Il paziente gravemente ustionato deve affrontare tre emergenze: Ipotermia Shock Infezioni
Patogenesi dello shock da ustioni Si tratta inizialmente di uno shock ipovolemico: dalla superficie ustionata si può perdere plasma in ragione di 0,3 -0,4 ml / cm2 di superficie ustionata al giorno. Per esempio, con una ustione di 2° grado estesa al 50% della superficie corporea, si può avere una perdita giornaliera di 3,6 L (9.000 cm2 x 0,4 ml) di plasma (in teoria, l’intero volume di plasma). Successivamente si instaurano tutti i “circoli viziosi” dello shock che complicano il quadro. Particolarmente importante è la componente cardiogena da edema del miocardio. Infine, si può avere l’instaurarsi di uno shock settico in seguito a una infezione che provoca sepsi.
100 g di H20 a 50°C 100 cal x (50 – 37) = 1.3 kcal = ~ 5500 J 1 Gy = 1 J / Kg 5500 J / 70 Kg = ~ 78 Gy Con esposizioni superiori a 10 Gy, dopo poche ore si ha confusione, stupore, convulsioni, coma, shock, morte.
radiazioni ionizzanti Il danno da radiazioni ionizzanti
Il danno da radiazioni ionizzanti Alterazioni di natura fisico-chimica (frazioni di secondo) Alterazione della struttura atomica Alterazione molecolare (lesione biochimica) Alterazioni biologiche (secondi, ore, anni) Danno cellulare Malattia
Prima fase del danno da radiazioni ionizzanti: L’ALTERAZIONE DELLA STRUTTURA ATOMICA
Elettronvolt (eV) = energia acquisita da un elettrone che attraversa una differenza di potenziale di un volt 1Joule (J) = 6,25 x 1018 eV
Modalità di interazione con la materia di fotoni ionizzanti. Assorbimento fotoelettrico: è la principale modalità di assorbimento per fotoni di energia cinetica inferiore a 1 MeV. Il fotone interagisce con l’atomo e viene interamente assorbito da un elettrone di un orbitale interno che viene espulso. L’atomo diviene così uno ione positivo. Effetto Compton: si verifica con fotoni incidenti di energia pari a 1 MeV. Il fotone entra in collisione con un elettrone di valenza (dell’orbitale più esterno) e lo espelle dall’atomo, proseguendo poi il suo percorso, ma deviato, con minore energia cinetica (fotone secondario). 3) Produzione di coppie: se il fotone incidente ha una energia cinetica superiore a 1.02 MeV, transitando attraverso il campo coulombiano di un nucleo atomico si materializza in una coppia elettrone-positrone (si tratta di un chiaro esempio del principio di Einstein della equivalenza tra energia e materia: l’energia del fotone si trasforma in due particelle dotate di una massa di riposo misurabile).
Interazione dei neutroni con la materia I neutroni, privi di carica, non interagiscono con gli elettroni, bensì con i nuclei degli atomi. 1) Neutroni “veloci”: il neutrone collide con il nucleo di un atomo e viene diffuso (urto elastico); dal nucleo colpito viene espulso un protone, che è il responsabile degli effetti biologici (ionizzazione di altri atomi). 2) Neutroni “lenti”: il neutrone colpisce un nucleo e viene “catturato” (urto anelastico). Si forma una sorta di “nucleo composto”, instabile, che si stabilizza emettendo un fotone o una particella. 1H (n , g) 2H 1H + n D + g 14N (n , p) 14C 14N + n 14C + 1H
Una particella trasporta energia cinetica (Ec) Una particella trasporta energia cinetica (Ec). Alle basse energie (50 KeV per gli elettroni), la quantità di tale energia la si può calcolare secondo la formula classica: Ec = ½ mv2 A parità di energia cinetica, la velocità di una particella di massa elevata è inferiore a quella di una particella di massa minore, e il suo tempo di permanenza nelle vicinanze di un nucleo è maggiore (aumenta, cioè, la sua probabilità di interazione con tale nucleo). Inoltre, la particella, interagendo con un nucleo, subisce una deviazione tanto maggiore quanto minore è la massa della particella (la particella di massa maggiore cede agli elettroni orbitali soltanto una piccola frazione della sua energia). Pertanto, all’interno di un bersaglio, la traiettoria delle particelle di massa maggiore (per es., le particelle a) sarà più breve e più lineare di quella di una particella di massa minore (per es., un elettrone, di massa 7000 volte inferiore a quella di una particella a), ma sarà caratterizzata da un elevatissimo numero di ionizzazioni.
Poiché gli effetti fisico-chimici, e i conseguenti effetti biologici, della radiazione sui tessuti dipendono dalla densità di ionizzazione, per la misura di tale parametro è stata introdotta una grandezza fisica, il trasferimento lineare di energia, o LET ( da linear energy transfer), che esprime la quantità di energia rilasciata per unità di percorso dalle particelle ionizzanti nel materiale attraversato, e si esprime in KeV/micron.
Seconda fase del danno da radiazioni ionizzanti: L’ALTERAZIONE DELLA STRUTTURA MOLECOLARE
Effetto diretto ed effetto indiretto delle radiazioni ionizzanti su di una macromolecola”bersaglio”
Rapporto tra la dose assorbita e la quantità di H2O2 prodotta in assenza (A) e in presenza di ossigeno (B).
Rapporto tra oxygen enhancement ratio (OER) e pressione parziale di ossigeno. Nei tessuti ben vascolarizzati, le variazioni fisiologiche della pressione parziale di ossigeno si accompagnano a variazioni trascurabili dell’OER.
I radicali liberi – in qualsiasi modo prodotti (radiazioni, reazioni chimiche, agenti biologici) – possono danneggiare qualsiasi molecola o struttura cellulare. Si verificano: Modificazione ossidativa delle proteine (sia enzimatiche che strutturali) con ossidazione delle catene laterali degli aminoacidi, formazione di legami crociati intermolecolari (specialmente mediati da ponti disolfuro), frammentazione della catena proteica; si avranno danni alle strutture (per esempio, le membrane) e riduzione della funzione degli enzimi (le molecole danneggiate vengono avviate alla degradazione nel proteasoma). Perossidazione dei fosfolipidi della plasmamembrana e delle membrane degli organuli: il bersaglio più sensibile è rappresentato dai doppi legami degli acidi grassi insaturi; si formano sia ulteriori radicali che amplificano il danno sia prodotti tossici per la cellula. Lesioni agli acidi nucleici: particolarmente sensibile è la timina (perciò il DNA sarà più facilmente danneggiato dell’RNA). Si possono avere delezioni di singole basi, rottura di singoli filamenti e formazione di legami crociati tra punti diversi di un filamento o tra filamenti diversi.
Terza fase del danno da radiazioni ionizzanti: IL DANNO CELLULARE
Per motivi soltanto in parte noti, il DNA e le funzioni ad esso correlate (trascrizione e sintesi di proteine; replicazione e mitosi) sono particolarmente sensibili alle radiazioni ionizzanti, tanto che ormai si considera il DNA il “bersaglio” della azione lesiva di tali radiazioni. Tale caratteristica spiega – almeno in parte – alcune osservazioni della radiobiologia classica: Le cellule in attiva proliferazione e meno differenziate sono più radiosensibili delle cellule quiescenti e meno differenziate (cosiddetto “principio di Bergonié e Tribondeau”); Le cellule più sensibili alle radiazioni sono, in genere, quelle in fase G2 ed M del ciclo cellulare; Una singola dose di radiazioni è più dannosa rispetto alla stessa dose somministrata in frazioni successive: le cellule, infatti, hanno così tempo di riparare il danno subito, specialmente quello a livello del DNA.
Scala approssimativa della radiosensibilità tissutale Tessuto Radiosensibilità relativa Tessuto linfatico ed emopoietico, epitelio molto elevata germinale e dell’intestino tenue Cute ed altri tessuti epiteliali (cornea, cristallino, elevata mucose del tratto digerente) Cartilagine ed osso in accrescimento discreta Epiteli ghiandolari (gh. salivari), fegato, rene media polmone Muscolo, tessuto nervoso centrale e periferico scarsa osso e cartilagine maturi
Radiazioni particolate (a, b, protoni) Raggi x e g Radiazioni particolate (a, b, protoni) Ionizzazione ed eccitazione Calore Modificazioni chimiche (formazione di radicali liberi) “Riparazione” chimica Effetto ossigeno Alterazioni biologiche (danno al DNA, etc.) Riparazione del DNA Trasformazione cellulare Mutazioni Apoptosi, inibizione della divisione cellulare, morte in interfase Tumori Effetti genetici Effetti somatici acuti e cronici Danno probabilistico Danno non probabilistico
Meccanismo del danno cellulare tissutale non probabilistico Per definizione, l’entità del danno non probabilistico da radiazioni varia con la dose. Oggi, sappiamo che variano anche i meccanismi di tale danno. Si possono avere effetti sia acuti (si sviluppano nell’arco di poche ore) sia cronici (si sviluppano nell’arco di mesi e anni). Effetti acuti Dosi di 0,5 Gy o meno, non provocano evidenti alterazioni istopatologiche nelle cellule irradiate. I danni al DNA ci sono, ma non si traducono in alterazioni immediate (potranno tradursi, col tempo in un danno probabilistico: mutazioni e cancerogenesi). L’unico tipo cellulare che risulta acutamente sensibile a queste dosi relativamente basse sono i linfociti (specialmente i linfociti T) che vanno incontro ad apoptosi. Dosi di 1-2 Gy hanno un effetto citocida sulle cellule proliferanti (cosiddetta morte mitotica: le cellule vanno incontro a 1-2 cicli di replicazione nel quale si evidenziano pesanti alterazioni della mitosi e poi muoiono). Non è ancora stato accertato il ruolo dell’apoptosi in questo effetto delle radiazioni. Dosi superiori a 10 Gy inducono necrosi in numerosi tessuti e tipi cellulari (comprese le cellule endoteliali).
Tuttavia, anche dosi modeste di radiazioni ionizzanti inducono l’attivazione di fattori di trascrizione quali NFkB con conseguenti modificazioni dell’espressione genica in diversi tipi cellulari, specialmente i macrofagi e le cellule endoteliali. Si osservano: aumento dell’espressione dei proto-oncogeni c-fos, c-jun e c-myc; induzione della biosintesi di citochine (IL-1, TNF-a, IL-4) e fattori di crescita (PDGF, bFGF e TGFb); induzione della sintesi di enzimi ad azione antiossidante quali la superossido-dismutasi e di enzimi della riparazione del DNA; attivazione della p53.
Effetti cronici Si possono verificare: atrofia di organi e tessuti, ulcere, fibrosi e tutte le loro conseguenze. La fibrosi è una delle conseguenze tardive più frequenti del danno da radiazioni, specialmente in certi organi, quali il polmone, il cuore, il rene. Le cause della fibrosi sono probabilmente molteplici: necrosi cellulare, flogosi e sostituzione del tessuto perduto con tessuto cicatriziale; ischemia per danno alle cellule endoteliali (cosiddetto danno indiretto) con conseguente atrofia del tessuto; attivazione macrofagica con produzione di mediatori flogistici e fibrogenici.
La sindrome acuta da pan-irradiazione Nel S.I., l’unità di misura della dose assorbita è il gray (Gy): 1 Gy = 1J/kg Si usa ancora il rad: 1 rad = 100 erg/g, per cui 1 Gy = 100 rad Per tenere conto della diversa capacità di ionizzazione (e quindi dei diversi effetti biologici) dei diversi tipi di radiazione, si è introdotta la grandezza detta equivalente di dose, che si ottiene moltiplicando la dose assorbita D per un fattore di correzione N (che per l’irradiazione esterna è considerato sempre 1) e per un cosiddetto fattore di qualità Q. Tale fattore di qualità è (grosso modo) 1 per i fotoni e gli elettroni, 10 per i neutroni e i protoni, 20 per le particelle alfa. Nel S.I., l’unità di misura dell’equivalente di dose è il sievert (Sv): 1Sv =1Gy Se la dose assorbita è misurata in rad, l’equivalente di dose si esprime in rem: 1 Sv = 100 rem. Pertanto, agli effetti pratici, 100 rem si possono considerare equivalenti a 1 Gy.
Tuttavia anche dosi modeste di radiazioni ionizzanti inducono l’attivazione di fattori di trascrizione quali NFkB con conseguenti modificazioni dell’espressione genica in diversi tipi cellulari, specialmente i macrofagi e le cellule endoteliali. Si osservano: aumento dell’espressione dei proto-oncogeni c-fos, c-jun e c-myc; induzione della biosintesi di citochine (IL-1, TNF-a, IL-4) e fattori di crescita (PDGF, bFGF e TGFb); induzione della sintesi di enzimi ad azione antiossidante quali la superossido-dismutasi e di enzimi della riparazione del DNA; attivazione della p53.