Classe V A Lotta per l’uguaglianza femminile nel XX secolo: la questione del voto.
Nei primi anni del XX secolo le donne d’Occidente si riuniscono in un grande movimento di protesta, detto suffragismo, per richiedere il diritto di voto, l’uguaglianza dei diritti, delle opportunità e delle libertà tra i sessi. Alle donne non era stato riconosciuto lo status di individuo in base al quale potevano godere della massima libertà di scelta; venivano perciò considerate minori, poiché si pensava che avessero una propensione solo per i lavori domestici e non per le faccende politiche e amministrative.
La divisione tra i lavori dell’uomo e quelli della donna si accentua maggiormente con l’affermazione della società borghese e la successiva trasformazione della famiglia. Le funzioni sociali e pubbliche non vengono più svolte in casa poiché questa è considerata ormai un luogo privato. Di conseguenza l’uomo si assume la responsabilità di seguire la vita pubblica e lascia alla donna il compito di occuparsi della casa. Già da questo momento possiamo vedere la differenza tra il ruolo femminile e quello maschile all’interno della società. Mentre le donne hanno pochissimo valore sociale poiché si occupano solo della sfera privata (casa), gli uomini godono della massima rispettabilità poiché fanno pienamente parte della vita pubblica (polis). La donna è sottomessa al volere dell’uomo in tutti gli ambiti, non può vendere o comprare beni senza il consenso del marito.
Sebbene tutte le donne combattano per gli stessi diritti, bisogna distinguere tra quelle che fanno parte dei ceti medi e medio- alti e quelle appartenenti alle classi più svantaggiate. Alle prime spetta un destino “privilegiato”: il matrimonio, i figli, la gestione della casa. Di conseguenza la loro istruzione è legata unicamente allo svolgimento di questi compiti. Esse non possono accedere ai gradi più alti dell’istruzione, frequentando il college (come i loro coetanei maschi) e non provvedono al sostentamento della famiglia tramite un lavoro.
Alle seconde spetta un destino totalmente diverso Alle seconde spetta un destino totalmente diverso. Le donne devono mantenere la famiglia tramite il loro lavoro e il loro stipendio, e perciò in questo periodo, si spostano nelle città. Qui trovano lavoro nelle fabbriche o sono impiegate in attività artigiane (sarte, modiste, ricamatrici) o legati alla servitù. La discriminazione in questo caso non è legata all’accesso al lavoro ma al fatto che il lavoro femminile viene retribuito molto meno e non c’è modo di riuscire a guadagnare di più.
Tra l’Ottocento e il Novecento si aprono per le donne nuovi fronti di lavoro; appaiono così le commesse dei grandi magazzini, le impiegate nelle poste e nei telegrafi e la figura della maestra. Infatti, con l’unificazione dell’Italia e l’avvio del processo di alfabetizzazione, la donna assume un ruolo molto importante. Essa inizia a prendere maggiormente coscienza delle proprie capacità e comincia a svolgere compiti che sono d’aiuto alla società: insegnare a leggere e scrivere nei quartieri meno agiati. Inizia quindi una specie di ribellione, verso il destino precostituito, che sarebbe sfociata in un movimento direttamente politico.
Nel 1848, nella città americana di Seneca Falls, le donne impegnate sia nella lotta per l’abolizione della schiavitù, sia nell’affermazione dei diritti negati al proprio sesso, si riuniscono per scrivere la “Dichiarazione dei sentimenti” in cui vengono messe in campo tutte le questioni fondamentali legate all’eguaglianza tra i sessi: dal diritto di voto alla responsabilità patrimoniale e civile, all’accesso alle professioni, alla differente valutazione del comportamento morale degli uomini e delle donne.
Le donne riescono ad ottenere il diritto all’istruzione ma non possono esercitare la professione per cui avevano studiato. Esse incontreranno molte altre avversità prima di ottenere tutti i diritti che chiedono.
La battaglia suffragista diventa una problematica centrale all'inizio del Novecento, trasformandosi in un vero e proprio movimento fatto di appelli, campagne di propaganda, marce, proteste e manifestazioni, allo scopo di esercitare pressioni sui parlamenti.
Soprattutto in Gran Bretagna questo movimento acquista grande visibilità, attraverso due organizzazioni suffragiste: la Nation Union of Women's Suffrage Societies, composta dalle "suffragiste", incoraggia un'azione privilegiante verso i parlamentari favorevoli al voto alle donne; e la Women's Social and Political Union, è la più radicale, e le cui esponenti prendono il nome di "suffragette". Secondo quest'ultime è necessario intervenire con strumenti di forte visibilità, come atti di insubordinazione e interruzioni di comizi. I due movimenti intensificano le loro proteste con un aumento delle rivolte, degli arresti, e degli scioperi della fame.
Nel 1910 la Conciliation Bill, che appoggia il suffragio femminile, viene scavalcata da un'altra proposta, il suffragio universale maschile. Per evitare estreme conseguenze di questa forma di lotta, il governo liberale decide di varare una legge, chiamata polemicamente "Cat and Mouse Act" (per il gioco del gatto che rincorre il topo), stabilendo l'alimentazione forzata di chi protestava col lo “sciopero della fame” .
Ma qual è la ragione di una così accanita resistenza contro i diritti delle donne? L'opposizione delle forze conservatrici deriva in parte dal rifiuto del processo di democratizzazione; dall'altra dalla convinzione di mantenere una divisione complementare fra i sessi, restringendo i lavori femminili solo a quelli domestici. Le forze liberali e democratiche sostengono la partecipazione delle donne alle attività politiche, ma in modo minimo e senza convinzione. Il socialismo riconosce il diritto alla partecipazione delle donne, ma teme che esso avrebbe potuto favorire il partito conservatore.
L'inizio della prima guerra mondiale induce le donne a occuparsi delle attività lasciate libere dagli uomini, a portare sostegno e soccorso sul fronte interno, e a esercitare lavori considerati maschili. Nell'immediato dopoguerra quindi, viene riconosciuta la cittadinanza alle donne, e nel 1918 viene emanato il Representation of the People Act, che stabilisce il diritto di voto per alcuni milioni di donne inglese con più di trent'anni di età, accompagnato l'anno successivo dal Sex Disqualification Act, che ammette le donne a tutte le funzioni civili.
La vicenda italiana è emblematica La vicenda italiana è emblematica. Nonostante una lunga tradizione di emancipazionismo femminile, simboleggiata da alcune figure di dirigenti politiche, come Anna Maria Mozzoni, redattrice nel 1877 della prima Petizione per il voto politico alle donne, o come Argentina Altobelli, il Partito socialista si astenne dal condurre una vera battaglia per il voto alle donne. Nonostante il partito avesse posto nel proprio programma il voto alle donne, le divisioni al suo interno rimasero notevoli.
I socialisti, perplessi per le ricadute conservatrici che il voto femminile poteva avere, lasciarono sola Anna Kuliscioff, un’autorevole dirigente del partito, nella sua battaglia politica volta a collegare l’impegno per la tutela delle condizioni delle donne lavoratrici a quello per l’estensione dei loro diritti politici.
Per le donne italiane il primo dopoguerra fu importante: nel 1919 si promulga la legge sulla capacità giuridica femminile, che abolisce ogni legame di dipendenza di un sesso dall’altro, continuando però a limitare l’accesso delle donne ai pubblici uffici.
Solo nel 1946, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, si ottiene in Italia il voto universale per uomini e donne, che abbiano compiuto la maggiore età (inizialmente i 21 anni e successivamente i 18 anni). La prima occasione di voto - la prima in assoluto per le donne in Italia - sono le elezioni amministrative che si tengono in tutta la penisola fra il marzo e l'aprile del 1946; subito dopo, il 2 giugno 1946, gli italiani sono nuovamente chiamati alle urne per il referendum istituzionale tra Monarchia o Repubblica e per l'elezione dell'Assemblea costituente.
Il diritto di voto alle donne nel mondo…
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