Gassendi affronta Cartesio non si accontenta di qualche osservazione, ma prende passo dietro passo le Meditazioni metafisiche per capovolgerne la prospettiva un punto di vista nominalistico, sensistico e materialistico, di stampo epicureo jjj
Gassendi adopera tutte le armi anche l’ironia più sottile ...credevo di parlare ad un’anima umana, ossia a quel principio interno per cui l’uomo vive, si muove, sente e intende e invece ... parlavo a un puro spirito, spogliato non solo del corpo ma anche di ogni parte dell’anima
voi dite di essere solo una sostanza che pensa Ma allora pretendete di pensare sempre, forse anche nel sonno più profondo?
ma poi parlate anche dell’immaginazione Come potete dire che immaginare è solo contemplare la figura di una cosa corporea, e pretendere poi di conoscere voi stesso non con l’immaginazione, ma con qualcosa di totalmente diverso?
come può esserci un pensiero senza alcuna immaginazione? se nella seconda meditazione non avevate ancora escluso l’immaginazione (“sono una sostanza che pensa, vuole, sente, immagina anche, ecc.”), perché poi dite di essere solo pensiero?
Cartesio risponde con una certa sufficienza “c’è un equivoco sulla parola ‘anima’: ne ho parlato tante volte, che quasi mi vergogno a tornarci su ancora una volta”
Ma, al di là del tono, Cartesio offre una precisazione interessante: all’inizio, gli antichi filosofi, avevano una concezione monistica dell’uomo: ossia non distinguevano tra le funzioni del corpo (nutrirsi, muoversi, ecc.) e la funzione del pensare, e usavano per entrambe la parola anima
dopo aver adoperato il termine “anima” per tutte le funzioni hanno adoperato il termine “mente” (latino: mens; tradotto in francese come esprit, spirito) per indicare la facoltà di pensare
Ho quindi voluto eliminare ogni possibilità di equivoco e per questo, dice Cartesio, ho parlato della mente (spirito) per indicare che l’anima pensa; per me la mente non è una parte dell’anima, ma è tutta l’anima: è l’anima che pensa ed è res cogitans
Se mi domandi perché sembra che certe volte l’anima non pensi come accade prima di nascere, oppure durante il sonno, ti risponderò che per ricordarsi dei pensieri, quando la mente è unita al corpo, occorre che i pensieri lascino una traccia nel nostro cervello
E così per la differenza tra intendere e immaginare l’ho già detto tante volte che non è necessario che ci ritorni su; l’importante è chiarire che io ho detto nella seconda meditazione di sapere solo di essere una sostanza che pensa; non ho detto che nella mia essenza possa esserci dell’altro
immaginare e pensare sono tuttavia due cose ben diverse e Cartesio ribatte a Gassendi che lo ha chiamato “puro spirito”: “Tutto quello che dite qui, carissima Carne, mi sembrano non obiezioni, ma solo mormorazioni, che non hanno bisogno di replica”
Gassendi insiste sulla terza meditazione a proposito della distinzione tra le idee innate, avventizie e fittizie domanda: “ma non sembra che tutte le idee vengano dal di fuori e che vengano da quel che esiste fuori di noi e colpisce i nostri sensi?”
osserva inoltre a proposito delle idee fittizie anche queste in fondo potrebbero ridursi a quelle che ci vengono dal di fuori; quando ci formiamo l’idea di una chimera non facciamo che unire la testa d’un leone, il ventre di una capra e la coda d’un serpente
tutte le idee possono quindi essere considerate come avventizie anche le idee innate vengono dall’esperienza, come ad esempio l’idea generale di “cosa” (res) un’idea generale di “cosa” può essere nella mente solo se prima vi sono le idee delle cose particolari
per Gassendi le idee innate sono idee naturali sono cioè idee che vengono dall’esperienza, e che sono naturali, ossia “innate” in un senso diverso da quello di Cartesio sono idee che spontaneamente formiamo dall’esperienza
e così anche l’idea di verità la verità è infatti la conformità del giudizio alla cosa di cui si giudica tale conformità è una relazione, che richiede il confronto tra la cosa di cui abbiamo esperienza e l’idea che è nella mente
per questo il dubbio non può essere preso sul serio non si può dubitare dell’esistenza reale delle cose fuori di noi
Gassendi enuncia un principio di carattere generale se uno ha un’idea, è perché ha avuto un’esperienza di qualcosa un cieco nato o un sordo non hanno l’idea di colore o di suono perché non ne hanno esperienza
è un principio generale di carattere fenomenologico anche quando Cartesio osserva che l’idea che abbiamo del sole dall’esperienza è diversa da quella che ne ha lo scienziato è sempre a partire dall’esperienza che precisiamo la cosa: un cieco nato non ha nessuna idea di sole
Cartesio risponde con una certa sufficienza (p. 347): sono ammirato dello sforzo fatto per giustificare tutte le idee dall’esperienza: ma allora, uno scultore non avrebbe altra idea che quella del marmo? come potrebbe progettare una statua se non ne ha prima un’idea?
anche le altre idee fittizie richiedono l’intervento della mente anche per comporre l’idea di una chimera, devo essere io ad unire insieme quello che viene dall’esperienza
e per quanto riguarda le idee generali è assurdo pensare che io debba astrarre dalle cose materiali l’idea di cosa, e quindi non possa pensare che sono appunto una cosa senza prima conoscere le cose materiali
non puoi dire che le due idee di sole vengono tutte dall’esperienza sarebbe come dire che il vero e il falso sono la stessa cosa; non puoi scambiare le idee con le sole immagini delle cose (ossia con quello che ci dà l’esperienza dei sensi)
osservazione Cartesio ha certamente ragione quando rivendica l’originarietà della mente (l’esperienza richiede un io che faccia esperienza) così come ha ragione quando osserva che non occorrono tante cose particolari per arrivare ad un’idea astratta
infatti un’idea è prima necessaria e poi universale, e può essere ricavata anche da un solo caso particolare così come l’esperienza non è solo sensazione, ma richiede l’intelligenza, ossia una mente
per questo il sensismo non basta una cosa infatti è il concetto o idea, che formiamo nella mente, un’altra cosa l’immagine che ricaviamo dall’esperienza: l’idea dice che cosa percepiamo l’immagine ci rappresenta l’oggetto della percezione
e tuttavia Cartesio ha torto perché nega che l’esperienza sensibile possa dare qualcosa di certo e pretende che ciò che è necessario sia ricavato solo dalla mente, cioè che sia a priori
ma, sempre alla terza meditazione, Gassendi ha da aggiungere: parlando delle diverse idee, arrivi a quella di Dio, che non sai ancora se esiste; come fai a dire che non l’hai formata dalle cose di cui hai esperienza?
e a proposito della realtà oggettiva dell’idea di Dio se è vero che lo spirito umano è finito, come farà a formare l’idea di qualcosa di infinito?
l’idea di Dio è solo la somma delle perfezioni delle cose particolari l’idea che ne abbiamo non può corrispondere all’infinità di Dio, è solo un’idea parziale, che basta per l’uso che ne possiamo fare e si adatta alla nostra debolezza
Gassendi può così affermare, concludendo la propria obiezione: non c’è bisogno di cercare la causa delle idee in voi stesso: sono le cose rappresentate dalle idee a mandare le immagini in voi
Gassendi enuncia così ancora una volta il suo principio generale ogni conoscenza viene dall’esperienza e può essere giustificata solo a partire dall’esperienza
osservazione: di per sé il principio è in sé valido occorre però vedere se l’esperienza si riduce o meno all’esperienza dei sensi, come vuole Gassendi
Cartesio risponde (p. 349): a proposito dell’idea di infinito, parti da un equivoco: un conto è l’idea che possiamo averne nei limiti della nostra mente; un conto la conoscenza intera della cosa, che nessuno ha nemmeno a riguardo della più piccola cosa
l’idea di Dio non può venire sommando le perfezioni delle cose non si può confondere l’intellezione con l’immaginazione: voi immaginate di formarvi l’idea di Dio sommando le immagini che avete delle cose
Tu inoltre dici che l’idea di Dio non è vera perché non la comprendi Io Ti rispondo che proprio perché è l’idea dell’infinito, per essere vera, non può essere compresa. L’idea di infinito lo rappresenta tutto intero, non solo una sua parte, anche se nei limiti in cui può rappresentarselo un intelletto finito
Gassendi insiste sulla quinta meditazione p. 310: nell’argomento fate confusione tra esistenza e proprietà (predicato): l’esistenza non è mai una perfezione (un predicato), ma solo un atto che realizza le perfezioni
quando qualcosa non esiste non si dice che è meno perfetta, ma semplicemente che non è nulla, ossia che non c’è un atto che realizzi la sua essenza
ecco perché, conclude Gassendi, si può benissimo pensare a Dio come non esistente; dato che anche per Dio, al pari di ogni altra cosa, posso pensare l’essenza senza includere l’esistenza
Nella sua risposta Cartesio riprenderà il problema: p. 363: non capisco perché l’esistenza non può essere una proprietà; almeno per quanto riguarda Dio, senz’altro l’esistenza necessaria è una sua proprietà.
Ma ritorna, prima, sul problema delle verità matematiche Gassendi aveva obiettato, riguardo all’inizio della quinta meditazione, che forse non ci sono verità immutabili, o comunque qualcosa di eterno, al di fuori di Dio
Cartesio precisa la sua posizione: Certo anch’io ritengo che le essenze delle cose, e quindi anche le verità matematiche, dipendono da Dio (avrebbe potuto far sì che 2+3 non fosse eguale a 5).
Eppure, una volta che Dio le ha stabilite così, le essenze delle cose, così come le verità matematiche, sono immutabili ed eterne: poco importa se il tuo empirismo ti impedisce di capirlo
le idee della matematica non sono tratte dalle cose singole: se non avessimo già in noi l’idea di triangolo, non potremmo mai distinguerlo da quella figura geometrica che in modo imperfetto abbiamo tracciato sulla carta