ILLECITI ESOFAMILIARI ED ENDOFAMILIARI

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ILLECITI ESOFAMILIARI ED ENDOFAMILIARI

Tribunale di Venezia 3 luglio 2006

Esponeva l’attrice, d’ora in poi A, che la sera del 9-9-1999 insieme alle sorelle D ed E si trovava in Mestre, diretta alla fermata dell’autobus, quando, avendo notato in un piazzale l’auto del marito ed appoggiata a questa una coppia in atteggiamenti di estrema confidenza, decideva di scendere dall’auto nella quale si trovava per verificare quanto stava accadendo.

Una volta avvicinatasi ai due scopriva che si trattava del marito, d’ora in poi B, e di una donna, poi identificata nella C. Il B con le mani la prendeva per il collo sollevandola da terra e provocandole un principio di strangolamento. Grazie all’intervento della D, sorella della donna, la stessa riusciva a svincolarsi dal marito, tuttavia, inseguita dalla C, veniva da questa presa per i capelli e buttata in mezzo ad una strada, ove, per puro caso, la stessa evitò conseguenze più gravi.

A conviene dinanzi al Tribunale di Venezia B, suo marito, e C, amante di questi, per sentir pronunciare sentenza di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non cagionati da questi ultimi (e dalla sola C per il reato di calunnia, avendo questa esposto querela, poi rimessa, nei confronti della A).

Oltre ad un pregiudizio di tipo biologico, l’attrice assume di aver subito un danno morale ex art. 2059 c.c. strettamente ricollegabile alla violazione dell’assistenza morale e materiale da parte del marito, il quale ben avrebbe potuto spiegarle in modo leale ed aperto di essere innamorato di altra donna, piuttosto che reagire nel modo violento denunciato.

Ancora, per mantenersi al piano del danno non patrimoniale, l’attrice lamenta un pregiudizio di tipo esistenziale per aver visto travolto un progetto di vita matrimoniale, rimanendo da sola e dovendo consolare un bambino di dieci anni, al quale aveva dovuto spiegare perché il padre fosse andato via.

Da ultimo la A si duole della perdita di collaborazione nella gestione domestica e conseguentemente della perdita di un apporto economico, su cui aveva diritto di contare.

Fallimento dell’unione definito in modo consensuale, al solo fine di evitare l’appesantimento della situazione.

Le questioni sottoposte dall’attrice attengono ai rapporti tra responsabilità civile ed obblighi derivanti dal matrimonio. La netta barriera che separava i due ridetti ambiti normativi, è stata superata dalla giurisprudenza tanto di merito, quanto di legittimità.

Non ogni violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio può essere fonte di un danno risarcibile in via aquiliana, né il mero addebito della separazione, ossia la consapevole violazione di tali obblighi, può essere sanzionato ex art. 2043 cc., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento. Vale anche la proposizione inversa: la mancanza di addebito della separazione di per sé non esclude il ricorso allo strumento risarcitorio.

Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art. 2043 c.c. anche nell’ambito dei rapporti tra coniugi, occorre vagliare in concreto se la condotta assunta da uno di essi in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio sia anzitutto soggettivamente imputabile al suo autore, in quanto sorretta da dolo o colpa, se essa sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva giuridicamente tutelata dell’altro e produttiva di un danno perciò ingiusto e se fra la condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di causalità giuridicamente apprezzabile.

Particolare importanza al riguardo riveste la dignità dei coniugi, intesa come diritto inviolabile la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile.

È stato ritenuto che dall’episodio di causa è derivato all’attrice un pregiudizio temporaneo di tipo biologico, di natura fisica, della durata di trenta giorni, e di natura psichica, della durata di dieci mesi. Con riguardo alla compromissione psico-fisica per il periodo di inabilità temporanea, sulla base dei consueti indici tabellari, va liquidato quale danno biologico l’importo di euro 5.175.

In ragione della rilevanza penalistica dei fatti in esame è possibile liquidare l’importo di euro 10.000. Nondimeno, per il carattere calunnioso della denuncia sporta, deve essere liquidato l’importo di euro 5.000.

Mette poi conto rilevare che la modalità con cui l’attrice ha dovuto prendere atto del fallimento dell’unione si connota come lesiva della dignità della medesima. È pertanto possibile liquidare l’importo di euro 10.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione della dignità dell’attrice.

Non pare accordabile l’ulteriore pregiudizio di tipo esistenziale. La scarna allegazione attorea non permette di verificare il preteso danno esistenziale che al più poteva essere connotato in termini di appesantimento del ruolo genitoriale. Sennonchè qualsiasi separazione inevitabilmente genera tali complicazioni.

A titolo di danno patrimoniale, sulla scorta della documentazione esibita, può essere liquidata, per spese mediche e specialistiche, la somma di euro 1.152. Sempre sul piano del danno patrimoniale si è fatto riferimento alla perdita della collaborazione nella gestione domestica ed al mancato apporto del reddito del marito. Una simile pretesa finisce per incidere sull’assetto patrimoniale della separazione, rischiando di attribuire indirettamente al risarcimento del danno la funzione propria dell’assegno ex art. 156 c.c. Nulla pertanto può essere riconosciuto per tale voce di danno.