B. La nascita della meccanica quantistica 1. Perché la costante h? Problema della radiazione termica Come si distribuisce l’energia in un sistema composto da radiazione e materia in condizioni di equilibrio termico? Il numero dei modi normali di oscillazione (gradi di libertà) in una cavità a temperatura T è infinito e proporzionale a ν3. In base al principio di equipartizione ogni modo ‘pretende’ un’energia ½kT. “Catastrofe ultravioletta” Problema dei calori specifici Perché i calori specifici tendono a zero con la temperatura? Perché gli atomi e le molecole si comportano come se avessero ‘pochi’ gradi di libertà?
Ipotesi di Planck: l’energia totale di un sistema oscillante è la somma di ‘elementi’ o ‘quanti’ indivisibili є = hn Ne consegue che, al crescere di ν, il quanto di energia di un oscillatore tende a superare l’energia totale del sistema. Ne consegue che la stragrande maggioranza dei gradi di libertà del sistema rimane ‘congelato’. L’energia media di un ‘oscillatore’ risulta Ē = hν /[exp(hν/kT) -1] ) Il calore specifico dipende da kT/hν: a una temperatura T = 300K, per una lunghezza d’onda l = c/ν = 4.8 mm, kT/hν = 0.1 c è praticamente uguale a zero
Né onde né particelle Ipotesi di Einstein (1905): “L’energia [della radiazione] non si distribuisce con continuità in un volume sempre crescente, ma è costituita da un numero finito di quanti di energia, localizzati nello spazio, che si muovono senza suddividersi e che possono essere emessi o assorbiti solo nella loro interezza”
Evidenza a favore dell’ipotesi corpuscolare - Come mai solo alcuni atomi sono ionizzati qui e là da un fascio di radiazione? - Come mai in un’emulsione fotografica esposta alla luce risultano anneriti solo alcuni granuli, sparsi qui e là, della sostanza fotosensibile? - Come mai per ionizzare una sostanza la radiazione deve avere una frequenza superiore a una data frequenza ‘di soglia’ che dipende dalla sostanza stessa? - Come mai superfici metalliche investite dalla luce emettono elettroni in numero proporzionale all’intensità della radiazione e con energia proporzionale alla frequenza della radiazione incidente? - Come mai un elemento illuminato ‘riflette’ solo le frequenze inferiori alla frequenza massima dello spettro della radiazione incidente?
Contro l’ipotesi corpuscolare: tutti i fenomeni di diffrazione e interferenza Esempio: interferometro di Mach-Zehnder B A R S
Il mistero della struttura atomica Modello di Bohr: Ipotesi di base: L’elettrone percorre soltanto le ‘orbite’ determinate da valori discreti dell’energia: E = E(n), queste orbite costituiscono ‘stati stazionari’ poiché l’elettrone non perde energia nel percorrerle, l’emissione e l’assorbimento della radiazione avviene solo quando l’elettrone effettua una ‘transizione’ tra due stati stazionari, Legge delle frequenze: le frequenze della radiazione emessa o assorbita dipendono dalle energie dei livelli tra cui avviene la transizione: νnm = (En – Em)/h
La transizione alla meccanica quantistica La scoperta della nuova meccanica segue due strade parallele: Einstein, Bohr, Born, Heisenberg, Jordan, Kramers, Pauli meccanica delle matrici Einstein, de Broglie, Schrödinger meccanica ondulatoria Unificazione: Schrödinger, Dirac, von Neumann meccanica quantistica
Meccanica delle matrici Einstein (1917): a ogni transizione mn sono associati coefficienti di probabilità di emissione spontanea Anm di assorbimento Bmn di emissione ‘stimolata’ Bnm Bohr, Kramers, Heisenberg (1923-25): l’atomo si comporta come un insieme di ‘oscillatori’ caratterizzati da frequenze ben definite νnm Heisenberg (1925): le grandezze cinematiche X(t) sono definite da ampiezze e da frequenze da due indici: X(t) = Xmnexp( – 2πiνmnt)
Per la dinamica del sistema: V(t) = dX(t)/dt = – 2πiνmnXmn(t) = = – (2πi/h)(Em – En)Xmn(t) = (i/)[EnXnm(t) – EmXmn(t)] Heisenberg, Born e Jordan (1925) [Draimännerarbeit]: le grandezze a due indici sono matrici: l’equazione precedente si può quindi scrivere come: dX/dt = (i/)(HX – XH) = (i/)[H, X] Ora, per un elettrone libero, H = P2/m; ne segue che: dX/dt = (i/2m)[P2, X] = (i/2m)(P[P, X] – [X, P]P) Assumendo la relazione classica dX/dt = P/m, si ottiene immediatamente che [P, X] = (/i)I dove I è la matrice identità.
Dirac (1926): le grandezze che caratterizzano le proprietà di un oggetto fisico non sono più rappresentate dai semplici numeri ‘classici’, i ‘c-numbers’, ma da ‘q-numbers’, ossia da operatori rappresentabili come matrici. Lo stato del sistema è rappresentato da un vettore unitario (il cosiddetto ‘ket’, rappresentato dal simbolo |q) in uno spazio astratto (che può essere anche a infinite dimensioni). I valori delle grandezze fisiche, che caratterizzano il suddetto stato, sono costituiti dagli ‘autovalori’ dell’operatore corrispondente. Nel caso dell’energia: H|q = E|q I risultati sperimentali devono però continuare a essere c-numbers: ciò comporta che gli operatori corrispondenti alle grandezze fisiche devono essere ‘hermitiani’. Il processo di misurazione fa sì che lo stato del sistema effettua una transizione istantanea in uno degli autostati possibili dell’operatore in questione. La teoria permette di prevedere la probabilità di ottenere questo o quel valore della grandezza.
Meccanica ondulatoria Einstein: dal punto di vista termodinamico-statistico la luce si comporta come se avesse allo stesso tempo proprietà ondulatorie e proprietà corpuscolari. De Broglie: attribuendo all’elettrone proprietà ondulatorie (p = h/λ) si può ‘intepretare’ il postulato degli stati stazionari dell’atomo. Schrödinger: la nuova meccanica sta alla meccanica classica come l’ottica ondulatoria sta all’ottica geometrica. Lo ‘stato’ di un oggetto quantistico è descritto da una ‘funzione d’onda’ ψ(x, t) definita in uno spazio complesso multidimensionale. Gli stati di un sistema ‘legato’ corrispondono a ‘onde stazionarie’ con valori quantizzati dell’energia. Dal punto di vista matematico, questi stati si ricavano risolvendo un ‘problema agli autovalori’.
La nascita dell’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica Schrödinger (1926): il modulo quadro della la funzione d’onda ψ(x, t), moltiplicato per la carica dell’elettrone, è una densità di carica distribuita con continuità; i livelli energetici dell’elettrone atomico corrispondono a onde ‘stazionarie’: “si può parlare in un certo senso di un ritorno al modello elettrostatico e magnetostatico dell’atomo”. Difficoltà: (1) ‘sparpagliamento dei pacchetti d’onda, (2) dimensioni dello spazio in cui è definita la ψ(x, t), (3) la ψ(x, t) è una funzione complessa, (4) per uno stesso stato, la forma della ψ dipende dalle variabili scelte per la sua rappresentazione, (5) la ψ subisce un cambiamento discontinuo quando il sistema è soggetto a misurazione.
L’interpretazione statistica Max Born (1926): ψ(x, t)2 dτ rappresenta la probabilità di trovare l’elettrone, concepito come punto materiale, in un certo volume dτ: la ψ non rappresenta il sistema fisico in sé, ma solo la nostra conoscenza di esso. Le difficoltà (1) – (5) appaiono superate: i particolare la variazione discontinua della ψ(x, t) in seguito ad una misurazione è solo il riflesso del cambiamento della nostra conoscenza dello stato del sistema quando effettuiamo una misura. Difficoltà fondamentale: non si spiegano i processi di diffrazione e interferenza. L’interferenza è un processo fisico e non può riguardare solo la nostra conoscenza.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg La definizione operativa delle principali grandezze cinematiche e dinamiche x, p, E e t comporta che le ‘incertezze’ con cui esse possono essere misurate contemporaneamente sono legate dalle seguenti relazioni: ΔxΔp h ΔEΔt h Dal punto di vista ‘intuitivo’, gli oggetti quantistici possono essere visti come corpuscoli classici, ma l’entità della perturbazione prodotta dall’apparato, nel tentativo di ridurre l’incertezza di una delle due grandezze, diviene tale da far crescere l’incertezza di misura della grandezza ‘coniugata’.
Il principio di complementarità di Bohr Conferenza di Como dell’autunno 1927: Le grandezze cinematiche e dinamiche non sono ‘indeterminate’ a causa delle procedure di misurazione, ma semplicemente perché in determinati stati del sistema non sono definite. Le relazioni di Heisenberg sono una semplice conseguenza matematica dei presupposti della teoria, in particolare del principio di sovrapposizione. Un esame attento di tutti gli esperimenti, ideali o concreti che siano, mostra che non si può fare a meno di utilizzare sia la rappresentazione corpuscolare sia quella ondulatoria. Queste immagini sono complementari, poiché non entrano mai in contraddizione diretta nello stessa situazione sperimentale. Esse sono reciprocamente esclusive, ma la loro integrazione consente una descrizione completa, nel linguaggio classico, del comportamento di un oggetto quantistico.