il ruolo del dirigente pubblico

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il ruolo del dirigente pubblico Prevenzione del mobbing e strumenti di ottimizzazione della produttività nelle PA: il ruolo del dirigente pubblico Avv. Roberta Bruno 24 marzo 2012

D.lgs. 150/2009 (cd. riforma Brunetta): ampliamento dei poteri e delle responsabilità della dirigenza pubblica: valutazione del personale: rafforzamento dei sistemi di misurazione e valutazione della performance - estensione del potere disciplinare del dirigente nei confronti dei dipendenti assegnati al proprio ufficio rafforzamento dei poteri e dell’autonomia del dirigente nella gestione delle risorse umane rispetto al sindacato: argine alla contrattazione in materia di organizzazione (nuovo art. 40, D. Lgs. n. 165/2001) e incompatibilità per i dirigenti che abbiano rivestito cariche politiche o sindacali

Sistemi di misurazione e valutazione della performance Il legislatore (nel titolo II del d.lgs. n. 150/2009, artt. 4-31) si limita a prevedere le fasi del ciclo di gestione delle performance: necessità di stabilire gli obiettivi dell’azione amministrativa il monitoraggio in corso di esercizio la misurazione e valutazione della performance l’utilizzo dei sistemi premianti rendicontazione dei risultati ai competenti organi politico-amministrativi

Ciclo di gestione delle performance Utilizzo dei sistemi premianti Definizione degli obiettivi Valutazione della performance Rendicontazione dei risultati Assegnazione degli obiettivi Misurazione della performance Collegamento obiettivi – bilancio/PEG Interventi correttivi sugli obiettivi Monitoraggio degli obiettivi Monitoraggio degli obiettivi

Il sistema premiale: istituti di premialità a disposizione di ogni dirigente Ogni dirigente ha a disposizione i seguenti istituti di premialità per la valorizzazione dei dipendenti: a) il bonus annuale delle eccellenze Art. 21 b) il premio annuale per l’innovazione Art. 22 c) le progressioni economiche Art. 23 d) le progressioni di carriera Art. 24 co. 3 e) l’attribuzione di incarichi e responsabilità Art. 25 f) l’accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale, in ambito nazionale e internazionale. Art. 26

Il nuovo assetto dei poteri dirigenziali in materia di valutazione delle performance: Il dirigente valuta in piena autonomia ai fini: della suddivisione in fasce di merito del personale della distribuzione del trattamento economico accessorio legato alla performance della progressione professionale orizzontale (economica) della progressione verticale tra le aree

per regioni ed enti locali Fasce di merito: due tipologie previste dal legislatore per l’inquadramento del personale dipendente per le PA statali Art. 19 fasce “chiuse” Il legislatore ha stabilito che: - le fasce sono obbligatoriamente 3 - il numero dei dipendenti da collocare in ognuna delle tre fasce debba corrispondere alla misura del 25%, 50% e 25% le risorse premiali da imputare a ciascuna delle fasce debbano essere prestabilite rigorosamente: per la fascia di eccellenza (25%) metà del trattamento accessorio per la fascia intermedia (50%) metà del trattamento accessorio per la fascia bassa (25%) nessun trattamento accessorio per regioni ed enti locali Art. 31 fasce “aperte” una quota prevalente delle risorse destinate al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale deve essere attribuita al personale che si colloca nella fascia di merito alta possibilità di prevedere più di tre fasce di merito non è predeterminato il numero dei dipendenti da inquadrare nelle singole fasce - non sono predefinite le risorse da assegnare a ciascuna fascia.

Il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo può essere raggiunto solo mediante la distribuzione forzatamente differenziata dei dipendenti in fasce?

Valutazione delle performance: La misurazione e la valutazione delle performance sono considerate dal legislatore della riforma di per se stesse strumenti di massima efficienza ed efficacia. Invece vanno considerate soltanto la fase terminale di un processo assai più complesso. Valutare il merito non vuol dire solo differenziare. Differenziare non deve essere l’obiettivo ma il risultato.

Finalità della riforma (art. 1 d.lgs. 150/2009): -incentivazione della qualità della prestazione lavorativa -valorizzazione delle capacità e del merito -incremento dell’efficienza del lavoro pubblico -contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo È sufficiente che la legge garantisca al dirigente la titolarità esclusiva dei poteri disciplinari, di valutazione, di gestione dell’organizzazione degli uffici? Oppure è fondamentale che egli sappia usare i suoi poteri gestionali, dimostrandosi un buon manager?

Quanto è importante il ruolo del dirigente nella valutazione? Corretto utilizzo di prerogative e poteri dirigenziali introdotti dalla riforma del pubblico impiego: -incentiva efficienza e produttività dei dipendenti - favorisce il benessere lavorativo e il rispetto della dignità dei lavoratori/trici - contrasta ogni forma di mobbing e discriminazione -adegua il comportamento del datore di lavoro pubblico alle indicazioni dell’Unione Europea Cattivo esercizio di poteri e prerogative dirigenziali valutazioni avvertite come ingiuste, politiche di gestione del personale parziali e regole organizzative scorrette: -demotiva i dipendenti - compromette il clima lavorativo costituendo presupposto di conflittualità e contrasti -costituisce i presupposti di condotte mobizzanti

Limite dell’intervento riformistico di cui al d.lgs. n. 150/2009 La riforma sembra solo garantire al dirigente maggiori poteri e responsabilità mediante una definizione rigorosa della legge, nonché maggiori spazi di azione rispetto alla politica e ai sindacati la cui area di intervento appare ridotta dalla legge.

Limite dell’intervento riformistico del d.lgs. 150/2009 Risultano del tutto assenti nel d.lgs. 150/2009 richiami ai canoni organizzativi e alle tecniche di gestione degli uffici e del personale che dovrebbero invece far parte del bagaglio di competenze professionali essenziali del dirigente. Nulla viene disposto in merito agli atti gestionali relativi alle risorse umane, all’azione che deve essere messa in opera da ciascun dirigente per governare al meglio la struttura e il personale al fine di indirizzarli al raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico. La concreta definizione della gestione dei dipendenti è affidata alla scelta esclusiva e alla diretta responsabilità del dirigente

I RISCHIO: distorsioni applicative nelle valutazioni dei dipendenti Se vi è una elevata concentrazione dei lavoratori nelle fasce di merito alte, lasciando pochissimi individui nelle fasce basse, la valutazione evidenzierà i peggiori e non distinguerà i migliori Avrà una funzione essenzialmente punitiva e non premiante

Funzione della valutazione La valutazione deve avere la funzione di evidenziare la professionalità, le competenze e le capacità di sviluppo dei singoli soggetti, non ha la funzione di evidenziare i “peggiori” e punirli. La funzione punitiva deve essere svolta non attraverso il sistema di valutazione ma attraverso il procedimento disciplinare.

Valutazione e mobbing Anche la valutazione rientra in quei comportamenti che, anche se leciti se considerati singolarmente, possono essere posti in essere in modo miratametne sistematico con intento vessatorio contro il dipendente finendo per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente con effetto lesivo dell’equilibrio fisiopsichico di quest’ultimo (mobbing).

Consiglio di Stato sez. VI, 12.3.2012 n. 1388: mobbing nel P.I. “Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio”.

Consiglio di Stato sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 815 “La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione, emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing”.

Consiglio di Stato sez. IV, 10.01.2012, n. 14 “Ai fini della configurabilità della condotta lesiva qualificata danno da mobbing, sono rilevanti, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza, con la conseguenza che la ricorrenza di un'ipotesi di condotta mobbizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte, pur se idonea a palesare singulatim elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo.”

II RISCHIO: distorsioni applicative nelle valutazioni dei dipendenti L’attività di valutazione ha mere finalità economiche e non da alcun feedback al lavoratore sulla sua prestazione al fine di migliorarla (il dirigente dovrebbe spiegare al dipendente come migliorare)

Conseguenze delle distorsioni applicative nelle valutazioni Una valutazione con tali risultati non migliorerà nulla dal punto di vista della produttività sarà solo un costo dal punto di vista organizzativo (tempo dedicato) determinerà un peggioramento delle relazioni, l’emersione di conflitti, creerà presupposti per il mobbing.

La valutazione è utile se consente al dipendente di migliorare Per valutare è fondamentale che il dirigente pubblico si assuma la responsabilità di “capo” e dia un chiaro feedback al collaboratore circa il suo operato: per consentire al dipendente di migliorare il dirigente dovrebbe dirgli come farlo, interessarsi a chi lavora facendolo costantemente professionalizzare e progredire, e dovrebbe riconoscere la centralità del lavoratore rispetto al contesto organizzativo.

Per giungere ad una valutazione che sia utile (nel senso di incentivare i comportamenti virtuosi) i valutatori devono tenere conto di una serie di elementi: occorrono regole chiare e ragionevoli che devono essere comunicate ed accettate dai dipendenti, i sistemi di valutazione devono essere conoscibili in modo adeguato, sia i soggetti valutati che i valutatori devono partecipare alla definizione delle regole; con regole oggettive di valutazione si possono gestire positivamente le relazioni, evitando traumi, turbamenti, sconvolgimenti, imposizioni e forzature.

Esempi di regole oggettive -valutazione in base alla presenza in servizio: considerare chi beneficia del part-time, della l. 104/1992, dei permessi studio, chi supera un certo numero di assenze per malattia; assegnare un punteggio aggiuntivo a chi svolge prestazioni di lavoro straordinario in quanto mette a disposizione il proprio tempo ecc. -far compilare una “scheda rilevazione attività” in cui sono stabiliti a monte i punteggi da assegnare alle attività (es. n. determinazioni, n. deliberazioni, n. corrispondenza con indicazione dei periodi temporali)

Il sistema di valutazione richiede lavoro, tempo, confronto, equilibrio, correttezza e buona fede. Ciò significa creare giorno per giorno le condizioni organizzative e le situazioni di confronto necessarie per arrivare a fine anno a fare una valutazione chiara e ben motivata che non venga percepita come ingiusta. Il processo relazionale che porterà ad una valutazione seria e condivisa tra soggetto valutato e valutatore deve essere tecnicamente impostato. La scheda di valutazione, la cd. “pagellina” deve basarsi sul rispetto pieno delle regole e del principio di motivazione di ogni valutazione.

Valutazione corretta delle performance Utilità di un confronto, secondo i canoni del peer review (revisione tra pari), tra i dirigenti dello stesso ente al fine di equilibrare ed uguagliare le valutazioni del personale e, quindi, evitare che differenti comportamenti adottati dai dirigenti nei processi valutativi portino a valutazioni avvertite come inique e quindi foriere di contenzioso

Conseguenze delle distorsioni applicative nelle valutazioni /2 Conseguenze di valutazioni avvertite come ingiuste, pratiche di gestione del personale scorrette, gestione iniqua e parziale delle regole organizzative: - effetti deleteri sull’atmosfera di lavoro danneggiamento del clima collaborativo relazioni con i capi e tra colleghi ostili e conflittuali (mobbing) demotivazione dei dipendenti contenzioso

Ruolo OIV: Organismo indipendente di valutazione della performance Soggetto preposto a: certificazione della selettività nell’attribuzione dei premi legati alla produttività verifica della coerenza tra valutazione delle performance e i miglioramenti dei servizi generati garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione invalidazione dei processi valutativi caratterizzati dalle descritte distorsioni applicative (es. turnazione nel posizionamento nelle fasce di merito e rischio di affollamento delle fasce più alte)

Due modi possibili di attuazione della riforma Ottica giuridica Attuare solo formalmente la riforma senza innovare nulla Il dirigente si chiede: “come posso evitare le sanzioni previste in caso di mancato adempimento?” L’adempimento dei precetti normativi è il fine anziché il mezzo di cambiamento Ottica manageriale Riformare la PA attraverso gli strumenti normativi introdotti Il dirigente si chiede: “come colgo le opportunità della riforma e gestisco le criticità?” L’adempimento dei precetti normativi è il mezzo di cambiamento e non il fine

Attuazione sistema di valutazione Il sistema delle performance potrà costituire un’occasione per migliorare l’efficienza delle PA a condizione che vengano superate le resistenze e le riluttanze culturali rispetto alle valutazioni differenziate in termini meritocratici operate dai dirigenti nei confronti dei propri collaboratori. Occorre una applicazione seria e responsabile delle disposizioni introdotte con la riforma e, quindi, considerare le norme non come meri ostacoli da aggirare, ma come possibili soluzioni alle inefficienze delle PA, secondo una mentalità manageriale volta al conseguimento di risultati migliorativi reali attraverso gli adempimenti previsti dalla riforma.

Comparazione internazionale Da una ricerca basata sulla comparazione internazionale della competitività dei Paesi europei e dell’efficacia delle PA è emersa la posizione molto arretrata dell’Italia rispetto agli altri Paesi del mondo Nei Paesi forniti di sistemi di valutazione delle performance di buon livello, quali i Paesi scandinavi, si registrano ottimi livelli di efficienza delle PA e di competitività a livello internazionale F. Monteduro in AziendaPubblica n.1/2009.

Relazione tra performance e efficacia PA

Comparazione internazionale compliance-based accountability “Dar conto” basato non sulle performance ma sulla conformità alla legge, rispetto e osservanza delle regole corrisponde ad un modello della PA tradizionale, ha come oggetto prevalente la legittimità nell’utilizzo delle risorse finanziarie, conformità dell’azione a prescrizioni normative performance based accountability utilizzata a partire dagli anni 80, caratterizzata da logiche e strumenti di tipo manageriale, punta non più solo alla legittimità, ma sulle performance conseguite in termini di efficienza ed efficacia I processi in cui si concretizza sono quelli della misurazione dei risultati ai fini dell’allocazione delle risorse

Relazione tra performance e efficacia PA L’analisi empirica condotta su un campione di 38 Paesi conferma esiste una correlazione tra il grado di evoluzione dei sistemi di accountability (funzione di dar conto) in una logica performance – based ed il livello di efficacia ella PA. I processi di riforma della PA hanno determinato a livello internazionale l’evoluzione dell’accountability da logiche compliance-based a logiche performance based portando a un miglioramento dei risultati

Il nuovo assetto dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti in materia disciplinare /1 Il d.lgs. 150/2009 appare ispirato da una concezione oltre che tecnicistico-aziendalistica, anchè neo-autoritaria dell’organizzazione della p.a, ossia fondato sul binomio comando/autorità. In particolare ciò traspare dalla previsione del vincolo gravante sul dirigente (artt. 55 e ss. del TU 165/2001) di esercitare sempre e comunque l’azione disciplinare nei confronti dei propri diretti dipendenti, a pena di ritrovarsi esposto personalmente all’erogazione di una sanzione disciplinare.

Il nuovo assetto dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti in materia disciplinare /2 Il comma 3 dell’art. 55sexies stabilisce che nel caso in cui chi ha qualifiche dirigenziali ometta o ritardi l’esercizio dell’azione disciplinare senza giustificato motivo, oppure esprima valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare manifestamente infondate o irragionevoli, sarà soggetto all’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita; sarà soggetto, altresì, alla mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un certo importo

Il nuovo assetto dei poteri dei dirigenti in materia disciplinare /3 Tale vincolo rende il dirigente titolare di spazi di discrezionalità assai ridotti nell’ambito delle relazioni interpersonali con i propri dipendenti. Sotto tale profilo il dirigente pubblico si differenzia dal manager privato a cui è lasciata la più ampia discrezionalità in merito all’esercizio del potere disciplinare.

È corretto ritenere sufficiente “legare” al luogo di lavoro il dipendente pubblico mediante la minaccia inflessibile di sanzioni disciplinari per stimolare l’efficienza e la produttività? Come trasformare il dipendente pubblico da passivo erogatore di attività lavorative poco efficienti in attivo erogatore di una collaborazione utile per la pa e quindi per i cittadini e gli utenti dei servizi erogati?

Limite dell’intervento riformistico di cui al d.lgs. n. 150/2009 L’intervento riformatore è connotato da un eccessivo sbilanciamento verso modalità gestionali di tipo neo-autoritario. Di contro, le politiche promozionali della produttività, anche in considerazione della modernizzazione tecnologica delle strutture amministrative, possono innestarsi saldamente solo in presenza di determinati presupposti: la crescita professionale dei dipendenti una preparazione di tipo manageriale dei dirigenti pubblici

Limite dell’intervento riformistico di cui al d.lgs. n. 150/2009 La riforma del lavoro alle dipendenze della p.a. determina un assetto gestionale delle pa non sufficientemente basato sull’inclusione partecipativa dei dipendenti, né permeato dalle moderne concezioni di relazione di lavoro incentrate sul coinvolgimento, motivazione, e condizioni di benessere lavorativo

Lavoratori pubblici: aspetti motivazionali I lavoratori pubblici dovrebbero essere naturalmente più motivati dei lavoratori privati in quanto rivestono un ruolo di cui beneficia la collettività ed erogano servizi fondamentali per l’interesse pubblico (istruzione, sanità, gestione del territorio, sicurezza). In linea di principio dovrebbero trovare maggiore soddisfazione nel lavoro che fanno rispetto ai lavoratori privati che operano per il profitto del capo dell’impresa.

Aspetti motivazionali Chi opera nel pubblico dovrebbe avere in sé una forte motivazione intrinseca (cioè che nasce da dentro), senza bisogno di stimoli esterni quali possono essere i sistemi punitivi disciplinari o incentivanti di tipo economico. Tuttavia è realtà diffusa che fattori lavorativi esterni deteriorino la motivazione intrinseca: il sistema retributivo non differenziato, regole organizzative non strutturate, non condivise e mal gestite (violazione dei principi di imparzialità, trasparenza, uguaglianza) abbassano la motivazione del lavoratore.

Aspetti motivazionali In situazioni organizzative come quelle dell’impiego pubblico, i risultati di efficienza sono meglio conseguibili non solo attraverso strumenti punitivi e incentivi monetari ma soprattutto elaborando strategie che inducano i dipendenti a riconoscersi nell’organizzazione e a condividerne la missione in una logica identitaria

Motivazione al lavoro Quando il lavoratore è motivato al lavoro? Quando percepisce: 1) il senso del raggiungimento di un risultato, l’utilità del proprio lavoro 2) il senso di appartenere a un’organizzazione che si prende cura di lui

È possibile un cambiamento dei comportamenti dei lavoratori pubblici? Attualmente in riferimento alla pubblica amministrazione italiana vi è una forte tendenza a sovra-utilizzare le leve normative per modificare i comportamenti. Concezione diffusa nelle PA porta a ritenere il comportamento dei dipendenti pubblici “non modificabile”. Vi è una scarsa fiducia nelle possibilità di cambiamento.

È possibile un cambiamento dei comportamenti dei lavoratori pubblici? Sui cambiamenti trasformativi e culturali Shein scrive: prima di poter imparare qualcosa di nuovo si deve prima disimparare qualcosa, ed è proprio il processo del disimparare che è faticoso, genera resistenza al cambiamento e ansia sia per ciò che si lascia sia per ciò che si dovrà imparare.

Cambiare i comportamenti improduttivi dei lavoratori Il comportamento risponde a idee di fondo di una persona, dinamismi inconsapevoli e culturali (una certa idea della professione, una certa idea di priorità, valori ecc) che continueranno a funzionare a dispetto di qualsiasi intervento normativo, fino a quando non verrà riconosciuta a livello culturale una identità degna al lavoro pubblico. L’azione sui rapporti e la capacità di creare una nuova cultura del lavoro pubblico risultano decisive nel processo di rilancio della PA mediante la ricerca delle azioni più adatte ad orientare il moto delle persone ad una meta.

Teorie di management e leadership /1 È illusorio ritenere che il semplice buon senso possa bastare per dirigere istituzioni complesse e garantire il raggiungimento delle finalità istituzionali attraverso comportamenti adeguati dei collaboratori. Il raggiungimento dell’obiettivo di un adeguato coinvolgimento e impegno dei dipendenti richiede azioni sia di management sia di leadership.

Teorie di management e leadership /2 Tali teorie si basano sulla capacità dei dirigenti pubblici di incidere in modo profondo e radicale sui comportamenti dei dipendenti pubblici e sul clima lavorativo e considerano il manager come soggetto motore dell’azione organizzativa, capace di fare progetti ed attuarli coinvolgendo e motivando i propri dipendenti e guidandoli con entusiasmo, rigore ed equità. Attività amministrativa più efficiente, efficace e funzionale alla soddisfazione degli interessi pubblici

Teorie di management e leadership/3 La cultura del merito, la leva della produttività derivano da meccanismi complessi e profondi. Sia le tecniche di management sia la leadership possono essere apprese dai dirigenti mettendo nelle condizioni ogni ente e ogni suo membro di crescere e svilupparsi. Possono essere considerate due aspetti della medesima attività direzione, vanno utilizzati gli strumenti riferibili ad entrambe.

Teorie di management e leadership/4 Sulla base di quanto emerge dalle teorie manageriali le competenze e le abilità in materia di organizzazione e gestione del personale sono tutt’altro che una dote naturale e affinché tali competenze siano acquisite e coltivate è necessario che i dirigenti siano destinatari di attività formative che mirino ad una cultura manageriale sia nella fase iniziale della loro carriera (es. introdurre come materia concorsuale psicologia del lavoro) che nel corso dell’intera vita lavorativa.

Formazione continua e permanente del dirigente pubblico: un aspetto centrale per la figura del nuovo manager Le p.a. italiane sono attualmente fornite di dirigenti dotati di sufficiente preparazione tecnica che hanno maturato una cultura burocratico-amministrativa incentrata sul rispetto formale del principio di legalità più che sui principi dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa Mancano nelle p.a. specifici interventi formativi volti a garantire una preparazione di tipo manageriale di cui i dirigenti sono spesso carenti.

Management: lo studio delle attività, logiche e strumenti attraverso cui dirigere un ente di cui si ha la responsabilità, studio delle modalità utilizzate per governare gli enti pubblici e privati.

Attività del management Ogni manager pubblico/privato deve svolgere le cinque attività primarie del management (Fayol 1916): Pianificazione (scegliere obiettivi) Organizzazione (distribuzione del lavoro) Comando (far fare ciò che serve) Coordinamento (far lavorare insieme le persone) Controllo (assicurarsi che il lavoro venga svolto)

Competenze manageriali Competenze del manager necessarie per esercitare in modo efficace le attività manageriali: Competenze personali (gestione di se stessi, governo del tempo di lavoro e dello stress, stabilire le priorità, definire l’agenda) Competenze interpersonali (saper selezionare le persone, ispirare, risolvere conflitti, condurre riunioni, organizzare e allocare le risorse, delegare, valutare le prestazioni, promuovere lavoro di rete e collaborazione, proteggere e promuovere all’esterno il proprio gruppo) Competenze di informazione (ascoltare e parlare, comunicare verbalmente e non verbalmente cogliendo i segnali e tenendo conto delle reazioni) Competenze di azione (riconoscere i conflitti e mediare, gestire i progetti, negoziare/trattare, gestire il cambiamento)

Teorie sulla leadership può essere utile per porre in essere azioni necessarie a ridefinire la cultura del lavoro pubblico e stimolare un nuovo modo di lavorare; è un processo attraverso il quale un individuo o un gruppo sono guidati in una data direzione utilizzando metodi non coercitivi, cioè senza imposizione di autorità (Kotter 1988) ; è una relazione composta da tre elementi fondamentali: il leader, i seguaci e il contesto nel quale interagiscono; il requisito della leadership è il saper guadagnare la fiducia dei collaboratori; si basa sulla coerenza e sulla responsabilità del leader; “La leadership è ciò che si fa, non solo ciò che si è” Nye

La leadership consente di indagare su quali possano essere le pratiche utili per ottenere da ciascun lavoratore un “moto”, comportamenti allineati con quelli degli altri e indirizzati verso gli obiettivi istituzionali; è incentrata sulle relazioni, sul processo di influenzamento che permette di ottenere comportamenti da parte di altri senza l’uso del potere sanzionatorio.

Motivazione al lavoro Azioni per motivare i collaboratori: riconoscere e valorizzare i contributi coinvolgerli nei processi decisionali saper essere un modello in cui i collaboratori possano identificarsi non penalizzare l’errore che deve essere visto come opportunità per imparare condivisione reale del potere e delle responsabilità promozione della partecipazione e della creatività fornire schemi di comportamento, coaching, feedback garantire ai collaboratori informazioni puntuali sulla prestazione lavorativa creare le condizioni affinché possano apprendere le conoscenze e le competenze adeguate minimizzare gli aspetti distruttivi dei conflitti interni, comprendere l’origine del conflitto,le possibili soluzioni per pervenire ad un accordo che soddisfi tutti i membri del gruppo

Rimedi a inefficienze: L’obiettivo del miglioramento delle prestazioni lavorative nel pubblico e dei servizi, lungi dal poter essere realizzato esclusivamente con gli strumenti giuridici di connotazione aziendalistica e punitiva introdotti con la riforma Brunetta, risulta invece ineludibilmente connessa anche all’elaborazione di efficaci strategie operative di valorizzazione del capitale umano.

Pilastro dell’ottimizzazione delle perfomance: rivoluzione culturale e fermentazione aspetti motivazionali Strumenti di sviluppo del capitale umano - applicabilità delle teorie di management e leadership nel pubblico impiego - apprendimento per tutto l’arco della vita professionale: formazione professionale continua quale strumento di contrasto all’improduttività - Comitati Unici di Garanzia (CUG): strumento per le pari opportunità, benessere e contro le discriminazioni analisi di misure e migliori prassi in uso nei Paesi europei (Regno Unito, Francia, Belgio, Germania) dotati di sistemi amministrativi all’avanguardia e verifica trasferibilità di esse nel sistema italiano - analisi istituti incentivanti del lavoro privato e verifica trasferibilità nella PA - proposte di correttivi al d. lgs. n. 150/2009 e s.m.i.

Il futuro del lavoro pubblico: effetti di una rivoluzione culturale Recupero di una identità professionale e maggiore affezione al lavoro Ottimizzazione della produttività Modernizzazione della PA (miglioramento dei rapporti con cittadini e imprese) Sostegno della crescita complessiva del sistema economico, culturale e sociale del Paese.

Riferimenti bibliografici R.Ruffini, Principi per la valutazione, in Risorse Umane, 2/2011 bimestrale marzo-aprile U.Carabelli, Riforma Brunetta: contrattazione collettiva e limiti funzionali della contrattazione integrativa, in Risorse Umane nella pubblica amministrazione, n. 1/2001, bimestrale gennaio-febbraio F. Monteduro Performance-based accountability ed efficacia della PA: prime evidenze empiriche di una comparazione internazionale, in Azienda Pubblica n. 1/2009 A.Saggin e P. Rotondi, Manager o leader? Come le teorie sul management e la leadership possono aiutare i dirigenti della p.a., in Risorse Umane nella pubblica amministrazione, n. 4-5/2011, bimestrale luglio-ottobre 62

Grazie per l’attenzione roberta.bruno@comune.bari.it