Leonello Tronti (Università di Roma Tre) Centro Sudi Cisl di Firenze,

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Un nuovo patto sociale per lo sviluppo e la crescita della produttività: quali condizioni? Leonello Tronti (Università di Roma Tre) Centro Sudi Cisl di Firenze, 30 settembre 2010

Argomenti 1. Le condizioni macro Il modello di politica dei redditi di Tarantelli La “legge di Bowley” Il modello contrattuale del luglio ’93 Analisi formale del modello Verifica: contrattazione, distribuzione del reddito e crescita economica Il nuovo accordo quadro del 22 gennaio 2009 Riprogettazione della contrattazione nazionale

Argomenti 2. Le condizioni micro Quando cresce la produttività nell’impresa? Teorie della crescita e organizzazione innovativa dell’impresa Conoscenza, apprendimento, competenze Riorganizzazione dei luoghi di lavoro, potenziamento del lavoro, benessere organizzativo Riassumendo: il nuovo patto sociale, condizioni macro e condizioni micro

Il modello di politica dei redditi di Tarantelli Il livello macro. Il punto di partenza: Il modello di politica dei redditi di Tarantelli

Inflazione e retribuzioni di fatto Inflazione e retribuzioni di fatto. Anni 1970-2007 (Tassi annui di variazione percentuale) Fonte: Istat, Conti nazionali

L’ipotesi di politica dei redditi di Tarantelli La stabilità dei prezzi come bene pubblico, La stabilità delle quote distributive (legge di Bowley), Il recupero del potere d’acquisto, dal passato al futuro: la “politica salariale d’anticipo”, Il rientro dell’inflazione attraverso La programmazione concertata degli scatti di ‘scala mobile’ e la disciplina di prezzi, tariffe e prezzi amministrati (inflazione programmata).

La distribuzione funzionale del reddito: La “legge di Bowley”

La legge di Bowley - 1 A seguito degli studi sui redditi in Gran Bretagna (Bowley e Stamp, 1927), Arthur Bowley suggerì l’ipotesi della costanza nel tempo della quota del lavoro nel reddito, principio divenuto in seguito noto come “legge di Bowley”. La distribuzione funzionale del reddito occupa un ruolo preminente nell’ambito della teoria economica con il contributo degli economisti post-keynesiani, che la considerano come dipendente dal tasso di crescita del prodotto. Nel breve periodo, un incremento del tasso di crescita dell’economia non viene compensato dalla dinamica salariale e comporta quindi uno spostamento della distribuzione a favore dei redditi da capitale. Gli economisti post-keynesiani forniscono così un’interpretazione delle variazioni di breve periodo della distribuzione funzionale dei redditi, che si accompagna però con la previsione di una costanza delle quote di reddito nel lungo periodo (legge di Bowley).

La legge di Bowley - 2 Date le diverse propensioni al risparmio di lavoratori e imprenditori, la manovra della distribuzione funzionale del reddito consente di portare i risparmi ad eguagliare gli investimenti necessari per conseguire: a) il pieno impiego o, b), il tasso di crescita del prodotto desiderato. Di qui l’importanza fondamentale della politica dei redditi per la crescita e l’occupazione. Per Kaldor (1957) la stabilità nel tempo della distribuzione funzionale del reddito deriva dalla costanza del saggio di profitto, e dalla coincidenza del tasso di crescita del rapporto capitale-lavoro con quello della produttività del lavoro (che, prescrittivamente, consente un sentiero di balanced growth).

La legge di Bowley - 3 Al di là del suo valore euristico, la legge di Bowley può essere assunta come “regola aurea della politica dei redditi”, perché: in parità di altre condizioni, assicura la massima crescita dei salari (e della domanda interna) compatibile con l’assenza di pressioni sul saggio di profitto e, quindi, sui prezzi. Come vedremo in seguito, questa condizione comporta come corollario che le retribuzioni reali crescano nell’esatta misura dei guadagni di produttività del lavoro. Ciò non tanto per un’implicita (quanto infondata) identificazione dei lavoratori come unici autori della crescita della produttività, ma per motivi di carattere macroeconomico, legati agli effetti delle diverse propensioni al consumo di lavoratori e datori di lavoro sui consumi e sulla crescita.

Salario, produttività e legge di Bowley Sia w il salario di fatto, ND l’occupazione dipendente, Q il reddito reale totale e p i prezzi; la quota del lavoro, o quota del lavoro dipendente nel reddito (SL), può essere definita nel modo seguente: da cui, moltiplicando e dividendo per l’occupazione totale NT, e sostituendo la produttività del lavoro  al reddito per occupato, abbiamo: dove nD indica l’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale. Da questa equazione si ricava agevolmente la nota condizione di crescita salariale che assicura l’invarianza della quota del lavoro:

Condizioni della legge di Bowley La legge di Bowley si verifica soltanto se: la crescita del salario reale eguaglia la variazione della produttività del lavoro, al netto della variazione dell’incidenza dell’occupazione dipendente sul totale.

Il modello contrattuale del Protocollo di luglio 1993

Dopo Tarantelli: la riforma della negoziazione delle retribuzioni La parziale riforma della scala mobile (1986) La disdetta della scala mobile (1991), la sua abolizione (1992), in cambio del riconoscimento della salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni come obiettivo della politica economica; Un nuovo meccanismo di negoziazione dei salari, previsto dal Protocollo di Luglio 1993, che prevede anche (seconda parte) l’ammodernamento del sistema produttivo e la riqualificazione del lavoro e delle tecnologie.

Il Protocollo di luglio 1993 Il nuovo meccanismo di negoziazione dei salari previsto dal Protocollo di Luglio 1993 prevede: Due livelli negoziali, specializzati e non sovrapposti: Importi tabellari previsti dai CCNL e legati all’inflazione programmata; Salario di risultato a livello aziendale o territoriale, legato a produttività, profittabilità e qualità a livello locale. Una forma di politica salariale d’anticipo (tasso di inflazione programmata e recupero degli scostamenti); altri contenuti di ammodernamento del lavoro e delle imprese (seconda parte). Manca però l’esplicito obiettivo della stabilità delle quote distributive.

Perché un modello contrattuale squilibrato? Nel 1993 l’Italia si trovava nella doppia condizione: Di dover fronteggiare la più grave crisi occupazionale del dopoguerra E di dover “accomodare” l’ultima grande svalutazione della lira (settembre 1992) in vista dell’entrata nel “Club dell’euro” al primo turno. In realtà l’accordo prevedeva la sua revisione dopo 5 anni. Questa venne tentata dalla Commissione Giugni (1997), le cui raccomandazioni rimasero però senza esito.

Protocollo ’93, contrattazione decentrata e legge di Bowley Nell’insieme dell’economia italiana, sulla base delle differenze di livello tra retribuzioni di fatto e retribuzioni contrattuali, si può ipotizzare che il fattore β* abbia un valore medio elevato, vicino a 6,5 – un valore che conferma la scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello.

Protocollo ’93 e legge di Bowley - 1 Il Protocollo ’93 prevede che le retribuzioni fissate dai contratti nazionali restino ancorate per sempre al loro potere d’acquisto del 1993. Dunque, per mantenere inalterata la distribuzione funzionale del reddito, richiede che la contrattazione decentrata cresca in misura sufficiente a eguagliare la crescita reale dell’intera retribuzione di fatto (comprensiva di primo e secondo livello) a quella della produttività del lavoro.

Protocollo ’93 e legge di Bowley - 2 Inoltre, poiché l’unica situazione in cui essa potrebbe ridursi è quando la retribuzione di secondo livello dovrebbe contrarsi a seguito di una caduta della produttività del lavoro, l’incidenza della retribuzione decentrata sulla retribuzione di fatto dovrebbe tendenzialmente crescere nel tempo, sino a diventare la principale voce retributiva.

Protocollo ’93 e legge di Bowley - 3 Pertanto, rispetto all’originario disegno di politica dei redditi di Tarantelli, il Protocollo di luglio ’93 affida la possibilità di rispettare la legge di Bowley a due condizioni: che la la contrattazione decentrata (aziendale o territoriale) sia diffusa a tutte le imprese, e quindi sia disponibile per tutti i dipendenti una voce retributiva flessibile, aggiuntiva rispetto alle voci stabilite dal contratto nazionale di categoria; Che il salario di secondo livello cresca in misura tale da eguagliare la dinamica della retribuzione di fatto reale (comprensiva di primo e secondo livello retributivo) alla variazione della produttività del lavoro.

Efficacia della contrattazione decentrata e legge di Bowley Le due condizioni sono in generale poco probabili, in particolare nel sistema produttivo italiano, caratterizzato da un gran numero di imprese piccole e piccolissime, dove la contrattazione collettiva incontra notevoli difficoltà a svilupparsi.

Se il modello contrattuale non rispetta la legge di Bowley:

Effetto macroeconomico combinato atteso dei due livelli negoziali

Criticità del funzionamento del modello contrattuale del Protocollo ‘93 In condizioni di normale funzionamento dell’economia, la produttività del lavoro cresce; E il modello tende ad aumentare la quota dei profitti automaticamente, senza contropartite in termini di investimenti, formazione, riorganizzazione ecc. Paradossalmente, questa tendenza implicita si può arrestare o riequilibrare solo attraverso una contrazione della produttività del lavoro.

Verifica del modello: contrattazione, distribuzione funzionale del reddito e crescita economica

Inflazione, retribuzioni, produttività e distribuzione funzionale del reddito. Totale economia (Tassi di variazione percentuale medi annui; per i coefficienti, valori assoluti)

Conflitto distributivo e produttività Il modello tende a spostare il conflitto distributivo dalla distribuzione del valore aggiunto alla crescita della produttività, E, quindi, alla crescita dell’economia, sospingendo l’equilibrio del sistema economico in un sentiero di stagnazione. Si tratta di un esito evidentemente indesiderabile, avverso allo sviluppo e alla crescita economica.

Legge di Bowley e cooperazione per la crescita Il Protocollo ’93 ha creato un meccanismo che viola la legge di Bowley, alterando automaticamente la stabilità delle quote distributive, e istituisce un sistema di incentivi evidentemente sfavorevole alla crescita economica: Gli imprenditori trovano un equilibrio tra l’incentivo ad occupare lavoro a basso costo (e bassa produttività) e quello ad accrescere la produttività per spostare automaticamente a loro favore la distribuzione del reddito; I lavoratori sono esposti all’azzardo morale di poter riequilibrare la distribuzione del reddito solo frenando la produttività.

Legge di Bowley e cooperazione per la crescita In altre parole, il sistema istituzionale di regolazione delle retribuzioni abbatte l’incentivo per i partner sociali a cooperare per la crescita. E, di conseguenza, il sistema economico viene sospinto dalle convenienze dei partner sociali a imboccare un sentiero di stagnazione economica.

L’economia italiana: quota del lavoro e crescita Fonte: Istat, Conti nazionali

Distribuzione funzionale del reddito e crescita economica: Controprova. Distribuzione funzionale del reddito e crescita economica: La prospettiva comparata

La caduta della quota del lavoro in Italia e nei principali paesi avanzati (2005-1992) Fonte: Oecd

Nel mondo: aumento della quota dei profitti e crescita economica Fonte: Oecd, Eurostat.

L’accordo quadro del 22 gennaio 2009

Il nuovo modello contrattuale – Punti salienti 1 Conferma del doppio livello contrattuale. Durata triennale dei contratti. Indice previsionale al posto dell’inflazione programmata (Ipca depurata dal prezzo dell’energia importata). Base di calcolo degli incrementi di primo livello. Recupero degli scostamenti indice previsionale-inflazione effettiva entro il triennio.

Il nuovo modello contrattuale – Punti salienti 2 Ruolo guida del contratto nazionale. Contrattazione in deroga. Richiesta di incentivazione fiscale- retributiva del contratto decentrato. Elemento di garanzia retributiva.

Struttura del salario Il risultato economico complessivo per il lavoratore deriva da: 1) gli aumenti previsti dal contratto nazionale, più 2) gli aumenti previsti dalla contrattazione decentrata, 3) oppure dall’“elemento di garanzia retributiva”.

L’“elemento di garanzia retributiva” - 1 Nella misura e alle condizioni concordate dai contratti nazionali, e con particolare riguardo per le situazioni di difficoltà economico-produttiva, l’egr andrà corrisposto ai dipendenti da aziende in cui non si esercita il 2° livello contrattuale, e che non percepiscono altri trattamenti, individuali o collettivi, oltre a quelli previsti dal contratto nazionale.

L’“elemento di garanzia retributiva” – 2 (Linee guida Industria) Il beneficio è determinato con riferimento alla situazione rilevata nell’ultimo quadriennio. La verifica degli aventi diritto e l’erogazione stessa dell’ egr avranno luogo al termine della vigenza del contratto nazionale.

Quanto grande dev’essere l’egr per salvaguardare la legge di Bowley?

Il coefficiente δ L’equazione (10) mostra che, al fine di preservare la distribuzione del reddito ai fattori, le retribuzioni di primo livello devono crescere non solo con i prezzi, ma anche in rapporto con la produttività.

Come varia δ Il coefficiente δ, che lega la crescita dei salari nazionali a quella della produttività, può raggiungere l’unità soltanto se le retribuzioni di primo livello coincidono con le retribuzioni totali. Esso inoltre varia: inversamente rispetto al valore del moltiplicatore della produttività sul secondo livello (β), e direttamente con la quota del primo livello sulla retribuzione complessiva (α).

Il valore di δ In accordo con i dati presentati nella tavola 2 più sopra, il valore medio del coefficiente δ nel periodo 1993-2008 è di 0,4. In altri termini, nelle condizioni strutturali dell’economia italiana dell’ultimo quindicennio, il potere d’acquisto delle retribuzioni di base sarebbero dovuto crescere di un importo pari al 40 per cento della crescita della produttività, ovvero dello 0,4 per cento l’anno invece del dato storico dello 0,1. Questo accorgimento avrebbe assicurato la stabilità delle quote distributive e, quindi, concorso ad evitare che l’economia imboccasse un sentiero di stagnazione attraverso un equo sistema di incentivi alla crescita per entrambi i partner sociali.

Coefficiente δ e egr Nel quadro della logica dell’accordo del 22 gennaio, si dovrebbe prevedere che il contratto nazionale definisca l’egr comparto per comparto, sulla base del valore del coefficiente δ, distribuendone l’importo tra i lavoratori privi di contrattazione integrativa. In questo modo la contrattazione nazionale potrebbe agire in termini: sia di supplenza della contrattazione di secondo livello (δ è tanto maggiore quanto è minore 1-α), sia di stimolo rispetto alla forza della contrattazione integrativa (δ è tanto minore quanto è maggiore β).

quando cresce la produttività nell’impresa? Il livello micro: quando cresce la produttività nell’impresa?

Fattori esterni e fattori interni all’impresa - 1 Quando esperti, politici e rappresentanti delle parti sociali parlano di crisi di produttività, la intendono quasi sempre come un problema che nasce fuori dai cancelli delle fabbriche e dagli uffici, a causa di: deficienza di infrastrutture, carenza di qualità dell’istruzione, inefficienza della P.A., regole poco flessibili nel mercato del lavoro.

Fattori esterni e fattori interni all’impresa - 2 Questi fattori esterni sono indubbiamente importanti ai fini del livello della produttività di un sistema economico; ma la letteratura scientifica internazionale (e, in misura crescente, anche nazionale) segnala che la crescita della produttività: si concentra nelle imprese innovative, e scaturisce da una reingegnerizzazione degli ambienti di lavoro (BPR), mentre l’influenza dei fattori esterni è scarsa.

Cosa spiega la crescita della produttività? Ad esempio, un importante studio apparso sulla prestigiosa rivista inglese Economic Journal documenta che: la crescita annua dell’1.6% nella produttività totale dei fattori è riconducibile nella misura pari all’1.4% (equivalente all’89%): alla riorganizzazione degli ambienti di lavoro alle nuove tecnologie e alle nuove pratiche di lavoro adottate dalle imprese innovative.

Crescita delle produttività totale dei fattori nelle imprese americane Fonte: Black e Lynch, 2004.

e organizzazione innovativa Teorie della crescita e organizzazione innovativa dell’impresa

Nuovi modelli di crescita e impresa innovativa La teoria evolutiva dell’impresa (Marshall, Penrose, Nelson e Winter), e il benchmarking come strumento di apprendimento organizzativo. Reti sociali, capitale sociale e beni relazionali. Dalle qualifiche alle competenze. Dalla teoria originaria del capitale umano (Knight, Abramovitz) alla crescita endogena (Romer ecc.) Le learning organisations (Lundvall) e la knowledge economy (UE, Lisbona 2000).

I paradigmi organizzativi dell’organizzazione innovativa Il paradigma fondamentale per l’organizzazione di dimensioni medio-grandi: la produzione snella.

La logica della produzione snella

Altri paradigmi organizzativi innovativi La specializzazione flessibile. La qualità totale, o Total Quality Management (TQM). L’impresa-rete: i modelli centro-periferia, i distretti industriali, i consorzi di qualità.

L’organizzazione innovativa

Impresa innovativa, comunità che apprende, HPWO Comunità = luogo dell’organizzazione delle risorse produttive (competenze): impresa o mercato? impresa o territorio? Comunità = specificità e competitività dell’impresa. Comunità = impresa che apprende e condivide gli apprendimenti. Comunità = high-performance work organisation (HPWO). In Italia, l’esperienza storica esemplare dell’Olivetti di Adriano Olivetti.

Conoscenza, apprendimento, competenze

Competenza, volontà, miglioramento continuo Competenza = capacità di svolgere compiti lavorativi in modo desiderabile, in accordo con il principio del miglioramento continuo. Principali elementi costitutivi della competenza: a) conoscenza, b) abilità produttive (skills), c) esperienza, e d) abilità relazionali (networking abilities). Ma la competenza emerge soltanto in presenza della volontà e del desiderio di usarla. Per questo l’organizzaizone innovativa deve creare un ambiente di lavoro (condizioni e relazioni di lavoro, sistemi premiali ecc.) che incoraggi e sostenga la volontà dei lavoratori di usare le proprie competenze per il miglioramento continuo di processi e prodotti.

Conoscenza, competenze umane e competenze organizzative Ogni organizzazione ha bisogno di accedere alla conoscenza non meno che alle risorse finanziarie o alle altre risorse produttive. Conoscenza concreta (saper fare) = competenze: a) umane, b) organizzative, competenze umane = abilità sia individuali che collettive (capacità di risolvere i problemi collaborando con i colleghi o i clienti), competenze organizzative = conoscenze incorporate in sistemi, attrezzature, software, network, procedure, cultura ecc., a disposizione dell’organizzazione. La conoscenza concreta deriva dalla complementarità tra competenze umane, competenze organizzative e tecnologie.

Complementarità tra tecnologia, organizzazione e rapporti di lavoro La letteratura internazionale documenta come il driver della performance d’impresa sia costituito non tanto dalla tecnologia in sé (dal momento che essa è alla portata di ogni impresa in ogni paese) quanto dalla complementarità tra: le moderne tecnologie, le nuove configurazioni dei posti e dei luoghi di lavoro e le pratiche lavorative innovative. La complementarità, definita da Milgrom e Roberts (1995) come quella condizione secondo cui l’aumento dell’impiego di un elemento aumenta il rendimento marginale di altri elementi, indica che la presenza di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove pratiche di lavoro (che qualcuno sintetizza anche con i termini di capitale organizzativo o capitale intangibile) rende «moltiplicativa» la produttività degli investimenti in Ict. Per converso, i mancati investimenti in capitale organizzativo costituiscono una barriera al rendimento di ulteriori investimenti in Ict.

Produzione snella, nuove tecnologie e controllo dell’impresa Una delle grandi caratteristiche della configurazione organizzativa della produzione snella è quella della riduzione dei livelli gerarchici, con un conseguente decentramento delle responsabilità e aumento della discrezionalità ai livelli medio-bassi della struttura occupazionale. Tale caratteristica ben si integra con i moderni sistemi informatici di gestione integrata dell’impresa (i cosiddetti Erp), che sono in grado di offrire ai manager centrali l’esercizio delle funzioni di controllo e di coordinamento a costi più contenuti rispetto alla situazione caratterizzata da un’accentuata gerarchizzazione. Quindi la complementarità tra Ict, disegni organizzativi decentralizzanti e pratiche innovative di gestione delle risorse umane è in grado di mantenere salda la governance dell’impresa, se con quest’ultimo termine si intende l’esercizio di autorità, direzione e controllo di ultima istanza.

Retroazione delle innovazioni In termini operativi la complementarità prende propriamente corpo nel medio periodo, quando i nessi di causalità si cumulano (positivamente) agli effetti di retroazione tra le variabili in gioco: le innovazioni organizzative, combinate con le nuove pratiche di lavoro e con le tecnologie telematiche e dell’informazione stimolano la produttività e la performance, le quali a loro volta esercitano un effetto di retroazione positivo sull’adozione e sulla diffusione dei cambiamenti, dal momento che i costi dei cambiamenti tendono ad essere finanziati con fondi interni. I cambiamenti tendono a loro volta a generare una maggior capacità cognitiva dell’impresa, in quanto i nuovi tratti organizzativi stimolano lo sviluppo delle competenze dei singoli lavoratori e del collettivo, consentendo all’impresa una maggior propensione all’innovazione di prodotti e processi, da cui deriva una maggior performance.

Complementarità e innovazioni “a grappolo” Le verifiche empiriche della teoria della complementarità hanno messo in evidenza alcune importanti qualificazioni. Anzitutto, la spinta alla produttività risulta condizionata al fatto che tanto i nuovi disegni organizzativi (organizzazione orizzontale, processi e ruoli) quanto le cosiddette «nuove pratiche di lavoro ad alta performance» (lavoro in gruppo, suggerimenti dal basso, rotazione della manodopera, coinvolgimenti dei singoli lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali, incentivi economici volti a stimolare l’apprendimento, formazione di tipo cognitivo), siano adottati «a grappolo»: più estesi sono i «grappoli» adottati, e più intensi essi sono al loro interno (in termini di lavoratori coinvolti), maggiore è la performance aziendale. Le singole adozioni (o i parziali ammodernamenti) non pagano, così come gli investimenti in nuove tecnologie inseriti in una vecchia organizzazione d’impresa.

Capitale organizzativo e HPWO Inoltre, solo incrementi significativi di produttività sono in grado di far incamminare l’impresa, e il sistema industriale nel suo complesso, lungo la strada del contenimento dei costi, dell’aumento della competitività e contemporaneamente di una crescita dei salari reali (da qui l’acronimo Hpwo: High Performance Work Organization, sinonimo anche di «via alta» allo sviluppo), in quanto si tratta di incrementi che si dimostrano tendenzialmente duraturi perché derivano da un patrimonio (il capitale organizzativo) difficilmente imitabile dai concorrenti, quantomeno nel breve-medio periodo. Il grave problema di produttività che affligge il nostro apparato produttivo è il risultato non solo di infrastrutture esterne ai luoghi di lavoro inefficienti, ma anche, e soprattutto, di una «trappola» culturale, che vede nella tecnologia il principale o l’unico marchingegno della performance: Ma le macchine, per quanto sofisticate, non possono sostituire la volontà, le conoscenze e le competenze di chi le utilizza.

Il ciclo competenze umane  nuove tecnologie  competenze organizzative  competenze umane Competenze umane (individuali e collettive) + competenze organizzative = capitale intellettuale, il potenziale di competenze dell’organizzazione. Lo sviluppo delle competenze umane può essere sostenuto dalle competenze organizzative - e viceversa. Il lavoro intellettuale e le nuove tecnologie consentono l’accumulazione di competenze organizzative che, a sua volta, facilita il trasferimento di competenze ai nuovi dipendenti e l’innovazione di processo e di prodotto. Con la costruzione di procedure e sistemi Ict user-friendly, che incorporano competenze organizzative, si agevolano l’apprendimento, il miglioramento continuo e lo sviluppo delle competenze umane.

Lo sviluppo delle competenze Per sviluppare le competenze di un’organizzazione è necessario che l’organizzazione crei: un ambiente di lavoro favorevole all’apprendimento e al miglioramento continuo, perché è questa la base sulla quale le competenze possono accumularsi, diffondersi e svilupparsi. La parte principale del processo di sviluppo delle competenze avviene durante il lavoro quotidiano (everyday learning) e non nei corsi di formazione.

L’iceberg dell’apprendimento Fonte: Statistics Sweden, 2007

Costruire un’organizzazione che apprende Per costruire un’organizzazione learning è necessario: Organizzare i processi di lavoro avendo a mente l’apprendimento tanto quanto la performance produttiva; Individuare e rafforzare le conoscenze desiderate e quelle necessarie per il continuo sviluppo delle competenze; Migliorare la capacità di tutti i dipendenti di assolvere ai propri compiti e di risolvere i problemi di lavoro (to do the right things in the right way); Creare significative opportunità di trasferire conoscenze nel corso del lavoro quotidiano; Rendere ciascun dipendente cosciente dello sviluppo delle sue competenze nella sua situazione di lavoro quotidiano.

Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro, potenziamento del lavoro: I principi

Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 1 Organizzazione per processi e non più per funzioni (BPR, orientamento al cliente); Ridurre i livelli gerarchici (impresa piatta, produzione snella); Costruire ruoli di polivalenza e policompetenza attraverso la rotazione delle mansioni; Sviluppare le carriere in diagonale (e non più in verticale);

Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 2 Lavorare in team (con poteri effettivi alla squadra); Creare gruppi di lavoro (squadre) interfunzionali, capaci di assicurare il controllo e la responsabilizzazione su uno o più processi; Assicurare la condivisione di informazioni, apprendimenti e conoscenze attraverso specifici strumenti organizzativi knowledge-friendly: Ad es. rotazione delle mansioni, affiancamento, tutoring, mentoring, circoli di qualità, ecc.;

Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 3 Raccogliere sistematicamente suggerimenti dal basso sul miglioramento di processi, prodotti e organizzazione; Valutare frequentemente la performance dei dipendenti, con attribuzione di premi (o no); Coinvolgere e consultare ricorrentemente i lavoratori, sulla qualità della propria collocazione, del proprio lavoro e del workplace, della dirigenza;

Riorganizzazione dell’ambiente di lavoro e HPWO - 4 Creare un sistema di incentivi economici di breve periodo, mirati a premiare l’apprendimento, il miglioramento continuo e lo sviluppo delle competenze; Buone relazioni industriali (non necessariamente non conflittuali), orientate ad evidenziare i vantaggi del miglioramento continuo (partnership) e allo sviluppo della HPWO e della soddisfazione dei lavoratori per il proprio lavoro.

Risultati Le organizzazioni innovative sono quelle: con la dinamica della produttività più sostenuta, che pagano meglio i propri dipendenti, i cui dipendenti sono più soddisfatti del lavoro che svolgono.

I lineamenti del nuovo patto sociale Riassumendo: I lineamenti del nuovo patto sociale

Un nuovo patto sociale La questione produttività è ormai tale da richiamare la necessità di un impegno forte, diffuso, generale. Il problema è talmente grave che non se ne esce soltanto con misure di politica economica, di incentivazione fiscale di comportamenti virtuosi. È necessario un grande sforzo collettivo, chiamare energie collettive alla mobilitazione. La chiamata, come è stato negli episodi salienti della storia del nostro sviluppo economico e sociale (la ricostruzione, il rientro dall’inflazione, l’entrata nel club dell’euro), può avvenire soltanto attraverso un nuovo patto sociale.

Prima condizione, macro: assicurare la stabilità della quota del lavoro Riformare il meccanismo negoziale in modo da arrestare e invertire la caduta della quota del lavoro. Oltre ad essere un costo per l’impresa, infatti: il salario non è soltanto la principale componente della domanda aggregata; è anche il principale incentivo all’aumento della produttività dei lavoratori, e il principale pungolo alle imprese per l’innovazione tecnologica e organizzativa (Marshall, Keynes, Tarantelli, Sylos Labini).

A questo fine: ruolo di supplenza e di stimolo del contratto nazionale Negoziare sul primo livello gli incrementi di produttività che non si riescono a distribuire attraverso il secondo; fino a quando e nella misura in cui il secondo livello negoziale (impresa/ territorio) è diffuso in modo insufficiente. Si tratta di un incentivo a imprese e rappresentanze sindacali locali a sviluppare il secondo livello negoziale.

Seconda condizione, micro: Riorganizzare i luoghi e i rapporti di lavoro Esplicitare il “nuovo scambio politico”, chiedendo alle imprese, in cambio della mutata distribuzione del reddito, di accelerare la crescita della produttività e dei salari: adottando nuove tecnologie, modelli innovativi e learning di organizzazione dei luoghi di lavoro e di gestione delle risorse umane, investendo in misura adeguata in ricerca e innovazione, monitorando e disseminando a tutto il tessuto produttivo i modelli organizzativi, le pratiche di lavoro e gli accordi di eccellenza.

Cosa proponeva il Manifesto per un nuovo patto sociale sulla produttività e la crescita A livello nazionale i tre attori siglano un protocollo in cui: le parti sociali si impegnino a riorganizzare i luoghi e i rapporti di lavoro secondo i principi dell’impresa innovativa; e il governo si impegna: a sostenere finanziariamente le riorganizzazioni; e ad applicare gli stessi principi nel pubblico impiego. A livello aziendale, di categoria o territoriale le imprese e le RSU sottoscrivono progetti di riorganizzazione delle imprese secondo i principi del protocollo; le imprese possono accedere (a stato di avanzamento) alle risorse pubbliche; i lavoratori migliorano la qualità, la soddisfazione, la produttività e la remunerazione del loro lavoro.

In conclusione Manca ancora un nuovo scambio politico equo per ristabilire l’equilibrio tra mercato del lavoro e mercato del prodotto, tra salari e prezzi, per stabilire precise contropartite allo spostamento della distribuzione dei redditi a favore dei redditi non da lavoro. C’è un “nuovo” modello contrattuale ma è improbabile che elimini l’automatismo nella remunerazione del capitale al crescere della produttività e ristabilisca la convenienza per i partner sociali a cooperare per la crescita (legge di Bowley). Mancano precisi incentivi per diffondere la contrattazione decentrata e riorganizzare i luoghi e i rapporti di lavoro. La preoccupazione primaria è la salvaguardia dei singoli posti di lavoro, non l’ammodernamento del sistema produttivo.

Patto per la qualita' del lavoro, la produttivita' e la crescita

Riferimenti bibliografici minimi Tronti L., 2006, The July Protocol and Economic Growth: The Chance Missed, in: Acocella N., Leoni R. (eds.), “Social Pacts, Employment and Growth. A Reappraisal of Ezio Tarantelli’s Thought”, Physika-Verlag, Heidelberg-New York. -, 2007, Distribuzione del reddito, produttività del lavoro e crescita: il ruolo della contrattazione decentrata, “Rivista italiana di economia, demografia e statistica”, vol. LXI, nn. 3-4. -, 2008, Produttività del lavoro e crescita: il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale, paper presentato alla 49a Riunione annuale della SIE, http://www.sie.univpm.it/incontri/rsa49/libere/lavori/tronti.pdf -, 2009, La crisi di produttività dell’economia italiana: scambio politico ed estensione del mercato, “Economia & lavoro”, n. 2. Sulla proposta di produttività programmata: Ciccarone G., 2009, Equità distributiva e produttività programmata, “Economia & lavoro”, n. 2. Fadda S., 2009, La riforma della contrattazione: un rischio e una proposta circa il secondo livello, “Nel merito”, 19 giugno, http://www.nelmerito.com:80/index.php?option=com_content&task=view&id=759&Itemid=135