Giacomo Leopardi (1798 - 1837)
La vita Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno 1798, primogenito della più illustre casata del piccolo centro marchigiano. Il padre, austero e politicamente reazionario, fu, insieme con i precettori ecclesiastici, il suo primo insegnante. Ma l'ingegno precocissimo del giovane Giacomo e la sua estrema sensibilità, frustrati dalla freddezza parentale, lo indussero ben presto a riversare tutta la sua passione sui libri della biblioteca paterna (sette anni di studio "matto e disperatissimo") e ne fecero un fenomenale autodidatta, esperto in lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia).
Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio 'dall'erudizione al bello', ossia dallo studio alla produzione poetica, e nello stesso anno è da datare la sua missiva alla 'Biblioteca Italiana', con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta alla de Stäel. L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani ed iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo si innamorò di Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Il primo amore.
Il suo corpo, ormai minato dai molti anni di studio e di semi-volontaria reclusione, aveva già cominciato a mostrare i segni di quella deformazione alla colonna vertebrale che farà così soffrire il poeta, anche se la malattia, per il Leopardi, non rimase mai un motivo di lamento individuale ma si trasformò in uno straordinario mezzo di conoscenza. Del '18 sono le canzoni All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
L'anno seguente, il 1819, segnò un periodo di profonda crisi per il poeta: esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, il Leopardi tentò di fuggire da casa, ma il progetto venne sventato dal padre. A questo stesso periodo appartengono la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna ed altri e la sua conversione 'dal bello al vero', con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.
Nel 1822 il padre gli concesse un soggiorno al di fuori di Recanati e fu così che il poeta poté andare a Roma, ospite di uno zio. La città si rivelò estremamente deludente e, dopo aver invano tentato di trovarvi una sistemazione, il Leopardi nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove iniziò a comporre le Operette morali.
Proprio le Operette segnarono la piena formulazione del 'pessimismo storico', che vedeva nell'uomo e nella ragione le vere cause dell'infelicità, e del 'pessimismo cosmico', che al contrario accusava la Natura di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.
Nel 1825 riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), Firenze (dove incontrò il Manzoni e scrisse altre due operette morali) e Pisa (dove compose Il Risorgimento e A Silvia). Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì nella produzione lirica che aveva iniziata a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della 'natura matrigna' e della caduta delle illusioni.
Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia col Ranieri. In risposta a chi attribuiva alla deformità la sua concezione pessimistica della storia e della natura, il Leopardi compose il Dialogo di Tristano e di un amico. Del '36 sono La Ginestra, Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti. Morì a Napoli il 14 giugno del 1837.
Recanati
Le opere Epistolario (1810 - 37) Storia dell’astronomia (1813) Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815) Saggio di traduzione dell’Odissea (1816) Traduzione del libro secondo della Eneide (1817) Zibaldone (1817 - 32) Operette morali (1827, prima ed.) Paralipòmeni della Batracomiomachia (dal 1830) Canti (1831, ed. Piatti, Firenze; molte poesie erano già state pubblicate anteriormente a partire del 1818) Operette morali (1834, seconda ed.; 1835, terza ed.) Canti (1835, ed. Starita, Napoli; edizione accresciuta) Canti (ed. postuma curata da Antonio Ranieri a Firenze 1845) Pensieri (postumi, 1845)
Le idee Tra il 1816 ed il 1819 il Leopardi vive il periodo più difficile della sua esistenza che lo indurrà anche a concepire propositi di suicidio: i rapporti con i familiari si sono di gran lunga inacerbiti, dai concittadini si tiene alla larga, ma quello che maggiormente l’affligge, fra i tanti mali fisici e la consapevolezza di avere un corpo deforme, di avere cioè “dispregevolissima tutta quella gran parte dell'uomo, che è la sola a cui guardino i più”, è una temporanea ma gravissima infermità agli occhi che gli impedisce di ingannare con gli studi il senso di solitudine che l’opprime. In questi anni il suo dolore raggiunge la punta estrema, come testimonia questo accorato lamento rivolto al solito pietoso amico, al Giordani, in una lettera del 26 aprile 1819: «Se in questo momento impazzissi -scrive il Leopardi-, io credo che la mia pazzia sarebbe di seder sempre con gli occhi attoniti, colla bocca aperta, colle mani tra le ginocchia, senza né ridere né piangere né movermi, altro che per forza, dal luogo dove mi trovassi. Non ho più lena di concepire nessun desiderio, né anche della morte; non perché io la tema in nessun conto, ma non vedo più divario tra la morte e questa mia vita, dove non viene più a consolarmi neppure il dolore. Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor gravissimo, e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell'animo mio, che ne vo fuori di me, considerando che è un niente anche la mia disperazione».
Le opere più importanti - lo “Zibaldone” raccoglie appunti di varia natura vergati su 4526 pagine dal Leopardi nel corso dell’intera sua esistenza ed affidati al Ranieri. Pur essendo stato compilato per uso personale, presenta uno stile accurato, limpido e fresco. Fu pubblicato una prima volta tra il 1898 ed il 1900 col titolo di “Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura” - i “CXI Pensieri” furono scritti a Napoli e pubblicati a Firenze, nel 1845, a cura del Ranieri: comprendono riflessioni e sentenze sui comportamenti dell’uomo con l’intento di metterne in luce soprattutto l’indole malvagia; - l’ “Epistolario” comprende più di novecento lettere, utilissime per penetrare più addentro nell'intimo del Poeta, indirizzate a familiari ed amici: sono pagine ricche si sentimento ed intrise di lacrime, che integrano stupendamente i “Canti” e le “Operette” per la elaborazione della “storia dell’anima” leopardiana.
La biblioteca
Fine