LUIGI PIRANDELLO Così è (se vi pare) Uno, nessuno e centomila La molteplicità del reale e la crisi del soggetto
La biografia Luigi Pirandello nacque nel 1867 presso Girgenti (poi Agrigento). Nel '93 scrisse il suo primo romanzo, L'esclusa. Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito tutto il suo patrimonio e la dote di Maria Antonietta Portulano, sua nuora, provocò il dissesto economico della famiglia: la moglie di Luigi ebbe una crisi che la portò alla follia. La produzione di novelle e di romanzi pirandelliani si fece particolarmente fitta fra 1904 e 1915; Pirandello lavorò anche per l'industria cinematografica, che muoveva allora i primi passi, scrivendo soggetti per i film.
La biografia Dal 1910 ebbe il primo contatto con il mondo del teatro, con la rappresentazione di due atti unici, Lumìe di Sicilia e La morsa. Tra il 1916 e il 1918 scrisse numerosi drammi: Pensaci Giacomino!, Liolà, Così è ( se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, Il giuoco delle parti. Erano anche gli anni della guerra e Pirandello vide con favore l'intervento, ma il figlio Stefano, partito volontario, fu fatto prigioniero dagli Austriaci e, nonostante i tentativi del padre, non fu liberato. Per il dolore la malattia mentale della moglie di Pirandello si aggravò tanto che lo scrittore dovette farla ricoverare in una casa di cura.
La biografia Del 1921 sono i Sei personaggi in cerca d'autore che rivoluzionarono radicalmente il linguaggio teatrale. Dal 1925 assunse la direzione del Teatro d'Arte di Roma e si legò sentimentalmente ad una giovane attrice, Marta Abba, per la quale scrisse diversi drammi. Nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si iscrisse al partito fascista: da un lato la tendenza conservatrice del partito sembrava garantirgli l'ordine a cui aspirava, dall'altro il suo spirito antiborghese lo induceva a vedere nell'ideologia fascista l'affermazione di una energia vitale capace di spazzare via i falsi comportamenti dell'Italia postunitaria.
La biografia Negli ultimi anni pubblicò le Novelle per un anno, che raccoglievano la sua produzione novellistica, e le Maschere nude in cui venivano sistemati i testi drammatici. Nel 1934 ebbe il Nobel per la letteratura. Mentre negli stabilimenti di Cinecittà a Roma assisteva alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite e morì nel 1936, lasciando incompiuto il suo ultimo lavoro teatrale, I giganti della montagna.
La visione del mondo La "Vita" secondo Pirandello (come per Henri Bergson) è un continuo divenire, un processo perpetuo di trasformazione, ma l'essere umano cerca di fissare questo fluire eterno in una "Forma", tenta di impadronirsi di una identità che sia unica e determinata, vuole acquisire una personalità ben precisa. Anche gli altri tendono a vederci secondo il loro punto di vista attribuendoci ruoli e comportamenti, modi di pensare e di essere che non sono nostri, ma sono piuttosto "maschere". Così noi crediamo di essere "uno", mentre siamo tanti ("centomila") individui diversi a seconda di chi ci guarda: di fatto non siamo "nessuno" perché, dal momento che siamo parte dell' "universale ed eterno fluire" della "Vita", cambiamo continuamente, non siamo mai identici a quelli che eravamo un attimo prima.
Entrano in crisi i valori ottocenteschi 1) l'idea che la realtà sia ordinata, definita, interpretabile in un modo oggettivo secondo gli schemi razionali, 2) la convinzione che l'individuo sia uno, coerente e soggetto creatore della realtà circostante (concetto che ha le sue radici nel classico unusquique faber fortunae suae e che la borghesia dell''800 aveva ereditato) D'altra parte non poteva che essere questo l'effetto di un mutamento radicale della società come quello intervenuto con l'industrializzazione che, meccanizzando il lavoro, aveva reso l'uomo semplice ingranaggio di un meccanismo produttivo vastissimo e ne aveva perciò determinato l'alienazione, annullandone la individualità.
La “trappola” e … le vie di fuga Per Pirandello, le "forme" (i ruoli, le convenzioni, le istituzioni che la società ci impone) sono una sorta di "trappola" da cui l'essere umano cerca di liberarsi (l'insofferenza nei confronti di quelli che sono i legami e le regole ipocrite del vivere sociale fa di Pirandello quasi un anarchico); "carcere" in tal senso è la famiglia al cui interno convivono persone che si scontrano, provano rancore, mentono, o semplicemente vivono un'esistenza sempre uguale, grigia e opprimente; "carcere" sono il lavoro e la condizione sociale.
… le vie di fuga La sola via di fuga possibile è nell'irrazionale: 1) nell'immaginazione (l'impiegato Belluca di Il treno ha fischiato sogna paesi lontani che gli consentono di sopportare il suo modesto lavoro di contabile e la famiglia costituita da tre cieche, due figlie vedove e sette nipoti da mantenere), 2) nella follia che permette di criticare convenzioni e norme e di rivelarne la inconsistenza (Enrico IV e Uno, nessuno e centomila). L'eroe pirandelliano spesso diviene perciò "forestiere della vita", "colui che ha capito il giuoco" e che dunque rifiuta di cristallizzarsi in una "forma", di assumere una "parte", guarda vivere gli altri dall'esterno dell'esistenza stessa. In lui si rispecchia pure Pirandello che non assunse un ruolo attivo in politica riservandosi quello di contemplativo, di lucida coscienza critica del reale.
Il relativismo conoscitivo Se la realtà è in perpetua trasformazione, non esiste una verità oggettiva, fissata una volta per tutte. Ognuno ha piuttosto una sua verità che nasce dal suo modo di vedere le cose. Anche la parola a cui si attribuisce un significato che si crede unico, determinato, valido per tutti, in realtà è intesa in un modo da chi le pronuncia e assunta in un altro da chi ascolta: ognuno interpreta secondo il suo mondo soggettivo.
La poetica Il saggio più importante è L'umorismo (1908): è in esso presente una parte storica, in cui l'autore esamina varie manifestazioni dell'arte umoristica, e una parte teorica in cui viene definito il concetto di umorismo. Pirandello, in proposito, adduce un esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti ed eccessivamente truccata, avverto che è il contrario di quello che una anziana dovrebbe essere (l' "avvertimento del contrario" è il comico). Ma se poi interviene la riflessione e penso che magari quella donna si è imbellettata così nel vano tentativo di tenere legato a sé il marito più giovane, non posso più ridere (è il "sentimento del contrario" cioè l'umorismo). In sostanza la riflessione umoristica coglie la molteplicità del reale, le diverse prospettive da cui si può osservare una cosa: se si è di fronte al ridicolo mette in luce gli aspetti tragici, se, viceversa, si è dinanzi al serio, si riscontrano pure i lati comici.