La peste del 1348 e la crisi del Trecento

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La peste del 1348 e la crisi del Trecento Gian Maria Varanini La peste del 1348 e la crisi del Trecento

Parlare della peste del 1348, oggi Perché parlarne? La cultura attuale, la malattia, l’epidemia, la paura del contagio…. Un po’ di storiografia Per molti anni, un “oggetto” trascurato dalla storiografia Il rinnovamento di cinquant’anni fa: la storia della cultura e della mentalità “Il senso della morte e l’amore per la vita nel Rinascimento” di Alberto Tenenti; Lo studio dei “Trionfi della morte” e delle danze macabre: l’esempio di Pinzolo

Parlare della peste del 1348, oggi Nel 1977, a un colloquio sulla peste nera a Binghamton (Usa) su 33 interventi 15 dedicati a temi artistici o letterari, 3 all’atteggiamento verso la peste di predicatori o simili 7 ad aspetti sociali o socio-culturali (pogrom antiebraici, confraternite) 4 a problemi di demografia storica 1 a problemi di cultura medica 1 a problemi di economia 1 a problemi di regolamentazione sanitaria

Parlare della peste del 1348, oggi Negli anni Sessanta, discussione sulla “crisi del Trecento”, molto intensa, nel quadro di interessi storici marcatamente attenti alla dimensione “economico-sociale” Poi, la sensibilità è cambiata Nella storiografia attuale, molta attenzione alle testimonianze soggettive, alle cronache, alla percezione… La peste nera: dati di una realtà ed elementi di una interpretazione, Atti del XXX convegno storico internazionale, Todi 10-13 ottobre 1993 (Spoleto 1994) Una buona sintesi: K. Bergoldt, La peste nera e la fine del medioevo, Piemme, Casale Monferrato 2002, I ed. 1997)

Parlare della peste del 1348, oggi Parallelismo tra la peste del 1348 e le guerre mondiali del Novecento (durante le quali muore “soltanto” il 5% della popolazione, contro il 33% morta nella pandemia del 1347-1350) Consapevolezza diffusa che “il 1348, anno della peste nera, rappresenta l’anno del concepimento dell’uomo dell’età moderna” (E. Friedell, Storia della civiltà dell’età moderna, 1932) Viene usato per periodizzare (recentemente, anche nelle partizioni dell’insegnamento della storia nelle scuole della repubblica italiana)

Parlare della peste del 1348, oggi Un po’ di bibliografia recente, prima di cominciare J.N. Biraben, Les hommes et la peste en France et dans les pays européens et méditerranéens, Paris-Le Havre 1975-76 P. Ziegler, The Black Death, London 1972 J. Delumeau, La paura in Occidente (secoli XIV-XVIII). La città assediata, Torino 1979. A. Haverkamp (hrsg.), Zur Geschichte der Juden im Deutschland des späten Mittelalters und der fr. Neuzeit, Stuttgart 1981 K.G. Zinn, Kanonen und Pest. Über die Ursprünge der Neuzeit im 14. und 15 Jahrhundert, Opladen 1989

La popolazione europea nel basso medioevo: stagnazione nella prima metà del Trecento

I meccanismi della crisi La peste non fu la causa e il principio del calo della popolazione europea Crisi di sussistenza già prima del 1348 1293-95: mortalità per carestia in Inghilterra 1315-18: carestia in Europa settentrionale 1321-22: idem, mortalità attorno al 10% La sovrappopolazione relativa genera stagnazione già per il mezzo secolo precedente la peste

L’impatto della peste sulle città: l’Italia In generale: da 80 a 55 milioni di persone L’impatto sull’Italia è il più grave L’alto tasso di urbanizzazione dell’Italia: oltre 150 città di 5000 e più abitanti … [… cos’è città? La “soglia demografica”] di cui 72 sopra i 10.000 abitanti 11 sopra i 40.000 e le 5-6 città più grandi d’Europa eccezion fatta per Parigi (Venezia, Milano, Genova, Firenze, Bologna, Napoli) Decine di queste città perdono la metà degli abitanti, o i due terzi

L’impatto della peste sulle città: l’Italia In alcuni casi il calo è progressivo e continua nei decenni successivi (Firenze da 100-120.000 a 37.000 a inizi Quattrocento) L’intera Toscana da 1.000.000 del 1340 a 425.000 del primo Quattrocento (anche per motivi politici: Firenze conquista e “deprime” Pisa, Pistoia, Arezzo, S. Gimignano…) Firenze ritorna agli abitanti pre-peste nel Settecento (Venezia a inizi Cinquecento)

L’impatto della peste sulle città: l’Europa La peste arriva più tardi, dura più a lungo (1349-1350), complessivamente incide di meno Nel Brabante e in Olanda le città continuano a crescere (nell’anno 1400, tasso di urbanizzazione al 35%, simile alla Toscana) In area tedesca esistevano solo 5-6 città (la più grande è Colonia, 30.000 abitanti nel 1400). L’economia urbana non soffre molto nel lungo periodo Wüstungen (abbandoni di villaggio) attribuiti alla peste

L’impatto della peste sulle città: l’Europa Francia: impatto grave delle pesti successive a quella del 1348 Avignone: morti metà degli abitanti Normandia: calo del 53% fra 1314 e 1380 Parigi: perdita di abitanti di circa un terzo (nel secolo successivo al 1348) Isole britanniche: da 5 milioni ante 1348 a 3 milioni (e a ,2,3 milioni nel corso del Quattrocento)

La crisi demografica ha effetti su prezzi e salari Dopo il 1348 La crisi demografica ha effetti su prezzi e salari I prezzi dei cereali calano I salari crescono per la concorrenza tra gli imprenditori che si contendono i pochi lavoratori (In questo senso l’alleggerimento della pressione demografica rappresenta una imprevista possibilità di prosperità per i sopravvissuti)

Mortalità in alcune città italiane durante l’epidemia di peste del 1630-1631 città popolazione morti Bergamo 25.000 10.000 Bologna 62.000 15.000 Brescia 24.000 11.000 Cremona 37.000 17.000 Mantova 32.000 25.000 Milano 130.000 65.000 Padova 32.000 18.000 Parma 30.000 15.000 Verona 54.000 31.100 Venezia 140.000 46.000

La “peste nera”: la parola e la realtà Il termine “peste nera” è oggi comunemente accettato per distinguere l’epidemia del 1348 dalle altre l’origine è forse nella colorazione cianotica che assume il corpo dell’infermo nella forma polmonare, o nelle emorragie cutanee tipiche dell’evoluzione setticemica, o nelle croste che compaiono nelle zone di cancrena attorno alle punture delle pulci Secondo alcuni la definizione viene applicata post eventum per esprimere l’idea di lutto

Yersinia o Pasteurella pestis, bacillo scoperto nel 1894 Cenni di fisiopatologia della peste. Le risultanze attuali della ricerca scientifica Yersinia o Pasteurella pestis, bacillo scoperto nel 1894 Agente patogeno che si annida in piccoli roditori, infettati da altri roditori già infetti attraverso la pulce dei ratti (Xenopsylla Cheopis Roth): trasmissione “omologa” Se la pulce colpisce il rattus norvegicus (topo delle chiaviche), la malattia resta endemica. Se colpisce il rattus rattus, l’agente patogeno arriva più vicino ai luoghi di insediamento umano (case, magazzini, cantine, stive delle navi). La pulce del ratto ha potere patogeno anche sull’uomo

Cenni di fisiopatologia della peste La trasmissione “eterologa” dal ratto all’uomo genera la malattia, e la pulce dell’uomo (pulex irritans) la trasmette da uomo a uomo, accrescendo la mortalità (in funzione della concentrazione di uomini e della contiguità fisica tra gli uomini, della temperatura [se è bassa, il contagio rallenta perché le pulci, che sopravvivono anche 30 giorni in stato di non-simbiosi con animali ospiti, al di sotto di una certa temperatura sono meno mobili]) Infezione contratta per via cutanea (morso della pulce): peste bubbonica. Da 1 a 6 giorni dopo il morso, necrosi della zona circostante, rigonfiamento dei linfonodi. Poi, o lento miglioramento o cedimento delle difese del sistema linfatico e arrivo del bacillo nel circolo sanguigno. Setticemia e morte.

Cenni di fisiopatologia della peste I bacilli ostruiscono i vasi capillari e causano emorragie ed edemi nel tessuto, ecc. Se non si instaura l’infezione setticemica, restano bubboni vari del sistema linfatico, vertigini, allucinazioni, e può seguire coma e morte. Se viene interessato il tessuto polmonare, è possibile il coinvolgimento dei polmoni e il contagio si può trasmettere attraverso la cavità rinofaringea con estrema facilità (come il raffreddore): “peste polmonare” a incubazione brevissima

Cenni di fisiopatologia della peste In ogni caso le cognizioni scientifiche di XIX e XX secolo vanno applicate con prudenza alle epidemie trecentesche (il bacillo può essersi modificato: interesse, al riguardo delle ricerche relative alle riesumazioni di cadaveri trecenteschi) La diffusione del rattus norvegicus nel Seicento e la relativa minor diffusione del rattus rattus facilita il contenimento della peste Ma non è ancora chiarita del tutto la modalità di diffusione: perché sono state assenti le epidemie nel terzo mondo? Ancora dopo la seconda guerra mondiale piccole epidemie di peste sono state fronteggiate negli Stati Uniti

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia In Italia i medici non sono sollecitati alla riflessione, allo studio e alla ricerca In Spagna: Jacme d’Agremont (Università di Lerida), Epistola (24 aprile 1348) su richiesta del comune locale In Francia: Consilium de pestilentia (o Compendium de epidimia) redatta collettivamente della facoltà di Medicina di Parigi, su invito di Filippo VI In Italia: Giovanni da S. Sofia, Modus preservandi atque tuendi corpora a peste quantum medico est possibile

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Guy de Chauliac, Chirurgia, II, scritto nel 1363: durante l’epidemia del 1348 i medici “poco o nulla facevano… quasi tutti i malati infatti morivano”. Francesco Petrarca, Familiari: “consulta gli storici: tacciono; interroga i fisici: stupiscono; chiedi ai filosofi: alzano le spalle, corrugano la fronte e col dito sulle labbra impongono il silenzio”

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Gentile da Foligno, Tractatus de pestilentia et causis eius et remediis (1348) - difficoltà della cultura medica di collocare la peste nella fisiopatologia umorale di tradizione ippocratico-galenica - si confonde la peste con le “febbri pestilenziali”

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Nelle descrizioni tutti gli osservatori constatano - incubazione brevissima - morbilità elevata - grande contagiosità - alto livello di letalità Talora confermano le testimonianze dei cronisti che parlano di incidenza selettiva in relazione all’età e al sesso Giovanni da Parma: “morivano più i giovani dei vecchi, più le ragazze giovani, più le donne degli uomini”

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Si cerca di far rientrare la peste negli schemi della dottrina umorale, correlando la maggiore o minore incidenza dell’esito infausto al temperamento individuale (complessione calda e umida delle donne) Secondo alcuni, influiscono le abitudini alimentari, i comportamenti sessuali o lo stile di vita Non ha rilevanza il ceto sociale, anche se qualcuno sottolinea la maggior vulnerabilità dei poveri… …anche se oggi si mette in dubbio la connessione tra indebolimento organico determinato da sottoalimentazione e tasso di mortalità per peste

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Non si bada alla stagionalità, che invece sembra accertata Non si bada ai risvolti psicologici e alle reazioni emotive, molto presenti ai cronisti Si ha percezione dell’importanza dell’evitare gli assembramenti umani e il contatto coi malati L’osservazione dei sintomi è abbastanza attenta: - polimorfismo dei sintomi (bubbone o apostema [inguine, ascelle, collo, orecchie] ma con difficoltà nel distinguerli da ascessi, foruncoli, antrace; vomito sanguigno; dolori al fianco o al petto; tosse e affanno)

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Ma non si arriva a elaborare concettualizzazioni che forniscano al medico criteri clinici abbastanza unitari e precisi, come invece si era fatto per la lebbra Del resto nel Trecento (e anche dopo) il compito della medicina è prevalentemente prognostico: corretta previsione dell’esito di un caso morboso individuale I medici non riprendono il ‘sentimento’ popolare che legava la diffusione della peste alla vendetta divina per le colpe dell’umanita, ma non sono alieni da rinvii al soprannaturale (Dio come causa remotissima, spiegazioni di tipo astrologico) Teoria miasmatica e intuizioni contagionistiche Teoria ottica (l’infezione può essere trasmessa con lo sguardo) Naturalmente nessun sospetto sui ratti e sui vettori animali

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia Un’eccezione c’era stata: Salimbene de Adam nel 1285, appena prima che scoppi una pestilenza, osserva: “tutto il mese di marzo 1285 fu pieno di pulci e c’erano in tale abbondanza pulci da ogni parte durante quel mese intero, che anche in piena estate sarebbero state veramente troppe” ° Un contraccolpo positivo: potenziamento nel 1348 della pratica della dissezione anatomica espressamente finalizzata ad individuare le cause della mortalità (anche se non era possibile che emergessero risposte utili) ° Il comune di Firenze fa eseguire autopsie e poi chiede al papa un’indulgenza da “dare a’ medici che separarono più corpi per potere più chiaramente conoscere le malattie de’ corpi” ° [il tema della concezione del corpo…]: cfr. Le Goff, Il corpo nel medioevo

La cultura medica del Trecento di fronte all’epidemia L’approccio migliora nel corso del Trecento, in occasione delle pestilenze successive Nel 1363 Guy de Chauliac distingue la forma bubbonica da quella polmonare Nel 1382, Raimondo Chalmel de Vivario, De peste libri tres Fine Quattrocento, Alessandro Benedetti: De observatione in pestilentia

Politiche sanitarie di fronte alla peste del 1348 La debolezza delle fonti “pubbliche”: perché? Il rischio di applicare i ‘nostri’ schemi alla concezione di “stato” e di “bene comune” del passato L’idea che lo stato debba occuparsi della salute (e dell’istruzione) è moderna, e ingannevole “Contro un nemico invisibile”: la creazione di una “politica sanitaria” nella Toscana del Cinque-Seicento Prima: nessuna prevenzione (ovviamente), nessuna “ordinaria amministrazione”, nessuna “politica di sistema” (cioè nessuna politica) Il ruolo della chiesa e dei privati, la munificenza del principe

Politiche sanitarie di fronte alla peste del 1348 Nello specifico del 1347-50: - il ‘fattore sorpresa’ e i cordoni sanitari stabiliti tra il settembre 1347 (peste a Messina e Catania) e l’arrivo del contagio nell’Italia centrosettentrionale tirrenica I provvedimenti pistoiesi (fine aprile 1348) a) proibiti i rapporti con Pisa e Lucca appestate b) proibito il commercio dei panni usati c) regolamentazione delle sepolture d) Proibizione degli assembramenti [vaga cognizione dell’idea di contagio inter-umano; idea di isolamento]

Politiche sanitarie di fronte alla peste del 1348 Lombardia (luglio 1348-agosto 1350) proibita la mobilità tra le due sponde del lago Maggiore Ma: Processioni religiose con conseguenti assembramenti (Firenze) Rispetto dello status sociale di cavalieri, giuristi, e medici in occasione di funerali (eccezione per i “milites de corredo” alle regole sui funerali)

Politiche sanitarie di fronte alla peste del 1348 Rallentamento ma non soppressione dell’attività politica e amministrativa (abbassamento del numero legale dei consigli, provvedimenti contro i funzionari assenteisti, divieto ai notai e ai medici “tam fisice quam cirologie salariati et non salariati” di uscire dalla città) Continuità di altre attività (funzionamento delle Università, vita diplomatica intercittadina) Non distinguibilità di provvedimenti genericamente ecologico-ambientali da quelli specifici per la peste. A Pistoia 2 maggio 1348 i provvedimenti sulla “corruptio aeris” sono relativi alla macellazione delle carni e alla concia delle pelli. A Firenze, la rimozione delle putredines (resti organici) lasciati dai venditori di pesce e carne è motivata dalla volontà di evitare la corruptio aeris, ma anche da quella di “aptare ornare etr decorare forum novum”

Politiche sanitarie di fronte alla peste del 1348 Aspetti medico-sanitari, di psicologia sociale, di spirito pubblico nei provvedimenti sui funerali - raccolta dei cadaveri in più punti della città, trasporto celere e privo di formalità a spese del comune, squadre di becchini di quartiere con coinvolgimento degli ecclesiastici, fosse comuni, allargamenti di cimiteri A Venezia i due cimiteri “nuovi” in due isole lontane sono per i morti degli ospedali e per i poveri (S. Marco Boccalama, S. Leonardo Fossamala) Limitazione della partecipazione ai funerali, proibizione oltre il terzo grado; divieto di abito scuro, anzi “obbligo di removere merorem et inducere plenum gaudium atque festum” In successive pestilenze: lontane dalla città le capanne degli appestati, perché i cittadini non sentano i lamenti (Foucault e la “segregazione” del male; la paura sociale….)

I cambiamenti di mentalità La fortuna dei temi del macabro nell’arte europea dopo la metà del Trecento: il tema dei tre vivi e dei tre morti, la danza macabra, il trionfo della morte, le raffigurazioni dei transi (corpi in decomposizione): memento mori Tutto questo con molta intensità in Europa, con minore intensità in Italia La fortuna dei temi della morte nella letteratura: generi letterari come la consolatio, l’elogio funebre, l’ars moriendi Secondo molti storici (M.Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death) è la peste che influisce sulla diffusione di questi temi

I cambiamenti di mentalità Trionfo della morte: la morte come grande livellatrice che mette sullo stesso piano poveri e ricchi, laici e ecclesiastici (papa compreso) il ciclo degli affreschi del Camposanto di Pisa, per lungo tempo considerato l’esempio della pittura di crisi: comprende oltre al “Trionfo della morte” vero e proprio anche un giudizio universale (con raffigurazione “ordinata” dell’inferno, con i supplizi ben compartimentati [peccati capitali]) e una Tebaide (anacoreti) … ma è anteriore al 1340, forse 1335, e non può essere motivato dall’angoscia indotta dalla peste (come, sembra, il ciclo nella chiesa domenicana di Bolzano)

I cambiamenti di mentalità La peste non ha ripercussioni specifiche sull’arte figurativa L’esperienza della morte era comunque troppo comune in precedenza, per carestie o altro La “rimozione della morte” tipica della nostra società era comunque impossibile La speranza di vita alla nascita era molto bassa, la mortalità infantile altissima Inoltre i temi profani non sono frequenti nella cultura figurativa medievale Anche nel 400 le scene di peste in pittura sono rare

I cambiamenti di mentalità L’incontro dei tre vivi e dei tre morti è un tema letterario già presente nella letteratura francese del 200 La danza macabra: rappresentazione nella quale la morte, ballando (spesso è un’orchestra di morti che suona per il ballo), chiama a se il papa, l’imperatore, il re, il dottore, l’erudito, il giurista, il chierico… tutte le categorie sociali anche in forma dialogata o con cartigli esplicativi ha comunque il suo momento magico nel 400, quando compare nei manoscritti o nelle xilografie popolari

I cambiamenti di mentalità Il papa “ero considerato santo. Quando ero in vita non temevo nessuno. Muoio con infamia. Invano mi oppongo alla morte” L’imperatore “con le vittorie ho rafforzato l’impero. Con la morte sono vinto, non sono né imperatore né uomo” Il canonico “nel coro della chiesa cantavo le lodi che amavo. Che differenza tra quel suono e il sibilo della morte” Il medico “ho salvato molte persone, giovani, mature e anziane. Ora chi salva me? La morte mi promette il contrario” Il neonato. “O cara mamma, un uomo nero mi trascina via da te. Devo ballare quando non ho ancora imparato a camminare”

I cambiamenti di mentalità Il soggettivismo di Petrarca (lettera ad se ipsum) “Richiamo alla mente i tanti cari amici perduti e i loro affettuosi colloqui, e l’improvviso svanire dei loro dolci volti, e i cimiteri che ormai non bastano alle continue sepolture… Questi lutti geme il popolo d’Italia che per tante morti vien meno; questi piange la Gallia stremata e priva di abitanti (….) Quest’anno pestifero incombe sul genere umano, e minaccia luttuosa strage, e l’aria densissima favorisce la morte (…) Trepido mentre così medito, lo confesso; e sento l’insidia della morte ormai vicina. Né mare né terra né oscure grotte di monti mi mostrano dove potrei nascondermi fuggendo…”