François Villon Vita opere

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François Villon Vita opere François villon, il cui vero nome è François de moncrobier, è stato uno dei maggiori esponenti della poesia francese dell’inizio quattrocento insieme a Charles d’Orleans. Vita opere

La vita: Orfano di padre, fu affidato dalla madre - per la quale avrebbe poi scritto una delle sue più famose ballate - ad un benefattore, Guillaume de Villon, canonico e cappellano di Saint-Benoît-le-Bétourn, che lo mandò a studiare quando era all'incirca ventenne alla Facoltà delle arti di Parigi. Raggiunto il diploma nel 1452, il giovane Villon abbandona gli studi preferendo affrontare l'avventura per vivere come un bohèmien ante litteram. Erano gli anni successivi alla guerra dei cento anni, colmi di brutalità e di epidemie.

Il 5 giugno 1455 avviene l'episodio che gli cambia la vita e che è storicamente provato: mentre passeggiava in compagnia di un prete di nome Giles e di una ragazza chiamata Isabeau, incontra nella rue Saint-Jacques un bretone, Jean le Hardi, maestro d'arte, in compagnia a sua volta di un religioso, tale Philippe Chermoye o Sermoise o Sermaise; scoppia una rissa, non si sa per quale motivo, nella quale Chermoye rimane ferito mortalmente. Accusato dell'uccisione del religioso, Villon è costretto a lasciare Parigi

Catturato, viene in qualche modo rilasciato nel gennaio 1456; ha circa venticinque anni (come testimoniano documenti ufficiali) e - se non bastasse - un alias in più, quello di Michel Mouton. Passerà i cinque anni successivi peregrinando, non senza altre disavventure, lungo la valle della Loira fino a raggiungere Angers dove viveva un suo zio monaco.

Fu prima di lasciare Parigi che compose ciò che è ora conosciuto come Petite testament (Piccolo testamento) o Le Lais (Lascito), opera che mostra parte della profonda amarezza e rammarico per il tempo sciupato (e che è riscontrabile anche nel suo lavoro successivo, Le grand testament, Il grande testamento). In realtà, i veri guai per Villon erano ancora solo all'inizio.

Nel 1458 in base alla spiata di un complice, Guy Tabarie, viene incriminato per una rapina compiuta due anni prima nella cappella del collegio di Navarra. Villon è costretto così a darsi ancora una volta alla macchia e a trovare rifugio e protezione grazie a nobili amici che non si sa né come né dove avesse conosciuto. Arrestato nuovamente nell'estate del 1461 per ordine del vescovo Thibault d'Aussigny a Meung-sur-Loire, per un altro furto in una chiesa, è amnistiato e rimesso in libertà il 2 ottobre dello stesso anno.

Rientrato a Parigi, non fa a tempo a scrivere Il testamento che incappa ancora (1462) nelle maglie della giustizia, sempre a causa di furti e risse. Sarà torturato, processato e condannato, ma il giudizio verrà annullato il 5 gennaio del 1463. Bandito dai giudici, Villon farà da allora perdere ogni sua traccia. François Villon

Le opere e lo stile La scrittura di Villon risulta influenzata dai motivi caratteristici della cultura medioevale in decadenza, per esempio il trionfo della morte e il topos dell’ubi sunt, il “mondo alla rovescia” dei chierici vagantes ed infine l’esaltazione dei beni materiali della taverna e della donna. Ma Villon tratta questi motivi in un modo nuovo, con un realismo ora malinconico e ora scanzonato che si distanzia dalla visione metafisica del mondo e che si mette a contatto con la vita in primo piano. La ballata delle cose da niente La ballata degli impiccati

Villon racconta un mondo dove i vecchi valori sono crollati e quelli nuovi devono ancora nascere, nel bel mezzo della crisi dei sistemi culturali e gerarchici e prima dell’affermazione dell’umanesimo. C’è anche un forte legame con Dio, slegato però dalle autorità ecclesiastiche nelle quali Villon non perde mai l’occasione di cercare un argomento di sfida, tra rimorso e strafottenza; nel legame con Dio si riconosce già il tema umanistico dell’unità tra gli uomini, grazie alla fede in Dio e non più la paura dell’inferno che era propria dell’uomo medioevale, ed in questo modo egli riscopre l’io nella ricerca della verità e dei valori ormai perduti.

Villon descrive la realtà in modo vero nella sua totalità della situazione anche se questa è triste o crudele, anzi soprattutto se è crudele perché vivendo un periodo di tremenda crisi, si fa portavoce delle disgrazie che accadono in Francia dopo la guerra: briganti, epidemie; e tra queste situazioni spregevoli riesce a fare spazio anche per i sentimenti d’affetto e di gratitudine verso la madre ed il tutore, che non sono mentali ma totalmente corporei e reali. François

La ballata delle cose da niente So vedere una mosca nel latte, So riconoscere l'uomo dall'abito So distinguere l'estate dall'inverno So giudicare dal melo la mela So conoscere dalla gomma l'albero, So quando tutto è poi la stessa cosa, So chi lavora e chi non fa un bel niente, So tutto, ma non so chi sono io. So valutare dal colletto la giubba So riconoscere il monaco dall'abito, So distinguere il servo dal padrone, So giudicare dal velo la suora, So quando chi parla sottintende, So conoscere i folli ben pasciuti, So riconoscere il vino dalla botte, So tutto, ma non so chi sono io. So distinguere un cavallo da un mulo, So giudicare il carico e la soma, So chi sono Beatrice e Belet, So fare il tiro per vincere ai punti, So separare il sonno dalla veglia, So riconoscere l'errore dei Boemi, So che cos'è il potere di Roma, So tutto, ma non so chi sono io. Principe, so tutto in fin dei conti, So vedere chi sta bene e chi sta male, So che la Morte porta tutto a compimento, So tutto, ma non so chi sono io. Le opere e lo stile

La ballata degli impiccati Fratelli umani, che ancor vivi siete, non abbiate per noi gelido il cuore, ché, se pietà di noi miseri avete, Dio vi darà più largo il suo favore. Appesi cinque, sei, qui ci vedete. La nostra carne,già troppo ingrassata, é ormai da tempo divorata e guasta; noi ossa, andiamo in cenere e in polvere. Nessun rida del mal che ci devasta, ma Dio pregate che ci voglia assolvere.

Se vi diciam fratelli, non dovete averci a sdegno, pur se fummo uccisi da giustizia. Ma tuttavia, sapete che di buon senno molti sono privi. Poiché siam morti, per noi ottenete dal figlio della vergine celeste che inaridita la grazia non resti, e che ci salvi dall’orrenda folgore. Morti siamo: nessuno ci molesti, ma Dio pregate che ci voglia assolvere. La pioggia ci ha lavati e risciacquati, e il sole ormai ridotti neri e secchi; piche e corvi gli occhi ci hanno scavati, e barba e ciglia strappate coi becchi.

Noi pace non abbiamo un sol momento: di qua, di la, come si muta, il vento senza posa a piacer suo ci fa volgere, più forati da uccelli che ditali. A noi dunque non siate mai uguali, ma Dio pregate che ci voglia assolvere. O Gesù, che su tutti hai signoria, fa’ che d’inferno non siamo in balia, che debito non sia con lui da solvere. Uomini, qui non v’ha scherno o ironia,

FINE Grazie per l’ascolto