenza che si possono estendere all’intero sistema bancario, ha spinto le banche centrali all’adozione di interventi e misure specifiche volti a prevenire l’insorgere di crisi di liquidità.

Un primo insieme di interventi riguarda la disponibilità, da parte della banca centrale, a prestare riserve di base monetaria alle banche che necessitano dei fondi per fronteggiare i fabbisogni improvvisi di liquidità, che possono riguardare singoli istituti o il sistema bancario nel suo complesso. Dal punto di vista gestionale, la banca può ridurre i rischi di liquidità intervenendo sulla composizione delle proprie attività e delle proprie fonti di raccolta. In una prospettiva statica, il mantenimento di adeguate condizioni di liquidità può essere ottenuto solamente attraverso la costituzione di scorte di moneta legale ad un livello tale da soddisfare i fabbisogni non previsti di liquidità In un contesto dinamico la banca può conseguire la liquidità necessaria con specifiche operazioni di vendita delle attività finanziarie detenute in bilancio oppure mediante il ricorso a nuove forme di indebitamento (convenienza e opportunità di modificare rapidamente ed economicamente la composizione quali-quantitativa dell’attivo e del passivo di bilancio

Ne discende che il grado di liquidità di una banca non dipende solo dall’ammontare delle sue scorte di base monetaria, ma da un ampio insieme di fattori tra cui: la contrapposizione dinamica delle entrate e delle uscite di base monetaria generate dalla gestione corrente (il bilanciamento delle entrate e uscite monetarie deve essere assicurato dalla gestione corrente, senza alterare l’equilibrio economico e patrimoniale: corrispondenza tendenziale) la possibilità di conseguire l’ammontare di risorse monetarie necessarie con operazioni di vendita di attività in bilancio (funzioni del portafoglio titoli) la possibilità di accrescere ulteriormente l’indebitamento sul mercato (grado di inserimento e di intensità di presenza nel mercato monetario) il ricorso al finanziamento dalla banca centrale. Una prima misurazione del grado di liquidità di una banca e quindi del rischio ad esso connesso è quella ottenuta dalla semplice contrapposizione delle caratteristiche finanziarie delle attività e delle passività.

In particolare, le poste di bilancio sono classificate in funzione del loro grado di liquidità effettiva: Le attività vengono distinte in: Attività liquide Attività illiquide Le fonti dei fondi vengono distinte in: stabili variabili La differenza tra le attività liquide e le fonti variabili è definita come gap di liquidità: se le attività liquide superano le fonti variabili, il gap di liquidità assume valori positivi, mentre al contrario assume valori negativi quando le fonti variabili superano le attività liquide.

Le strategie di gestione della liquidità sono analoghe a quelle connesse al rischio di tasso di interesse. In particolare si possono identificare: a) una strategia di sincronizzazione delle scadenze, orientata al bilanciamento delle scadenze delle attività e delle passività con l’obiettivo di equilibrare i flussi di liquidità in entrata e in uscita; b) una strategia di asset management, rivolta alle scelte di composizione del portafoglio di attività della banca con l’obiettivo di “immagazzinarvi” la liquidità sufficiente a fronteggiare i fabbisogni improvvisi; c) una strategia di liability management, che cerca di acquisire la liquidità necessaria emettendo nuove forme di debito sul mercato; d) una strategia di asset-liability management, che gestisce la posizione di liquidità mediante strategie di gestione integrata dell’attivo e del passivo.

Strategie di asset management Le strategie di asset management si pongono come obiettivo quello di assicurare la liquidità complessiva della banca grazie alla disponibilità di liquidità che possono essere facilmente convertite, all’occorrenza, in moneta. L’idea sottostante a tale strategia è quella della «trasferibilità» delle attività che rende possibile ottenere fondi liquidi dalla vendita o dal prestito delle proprie attività (operazione di vendita a pronti e riacquisto a termine). La banca cioè ha la possibilità di convertire in moneta le proprie attività, in modo discrezionale, senza attendere la scadenza delle stesse. Tale possibilità, ampliata dallo sviluppo dei mercati secondari dei titoli e dall’introduzione delle operazioni di cartolarizzazione, ha contribuito in misura rilevante a migliorare la gestione della liquidità della banca. La possibilità di anticipare i flussi di liquidità in entrata delle attività, attraverso un azione discrezionale di vendita o di prestito delle stesse, espone tuttavia la banca ad un prezzo inferiore al proprio valore nominale o a quello a cui tali attività sono state acquistate. Per questa ragione le banche scelgono di acquistare attività che presentano la caratteristica di rendere minimo questo rischio e quindi possono efficacemente svolgere la funzione interna di liquidità.

Sono in genere definite liquide quelle attività che possono essere trasformate in moneta rapidamente, a bassi costi di transazione e senza intercorrere in perdite in conto capitale. Tali attività devono, quindi, presentare caratteristiche di elevata qualità, di negoziabilità in mercati ampi ed efficienti nei quali transazioni anche di elevato livello importo non modificano significativamente il prezzo di mercato e presentare probabilità di perdita molto contenute. Tuttavia nel decidere l’ammontare di attività liquide da detenere in portafoglio, la banca deve tener conto del fatto che tali attività offrono un rendimento atteso inferiore alle altre attività in bilancio come i prestiti , i titoli non negoziabili e quelli negoziabili a tasso fisso ma a più lunga scadenza.

Queste ultime offrono in genere rendimenti più elevati per compensare il minor grado di negoziabilità e il maggior rischio (sia di credito sia di mercato). Di conseguenza la scelta della banca di mantenere attività finanziarie a breve termine e negoziati in mercati secondari ampi ed efficienti, se da un lato riduce il rischio di liquidità, dall’altro diminuisce anche il rendimento atteso dell’attivo, con la conseguente diminuzione nel profitto atteso della banca. Tuttavia la detenzione di attività negoziabili non elimina completamente il rischio di liquidità, soprattutto al verificarsi di specifiche situazioni di crisi dei mercati finanziari.

Strategie di liabilty management Con lo sviluppo del mercato dei fondi interbancari e quello dei certificati di deposito, le banche hanno iniziato a considerare la possibilità di acquisire su tali mercati la liquidità necessaria per fronteggiare sia i fabbisogni improvvisi di liquidità, sia la possibilità di finanziare permanentemente l’espansione del proprio bilancio. Strategie di liability management possono riguardare anche la composizione delle passività in modo da ridurre il rischio di liquidità, soprattutto quello che origina dall’improvvisa conversione dei depositi in moneta.

Aumentando la quota delle passività a scadenza, come i certificati di deposito o le obbligazioni, la banca riduce la probabilità di incorrere in deflussi imprevisti di fondi per iniziativa della propria clientela. Anche in questo caso, come per le scelte di allocazione dell’attivo, le decisioni di composizione del passivo devono tener conto di un trade off tra rendimento e rischio. Infatti, se da un lato la raccolta dei fondi ottenuti dall’emissione dei fondi mediante strumenti diversi dai depositi a vista consente di ridurre la probabilità dei deflussi improvvisi dei fondi, dall’altro il loro costo è in genere superiore a quello dei fondi ottenuti dall’emissione dei depositi a vista. Le strategie di liability management presentano un limite simile a quello delle corrispondenti strategie di asset management: quando tutte le banche chiedono simultaneamente i fondi al mercato, il costo di tali risorse può aumentare molto rapidamente e con esso anche la probabilità di non trovare la disponibilità completa dei fondi stessi.

Strategie di asset-liabilty management Le strategie di gestione integrata dell’attivo e del passivo si pongono l’obiettivo di gestire, oltre alla esposizione del rischio di liquidità, anche quella al rischio di interesse. In un contesto in cui i fabbisogni di liquidità della banca sono generati da un insieme composito di fattori che vanno dalla diversa manifestazione temporale dei flussi di cassa contrattualmente previsti dalle attività e dalle passività in essere, al comportamento della clientela in merito all’utilizzo dei conti di deposito e di impiego a vista, alle differenze nei flussi di nuovi depositi e di nuovi crediti, le scelte di gestione della liquidità non possono che essere adottate nell’ambito di una gestione finanziaria integrata di tutto l’attivo e il passivo della banca. Il compito assegnato all’asset-liability management è duplice: in primo luogo quello di quantificare gli effetti di una variazione dei tassi di interesse sulla redditività attesa e, in secondo luogo, indicare alla banca le azioni da intraprendere per neutralizzare tale impatto e mantenere il livello dell’esposizione al rischio di interesse nell’intorno dei livelli desiderati.

La gestione della tesoreria e della liquidità La gestione della tesoreria nasce dall’esigenza di sistemare prontamente ed economicamente gli squilibri tra entrate e uscite, riequilibrando nell’immediato la dinamica monetaria. Sotto questo profilo, la banca tende a ricercare quelle soluzioni che non alterino in modo significativo la posizione di liquidità desiderata ed espressa dal livello delle riserve primarie e secondarie, nonché dalla potenziale capacità di indebitamento L’obiettivo prioritario della tesoreria è quindi da ricercarsi nella minimizzazione dei costi di aggiustamento, in accordo con le finalità di non breve periodo (per esempio gli obiettivi in termini di prestiti), con i vincoli procedurali e quantitativi del conto di riserva, o del conto di deposito e anticipazione, con la situazione di liquidità dei mercati e con le aspettative del management della banca

Le problematiche affrontate in precedenza sono comuni a tutte le banche, indipendentemente dalla filosofia di approccio ai problemi gestionali di breve periodo. Tale filosofia può, infatti, presentarsi differenziata da banca a banca in ragione del ruolo che ciascuna azienda attribuisce, nell’economia della gestione complessiva di breve periodo, agli aggiustamenti della liquidità Le funzioni assegnate alla gestione di breve periodo concorrono così ad identificare il modello gestionale di riferimento per la definizione della politica della tesoreria, intesa come l’insieme degli orientamenti di fatto seguiti nell’allocazione e nella acquisizione della liquidità supplementare I modelli gestionali di tesoreria sono infatti definibili in relazione ai criteri di gestione delle fondi e degli usi della liquidità supplementare. Questi modelli si presentano diversi da banca a banca in quanto riflettono l’eterogeneità delle condizioni strutturali, la varietà delle finalità perseguite e le diverse scelte operative

Il primo modello di riferimento, qualificabile come amministrativo-tradizionale, tende a porre l’accento sulla gestione degli scompensi giornalieri originati dalla successione delle operazioni bancarie, piuttosto che su una gestione orientata alla redditività e, quindi, anche all’assunzione del rischio d’interesse. L’obiettivo preminente è quello di compensare gli eventuali squilibri tra entrate e uscite, nel rispetto del vincolo di economicità degli aggiustamenti al margine della liquidità aziendale. Il secondo modello, qualificabile come dinamico-speculativo, senza trascurare l’importanza della sistemazione degli squilibri giornalieri, tende invece a dare particolare rilievo al profilo reddituale della gestione delle fonti e degli usi della liquidità supplementare e, quindi, a trarre vantaggio dalle opportunità operative. La sistemazione degli squilibri giornalieri e il rispetto delle regole di movimentazione della riserva, assumono tuttavia più la natura di vincoli operativi che non quella di obiettivi della tesoreria

Nell’ambito del primo modello di riferimento, la sistemazione degli scompensi giornalieri e l’ordinato equilibrio dei flussi sono gli obiettivi da conseguire in via prioritaria, ricercando la minimizzazione degli oneri di aggiustamento nel quadro dei vincoli di movimentazione della riserva nel corso del periodo di mantenimento. Il perseguimento di tali obiettivi è pressochè esclusivo dal momento che trascura, o quantomeno relega in secondo piano, la ricerca e lo sfruttamento delle opportunità di reddito derivanti dalle operazioni di bilanciamento temporale dei flussi di liquidità, dirette ad anticipare i movimenti monetari e/o la dinamica dei saggi d’interesse, anche con l’assunzione di posizioni di rischio aperte. La bassa propensione al rischio del management che caratterizza questo approccio operativo, oltre a limitare la sostituibilità intertemporale fra le fonti di liquidità interne (riserva di mobilizzazione) ed esterne (mercato monetario) e, quindi, un ampio e intenso utilizzo della fascia di mobilizzazione, si riflette anche nella gestione della liquidità supplementare, orientata principalmente a prevenire la formazione degli squilibri finanziari. A ciò si accompagna, in genere, anche una limitata responsabilità e autonomia decisionale in merito alle scelte di allocazione temporale della liquidità

Considerata sotto il profilo dell’amministrazione degli scompensi giornalieri, quindi, la gestione della tesoreria si esprime, essenzialmente, su un orizzonte temporale molto breve, la cui unità di misura significativa è di pochi giorni e, quindi, con collegamenti scarsi o nulli con la gestione della liquidità aziendale di medio periodo. Le previsioni o, meglio, i preavvisi e le decisioni riflettono esigenze circoscritte al rispetto dei vincoli di media e di movimentazione del conto di riserva e/o all’impiego di eccedenze temporanee o strutturali di attività liquide. Da rilevare tuttavia che, fermo restando l’obiettivo/vincolo di rispetto delle disposizioni regolamentari, il regime di mobilizzazione della riserva agisce nel senso di stimolare la tesoreria a un allungamento dell’orizzonte temporale delle decisioni e all’adozione di comportamenti caratterizzati da maggiore dinamicità

Nell’ambito del modello dinamico-speculativo, le decisioni di acquisizione e allocazione delle risorse, oltre a essere dirette a sistemare gli squilibri dovuti ad adempimenti ricorrenti, a scadenze tecniche e a eccedenze strutturali di liquidità, sono prese in sintonia con: gli andamenti ciclici e stagionali dei prestiti e dei depositi; la dinamica degli investimenti in titoli e della posizione in cambi. In particolare, con l’attività di trading nel mercato in contropartita di clientela bancaria e non bancaria (per esempio, intermediazione in titoli sul mercato secondario in conto proprio, sottoscrizione e distribuzione di titoli in emissione, partecipazione ad aste di assegnazione di titoli pubblici ecc..); le aspettative sul livello e sulla struttura dei tassi d’interesse interni ed esteri e dei tassi di cambio.

Per realizzare un effettivo collegamento tra gestione di breve e di medio periodo della liquidità, la gestione della tesoreria, pur restando entro il limite del breve termine e agendo su variabili tipiche, deve prevenire non solo la formazione degli squilibri finanziari ma deve anche, e soprattutto, essere guidata da previsioni dirette ad anticipare gli interventi correttivi della liquidità aziendale, del suo posizionamento temporale e i comportamenti del mercato Gli interventi non possono essere di natura compensativa e residuale ma, al contrario, devono anticipare, correggere e indirizzare in via preventiva i flussi monetari originati da scadenze tecniche e da fenomeni di natura ciclica e stagionale Sotto questo profilo, l’azione compensativa ex post della tesoreria dovrebbe essere limitata al solo riequilibrio degli sfasamenti non prevedibili. Il carattere anticipatorio della gestione sui soli flussi non è tuttavia sufficiente, poiché la dinamica dei movimenti monetari è collegata a quella dei tassi di interesse. Pertanto, una efficace gestione anticipatoria non può prescindere dalla configurazione prospettica degli stessi. Ciò anche al fine di offrire un valido supporto alle esigenze di trading e di governo degli investimenti in titoli

I flussi di cassa e i flussi finanziari sono generati da variazioni nelle poste patrimoniali attive e passive (impieghi e raccolta di fonti) e dalle componenti di costo e di ricavo del conto economico (interessi, commissioni, spese e costi operativi). I flussi in entrata si manifestano in corrispondenza di un aumento dei fondi raccolti, del rientro di un credito erogato in precedenza, della vendita di attività in portafoglio. Analogamente, i flussi in uscita si verificano a fronte di nuove erogazioni di credito, di rimborso di fondi in precedenza raccolti, di un prelievo da parte della clientela da un conto di deposito.

Il rischio di mercato

I rischi di mercato I rischi di mercato sono da ricondurre alla sfera dei rischi speculativi in senso stretto, che comportano la possibilità di alimentare alternativamente utili o perdite per l’operatore che ne decida l’assunzione. In generale i rischi di mercato sono legati all’andamento non prevedibile e non governabile delle variabili di scenario, andamento che può incidere sugli assetti di bilancio delle banche (in funzione della relativa composizione) e in particolare sul segno, sulla dimensione e sulla variabilità dei loro risultati economici. E’ del tutto evidente che all’aumento del grado di volatilità delle macrovariabili aumenta, data una determinata struttura di bilancio, il livello del rischio assunto.

Il rischio di mercato riguarda tutte le attività finanziarie negoziabili detenute dalla banca. In particolare, per i motivi che vedremo in seguito, soggetto ai rischi di mercato è soprattutto l’insieme degli impieghi effettuati con finalità di negoziazione (portafoglio di trading), che sono esposti ad un rischio di posizione o rischio di mercato, inteso come il rischio che si possano verificare, per effetto di variazioni nelle condizioni di mercato (tassi di interesse, tassi di cambio, quotazioni azionarie e livello della volatilità), deviazioni avverse nel valore di mercato del portafoglio di trading durante il periodo richiesto per liquidare le posizioni. Nonostante il periodo di liquidazione sia breve, le variazioni di valore possono essere significative, soprattutto in condizioni di mercato altamente instabili.

Pertanto, per rischio di mercato si intende generalmente: l’ammontare che può essere perduto da una posizione in bilancio o in strumenti derivati quando intervengono cambiamenti nelle condizioni di mercato, come ad esempio una variazione nei tassi di interesse, nei tassi di cambio, nelle condizioni dei mercati azionari e delle merci. Tuttavia, come detto, nella prassi operativa i rischi di mercato tendono ad essere identificati con quelli del portafoglio di attività finanziarie e di strumenti derivati detenuti dalle banche per gli scopi di negoziazione. Ciò è principalmente dovuto all’applicazione a tali posizioni di un criterio di contabilizzazione ai valori di mercato in luogo di quello della contabilità storica applicato alle restanti poste attive e passive La quantificazione del rischio di mercato richiede allora, in primo luogo, di individuare i principali fattori di rischio che generano variazioni nei valori delle posizioni in bilancio e negli strumenti derivati

Una classificazione diffusa tra gli operatori e le autorità di vigilanza riconduce l’esposizione al rischio di mercato alle seguenti fonti di variazioni e nei valori delle posizioni in portafoglio: Tassi di interesse Tassi di cambio Quotazioni azionarie Prezzi delle merci Volatilità nei tassi (di interesse e di cambio) e nelle quotazioni (azioni e merci)

Misurazione e controllo del rischio di mercato Una prima metodologia di misurazione dei rischi del portafoglio di negoziazione è quella del valore a rischio (VAR), che consente di stimare, per ogni singola posizione e per l’intero portafoglio di strumenti finanziari, l’ammontare che con una certa probabilità può essere perduto nell’arco di uno specifico orizzonte di investimento. Esso quantifica l’ammontare massimo di perdite potenziali nel valore di mercato di un determinato strumento finanziario o portafoglio di titoli negoziabili che può essere conseguito, con un determinato livello di probabilità, se la posizione è mantenuta per un certo periodo di tempo.

Si consideri ad esempio una posizione in un titolo azionario per il valore di 1.000 euro; la banca è esposta al rischio di riduzioni di valore nella posizione per effetto di una diminuzione nella quotazione di mercato del titolo. Misurato con riferimento ad un orizzonte di investimento di un giorno, e con un livello di probabilità del 99%, un VaR pari a 50 segnala che, per ogni 100 giorni di negoziazione, in 99 giorni l’ammontare delle perdite giornaliere potrà al massimo risultare pari a 50, mentre solo in un giorno su 100 la perdita potrà risultare superiore a quella definita dal VaR (pari a 50).

La durata del periodo è in genere riferita al periodo necessario per liquidare la posizione al verificarsi di condizioni avverse di mercato. Ovviamente maggiore è il periodo necessario alla liquidazione della posizione maggiore è il livello di rischio. Infatti, l’applicazione dell’approccio del valore a rischio impone che tutte le posizioni in portafoglio siano valutate secondo criteri contabili a valore di mercato. Una volta valutate tutte le posizioni a valore di mercato, la quantificazione delle perdite potenziali secondo l’approccio del valore a rischio richiede di definire una stima della distribuzione delle variazioni nel valore delle singole posizioni e del portafoglio complessivo. Due sono i percorsi metodologici utilizzati per conseguire una stima della distribuzione delle variazioni nei valori delle posizioni: uno di tipo parametrico e uno di simulazione E’ opportuno precisare che, a prescindere dall’approccio Var utilizzato, il calcolo della perdita massima sostenibili al verificarsi del worst case scenario si basa su un’ipotesi probabilistica connessa alla stima della volatilità futura. La scelta della “variazione tipica” del valore di mercato dell’attività considerata deriva, infatti, dalla combinazione di tre fattori: la scelta dell’orizzonte temporale di riferimento, il calcolo della volatilità storica e la scelta del livello di protezione desiderato. E’ opportuno ricordare, peraltro, che quando si ragiona in termini di portafoglio e non di singola posizione è necessario stimare anche le correlazioni esistenti tra la volatilità dei prezzi dei diversi strumenti

La regolamentazione dei rischi di mercato Lo sviluppo da parte delle banche dell’attività di negoziazione sui mercati mobiliari e negli strumenti derivati, e i rischi ad essa associati, hanno indotto nelle autorità di vigilanza una crescente preoccupazione sugli effetti che il verificarsi di condizioni avverse nei mercati finanziari può generare sulle condizioni di stabilità delle singole istituzioni finanziarie e del sistema finanziario nel suo complesso. Il Nuovo Accordo sul capitale (Basilea II) non modifica, di fatto, le scelte già adottate nel 1996. Si conferma da un lato il vincolo di un capitale minimo per fronteggiare i rischi di mercato e, dall’altro, la possibilità di calcolare tale requisito sulla base di un approccio standardizzato (i cui criteri sono stabiliti dall’autorità di vigilanza) oppure mediante l’utilizzo di un proprio modello interno di quantificazione del valore a rischio, quest’ultimo ovviamente soggetto a validazione da parte dell’autorità di vigilanza

Il rischio di interesse

Il rischio di interesse Questo tipo di rischi è collegato al fatto che il valore di mercato di un credito può diminuire per effetto di aumenti del tasso di interesse. Tale rischio prescinde dalle condizioni di solvibilità del debitore ed è legato alla trasformazione delle scadenze attuata dalla banca e dagli intermediari in generale: se tutte le passività fossero fronteggiate da attività aventi la stessa scadenza, il valore netto della banca rimarrebbe invariato per qualunque variazione dei tassi di interesse Mentre nel caso di rischio di liquidità si fa riferimento a un mismatching di scadenze, quando si parla di rischio di tasso il mismatching è relativo ai tempi diversi in cui le nuove condizioni di tasso vengono applicate agli strumenti in portafoglio e quindi alla diversa sensibilità delle varie poste a variazioni dei tassi di mercato

Via via che i mercati, e in particolare quello monetario, diventano più efficienti, l’attenzione si sposta gradualmente dal rischio di liquidità (rischio di non poter rifinanziare un’attività che viene a scadenza, cioè di non potere mantenere invariato il volume complessivo del passivo) a quello che in un certo senso è l’aspetto economico del rischio, cioè la possibilità che vari la relazione (iniziale) fra il tasso delle attività e quello delle passività Per sua natura il rischio di interesse può essere coperto con opportune operazioni a termine e nei mercati dei derivati (futures e opzioni).

Il problema del rischio di interesse non è indipendente dalle forme di mercato in cui opera la banca Se tutte le attività e le passività della banca fossero trattate in mercati perfettamente concorrenziali, in cui la banca agisce da price taker, l’esposizione al rischio di interesse sarebbe semplicemente misurata dalla durata (espressa in termini finanziari, dunque di duration) dell’attivo e del passivo stessi La banca è però in grado di agire come price maker in alcuni mercati (in particolare proprio quelli tipici come quello dei depositi e dei prestiti), e quindi l’esposizione al rischio di interesse dipende dall’effetto congiunto della durata dell’attivo e del passivo e dalla diversa elasticità dei tassi bancari al variare dei tassi di mercato

Il rischio di interesse può essere scomposto in due parti: Rischio di prezzo Rischio di reinvestimento riguarda la possibilità che alla fine del periodo il tasso sia maggiore (minore) rispetto al periodo iniziale, determinando una diminuzione (aumento) di prezzo del titolo si collega al fatto che i tassi a cui saranno investiti i flussi di cassa percepiti nel corso della vita dell’attività finanziaria possono essere maggiori (minori) di quelli impliciti nel tasso di rendimento a scadenza, causando un rendimento di periodo maggiore (minore) di quello calcolato ex ante.

Il rischio di prezzo fa si che il valore di mercato di un’attività finanziaria muti nel corso del tempo in relazione alla dinamica dei tassi di interesse: ciò comporta una differenza tra valore di mercato e valore al quale quell’attività è entrata nel bilancio dell’intermediario finanziario. Ciò genera potenziali plus o minusvalenze che devono essere contabilizzate ogni volta che le norme di bilancio o settoriali richiedono il cosiddetto mark-to-market, cioè la valutazione delle attività possedute ai valori di mercato. Il rischio di reinvestimento si manifesta invece sotto forma di maggiori (o minori) utili collegati al reinvestimento dei flussi di cassa. Se i tassi di interesse aumentano, ad esempio, le cedole di un titolo potranno essere reinvestite ad un tasso di interesse superiore a quello previsto (e implicito nel calcolo del rendimento ex ante).

Il rischio di prezzo e il rischio di reinvestimento hanno effetti opposti sul valore del portafoglio. Dal punto di vista di un intermediario, la sensibilità al rischio di interesse delle singole attività finanziarie serve per capire la dimensione elementare del problema. Quello che più interessa, naturalmente, è il rischio relativo al portafoglio nel suo complesso ed in particolare ad un portafoglio composto da attività e passività finanziarie. Indubbiamente l’assunzione del rischio di interesse rappresenta una condizione normale dell’attività bancaria e una importante fonte di redditività e di creazione di valore.

Tuttavia, qualora l’esposizione risulti eccessiva, variazioni nei tassi di interesse di mercato possono avere effetti negativi sia sul livello corrente dei profitti, sia nel valore di capitale della banca. Variazioni nei tassi di interesse influenzano il livello corrente dei profitti attraverso variazioni nel flusso netto degli interessi (margine di interesse) e nelle altre componenti di ricavo e costo sensibili al livello dei tassi di mercato. Cambiamenti nei tassi di interesse influenzano anche il valore delle attività, passività e degli strumenti fuori bilancio, in quanto il valore attuale dei cash flow (ed in alcuni casi anche i cash flow stessi) cambia al variare dei tassi di interesse. Posto che variazioni nei tassi di interesse possono dar luogo a effetti negativi sia sul livello corrente dei profitti della banca sia sul suo valore economico la gestione del rischio di interesse può seguire criteri diversi.

Ciò ha portato ad analizzare l’esposizione al rischio di interesse secondo due prospettive, tra loro complementari: La prospettiva degli utili correnti La prospettiva del valore economico Nella prospettiva degli utili correnti l’attenzione è rivolta all’impatto che le variazioni nei tassi di interesse generano sugli utili contabili correnti. All’interno di questa prospettiva di valutazione, l’attenzione è stata in gran parte rivolta al margine di interesse, identificato come l’indicatore principale attraverso cui le variazioni dei tassi di interesse di mercato manifestano i propri effetti sul conto economico della banca. Tuttavia con il processo di diversificazione dell’attività di intermediazione verso l’erogazione di servizi è cresciuta anche la quota di ricavi netti generata da commissioni riducendo la dipendenza dei profitti correnti dal solo margine di interesse.

La prospettiva del valore economico Una variazione nei tassi di mercato può manifestare i propri effetti negativi non solo sul livello atteso di profitto nel breve periodo, ma anche sul valore economico delle attività, passività e degli strumenti fuori bilancio. La prospettiva del valore economico considera l’impatto dei tassi di interesse sul valore attuale di tutti i flussi futuri di cassa: ciò comporta una valutazione degli effetti di medio-lungo periodo indotti dalla variazione nei tassi, rispetto ad una valutazione di breve periodo fornita dalla prospettiva degli utili correnti.

Due sono le principali tecniche di misurazione di gestione del rischio di interesse che hanno trovato applicazione nella prassi operativa delle banche. La prima, definita come maturity gap analysis, affronta il problema dell’esposizione al rischio di interesse analizzando le differenze nei tempi di revisione dei tassi di interesse delle poste attive e passive di bilancio e ne valuta gli effetti sulla variabilità dei profitti nel breve periodo (prospettiva degli utili correnti).

L’attenzione è concentrata sulla variabilità del margine di interesse in un orizzonte temporale di breve periodo, generalmente l’esercizio corrente e quello successivo. La seconda, definita duration gap analysis, analizza invece le differenze nella distribuzione temporale dei flussi di cassa generati dalle attività e passività in bilancio con l’obiettivo di quantificare gli effetti di variazione nei tassi di interesse sul valore economico del patrimonio netto (prospettiva del valore economico).

Maturity gap In base alle caratteristiche di revisione dei tassi di interesse di ciascuna attività e passività è possibile riaggregare tutte le poste di bilancio in quattro gruppi: Attività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse Passività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse Attività non sensibili alle variazioni dei tassi di interesse Passività non sensibili alle variazioni dei tassi di interesse La classificazione tra poste sensibili e insensibili alle variazioni dei tassi richiede in primo luogo di individuare l’orizzonte temporale, o anche periodo di gap (gapping period) a cui riferire la misurazione dell’esposizione al rischio. Ne consegue che la definizione di rate sensitive può cambiare in funzione dei diversi orizzonti decisionali.

Il modello di base del gap management generalmente classifica le attività e le passività con riferimento ad un orizzonte temporale di un anno Tutte le poste attive o passive che scadono o subiscono una revisione contrattuale del tasso di interesse entro l’anno sono classificate come sensibili, mentre tutte le poste che scadono o subiscono un riprezzamento nei periodi successivi sono classificate come insensibili. La riaggregazione delle poste secondo il criterio della sensibilità alle variazioni dei tassi consente di individuare alcuni indicatori sintetici di esposizione al rischio della banca.

Posizione di gap positivo Un primo indicatore (funds gap), il più semplice, è ottenuto dalla differenza tra il valore nominale delle attività sensibili e quello delle passività sensibili, rispettivamente As e Ps: G = As – Ps Dal valore della posizione del gap si individuano tre possibili situazioni per l’intermediario Posizione di gap positivo Il valore delle attività sensibili è superiore a quello delle passività sensibili In questo caso l’intermediario è esposto alle variazioni dei tassi di interesse dal lato dell’attivo (asset sensitive), in quanto una parte delle attività sensibili, pari al valore del gap, è finanziata da passività non sensibili, e quindi, nel caso di una variazione dei tassi di interesse, solamente le attività subiranno un riprezzamento alle nuove condizioni dei tassi di mercato

Posizione di gap negativo Il flusso netto di interessi aumenterà a fronte di una variazione positiva nei tassi di mercato, mentre si ridurrà nel caso di una variazione negativa. Una banca con una posizione di gap positiva potrà attendersi un miglioramento del margine di interesse nel caso di una variazione attesa positiva del tasso di mercato, mentre subirà un peggioramento nel margine di interesse a fronte di una riduzione attesa dei tassi. Posizione di gap negativo Il valore delle attività sensibili è inferiore a quello delle passività sensibili In questo caso l’intermediario è esposto alle variazioni dei tassi di interesse dal lato del passivo (liabilities sensitive), in quanto una parte delle passività sensibili, pari al valore del gap, finanzia attività non sensibili. Il flusso netto di interessi aumenterà a fronte di una variazione negativa nei tassi di mercato, mentre si ridurrà nel caso di una variazione positiva

E’ superfluo osservare che in caso di gap nullo (caso più scolastico che reale) il valore delle attività sensibili è esattamente uguale a quello delle passività sensibili. Variazioni positive o negative dei tassi di mercato non provocano variazioni nel flusso netto di interessi Una banca potrebbe gestire in modo attivo la propria posizione di gap mediante strategie di mismatching volte ad anticipare l’evoluzione dei tassi di interesse nelle varie fasi del ciclo economico. Durante la fase di ripresa potrebbe attuare strategie volte ad anticipare l’aumento dei tassi di interesse mediante un aumento della quota di attività sensibili, rinunciando ad impieghi a tasso fisso ed allo stesso tempo accrescendo la raccolta di fondi a tasso fisso.

Tuttavia, le strategie di gap management prescelte non dipendono solo dalla variazione della direzione attesa dei tassi di interesse, ma anche dal grado di incertezza nell’evoluzione futura dei tassi di interesse. La banca, quando non è in grado di intervenire in tempi rapidi sulla composizione delle attività e passività in bilancio per poter conseguire la copertura desiderata al rischio di interesse, può ricorrere a strategia di copertura con strumenti derivati.

Un primo insieme di strategie di copertura è rappresentato dall’assunzione di specifiche posizioni negli strumenti derivati a rischio simmetrico, come i futures, i FRA e gli swap, mediante i quali è possibile compensare le variazioni nel margine di interesse che originano dalle fluttuazioni nei tassi di mercato. Ad esempio, un banca asset sensitive, che presenta cioè un volume di attività sensibili alle variazioni dei tassi di interesse superiore a quello delle passività sensibili (gap > 0), potrà proteggere il margine di interesse dalle eventuali diminuzioni dei tassi di mercato acquisendo posizioni sul mercato future, su quello dei forward rate agreements o dei contratti swap in modo tale da conseguire un flusso di reddito positivo sufficiente a compensare quello negativo generato dalle posizioni in bilancio, nel caso in cui si realizzi la variazione negativa nei tassi di interesse di mercato.

In questo modo la banca neutralizza le perdite derivanti dalla sua posizione asset sensitive rinunciando ai benefici che tale posizione avrebbe generato a fronte di un aumento dei tassi di interesse. Nel caso, invece, le banche intendano proteggersi dalle variazioni avverse dei tassi di interesse, negative per quelle asset sensitive e positive per quelle liability sensitive, ma allo stesso tempo mantenere i benefici delle variazioni favorevoli, dovranno allora perseguire strategie di copertura con strumenti di natura asimmetrica acquisendo posizioni in opzioni su titoli o in specifici contratti come quelli di cap e di floor. Obiettivo di questa strategia di copertura è quello di difendere la variazione del margine di interesse contro le sole fluttuazioni negative.

Duration gap Se da un lato la gestione delle posizioni di gap tra le scadenze e i periodi di revisione dei tassi di interesse può consentire di minimizzare l’impatto delle fluttuazioni nei tassi di mercato sul margine di interesse nel breve periodo, dall’altro ciò non impedisce che la banca possa subire perdite, anche consistenti, derivanti da riduzioni dei flussi netti di interesse che percepirà in futuro e che si riflettono in una diminuzione immediata del valore economico del proprio patrimonio. L’attenzione a questo ulteriore aspetto del rischio di interesse ha richiesto l’applicazione, nelle valutazioni e nelle scelte di composizione delle attività e delle passività delle banche, di criteri e indicatori più propriamente finanziari, già sviluppati nell’ambito della gestione dei portafogli di titoli a reddito fisso.

Il riferimento è all’insieme dei criteri di valutazione delle attività finanziarie, alla valorizzazione corrente dei flussi futuri di cassa generati da ciascuna attività e passività finanziaria nel portafoglio e agli indicatori di rischio sviluppati nell’ambito dell’analisi della durata finanziaria (duration). L’applicazione degli indicatori di duration all’insieme delle attività e delle passività nel bilancio delle banche ha permesso di quantificare anche gli effetti che le variazioni inattese nei tassi di mercato generano sul valore economico del proprio patrimonio netto. La variabile oggetto di controllo della gap analysis è stata sinora il margine di interesse, grandezza che risulta economicamente di indubbia rilevanza ma che, al tempo stesso, è rappresentativa delle condizioni di equilibrio economico esclusivamente delle attività fruttifere di interesse e delle passività onerose.

In altri termini, la gap analysis se da un lato aiuta a misurare – e in seconda battuta a gestire – l’impatto degli shock dei tassi di mercato sul margine di interesse nel periodo preso a riferimento, dall’altro ignora completamente l’impatto patrimoniale derivante dalla stessa variazione delle condizioni di mercato Posto che la duration modificata è un indicatore di sensibilità del prezzo di una attività (o di una passività) finanziaria al variare dei tassi di interesse, di conseguenza, tenendo sotto controllo il duration gap – ossia la differenza tra la duration modificata dell’attivo e la duration modificata del passivo – si ha modo di quantificare l’impatto di istantanee variazioni dei tassi di mercato sul valore del patrimonio netto di una banca Tanto più ampio è il duration gap, tanto più sensibile risulterà il valore del patrimonio netto della banca alle variazioni esogene delle condizioni di mercato. Più precisamente, se il duration gap è positivo, ciò comporta che la duration modificata dell’attivo risulta maggiore di quella del passivo per cui lo stato patrimoniale della banca viene definito asset sensitive; all’aumentare dei tassi, quindi, il valore dell’attivo scende di più del valore del passivo per cui il valore del patrimonio netto si riduce. Il fenomeno contrario si registra in uno scenario opposto di tassi al ribasso

I valori delle attività e delle passività, nel caso di strumenti finanziari negoziati, sono ottenuti dalle quotazioni di equilibrio tra la domanda e l’offerta sul mercato, che rappresentano rispettivamente il valore di liquidazione per le attività e di riacquisto per le passività. In mercati secondari efficienti, le quotazioni di equilibrio sono equivalenti all’attualizzazione dei flussi di cassa al tasso di mercato Per gli strumenti finanziari non negoziati sui mercati secondari il valore è ottenuto direttamente dall’applicazione del modello di attualizzazione dei flussi di cassa al tasso di interesse.

L’impatto di una variazione nei tassi di rendimento di mercato sul valore netto del portafoglio (E), definito dalla differenza nel valore delle attività e delle passività, è stimato dalla seguente relazione: che esposta nella seguente forma: consente di evidenziare i principali fattori che determinano l’esposizione della banca al rischio di tasso di interesse

dalla dimensione dell’attività di intermediazione (A); Gli effetti di una variazione nei tassi di interesse di mercato sul valore economico del patrimonio netto dipendono da tre elementi: dalla differenza tra la duration delle attività e delle passività, e quindi dalla duration gap (DG = DA – DL(L/A)); dalla dimensione dell’attività di intermediazione (A); dall’entità dello shock nei tassi di interesse (Δr / (1 + r)). L’ultima formula esposta, evidenzia anche le principali condizioni di immunizzazione del valore del patrimonio netto al variare dei tassi di interesse. Nel caso di un valore netto iniziale nullo (E = A - L = 0), il portafoglio risulterà immunizzato dalle variazioni del tasso di interesse quando la sensibilità dei valori delle attività è uguale a quella delle passività (DA = DL).

Nel caso in cui il valore delle attività sia superiore a quello delle passività (A > L), e quindi il valore del portafoglio netto sia positivo (E > 0), la condizione di immunizzazione richiede che risulti soddisfatta la relazione DA = DLL/A (DG = 0) e quindi che la duration delle passività sia superiore a quella delle attività (DL > DA). Per una banca che presenta DA > DLL/A (DG > 0) le attività risulteranno maggiormente influenzate dalla variazione dei tassi di interesse rispetto alle passività e quindi il valore netto aumenterà a fronte di una diminuzione dei tassi, mentre diminuirà nella situazione opposta di aumento dei tassi di interesse. Il contrario avverrà nel caso di DA < DLL/A (DG < 0).

Esempio: ipotizziamo una situazione di attività e di passività di questo tipo 1.000 500 In tale situazione, se DL fosse uguale a DA le variazioni nel tasso di interesse determinerebbero una identica variazione (percentuale) nel valore della attività ed in quello delle passività (es: -1 % del valore delle attività (1000) e - 1% del valore delle passività (500) se i aumenta). In termini assoluti ciò implicherebbe inevitabilmente una variazione più consistente del valore delle attività (-10) rispetto a quello delle passività (-5), con l’effetto di modificare anche il valore del portafoglio netto (-5). Detto valore potrebbe al contrario rimanere inalterato soltanto in presenza di passività, che sebbene inferiori quanto a volume, risultino fortemente più sensibili alle variazioni del tasso di interesse rispetto alle attività (DL > DA). Se la banca non è però in grado di realizzare tale condizione di immunizzazione, ma si trova ad esempio ad operare con un duration gap positivo (quindi DL = DA nell’esempio precedente), potrebbe comunque ridurre la sua esposizione al rischio ricorrendo agli strumenti derivati.

Nel caso appena visto, risultando penalizzata da un eventuale aumento dei tassi di interesse, la banca potrebbe realizzare le seguenti operazioni: vendere un contratto future (l’operatore si avvantaggia dall’aumento dei tassi di interesse). effettuare una operazione di Swap che consenta di passare da una posizione di tasso fisso a una di tasso variabile, dato che si ipotizza una variazione positiva dei tassi di interesse (vendo tassi fissi, acquisto tassi variabili). acquistare una opzione put su obbligazioni (se i tassi aumentano la banca beneficia della riduzione del prezzo dei titoli sottostanti).