Giuseppe Corlito Coordinatore DSM ASL 9 di Grosseto

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Transcript della presentazione:

LA CULTURA COMPLESSA DEL DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE E DELLE SUE UNITÀ FUNZIONALI Giuseppe Corlito Coordinatore DSM ASL 9 di Grosseto CENTRO FRANCO BASAGLIA Arezzo, 24.10.06

“Dal momento che l’organizzazione è collocata, in ultima analisi, nelle teste dei suoi membri, ogni cambiamento organizzativo, per essere efficace, deve prevedere anche adeguati cambiamenti culturali” Gareth Morgan, Images of Organization, 1986 Corlito, Arezzo, 24.10.06

Cultura e organizzazione Morgan, nel suo libro definito “seminale”, cioè “che lascia il segno” (M. Balducci, 1995), Images, Le metafore dell’organizzazione, definisce la cultura “una traslazione metaforica del concetto di coltivazione, del processo di cura e di sviluppo del terreno. Quando si parla di cultura, ci si riferisce al modello di sviluppo rispecchiato nel sistema di conoscenze di una società, nella sua ideologia, nei suoi valori, nel suo diritto, nei suoi riti quotidiani” “Quando si parla di cultura, dunque, si utilizza una vecchia metafora agricola allo scopo di guidare la nostra attenzione verso aspetti peculiari dello sviluppo sociale” (p. 137, edizione italiana). Corlito, Arezzo, 24.10.06

La cultura organizzativa Quindi, quando usiamo il termine “cultura organizzativa”, utilizziamo una metafora complessa e continuata (in senso retorico un’allegoria), che ci permette di pensare ai gruppi organizzati (anche i nostri servizi) non come a “macchine”, ma come “organismi viventi” tipicamente umani e sociali, che nascono e si sviluppano, con un sistema di valori propri, storicamente determinato e condiviso, che si adatta e modifica l’ambiente in cui si trova. In altri termini essi sono ecosistemi aperti al mondo esterno (=società) con proprie risorse e proprie dinamiche di sviluppo. Corlito, Arezzo, 24.10.06

Culture e sottoculture Sostiene sempre Morgan: “L’influenza dell’ambiente culturale difficilmente è uniforme. Così come gli individui che vivono in una cultura hanno personalità differenti anche se hanno molti valori in comune, anche i gruppi e le organizzazioni possono variare pur restando nell’ambito della stessa cultura. Con l’etichetta ‘cultura aziendale’ di riferiamo a questo fenomeno. Le organizzazioni sono microsocietà, ognuna delle quali ha un suo modello caratteristico di cultura e di sottoscultura” (p. 148-149). “La realtà organizzativa appare più un mosaico piuttosto che come una cultura aziendale uniforme …la maggior parte delle organizzazioni … si presentano come un insieme di sottoculture professionali diverse che hanno molte difficoltà a comunicare” (p. 156). Ciò vale particolarmente per il campo della salute mentale per ragioni teoriche, storiche ed organizzative. Corlito, Arezzo, 24.10.06

La collocazione epistemologica della psichiatria Scienze della natura Scienze dell’uomo Medicina Psichiatria Corlito, Arezzo, 24.10.06

Il campo interdisciplinare della salute mentale Scienze della natura Scienze dell’uomo Scienze dell’educazione Scienze sociali Psicologia Le scienze della salute mentale Psichiatria Neuropsichiatria infantile Infermieristica per la salute mentale Corlito, Arezzo, 24.10.06

Modello bio-psico-sociale Sfera biologica Sfera psicologica Sfera sociale Modello etiologico multifattoriale Corlito, Arezzo, 24.10.06

Una cultura condivisa del Dipartimento di salute mentale Un organico definito e unitario Un piano di formazione unico Corlito, Arezzo, 24.10.06

I cambiamenti epidemiologici Medicina Generale 22% DSM 1,5% Comunità 20-30% 1,5% Corlito, Arezzo, 24.10.06

PREVALENZA TRATTATA UN ANNO PER RAGGRUPPAMENTI DIAGNOSTICI Rilevazione 2003 1.449.067 su 3.047.067 ab. adulti Asl 6 Asl 8 Asl 9 Asl 10 Totale Corlito, Arezzo, 24.10.06

DSM e unità delle cure primarie Consulenza psicologica Servizio di consulenza DSM Unità delle cure primarie Gruppo alla Balint e formazione “a cascata” Corlito, Arezzo, 24.10.06

L’analisi culturale dell’organizzazione Dice ancora Morgan (p.149): “uno dei modi più semplici per capire la natura di una cultura o di una subcultura è rappresentato semplicemente dall’osservare il funzionamento quotidiano del gruppo o dell’organizzazione a cui apparteniamo come se fossimo degli estranei. “Si tratta, in buona sostanza, di comportarci come se fossimo degli antropologi. “Le caratteristiche della cultura che viene osservata emergeranno mano a mano che si scopriranno i modelli interattivi esistenti tra gli individui, il linguaggio usato, le immagini utilizzate come metafore e gli argomenti di conversazione nonché i vari rituali della vita quotidiana. “Alla loro base ci sono spiegazioni storiche molto precise” Esaminiamo riti e miti come portatori della cultura organizzativa Corlito, Arezzo, 24.10.06

Miti Sappiamo dalla storia, dalla letteratura, dall’etnografia (e più recentemente dai teorici della terapia familiare) che i miti sono “idealizzazioni (più o meno spontanea) di un fatto o di un’istituzione o di un evento” (Berardi, 1967), che “subiscono una trasformazione leggendaria, e stimolano per tale via il sentimento e la fantasia degli uomini, sì da influire, sia pure in modo indiretto, su determinati atteggiamenti intellettuali, emotivi e pratici”. I miti sogno, quindi, potenti vettori di cultura lungo le generazioni. Ad es. ogni servizio ha un suo “mito fondativo”, che spesso è nascosto nella cornice organizzativa, di cui chi viene da fuori non si rende subito conto (una sorta di genius loci) Corlito, Arezzo, 24.10.06

Riti Come i miti, “i riti sono spesso inseriti nella stessa struttura formale dell’organizzazione, come nel caso della riunione settimanale con il presidente” (Morgan, p. 152) “Perfino la configurazione di una stanza di riunione vuota può dirci qualcosa della cultura generale dell’organizzazione, dal momento che le stanze per riunioni spesso rispecchiano e riproducono le strutture interattive attese dall’organizzazione” (p. 166) (ad es. le stanze ordinate e quelle caotiche) Corlito, Arezzo, 24.10.06

La cultura come sistema di significati condivisi “Gli slogan, l’utilizzo di un linguaggio suggestivo, i simboli, le storielle, i miti, le cerimonie, i riti e i modelli di comportamento per così dire tribali che decorano la superficie della vita organizzativa rappresentano semplicemente dei fenomeni esterni che ci fanno capire che esiste, dietro di loro, un sistema di significati molto più profondo e pregnante. Cercare di capire le organizzazioni in quanto sistemi culturali significa capire come questo sistema di significati sia creato e mantenuto, sia nei suoi aspetti esteriori che in quelli più profondi” (Morgan, p. 164) Corlito, Arezzo, 24.10.06

LE RAGIONI DI UNA FILOSOFIA ORGANIZZATIVA Corlito, Arezzo, 24.10.06

La relazione di comunità I Lo spazio definito come “relazione di comunità” si configura come la relazione tra il sistema “servizio” e il sistema “comunità”. Il primo può essere inteso come “sistema di gruppi” pluridisciplinari (equipe). Il secondo può essere inteso come “sistema di gruppi sociali di appartenenza” in primo luogo le famiglie Corlito, Arezzo, 24.10.06

La relazione di comunità II Secondo i principi del lavoro di rete ci deve essere: Il coordinamento e la cooperazione degli operatori (lavoro di equipe) Il coordinamento e la cooperazione con le famiglie e i gruppi di appartenenza I due sistemi di gruppi così coordinati devono cooperare tra loro Corlito, Arezzo, 24.10.06

La relazione di comunità III La relazione di comunità implica due conseguenze: Il funzionamento degli operatori come gruppo La continuità terapeutica, cioè la continuità della relazione con i singoli, le famiglie e i gruppi sociali. Corlito, Arezzo, 24.10.06

Il “presidio” del percorso assistenziale Gruppo di auto-aiuto Rischio suicidario SPDC Psicofar-macologia Ristruttura-zione cognitiva Psicoeduca- zione Assesment diagnostico D Medicina generale Attività volontaria CM Gruppo di lavoro pluridisciplinare Corlito, Arezzo, 24.10.06

Il modello toscano: la rete RETE SOC. INFORMALE RETE SOC. FORMALE Op. sociali INDIVIDUALIZZATO PROGETTO Gruppo di lavoro multiprofessionale EQUIPE Modificata da Sirianni, 3.5.2005 C S M S R C D C T APP. AS. SPDC Continuità terapeutica (rete dei presidi) Op. sanitari COMUNITÀ Corlito, Arezzo, 24.10.06

Sviluppare il capitale sociale Putnam, sociologo americano nel 1993 – in base ad una ricerca sul modello di sviluppo toscano, ha definito il capitale sociale come “l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui” Credo che noi dobbiamo contribuire allo sviluppo del capitale sociale toscano, sviluppando la rete formale dei servizi in collaborazione con le risorse della rete informale. Corlito, Arezzo, 24.10.06

Il cambiamento organizzativo “Tradizionalmente, il processo di cambiamento è stato concepito come un problema relativo al cambiamento delle tecnologie, di strutture nonché al cambiamento delle professionalità e della motivazione dei dipendenti. Mentre tutto ciò resta in parte corretto, la possibilità di dar vita ad un cambiamento efficace dipende dalla capacità di cambiare i concetti e i valori che stanno alla base dell’attività dell’organizzazione” “Evidenziando il fatto che l’organizzazione si basa in grande misura sui sistemi condivisi di interpretazione che informano l’azione, la metafora culturale mette a nudo l’importanza che riveste la cultura aziendale come viatico per la realizzazione dell’attività organizzativa desiderata” (Morgan, p.170) Corlito, Arezzo, 24.10.06

Due possibili soluzioni La sanitarizzazione del malessere Uso massiccio degli psicofarmaci Oblio di massa La prevenzione del disagio psichico Servizi di comunità dipartimentali Spostamento dall’ottica terapeutico- riabilitativa a quella preventivo-terapeutica Corlito, Arezzo, 24.10.06

Un’altra conclusione Siccome in termini sociologici la cultura può essere concepita come un processo di attivazione di una realtà condivisa, che non solo si adatta all’ambiente, ma può modificarlo, dobbiamo pensare che l’adozione di un nuovo costrutto sociale, (non solo nelle nostre menti, ma nell’insieme condiviso e fattuale di regole, di norme e di comportamento) può modificare la situazione critica in cui ci troviamo Allora è necessario sostenere con forza il passaggio dal modello terapeutico-riabilitativo a quello preventivo! Corlito, Arezzo, 24.10.06