Mutazioni somatiche e germinali Tessuto somatico Tessuto germinale Progenie normale Progenie mutante Progenie normale Clone cellulare mutante Mutazione somatica Mutazione germinale Popolazioni finali Le mutazioni sono modificazioni accidentali, casuali ed ereditabili del materiale genetico. Furono definite e studiate da De Vries, uno dei ricopritori delle leggi di Mendel del 1900, come alterazioni improvvise ed ereditabili del genotipo, riconoscibili fenotipicamente. Le mutazioni si dividono in mutazioni cromosomiche (strutturali e numeriche) e mutazioni geniche (vedere le diapositive successive). Si definiscono mutazioni germinali quelle che insorgono in cellule destinate a dare vita a spore o gameti; tali cellule costituiscono la linea germinale. Si definiscono mutazioni somatiche quelle che insorgono in cellule non destinate a dare vita a spore o gameti ma a differenziarsi negli organi non germinali dell’organismo; tali cellule costituiscono la linea somatica. Mentre per gli organismi unicellulari, sia procarioti (p. es. batteri) che eucarioti (p. es. protozoi, lieviti) la distinzione fra mutazioni somatiche e germinali è priva di senso, tale distinzione è valida per gli organismi pluricellulari; in questo caso, mentre per molti animali le cellule della linea germinale sono definite precocemente nello sviluppo embrionale, per cui è possibile prevedere precocemente il destino, somatico o germinale, delle diverse cellule, quindi è facile distinguere mutazioni somatiche e germinali sin dalle fasi precoci dello sviluppo, per altri animali, per le piante e per i funghi la destinazione per la linea germinale può ripetersi molto tardivamente, per cui non è sempre possibile distinguere se una mutazione è somatica o germinale. Infatti, quando insorge una mutazione in una cellula, tutta la progenie di questa cellula possiederà questa mutazione; in altre parole questa progenie costituisce un clone mutante – si usa il termine clone per indicare un insieme di cellule o organismi geneticamente identici fra loro. Se la mutazione è precoce, il clone mutante che ne risulta può essere molto numeroso ed è probabile che sia costituito sia da cellule somatiche che germinali. Se la mutazione è tardiva, il clone mutante che ne risulta può essere molto piccolo ed è probabile che sia costituito da sole cellule somatiche oppure da sole cellule germinali. Una mutazione somatica non può essere trasmessa alla progenie dell’organismo in cui la mutazione è insorta ed esaurisce i suoi effetti in quell’organismo stesso. Una mutazione germinale può essere trasmessa alla progenie dell’organismo in cui la mutazione è insorta; la probabilità di trasmissione alla progenie dipende dall’ampiezza del clone mutato. Cloni cellulari mutanti Eventi mutazionali Tempo Popolazioni iniziali Mutazione tardiva Mutazione precoce
TASSO DI MUTAZIONE E FREQUENZA DI MUTAZIONE Il tasso di mutazione misura la frequenza con cui una mutazione si origina ex novo in un’unità di tempo “biologico” (di solito una generazione) La frequenza di mutazione misura la frequenza della mutazione in una popolazione nel momento dell’osservazione Il tasso di mutazione è di una nuova mutazione ogni 7 divisioni cellulari La frequenza di mutazione nella 4° generazione è di 2 mutanti su 8 cellule La frequenza di una mutazione in una popolazione (di cellule come di individui) è una misura “statica” della sua incidenza, riferita a una particolare generazione – nella diapositiva la 4° generazione. Il tasso di mutazione è invece una misura dinamica, riferita a quante “nuove” mutazioni si realizzano per unità di tempo “biologico”. In diapositiva, tenuto conto che ogni biforcazione è una divisione cellulare, assumendo la divisione cellulare come unità di tempo biologico, si valuta quanti eventi mutazionali – 1 nella diapositiva, nella 3° generazione - avvengono sul totale delle divisioni cellulari. Il termine mutazione talvolta ha un uso ambiguo: indica sia l’evento della mutazione – come nel caso del tasso di mutazione – sia il prodotto dell’evento: cioè l’allele o il cromosoma mutante – come nel caso della frequenza di una mutazione.
L’analisi dei mutanti nei batteri: il piastramento in replica Per potere effettuare mappe dei cromosomi batterici mediante la frequenza di ricombinazione, è necessario disporre tecniche semplici e efficaci di selezione di nuovi alleli, originati per mutazione (vedere serie 3). La maggioranza dei fenotipi studiabili nei batteri consistono nella capacità di crescere in condizioni “restrittive”, cioè con un nutrimento impoverito o in presenza di agenti tossici. Normalmente i batteri sono in grado di costruire tutte le molecole biologiche utili: basta una scorta di glucosio e sali minerali (terreno di coltura “minimo”). Alcuni mutanti, detti “nutrizionali”, non sono più in grado di costruirsi una data sostanza necessaria; quindi non riescono più a crescere su terreno minimo e richiedono un terreno arricchito della sostanza che non riescono più a produrre. Normalmente i batteri non sono in grado di crescere in presenza di antibiotici. Alcuni mutanti, detti “di resistenza”, riescono a distruggere la molecola di antibiotico e sono quindi in grado di crescere in un terreno che contiene l’antibiotico. Una semplice tecnica che ha consentito di isolare e studiare i batteri mutanti è il piastramento in replica; si fanno crescere numerose colonie batteriche in un terreno non selettivo; alla fine della crescita ogni colonia occupa una posizione precisa nella piastra di coltura. A questo punto si passa un tampone di velluto sterile sulla piastra piena di colonie, ciascuna delle quali rilascerà, in una posizione precisa e riconoscibile, alcuni batteri; si trasferisce quindi il tampone su diverse piastre contenenti invece un terreno selettivo; i batteri raccolti dal tampone si poseranno, almeno in parte, sul terreno di coltura, nelle stesse posizioni che avevano sul tampone e, quindi, nella piastra originale. Ma solo i batteri che derivano dalle rare colonie mutanti, presenti nella piastra originale, saranno in grado di crescere e formare nuove colonie nel terreno selettivo (colonie rosse). È immediatamente possibile verificare se l’identificazione della colonia mutante nella colonia originale era corretta: basta prendere alcuni batteri di quella colonia con un ago da microbiologia e seminarli su una piastra che contiene lo stesso terreno selettivo; se questi sono in grado di crescere e di formare colonie, l’identificazione della colonia mutante era corretta. Come controprova si tenta di seminare su una piastra che contiene lo stesso terreno selettivo qualche batterio di una colonia non mutante (colonie azzurre) che ci si aspetta che non crescano. Terreno non selettivo Terreni selettivi
Il test di fluttuazione sull’origine delle mutazioni Numerosità iniziale in ogni provetta: 105 batteri Tasso di mutazione: 1 ogni 107 batteri per generazione Frequenza attesa di provette in cui la mutazione è avvenuta alla 4°generazione: 8 su 100 Frequenza attesa di provette in cui la mutazione è avvenuta alla 2° generazione: 2 su 100 frequenza attesa di mutanti in quelle provette alla 5° generazione: 2 frequenza attesa di mutanti in quelle provette alla 5° generazione: 8 Il test di fluttuazione è stato progettato circa a metà del secolo scorso da Luria e Delbruck per rispondere a una domanda cruciale sulla natura delle mutazioni, in particolare delle mutazioni geniche. La domanda è la seguente: quando si seminano i batteri in un terreno selettivo e si vedono comparire colonie di batteri mutanti, in grado di crescere in condizioni restrittive, l’azione delle condizioni restrittive (p. es. la presenza di streptomicina) consiste nella selezione dei mutanti preesistenti, originatisi casualmente per mutazione durante le precedenti generazioni, oppure nell’induzione di nuove mutazioni, per cui i nuovi mutanti costituiscono una reazione adattativi alle condizioni ambientali avverse. Se è vera la prima risposta, la variabilità genetica dovuta alle mutazioni preesiste alle condizioni ambientali avverse, che semplicemente selezionano i genotipi mutanti, in quanto più adatti. Si tratta della classica teoria evolutiva darwiniana. Se è vera la seconda risposta, la variabilità genetica dovuta alle mutazioni è causata dalle condizioni ambientali avverse, che inducono i genotipi mutanti, che sono in grado di sopravviverein quanto più adatti. Si tratta della classica teoria evolutiva lamarkiana. Se è vera la prima risposta, ci si aspetta che le mutazioni siano avvenute con uguale probabilità in tutte le generazioni cellulari precedenti la semina sul terreno selettivo. Se è vera la seconda risposta, ci si aspetta che le mutazioni siano avvenute tutte dopo la semina sul terreno selettivo. Ammettendo un tasso di mutazione di una mutazione ogni 10 milioni di batteri per ogni generazione, seminando inizialmente centomila batteri per provetta, se è vera la prima risposta, cioè se le mutazioni avvengono con uguale probabilità in tutte le generazioni cellulari precedenti la semina sul terreno selettivo, ci si aspetta una mutazione ogni 100 provette alla generazione 1, 2 ogni cento alla generazione 2 (i batteri sono raddoppiati di numero), 4 ogni 100 alla terza (batteri quadruplicati) 8 ogni 100 alla quarta (batteri ottuplicati). Le provette in cui la mutazione è avvenuta alla generazione 1 presentano16 mutanti alla generazione 5; le provette in cui la mutazione è avvenuta alla generazione 2 presentano 8 mutanti alla generazione 5; le provette in cui la mutazione è avvenuta alla generazione 3 presentano 4 mutanti alla generazione 5; le provette in cui la mutazione è avvenuta alla generazione 4 presentano 2 mutanti alla generazione 5. Quindi, se è vera la prima risposta, cioè se le mutazioni avvengono con uguale probabilità in tutte le generazioni cellulari precedenti la semina sul terreno selettivo, ci si aspettano poche provette con molti mutanti e molte provette con pochi mutanti. Ammettendo le stesse condizioni iniziali (centomila batteri per provetta, tasso di mutazione di una mutazione ogni 10 milioni di batteri per ogni generazione), se è vera la seconda risposta, cioè se le mutazioni avvengono tutte dopo la semina sul terreno selettivo, non ci si aspettano mutazioni nelle generazioni precedenti la semina su terreno selettivo e, se la semina su terreno selettivo avviene alla quinta generazione, ci si aspettano 16 mutazioni ogni 100 provette; in queste provette ci si attende di trovare, sempre nella generazione 5, 1 mutante. Quindi, se è vera la seconda risposta, cioè se le mutazioni avvengono solo in corrispondenza con la semina sul terreno selettivo, ci si aspettano solo molte provette con pochi mutanti. Il risultato sperimentale ottenuto è stato conforme a quanto atteso in base alla veridicità della prima risposta: poche provette con molti mutanti e molte provette con pochi mutanti; quindi le mutazioni preesistono al trattamento con il terreno selettivo, quindi le mutazioni non sono adattative. Questo risultato è uno dei più alti tra quelli che hanno portato il sostegno della genetica allo studio delle teorie evolutive, segnando la definitiva vittoria del darwinismo Si è effettivamente verificato che poche provette avevano molti mutanti (mutazioni precoci) e molte avevano pochi mutanti (mutazioni tardive) Dunque le mutazioni preesistono al trattamento, che quindi non le induce ma le seleziona soltanto: le mutazioni non sono adattative Numerosità finale in ogni provetta: 1,6x106 batteri
Danno al DNA e sua riparazione: origine delle mutazioni C H N O T N C H A C H N O N C H O G Mutazioni spontanee: p. es. tautomeria Mutazione genica: transizione AT > GC H Mutazioni indotte: p. es. da UV Dimero di Timina UV DNA mutato Riparazione SOS: soggetta a errore TT TT AA Escissione di nucleotidi AA Luce solare Mutazione genica Fotoriattivazione: riparazione corretta Riparazione per escissione: corretta Nella presente diapositiva sono illustrati alcuni esempi di meccanismi che possono portare alle mutazioni geniche e alle mutazioni cromosomiche strutturali. Le mutazioni spontanee derivano da errori nel metabolismo del DNA (replicazione, crossing over – vedere anchediapositiva 9); quelle indotte dall’azione diretta di agenti mutageni e/o da errore nei meccanismi di riparazione; alcuni agenti mutageni (p. es. la radiazione ultravioletta o le radiazioni ionizzanti, come i raggi X) non producono direttamente la mutazione ma danneggiano la molecola di DNA in maniera incompatibile con la sopravvivenza cellulare (i dimeri di molecole di timina adiacenti sullo stesso filamento polinucleotidico per gli UV, la rottura a singolo o doppio filamento del DNA per le radiazioni ionizzanti); la riparazione del danno al DNA evita la morte cellulare, ma in caso di errori può dare origine a mutazioni geniche o a mutazioni cromosomiche strutturali. La fotoriattivazione è attiva nei procarioti e in molti eucarioti, ma è assente nell’uomo. La riparazione SOS può intervenire quando il DNA è danneggiato prima della replicazione e altri sistemi di riparazione non riescono a intervenire prima che abbia inizio la replicazione e prima che il filamento non danneggiato si allontani dal filamento danneggiato. La riparazione per ricombinazione omologa può avvenire quando sia il danno che la riparazione avvengono dopo la replicazione, quindi quando è disponibile il cromatidio fratello integro per la riparazione di quello danneggiato; la riparazione per ricombinazione non omologa può avvenire quando non è disponibile il cromatidio fratello integro per la riparazione di quello danneggiato. Mutazione cromosomica strutturale TT TT Escissione di basi AA AA Cromosomi diversi Raggi X Cromatidi fratelli Riparazione per ricombinazione non omologa: soggetta ad errore Mutazioni indotte: p. es. da raggi X Riparazione per ricombinazione omologa: corretta
Mutazioni Geniche e fenotipi Mutazione genica: evento per cui un gene si trasforma da una forma allelica ad un’altra e il nuovo allele è ereditato secondo le leggi di Mendel. Retromutazione: mutazione da un allele anormale ad un allele standard. Mutazione morfologica: mutazione che si esprime in un’alterazione della forma dell’organismo. Mutazioni letali,subletali, detrimentali: mutazioni che determinano la morte, la bassissima sopravvivenza o il danneggiamento dell’organismo. Mutazioni condizionali: mutazioni il cui fenotipo si manifesta solo in particolari condizioni ambientali. Mutazioni biochimiche: mutazioni che determinano la perdita o il cambiamento di un passaggio biochimico. Mutazioni nutrizionali: mutazione per cui microrganismi passano da un genotipo standard con cui è possibile la crescita con terreno minimo (prototrofi) a un nuovo genotipo in cui è richiesta la somministrazione supplementare di specifiche sostanze (auxotrofi). Mutazioni per resistenza: mutazioni che determinano la capacità di resistere a sostanze tossiche o a organismi patogeni cui invece il genotipo standard è sensibile. Mentre le mutazioni cromosomiche producono una modificazione nel numero o nella posizione dei geni, ma non provocano la comparsa di nuovi alleli, il risultato delle mutazioni geniche è proprio la comparsa di nuovi alleli. La classificazione delle mutazioni geniche presentata in questa diapositiva è operativa e non corrisponde a classi effettivamente diverse di mutazioni. La presente classificazione delle mutazioni geniche è relativa soprattutto agli effetti fenotipici che esse determinano. Di particolare importanza sono le mutazioni nutrizionali e per resistenza che consentono di selezionare i rari mutanti nei microrganismi; infatti sia nelle muffe che nei batteri e nei virus raramente si manifestano fenotipi morfologicamente riconoscibili (forma delle colonie o delle placche di lisi: vedere i crediti 1 e 2); molto più facile è studiare un fenotipo semplice: la capacità o meno di sopravvivere, proliferare e produrre colonie in un terreno selettivo. Se, per esempio, un ceppo batterico non è capace di produrre l’aminoacido lisina, essenziale per la sopravvivenza, perché sopravviva è necessario che cresca su un terreno contenente lisina; un simile batterio è un mutante nutrizionale, detto anche auxotrofo, perché normalmente i batteri sono in grado di produrre da soli la lisina. Se però si seminano questi batteri mutanti in un terreno selettivo privo di lisina, capace di selezionare i rari retromutanti capaci di produrre lisina, quindi capaci di crescere in un terreno “minimo” (glucosio, sali, acqua; questi batteri sono detti prototrofi), solo questi ultimi sono in grado di crescere e formare colonie. La stessa procedura riguarda la resistenza (a virus, sostanze nocive); un esempio classico è la resistenza agli antibiotici: un terreno contenente streptomicina è un terreno selettivo in grado di selezionare i rari mutanti resistenti alla streptomicina in una popolazione batterica normale, sprovvista di questa resistenza. Sono questi i tipi di mutazioni, e gli alleli che ne sono derivati, che hanno consentito di mappare i cromosomi batterici attraverso la coniugazione e la trasduzione (vedere credito 2).
Mutazioni Geniche e effetti molecolari Mutazioni per sostituzione di base: Sinonima: la tripletta mutata viene trascritta in un codone che codifica lo stesso aminoacido Non sinonima: la tripletta mutata viene trascritta in un codone che codifica un altro aminoacido. Senza senso: la tripletta mutata viene trascritta in un codone di terminazione (vedere 3° credito). Tutte le mutazioni geniche: Con perdita di funzione: l’allele che ne deriva è un allele recessivo il cui prodotto ha perso la propria attività biologica (knock out). Con acquisto di funzione: l’allele che ne deriva è un allele dominante il cui prodotto ha modificato la propria attività biologica, rendendola incondizionata. Silente: l’allele che ne deriva non modifica l’attività biologica del proprio prodotto. La presente diapositiva si concentrasu 2 aspetti: Nel caso delle mutazioni per sostituzione di base (dette anche singole sostituzioni nucleotidiche: SSN) in base all’aminoacido codificato dal codone trascritto in corrispondenza della tripletta mutata. Per tutte le mutazioni geniche in relazione all’effetto del prodotto codificato dal gene, che si rispecchia nella dominanza o recessività dell’allele originato dalla mutazione.
Mutazioni cromosomiche strutturali a d c b e a b c d Anello a b c d de a b d c e a b e b c d Duplicazione Inversione pericentrica Inversione paracentrica Delezione interstiziale Delezione terminale a b a b c d h i l a b c d e Fissione centrica f gh i l f g e Traslocazione reciproca c d e + + Fusione centrica Le mutazioni cromosomiche strutturali consistono in un’alterazione della struttura dei cromosomi conseguenti al danneggiamento del DNA. La presente diapositiva raffigura la tipologia delle principali mutazioni cromosomiche strutturali. Tutte le mutazioni in cui non ci sono geni in eccesso o difetto, ma cambia solo la collocazione dei geni, sono dette mutazioni bilanciate (inversioni pericentriche – con il centromero entro la regione invertita – e paracentriche - con il centromero fuori dalla regione invertita; traslocazioni, fusioni e fissioni centriche), mentre quelle che presentano geni in eccesso o difetto sono dette sbilanciate (delezioni terminali e interstiziali, duplicazioni, cromosomi ad anello e dicentrici). a b c d g f Dicentrico
Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 1: una rottura B C DELEZIONE TERMINALE (instabile) A B C SI PERDE IL FRAMMENTO ACENTRICO ROTTURA A B A B SI POSSONO SALDARE LE ESTREMITA’ DI ROTTURA, DOPO LA REPLICAZIONE DEL CROMOSOMA Le delezioni terminali consistono nella perdita (e nel suo risultato) del segmento terminale di un cromosoma; avendo perduto il telomero, presentano un’estremità facilmente danneggiabile del cromosoma che tende a saldarsi con altre estremità di rottura; l’estremità di rottura libera più vicina è quella del cromatidio fratello; se si saldano fra loro le estremità di rottura dei segmenti dei cromatidi fratelli dotati di centromero, durante l’anafase si ha necessariamente una sorta di “tiro alla fune” fra i due poli dei 2 cromatidi fratelli, che non riescono a separarsi o possono anche rompersi; per questo la delezione terminale è una mutazione instabile. L’instabilità è una caratteristica comune ad altre mutazioni cromosomiche strutturali (cromosomi dicentrici e ad anello:diapositive 9 e 11). I frammenti acentrici, che costituiscono l’estremità terminale che si è staccata dal resto del cromosoma, sono perduti perché, non avendo centromero, non possono legarsi alle fibre del fuso e non possono migrare ai poli opposti della cellula in anafase, né in mitosi né in meiosi. La perdita del frammento implica la perdita dei geni che vi sono collocati; per questo la delezione terminale è anche una mutazione sbilanciata; la formazione di frammenti acentrici che vengono perduti è caratteristica anche delle delezioni interstiziali (diapositiva 10), dei cromosomi dicentrici e ad anello, che sono anche esse mutazioni sbilanciate I 2 CROMATIDI FRATELLI, SALDATI RECIPROCAMENTE, NON SI POSSONO SEPARARE IN ANAFASE… A B B A … OPPURE SI ROMPONO.
Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 2: crossing over ineguale B C A B C AC A B C A A B C C DELEZIONE INTERSTIZIALE (stabile) APPAIAMENTO IRREGOLARE complementari CROSSING OVER INEGUALE DUPLICAZIONE IN TANDEM (stabile) A B C A B C A B C A B C A B C A B C L’esempio più chiaro di alterazioni di processi biologici che coinvolgono i cromosomi, la cui conseguenza consiste in riordinamenti strutturali, è costituito dal crossing over ineguale, dovuto, a sua volta, ad un difetto di appaiamento, che produce due riordinamenti complementari: una delezione interstiziale, in cui manca un segmento intermedio del cromosoma e una duplicazione in tandem, in cui il segmento cromosomico, mancante nel cromosoma omologo, è ripetuto 2 volte di seguito (il segmento che contiene il gene B della diapositiva). Il crossing over ineguela produce 2 mutazioni complementari, entrambe sbilanciate: i segmenti cromosomici in difetto su uno dei 2 cromosomi coinvolti sono in eccesso sull’altro. Se su un cromosoma è già presente una duplicazione (o anche una triplicazione o una ripetizione maggiore) le probabilità di crossing over ineguale aumentano in modo consistente: infatti le unità ripetute (che siano dinucleotidi, trinucleotidi, sequenze più grandi, interi geni, intere regioni cromosomiche) di un cromosoma possono appaiarsi con un’unità sfalsata sull’altro cromosoma: nella diapositiva il 2° gene B del cromosoma a sinistra si appaia con il 1° gene B del cromosoma a destra: in queste condizioni si realizza il crossing over. Un meccanismo simile può essere alla base delle malattie ereditarie dovute all’espansione dei microsatelliti (vedere il credito 1), che possono essere classificate come particolari mtazioni geniche: se viene superato un valore soglia nel numero dei di- trinucleotidi ripetuti, si scatena il fenotipo patologico (corea di Huntigton, sindrome dell’X fragile). In realtà l’ipotesi più accreditata per l’origine dell’espansione dei microsatelliti consiste in un errore della replicazione, per cui una sequenza ripetuta può essere replicata più volte. B CROMOSOMA NORMALE B APPAIAMENTO IRREGOLARE Su un’altra scala (di- trinucleotidi) questo meccanismo può spiegare l’espansione dei microsatelliti, alla base di gravi patologie umane TRIPLICAZIONE IN TANDEM (stabile)
Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 3: due rotture su due bracci diversi dello stesso cromosoma F B E A C D A B C D E F F E A F B E A C D B C D SI PERDE IL FRAMMENTO ACENTRICO ANELLO (instabile) 2 rotture A D C B E F F B E A C D Le diapositive 8 – 11 descrivono i riordinamenti cromosomici strutturali che derivano dalla saldatura “sbagliata” delle estremità di rottura di 2 rotture cromosomiche. Se le estremità di rottura non si saldano tra loro, né in modo corretto né in modo sbagliato, ogni rottura da luogo a una delezione terminale (vedere diapositiva 5). Si intende corretta una saldatura che coinvolga esattamente le 2 estremità di rottura della stessa rottura; il risultato della saldatura corretta è banalmente il ripristino del cromosoma originario, senza riordinamenti. Si intende sbagliata una saldatura che coinvolga 2 estremità di rottura di 2 rotture diverse. 1 2 bracci di un cromosoma sono i 2 segmenti in cui il cromosoma è diviso dal centromero meiosi (vedere 1° serie, diapositiva 19); se il centromero è esattamente all’estremità del cromosoma (cromosoma telocentrico), quel cromosoma ha un solo braccio. La formazione di un cromosoma ad anello con un frammento acentrico lineare è uno dei 2 risultati possibili dovuti a una saldatura sbagliata. Anche in questo caso il frammento acentrico si perde (vedere diapositiva 5); il cromosoma ad anello è instabile poiché, talvolta, i 2 cromatidi fratelli sono intrecciati come 2 anelli di una catena; quando vengono tirati verso i poli opposti di una mitosi, si rompono, dando luogo a ulteriori riordinamenti cromosomici complessi. La formazione di un’inversione pericentrica è l’altro risultato possibile dovuto a una saldatura sbagliata; si tratta di una mutazione bilanciata (vedere diapositiva 4). Le inversioni devono il loro nome al fatto che la sequenza dei geni risulta invertita per un tratto del cromosoma (i geni indicati in rosso nella diapositiva); quando l’inversione è pericentrica il centromero si trova all’interno della regione invertita. INVERSIONE PERICENTRICA (stabile)
Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 4: due rotture sullo stesso braccio dello stesso cromosoma F E B A C D F C E D B A A B C D E F F C E D B A SI PERDE IL FRAMMENTO ACENTRICO DELEZIONE INTERSTIZIALE (stabile) F C E D B A A B D C E F La formazione di una delezione interstiziale con un frammento acentrico ad anello è uno dei 2 risultati possibili dovuti a una saldatura sbagliata. La delezione interstiziale è stabile; come si è visto nella diapositiva 5, anche il crossing over ineguale è una modalità per dare origine a delezioni interstiziali. La formazione di un’inversione paracentrica è l’altro risultato possibile dovuto a una saldatura sbagliata; si tratta di una mutazione bilanciata (vedere diapositiva 4). I geni indicati in rosso nella diapositiva sono quelli in sequenza invertita; quando l’inversione è paracentrica il centromero si trova all’esterno della regione invertita. INVERSIONE PARACENTRICA (stabile)
Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 5: due rotture su due cromosomi diversi B C D E F G H I L M N A B C G H I L A B C D E F G H I L M N M N D E F 2 rotture Cromosoma Dicentrico (instabile) SI PERDE IL FRAMMENTO ACENTRICO A B C D E F G H I L M N A B C M N G H I L D E F La formazione di un cromosoma dicentrico con un frammento acentrico è uno dei 2 risultati possibili dovuti a una saldatura sbagliata. Il cromosoma dicentrico è instabile poiché, talvolta, i 2 centromeri tirano lo stesso cromatidio verso i poli opposti di una mitosi; infatti per ognuno dei 2 centromeri, giunti già raddoppiati in mitosi, le 2 parti raddoppiate si dirigono verso i poli opposti della cellula in anafase, trascinando i cromatidi; può accadere che le 2 parti replicate dei 2 centromeri, legate allo stesso cromatidio, migrino verso i poli oppostisi sottoponendo il proprio cromatidio a un vero e proprio tiro alla fune; così i cromatidi si rompono, dando luogo a ulteriori riordinamenti cromosomici complessi. La formazione di una traslocazione reciproca è l’altro risultato possibile dovuto a una saldatura sbagliata; si tratta di una mutazione bilanciata (vedere diapositiva 4). I geni indicati in rosso nella diapositiva sono quelli traslocati da un cromosoma all’altro, non omologo; non bisogna confondere la traslocazione reciproca, che implica lo spostamento reciproco di geni su cromosomi non omologhi, con il crossing over, in cui c’è uno scambio degli stessi geni, anche in forma di alleli diversi, tra cromosomi omologhi. TRASLOCAZIONE RECIPROCA STABILE
FUSIONE CENTRICA STABILE FISSIONE CENTRICA STABILE Origine delle mutazioni cromosomiche strutturali 6: riordinamenti al livello del centromero A B F E D C A B C D E F A B F E D C A B C D E F FUSIONE CENTRICA STABILE 2 rotture SI PUO’ PERDERE IL CROMOSOMA PUNTIFORME La formazione di una particolare traslocazione, la fusione centrica, è l’unico risultato possibile dovuto a una saldatura sbagliata; si tratta di una mutazione bilanciata (vedere diapositiva 4). I cromosomi coinvolti sono 2 telocentrici, le 2 rotture sono adiacenti o interne ai centromeri. Uno dei 2 prodotti della saldatura sbagliata, il cromosoma puntiforma, costituito essenzialmente da un centromero, 2 telomeri e poco altro, pur essendo stabile, può essere perso senza alcun danno per la cellula; l’altro prodotto, quello importante, è un cromosoma metacentrico o sub-metacentrico che contiene tutti i geni presenti nei 2 cromosomi acrocentrici originari. Si tratta di un riordinamento importante per l’uomo, poiché fusioni centriche che coinvolgono il cromosoma 21 sono abbastanza frequenti. Il processo inverso, cioè la formazione di 2 cromosomi telocentrici per scissione a livello del centromero di un cromosoma metacentrico, sebbene documentato in natura, non è chiaro nei suoi meccanismi, poiché, per stabilizzare i 2 nuovi cromosomi telocentrici, servono 2 nuovi telomeri all’altezza della scissione avvenuta al livello del centromero, e non è affatto chiaro da dove i nuovi cromosomi possano prendere i propri nuovi telomeri. ? FISSIONE CENTRICA STABILE
Mutazioni numeriche aneuploidi Gamete (spora) aploide (n) Cellula diploide (2n) Gamete (spora) disomico (n+1) Cellula trisomica (2n+1) Cellula nullisomica (2n-2) Le mutazioni numeriche, che consistono in un cambiamento nel numero dei cromosomi rispetto al numero normale, si dividono in aneuploidi (non tutti i cromosomi del mutante sono presenti nello stesso numero di copie) ed euploidi (tutti i cromosomi del mutante sono presenti nello stesso numero di copie); le mutazioni aneuploidi, o aneuploidie, sono stabili e sbilanciate e possono appartenere a una gamma estremamente ampia di tipologie; ci si occuperà delle aneuploidie più semplici che riguardano gli organismi diploidi: le monosomie, per cui c’è un cromosoma in meno rispetto all’assetto cromosomico normale (2n-1) e le trisomie, per cui c’è un cromosoma in più rispetto all’assetto cromosomico normale (2n+1). Per quanto riguarda l’uomi, la trisomia del cromosoma 21 determina la sindrome di Down. Le trisomie del cromosoma 13 (sindrome di Patau) e del cromosoma 18 (sindrome di Edwards) che portano a gravi anomalie dello sviluppo e consentono una sopravvivenza dei neonati peralcuni mesi. Molte altre trisomie si possono rintracciare con alta frequenza negli aborti spontanei. Cellula con aneuploidia multipla Cellula monosomica (2n-1) Gamete (spora) nullisomico (n-1) Cellula tetrasomica (2n+2) Gamete (spora) trisomico (n+2) Gamete (spora) con aneuploidia multipla
Origine di mutazioni numeriche 1: non disgiunzione, monosomie e trisomie Mitosi Meiosi I Meiosi II 2n +1 2n - 1 2 (n +1) 2 (n – 1) n +1 n - 1 Non disgiunzione Non disgiunzione Non disgiunzione All’origine delle monosomie e delle trisomie ci sono alterazioni del corso normale della mitosi o della meiosi che coinvolgono singoli cromosomi (o bivalenti, per la 1° divisione meiotica); pertanto nella presente diapositiva si descrive solo il comportamento del singolo cromosoma (o bivalente) che si distribuisce in modo anomalo; si ammette che tutti gli altri cromosomi si distribuiscano normalmente. L’origine delle monosomie e delle trisomie in mitosi può risiedere nella non disgiunzione mitotica, cioè nella mancata separazione dei 2 cromatidi fratelli che migrano entrambi allo stesso polo; il risultato è che una cellula figlia sarà trisomica, l’altra monosomica; la non disgiunzione quindi produce due aneuploidie complementari nelle 2 cellule figlie. Le aneuploidie che coinvolgono la meiosi hanno come risultato gameti (o spore) con un numero alterato di cromosomi, rispetto al normale numero apolide (n): le nullisomie, per cui c’è un cromosoma in meno rispetto all’assetto cromosomico normale (n-1) e le disomie, per cui c’è un cromosoma in più rispetto all’assetto cromosomico normale (n+1). L’origine delle nullisomie e delle disomie in prima divisione meiotica può risiedere nella non disgiunzione meiotica 1°, cioè nella mancata separazione dei 2 cromosomi omologhi che migrano entrambi allo stesso polo; il risultato è che due prodotti aploidi (gameti o spore) saranno disomici, gli altri 2 nullisomici; la non disgiunzione quindi produce due aneuploidie complementari nelle 2 coppie di prodotti aploidi. L’origine delle nullisomie e delle disomie in seconda divisione meiotica può risiedere nella non disgiunzione meiotica 2°, cioè nella mancata separazione dei 2 cromatidi fratelli che migrano entrambi allo stesso polo; il risultato è che un prodotto aploide (gamete o spora) sarà disomico, l’altro nullisomico; la non disgiunzione quindi produce due aneuploidie complementari nei 2 prodotti aploidi. Uno zigote trisomoco risulta dalla fecondazione tra un gamete aploide, normale e un gamete disomico; uno zigote monosomoco risulta dalla fecondazione tra un gamete aploide, normale e un gamete nullisomico. Il risultato di una non-disgiunzione alla mitosi è la comparsa di cellule monosomiche e trisomiche Il risultato di una non-disgiunzione alla meiosi I è la comparsa di paia di gameti nullisomici e disomici Il risultato di una non-disgiunzionemplici alla meiosi II è la comparsa di gameti nullisomici e disomici Se i gameti nullisomici e disomici partecipano alla fecondazione con gameti aploidi normali, ne risultano zigoti monosomici e trisomici rispettivamente
NON DISGIUNZIONE E ANEUPLOIDIE DEI CROMOSOMI SESSUALI Xw Xw Xw+ Y P Xw XwY Xw+ F1 Xw Xw+ Xw Y Progenie eccezionale (1/2000) Progenie normale Gameti Xw+ Y Xw Xw XwXwXw+ LETALE XwXwY Xw+ sterile XXY X0 aneuploidia drosofila A seguito dell’incrocio fra femmine di drosophila con gli occhi bianchi e maschi con occhi rossi, nella F1, oltre ad avere la progenie ordinaria che ci si attende per l’eredità legata al sesso (femmine con occhi rossi e maschi con occhi bianchi con un rapporto 1:1) si ottiene anche una progenie eccezionale (1/2000) costituita da femmine con occhi bianchi e maschi con occhi rossi, che, a loro volta, mostrano un rapporto fra loro 1:1. Questa eccezione, azichè indebolire la teoria cromosomica dell’eredità, la rinforzò: infatti la presenza di questi 2 fenotipi eccezionali si può spiegare solo ammettendo che nella madre avvenga con bassa frequenza (circa 1/1000) una non-disgiunzione del cromosoma X durante la meiosi; le uova che derivano da meiosi con questo tipo di non-disgiunzione hanno nessuno o due cromosomi X. Ci si aspetta che la fecondazione di queste uova da parte di spermatozoi normali porti a 4 cariotipi: Y0, XXX, X0, XXY; i primi 2 non compaiono, perché sono letali; X0 è un maschio sterile che ha ricevuto il cromosoma X dal padre, quindi con l’allele w+, quindi ha gli occhi rossi; XXY è una femmina che ha ricevuto i 2 cromosomi X dalla madre, quindi con l’allele w, quindi ha gli occhi bianchi. L’osservazione che effettivamente i maschi eccezionali con occhi rossi hanno un cariotipo X0 e che le femmine eccezionali con occhi bianchi hanno un cariotipi XXY ha verificato ancora una volta che gli alleli del gene W segregano sempre insieme ai cromosomi X, seguendo lo stesso percorso attraverso le generazioni, anche in caso di meiosi irregolari; questo risultato ha confermato la teoria cromosomica dell’eredità, cjoè che i geni sono collocati sui cromosomi. Si ricorda che in drosophila il sesso è determinato dal rapporto fra i cromosomi X e gli assetti di autosomi; quando tale rapporto è 1:1, come negli individui XX e XXY, l’individuo è femmina; quando tale rapporto è 1:2, come negli individui XY e X0, l’individuo è maschio. Invece nei mammiferi il sesso è determinto dalla presenza/assenza del cromosoma Y: se il cromosoma Y è presente, l’individuo è maschio, se è assente, è femmina: questo fenomeno è dovuto alla presenza sul cromosoma Y del gene SRY, che codifica per un fattore che porta al differenziamento verso il testicolo della gonade primitiva, che, in assenza di SRY, si differenza spontaneamente in ovaio. Di conseguenza gli individui con trisomia XXY (sindrome di Klinefelter) sono fenotipicamente di sesso maschile, mentre gli individui con monosomia X0 (sindrome di Turner) sono fenotipicamente di sesso femminile. uomo In drosofila il sesso è determinato dal rapporto numerico fra autosomi e cromosomi X Nell’uomo il sesso è determinato dalla presenza/assenza del cromosoma Y Non disgiunzione in un oocita
Mutazioni numeriche euploidi Cellula diploide (2n) Gamete (spora) aploide (n) Cellula autotetraploide (4n) Gamete (spora) diploide (2n) Le mutazioni euploidi sono bilanciate e consistono in un’alterazione numerica dei cromosomi in cui tutti i cromosomi sono presenti nello stesso numero di copie; come conseguenza una cellula euploide avrà un numero di cromosomi multiplo intero del numero aploide della specie. Dato che il numero normale di ogni cromosoma può essere 1 (fase aploide) o 2 (fase diploide) quasi tutte le mutazioni euploidi sono poliploidie, in cui tutti i cromosomi sono presenti un numero di volte maggiore del normale. La triploidia (3n) e la tetraploidia (4n) sono le poliploidie più frequenti ed interessanti. Gamete (spora) anfidiploide (n+n’) Cellula triploide (3n) Cellula monoploide (n) Cellula allotetraploide (2n+2n’)
Origine di mutazioni numeriche:2 AUTOPOLIPLOIDIE A-IN MITOSI Il blocco di una mitosi di una cellula diploide da origine a cellule tetraploidi Il blocco di k mitosi da origine a cellule con 2k+1n cromosomi Se c’è un blocco nella prima mitosi di uno zigote,lo zigote e l’organismo che ne deriva diventano tetraploidi 4 n cromosomi duplicati DUPLICAZIONE (interfase) Le poliploidie si possono dividere in autopoliploidie, in cui gli assetti cromosomici, in numero più alto del normale, provengono dalla stessa specie, e allopoliploidie, in cui gli assetti cromosomici provengono da specie diverse. Le autoploiploidie possono derivare, in mitosi, dal blocco completo della divisione cellulare per cui entrambi i cromatidi fratelli di ogni cromosoma, invece di essere migrati ai poli opposti della mitosi e di essere quindi ripartiti in modo eguale tra le 2 cellule figlie, sono rimasti insieme nell’unica cellula figlia: invece di avere 2n cromatidi in 2 cellule figlie, si hanno 4n cromatidi in una sola cellula figlia. Dopo la duplicazione dei cromosomi, questa cellula possiede 4n cromosomi e, se non ci saranno ulteriori blocchi della mitosi, trasmetterà alla progenie il proprio corredo cromosomico tetraploide (4n); se la mitosi bloccata corrisponde alla 1° divisione dello zigote, tutte le cellule dell’individuo che ne deriva saranno 4n, per cui possiamo dire che quell’individuo è tetraploide. 2 n cromosomi duplicati BLOCCO DELLA MITOSI 4 n cromatidi
Origine di mutazioni numeriche:2 AUTOPOLIPLOIDIE B- MEIOSI E FECONDAZIONE Blocco di una delle due divisioni meiotiche Le autoploiploidie possono derivare, nella fecondazione, dalla fecondazione multipla del gamete immobile (ovulo, uovo) da 2 gameti mobili (spermatozoi, nuclei pollinici); è un evento raro in natura, poiché ci sono molti meccanismi di difesa contro di esso in tutti i viventi; il suo risultato è la formazione di zigoti (e quindi di organismi) triploidi. Le autoploiploidie possono derivare, nella meiosi, dal blocco completo di una delle 2 divisioni meiotiche per cui si formano gameti anomali diploidi, che non hanno subito la riduzione meiotica. Quando gameti diploidi non ridotti partecipano alla fecondazione con gameti normali, ne derivano zigoti triploidi. Fecondazione multipla Gamete non ridotto ZIGOTE 3 n
ALLOPOLIPLOIDIA: gli ibridi anfidiploidi MEIOSI ABORTIVE, STERILITA’ Fecondazione interspecifica, fra specie diverse ma compatibili, con sviluppo dell’ibrido Le allopoliploidie sono generate da un percorso obbligato a 2 tappe. La prima tappa è una fecondazione interspecifica in cui le 2 specie coinvolte abbiano i loro cromosomi abbastanza simili da poter interagire nello sviluppo della progenie ibrida, quindi in grado di consentire la vita e la salute degli ibridi, ma abbastanza diversificati da non potersi più appaiare in meiosi. L’ibrido viene chiamato anfidiploide, è sano e vitale ma completamente sterile, poiché, in mancanza dell’appaiamento dei cromosomi omologhi, la distribuzione dei cromosomi in 1° divisione meiotica è casuale e i gameti che si formano presentano aneuploidie complesse. Se, come avviene nelle piante e in alcuni animali, l’ibrido anfidiploide è in grado di riprodursi senza meiosi (partenogenesi, riproduzione vegetativa) si può sviloppare una popolazione geneticamente uniforme (un clone) di individui anfidiploidi. I cromosomi non sono a 2 a 2 omologhi: in 1° divisione meiotica non riescono ad appaiarsi e segregano casualmente Zigote anfidiploide ibrido, vitale Successive divisioni mitotiche, differenziamento Di conseguenza i gameti sono sbilanciati geneticamente, quindi sterili inividuo anfidiploide ibrido, vitale ma sterile
ALLOPOLIPLOIDIA: origine di individui allopoliploidi Cellula anfidiploide INDIVIDUO ALLOTETRAPLOIDE FECONDO ZIGOTE ALLOTETRAPLOIDE Fecondazione fra gameti anfidiploidi Salto di una mitosi nella linea germinale GAMETE ANFIDIPLOIDE La seconda tappa nella genesi dell’allopoliploidia è il salto di una mitosi nella linea germinale in alcuni individui anfidiploidi; si formano così cellule allotetraploidi da cui derivano meiociti I in cui ogni cromosoma ha un cromosoma identico a sé con cui appaiarsi in 1° divisione meiotica; queste cellule sono in grado di formare gameti bilanciati anfidiploidi; dalla fecondazione di 2 gameti anfidiploide si forma uno zigote allotetraploide in grado di svilupparsi e di dare vita ad un individuo allotetraploide, sano, vitale e del tutto fecondo. 1° DIVISIONE MEIOTICA NORMALE Meiocita allotetraploide
ALTRI EFFETTI GENETICI: Comportamento in meiosi delle mutazioni cromosomiche (I divisione meiotica): Mutazioni sbilanciate (duplicazioni e delezioni in eterozigosi, trisomie e monosomie) Eterozigote per una duplicazione Eterozigote per una delezione Trisomico Monosomico GAMETI NORMALI 50% a b A B B A B A GAMETI SBILANCIATI 50% Le mutazioni sbilanciate, sia strutturali (deplicazioni e delezioni in eterozigoti) che numeriche (trisomie e monosemie), quando effettuano la 1° divisione meiotica, producono tutte lo stesso risultato: a un polo va il cromosoma normale (in alto nella diapositiva, i cromosomi verde scuro), all’altro vanno gli assortimenti sbilanciati (in basso nella diapositiva, i cromosomi verde chiaro): da sinistra a destra il cromosoma con duplicazione, il cromosoma con delezione, nessun cromosoma di quella coppia di omologhi, 2 cromosomi di quellaa coppia di omologhi. Ne consegue che un individuo eterozigote per una duplicazione o delezione, trisomico o monosomico produce metà gameti normali e metà gameti sbilanciati, rispettivamente con la delezione, con la duplicazione, nullisomici e disomici. Altri effetti genetici: la soppressione del crossing over nella regione deleta (delezioni, monosomie) deriva dal fatto che non ci può essere né appaiamento né crossing over se manca una delle 2 regioni omologhe: nella diapositiva, gran parte del braccio cromosomico a destra nel cromosoma verde scuro, omologo al cromosoma verde chiaro con delezione (2° colonna) non ha una regione omologa con cui appaiarsi ed effettuare il crossing over sul cromosoma verde chiaro; addirittura l’intero cromosoma verde scuro di un individuo monosomico (4° colonna) non trova il proprio cromosoma omologo con cui appaiarsi ed effettuare il crossing over. La pseudodominanza consiste nell’espressione di alleli recessivi, che quindi si comportano come se fossero alleli dominanti, presenti nel cromosoma omologo normale nella regione corrispondente alla delezione: infatti nel cromosoma con delezione mancano i corrispondenti alleli dominanti capaci di impedire l’espressione degli alleli recessivi presenti sul cromosoma omologo: nella diapositiva l’allele b si manifesta nell’individuo eterozigote per la delezione (2° colonna) e gli alleli a e b si manifestano nell’individuo monosomico. Con duplicazione Con delezione Disomico Nullisomico ALTRI EFFETTI GENETICI: soppressione del crossing over entro la regione deleta; pseudodominanza (la delezione di un allele dominante consente l’espressione di un allele recessivo) Un individuo eterozigote per una mutazione sbilanciata produce metà gameti normali e metà gameti sbilanciati
riduzione della fecondità. Comportamento in meiosi delle mutazioni cromosomiche (I divisione meiotica): inversioni paracentriche in eterozigosi A B C D E Crossing over all’interno dell’ansa fra i geni B e C A B C B D A E B D A E Anafase I C D E B E C D A EFFETTI GENETICI: soppressione dei prodotti del crossing over entro la regione invertita; riduzione della fecondità. I gameti con i prodotti del crossing over nella regione invertita (2 su 4) non sono vitali Le diapositive 18-21 descrivono il comportamento dei riordinamenti strutturali bilanciati (inversioni paracentriche e pericentriche, traslocazioni reciproche, fusioni centriche) in condizione eterozigote in 1° divisione meiotica. Poiché l’appaiamento tra gli omologhi è preciso, i bivalenti che coinvolgono un cromosoma con un inversione e il suo omologo normale presentano una caratteristica ansa in corrispondenza della regione invertita: uno dei 2 omologhi forma un “cappio” (il cromosoma rosso, con l’inversione, nelle diapositive 18-19), l’altro si piega a ferro di cavallo (il cromosoma nero, normale, nelle diapositive 18-19). Se in un’inversione paracentrica in eterozigoti avviene un crossing over entro l’ansa in corrispondenza della regione invertita, 1 dei 2 cromatidi coinvolti nel crossing over non ha alcun centromero, e non prenderà parte, per questo, alla 2° divisione meiotica e di conseguenza verrà perduto; l’altro, invece, ha due centromeri che, facendo parte di 2 diversi cromosomi omologhi, sono necessariamente tirati verso i poli opposti, sottoponendo così il proprio cromatidio a un vero e proprio tiro alla fune; si forma un “ponte” di cromatina (la sostanza di cui sono costituiti i cromosomi, instabile, che si rompe, dando luogo a ulteriori riordinamenti cromosomici complessi, incompatibili con la vita dell’embrione, se un gamete che contiene un segmento rotto del cromatidio di centrico prende parte alla fecondazione. Dunque i due cromatidi che hanno subito il crossing over non possono essere trasmessi alla progenie, mentre i cromatidi che non lo hanno subito sono pienamente compatibili con la vita e trasmissibili alla progenie. Per quanto riguarda gli effetti genetici, la soppressione del crossing over nella regione invertita deriva dal fatto che, quando questo crossing over si realizza, i suoi prodotti non sono vitali e non danno luogo a una progenie vitale. Questa è anche la causa della riduzione della fecondità. A D C B E Il cromatidio dicentrico è instabile: forma un ponte di cromatina che si rompe e si perde Il frammento acentrico si perde
riduzione della fecondità. Comportamento in meiosi delle mutazioni cromosomiche (I divisione meiotica): inversioni pericentriche in eterozigosi Crossing over all’interno dell’ansa fra i geni B e C Cromatidi sbilanciati C B D A E B D A E A B C D E Anafase II E D C B E Anafase I A D C B A A D C B E EFFETTI GENETICI: soppressione dei prodotti del crossing over entro la regione invertita; riduzione della fecondità. Se in un’inversione pericentrica in eterozigoti avviene un crossing over entro l’ansa in corrispondenza della regione invertita, i 2 cromatidi coinvolti nel crossing over presentano ciascuno una duplicazione e una delezione complementari alla delezione e alla duplicazione corrispondente dell’altro (il cromatidio nero/rosso, il secondo dall’alto nella diapositiva, presenta una duplicazione per il gene E e una delezione per il gene A, mentre il cromatidio rosso/nero, il terzo dall’alto, presenta una duplicazione per il gene A e una delezione per il gene E); se i gameti che possiedono questi cromatidi prendono parte alla fecondazione, gli sbilanciamenti dovuti alla duplicazione e alla delezione possono compromettere lo sviluppo dello zigote che ne deriva. Dunque i due cromatidi che hanno subito il crossing over non possono essere trasmessi alla progenie, mentre i cromatidi che non lo hanno subito sono pienamente compatibili con la vita e trasmissibili alla progenie. Anche in questo caso, per quanto riguarda gli effetti genetici, la soppressione del crossing over nella regione invertita deriva dal fatto che, quando questo crossing over si realizza, i suoi prodotti non sono vitali e non danno luogo a una progenie vitale. Questa è anche la causa della riduzione della fecondità. I gameti con i prodotti del crossing over nella regione invertita (2 su 4) sono sbilanciati, con delezioni e duplicazioni complementari; quindi non sono vitali o lo sono poco
pseudoassociazione fra i geni dei cromosomi coinvolti; Comportamento in meiosi delle mutazioni cromosomiche (I divisione meiotica): traslocazioni reciproche in eterozigosi C A B C A B C D C D EFFETTI GENETICI: pseudoassociazione fra i geni dei cromosomi coinvolti; riduzione della fecondità. Segragazione adiacente: si formano coppie di gameti sbilanciati con delezioni e duplicazioni complementari Segregazione alternata: si formano coppie di gameti bilanciati: 2 con i cromosomi normali e 2 con i cromosomi traslocati Anafase I A B E F D E F A B E F D E F Poiché l’appaiamento tra gli omologhi è preciso, i 2 cromosomi con la traslocazione reciproca e i loro 2 omologhi normali si appaiano in un’unica struttura, un quadrivalente cruciforme, in cui ogni regione cromosomica è appaiata alla propria regione omologa. Se, durante la 1° divisione meiotica segregano allo stesso polo i cromosomi opposti lungo la diagonale (il cromosoma azzurro in alto a sinistra insieme al cromosoma rosso in basso a destra e, al polo opposto, il cromosoma azzurro/rosso in basso a sinistra insieme al cromosoma rosso/azzurro in alto a destra), i 4 prodotti della meiosi che ne risultano saranno tutti bilanciati; questa modalità di segregazione è chiamata segregazione alternata (a sinistra nella diapositiva); il risultato della segregazione alternata è che a un polo migrano insieme i 2 cromosomi normali, all’altro i 2 cromosomi con la traslocazione. Se, invece, segregano allo stesso polo i cromosomi adiacenti (il cromosoma azzurro in alto a sinistra insieme al cromosoma rosso/azzurro in alto a destra e, al polo opposto, il cromosoma azzurro/rosso in basso a sinistra insieme al cromosoma rosso in basso a destra), i 4 prodotti della meiosi che ne risultano saranno tutti sbilanciati (una duplicazione di C e una delezione di E ed F per i 2 prodotti che derivano dal polo in alto; una duplicazione di E ed F e una delezione di C per i 2 prodotti che derivano dal polo in basso); questa modalità di segregazione è chiamata segregazione adiacente (a destra nella diapositiva); il risultato della segregazione alternata è che a entrambi i poli migrano un cromosoma normale e un cromosoma con la traslocazione. Per quanto riguarda gli effetti genetici, per le traslocazioni, solo la segregazione alternata produce spore o gameti bilanciati; quando si realizza questo tipo di segregazione, i due cromosomi normali, che derivano dallo stesso genitore, vanno allo stesso polo, mentre al polo opposto vanno i 2 cromosomi coinvolti nella traslocazione, che derivano dall’altro genitore; così gli alleli che si trovano sui due cromosomi normali segregano sempre insieme, nella segregazione alternata, come se fossero sullo stesso cromosoma; lo stesso ovviamente avviene per gli alleli che si trovano sui cromosomi coinvolti nella segregazione; per questo si parla di pseudo-associazione. Il fatto che la segregazione adiacente produca gameti o spore sbilanciati giustifica la riduzione della fecondità.
pseudoassociazione fra i geni dei cromosomi coinvolti; Comportamento in meiosi delle mutazioni cromosomiche (I divisione meiotica): fusioni centriche in eterozigosi Segragazione con non disgiunzione secondaria: si formano coppie di gameti sbilanciati con nullisomie e disomie complementari Segregazione corretta: si formano coppie di gameti bilanciati: 2 con i cromosomi normali e 2 con il cromosoma fuso EFFETTI GENETICI: pseudoassociazione fra i geni dei cromosomi coinvolti; riduzione della fecondità. A B C A B C A B C A B C A B C A B C Poiché l’appaiamento tra gli omologhi è preciso, il cromosoma metacentrico derivato dalla fusione e i 2 omologhi telocentrici normali si appaiano in un’unica struttura, un trivalente, in cui ogni regione cromosomica è appaiata alla propria regione omologa. Se, durante la 1° divisione meiotica segregano allo stesso polo i 2 cromosomi acrocentrici (i 2 cromosomi rossi) e, al polo opposto, il cromosoma metacentrico (azzurro), i 4 prodotti della meiosi che ne risultano saranno tutti bilanciati (a sinistra, nella diapositiva). Se, invece, segregano allo stesso polo il cromosoma metacentrico (azzurro) e uno dei 2 cromosomi acrocentrici (rossi), i 4 prodotti della meiosi che ne risultano saranno tutti sbilanciati e complementari (una nullisomia e una disomia del cromosoma con B e C, nello schema al centro e una nullisomia e una disomia del cromosoma con A, nello schema a destra). Per quanto riguarda gli effetti genetici, la pseudoassociazione riguarda gli alleli presenti sui 2 cromosomi telocentrici omologhi al cromosoma metacentrico derivato dalla fusione; infatti l’unica modalità di segregazione bilanciata è quella per cui il cromosoma metacentrico va a un polo e i 2 cromosomi telocentrici all’altro. Il fatto che talvolta un cromosoma telocentrico migra allo stesso polo del cromosoma metacentrico giustifica la riduzione di fecondità.
La trasposizione (ATGGC)n (GCCAT)n La trasposizione consiste nello spostamento di segmenti cromosomici da un sito cromosomico all’altro, grazie a particolari sequenze fiancheggiatrici e a enzimi (tra cui le trasposasi), i cui geni sono spesso inserite all’interno degli elementi trasponibili. Negli anni 40 del secolo scorso Barbara Mc Clintock scoprì nel mais veri e propri geni mobili, contraddicendo la convinzione corrente che i geni mantenessero sempre una posizione fissa nei cromosomi. Solo molti anni più tardi si riconobbe l’estrema diffusione di questi segmenti mobili dei cromosomi, detti elementi trasponibili o trasposoni, rintracciabili in moltissimi organismi, sia procarioti che eucarioti. Diversa è la natura di questi elementi, diversi sono i geni inclusi, diversi anche i meccanismi di trasposizione; in comune ci sono soprattutto la specificità dei siti cromosomici in cui tali elementi sono posizionati e in cui si possono trasferire. Nella presente diapositiva è descritto il meccanismo di trasposizione per escissione dell’elemento trasponibile (nei procarioti “trasposizione conservativa”). Nell’uomo sono presenti in grande numero tali elementi (sequenze SINE e LINE: sequenze mediamente ripetute intersperse – vedere credito 3) di cui però si è osservata molto raramente la capacità di spostamento. In alcuni organismi (mais, drosofila) alla trasposizione si associa un effetto mutageno, come è indicato nell’esempio riportato nella diapositiva relativo al mais; vengono indotte rotture cromosomiche nel sito da cui si sposta l’elemento trasponibile, a cui conseguono mutazioni cromosomiche strutturali e mutazioni geniche nel sito in cui l’elemento trasponibile si inserisce. Sequenze specifiche Geni per la trasposizione La trasposizione ha talvolta effetti mutageni specifici: il sistema degli elementi trasponibili Ac e Ds nel mais producono la rottura dei cromosomi nel sito di provenienza di Ds e l’inattivazione del gane Wx, in cui si inserisce Ds, inducendone la mutazione. Elemento trasponibile Ds
La retro-trasposizione cromosoma trascrizione RNA retrotrascrizione La retro-trasposizione consiste nella trascrizione come RNA di segmenti cromosomici, che vengono retro-trascritti come DNA che si inserisce in altri siti cromosomici. DNA Negli eucarioti è molto diffusa la retro-trasposizione, che consiste nella trascrizione come copie in RNA dell’elemento trasponibile, nella retro-trascrizione da RNA a DNA e nell’inserimento del DNA retrotrascritto in un nuovo sito cromosomico, come viene descritto nella presente diapositiva. Simile alla retro-trasposizione è la trasposizione per extrareplicazione degli elementi trasponibili, le cui copie extracromosomiche di DNAsi inseriscono nel nuovo sito cromosomico (nei procarioti “trasposizione replicativa”): in questo caso l’elemento trasponibile rimane nel sito originale e, saltando l’intermedio a RNA, produce copie del proprio DNA che si inseriscono in nuovi siti. In Drosophila l’allungamento dei telomeri (vedere credito 3) è dovuto a processi di retro-trasposizione. I meccanismi con cui i virus a RNA inseriscono copie in DNA dei propri cromosomi ad RNAsono molto simili ai corrispondenti meccanismi di retro-trasposizione. Sequenze specifiche Geni per la trasposizione La retro-trasposizione è il meccanismo che consente l’allungamento delle sequenze telomeriche in Drosophila sequenza trasponibile telomerica
Test di mutagenesi: i loci specifici Trattamento mutageno aabbccdd AABBCCDD X ABCD gameti normali (999) abcd gameti (1000) AaBbCcDd AbCD gamete mutato (1) I test di mutagenesi servono a mettere in evidenza l’eventuale effetto mutageno di agenti fisici, chimici o biologici, eventualmente di mettere in evidenza la relazione fra la dose dell’agente studiato e la frequenza delle mutazioni indotte e il meccanismo di azione dell’agente considerato. Oggi esiste una vasta gamma di test di mutagenesi, su esseri viventi diversi (batteri come Escheirichia coli o Salmonella typhimurium; funghi come il lievito o Neurospora crassa; piante come il mais, la cipolla, la fava; animali come Drosophila, le cavallette, i topi, i ratti; cellule animali coltivate in vitro come i linfociti umani) con metodi diversi (analisi genetica della progenie, osservazione al microscopio dei cromosomi) per vedere mutazioni diverse (mutazioni geniche e cromosomiche). Nella presente diapositiva è presentato il test dei loci specifici, che si fonda sull’analisi genetica di un incrocio in cui un maschio omozigote dominante per diversi geni (AABBCCDD nella diapositiva) viene trattato con un agente mutageno che può indurre sporadicamente alcune mutazioni geniche nella linea germinale (c’è una mutazione da B a b in 1 gamete su 1000); quindi si incrocia questo individuo con femmine omozigoti recessive per gli stessi geni (aabbccdd nella diapositiva). I 999 gameti ABCD, fecondando gameti abcd, danno vita a 999 zigoti, e quindi a 999 individui, AaBbCcDd, che hanno lo stesso fenotipo del padre (testa larga, orecchie corte, colore celeste, zampe nere), mentre il gamete AbCD, fecondando gameti abcd, danno vita a 1 zigote, e quindi a 1 individuo, AabbCcDd, che ha lo stesso fenotipo del padre per 3 caratteri (testa larga, colore celeste, zampe nere) e quello della madre per 1 carattere (orecchie lunghe). Osservando il rapporto 999:1 nella progenie possiamo affermare che il trattamento mutageno ha indotto 1 mutazione su 1000 gameti per il gene B; poiché non si sono osservate mutazioni per gli altri 3 geni, possiamo dire, più in generale, che che il trattamento mutageno ha indotto 1 mutazione su 4000 gameti in generale. Ripetendo l’esperimento con dosi diverse dell’agente mutageno, si può osservare una diversa frequenza di gameti mutanti, e quindi definire la relazione dose/effetto mutageno; nel grafico in basso a destra nella diapositiva è descritta una relazione dose/effetto lineare (la frequenza di mutazioni indotte è direttamente proporzionale alla dose somministrata). Il test dei loci specfici viene utilizzato nei topi, in Drosophila, nel mais. % mutant i AabbCcDd Dose mutageno
Test di mutagenesi: ClB + l C B + P Trattamento con agente mutageno X X X Y l C B l C B + + l C B + + + + l* F1 2 1 : Raramente X X X Y X X Nella presente diapositiva è presentato il test ClB, che si fonda sull’utilizzazione di un cromosoma X (disegnato in celeste nella diapositiva) con 3 “marcatori” genetici particolari: 1) un’inversione complessa che impedisce la ricombinazione fra gli altri 2 marcatori (C), i cui confini sono indicati dai trattini rossi; 2) un allele letale recessivo l che impedisce la sopravvivenza di maschi portatori di un cromosoma X ClB, indicato da una stella a quattro punte rossa; 3) una duplicazione genica che determina, anche in eterozigosi, la formazione di occhi a barra (Bar) e rende riconoscibili le femmine portatrici del cromosoma X ClB (B), indicata da due quadratini gialli. Questo test consiste di valutare la frequenza di tutte le mutazioni letali recessive indotte da agenti mutageni sul cromosoma X di Drosophila melanogaster. Il test si effettua trattando un maschio con l’agente mutageno e accoppiandolo con una femmina eterozigote ClB; nella F1, come ci si aspetta, si ha un rapporto sessi femmine:maschi =2:1; i maschi hanno occhi normali, metà delle femmine hanno occhi normali e metà hanno occhi a barra; dalla F1 si prendono le femmine con occhio a barra, che hanno un cromosoma X ClB ricevuto dalla madre e un cromosoma X proveniente dal padre (verde) e le si incrocia ciascuna con un singolo maschio della F1 che a sua volta ha preso il proprio cromosoma X, normale, dalla madre (nero); ogni coppia viene fatta riprodurre separatamente in una boccetta diversa. Nella maggior parte delle femmine ClB della F1 il cromosoma X derivato dal padre trattato con agenti mutageni non presenta mutazioni letali recessive; tali femmine presenteranno dall’incrocio con un maschio della F1, lo stesso rapporto sessi e lo stesso rapporto fenotipico caratteristico della F1: femmine occhi normali : femmine con occhi a barra : maschi con occhi normali = 1:1:1. Una minoranza delle femmine invece presenta una mutazione letale recessiva indotta dal trattamento mutageno sul cromosoma X di origine paterna; tali femmine sono vitali, perché queste mutazioni hanno portato ad alleli letali recessivi su geni diversi da quello dell’allele “l” di ClB; tali alleli letali appena indotti sono stati indicati nella diapositiva con “l*” e il gene corrispondente è indicato da una stella a 5 punte; quindi queste femmine sono eterozigoti in trans per 2 alleli letali recessivi tra cui c’è complementazione (letali bilanciati); queste femmine non sono in grado di produrre progenie maschile perche portatrici di alleli letali recessivi su entrambi i cromosomi X. Quindi è possibile stimare la frequenza delle mutazioni indotte in base al rapporto fra boccette senza maschi e boccette con maschi nella F2. l C B + l* + l C B + l* + + + Assenza di 2 1 : F2 X Y X X X X
EFFETTI BIOLOGICI DELLE MUTAZIONI: 1 mutazioni germinali, precoci e somatiche Le mutazioni che insorgono in meiosi o dopo o che vi passano senza subire variazioni, determinano nella progenie i seguenti effetti: 1) MUTAZIONI GENICHE: il loro effetto dipende dalla dominanza e dal loro specifico effetto biologico. 2) MUTAZIONI CROMOSOMICHE SBILANCIATE (delezioni, duplicazioni, aneuploidie): sono dannose in eterozigosi e ancora più dannose in omozigosi. 3) MUTAZIONI STRUTTURALI BILANCIATE (inversioni, traslocazioni, fusioni-fissioni centriche): producono un difetto di fecondità negli eterozigoti 4) AUTOPOLIPLOIDIE: sono mal tollerate negli animali, ben tollerate nelle piante. 5) ALLOPOLIPLOIDIE: sono ben tollerate nelle piante e del tutto feconde. Le mutazioni che insorgono nello zigote, durante la segmentazione o nelle prime fasi dell’embriogenesi, eventualmente prima della distinzione fra cellule somatiche e germinali sono le MUTAZIONI PRECOCI, che determinano il loro effetto in settori del corpo tanto più ampi quanto più precoce è la mutazione; sono una delle cause del MOSAICISMO (presenza di cellule con due o più genotipi diversi in un individuo). Numerose sono le mutazioni geniche note nell’uomo che hanno un effetto negativo o letale, che diano origine ad alleli dominanti (nanismo acondroplastico, corea di Huntington, neurofibromatosi) o recessivi (xeroterma pigmentoso, anemia falciforme, distrofia muscolare di Duchenne, emofilia). Alcune mutazioni che riguardano i geni dell’emoglobina (anemia falciforme, talassemia) hanno un effetto letale o subletale in omozigosi (anemia falciforme, morbo di Cooley), mentre, in eterozigosi (falcemia, talassemia minor), sono vantaggiose nelle regioni malariche perché rendono i portatori più resistenti alla malaria. Complessivamente circa l’1,2% dei nati vivi è portatore di una nuova mutazione genica, mentre lo 0,61 è portatore di una nuova mutazione cromosomica; tra queste le mutazioni cromosomiche strutturali bilanciate (0,16%), le aneuploidie dei cromosomi sessuali, cioè la sindrome di Turner - X0, la sindrome di Klinefelter – XXY (0,18%) e la trisomia del cromosoma 21, sindrome di Down (0,12%) sono particolarmente frequenti. Le mutazioni cromosomiche pesano moltissimo nel determinare la mortalità prenatale dovuta agli aborti spontanei: circa il 15% dei concepimenti riconosciuti, cioè in cui si è realizzato l’anidamento dela blastocisti, si risolve in un aborto spontaneo; la metà degli aborti spontanei è dovuta a mutazioni cromosomiche, tra cui vi sono le mutazioni cromosomiche strutturali strutturali (3% degli aborti spontanei), le triploidie e le tetraploidie (11%), le trisomie di quasi tutti i cromosomi (26%), la monosomia del cromosoma X – XO – che nei nati vivi da la sindrome di Turner (9%). I mosaici sono organismi in cui sono presenti cloni di cellule geneticamente diverse fra loro in seguito a una mutazione precoce. Più precoce è la mutazione, più ampio è il clone mutato. L’effetto biologico del mosaicismo dipende dal gene mutato e dall’estensione del clone mutato. Le mutazioni somatiche, con l’esclusione della cancerogenesi, anche se talvolta sono visibili in limitati distretti corporei, in genere hanno un effetto biologico limitato. Le mutazioni che insorgono nelle cellule somatiche sono le MUTAZIONI SOMATICHE, che determinano il loro effetto in settori limitati delle cellule somatiche.
EFFETTI BIOLOGICI DELLE MUTAZIONI: 2 mutazioni somatiche e cancro Cellule normali Cancro Displasia mutageni Mutazioni somatiche Il cancro viene indotto da una successione di mutazioni somatiche che coinvolgono geni connessi al controllo della proliferazione cellulare e che conferiscono ai cloni cellulari mutati una proliferazine incontrollata. Metatstasi La predisposizione genetica al cancro consiste in genotipi che derivano dalla trasmissione ereditaria via linea germinale di assetti genetici (alleli, cromosomi mutati etc) e che facilitano l’insorgenza di tumori: L’origine genetica del cancro è ormai accertata: in alcuni casi il meccanismo scatenante consiste nell’attivazione eccessiva o nell’inattivazione di geni connessi con il controllo della proliferazione cellulare; per la maggior parte dei casi si tratta di mutazioni geniche o cromosomiche, numeriche o strutturali intervenute nelle cellule somatiche. La cellula mutata prolifera senza più controllo e costituisce un clone tumorale. Lo sviluppo del cancro è dovuto a più mutazioni insorte via via nelle popolazioni cellulari in cui si sviluppano cloni tumorali sempre più aggressivi. Gli agenti cancerogeni sono soprattutto agenti mutageni ambientali di natura fisica, chimica o anche biologica, come particolari virus. Il cancro insorge con frequenza molto più alta in individui geneticamente predisposti. Gli omozigoti per uno dei geni dello Xeroderma pigmentosum non sono in grado di effettuare la riparazione per escissione di nucleotidi nel DNA danneggiato; queste persone non sono in grado di riparare il danno indotto dalla radiazione ultravioletta, componente importante della luce solare; pertanto l’esposizione diretta al sole determina per loro un rischio elevato di tumori della pelle. Gli eterozigoti RB1+/RB1- possono, in seguito a una mutazione somatica, produrre cloni cellulari RB-/RB-, che non controllano più la transizione G1-S e che quindi proliferano in maniera non regolata, determinando lo sviluppo di un tumore tipico, il retinoblastoma. p. es. genotipi difettivi per la riparazione del DNA danneggiato, come l’omozigosi per gli alleli recessivi di Xeroderma pigmentosum, difettiva per la riparazione da escissione (diapositiva 5), aumentano il tasso delle mutazioni somatiche. p. es. genotipi potenzialmente difettivi per il controllo del ciclo cellulare, come l’eterozigosi per gli alleli recessivi di RB1, che in omozigosi non controllano pù il passaggio da G1 a S, consentendo una proliferazione indiscriminata.
Mutazioni e cancro Go G1 S pABL pRB1 Le mutazioni somatiche che portano al cancro riguardano in particolare: a) geni che tutelano la stabilità del ganoma – protezione- riparazione del DNA (p. es. Xp); b) geni “oncosoppressori” che controllano la progressione nel ciclo cellulare (p. es RB1); c) “protooncogeni”, che inducono la proliferazione cellulare in seguito a stimoli specifici (p. es. ABL). Go G1 S Controllo Induzione pABL pRB1 I meccanismi principali per cui le mutazioni somatiche innescano la trasformazione tumorale sono espressione di nuovi alleli dovuti a mutazione genica; effetto di posizione in inversioni e traslocazioni, per cui un gene modifica la sua espressione in funzione delle regioni cromosomiche adiacenti o addirittura si formano geni “ibridi”; alterazione del dosaggio genico in seguito a mutazioni cromosomiche sbilanciate o ad amplificazione; pseudodominanza o “perdita di eterozigosità” per cui si manifestano alleli recessivi in seguito alla perdita dei corrispondenti alleli dominanti in seguito a delezione, monosomia o ulteriori mutazioni alleliche verso l’allele recessivo. Le mutazioni somatiche coinvolte nella cancerogenesi portano ad alleli recessivi (alleli con “perdita di funzione”) nel caso dei di geni per la stabilità del genoma e oncosoppressori e ad alleli dominanti (alleli con “acquisto di funzione”) nel caso dei protooncogeni. I geni oncosoppressori sono connessi con il controllo della progressione del ciclo cellulare e i loro prodotti impediscono la transizione G1/S o G2/mitosi di cellule “anormali”, spesso avviando le cellule stesse verso l’apoptosi. Gli oncogeni invece sono connessi con la trasduzione del segnale e i loro prodotti stimolano la proliferazione cellulare in cellule altrimenti quiescenti in seguito a precisi stimoli provenienti dall’ambiente in cui la cellula si trova. Nella diapositiva sono indicati gli esempi di un oncogene (ABL) e di un gene oncosoppressore (RB1), i cui prodotti proteici sono designati dal prefisso p-, per i quali sono coinvolte mutazioni cromosomiche. Nel caso di RB1 si parte da un genotipo “geneticamente predisposto” (vedere diapositiva precedente) RB1/RB1+ e, attraverso la delezione del segmento cromosomico che contiene RB1+ si manifesta, per pseudodominanza, il fenotipo dovuto all’allele recessivo RB1. Il termine più generale di “perdita di eterozigosità” (l’acronimo in inglese è LOH) include sia i fenomeni di pseudodominanza con l’allele recessivo in condizione emizigote Cromosoma “Philadelphia” RB1 RB1- RB1- BCR BCR-ABL Cromosoma 13 ABL Delezione - pseudodominanza Cromosoma 22 Cromosoma 9 Traslocazione – gene ibrido